Preghiere poesie

SANTISSIMA TRINITÀ

SANTISSIMA TRINITÀ   con preghiera dei piccoli
 

Dal Vangelo di Giovanni 3, 16 - 18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

 

Quando si era bambini nella Domenica che celebra la santissima Trinità si era soliti presentare ai fedeli il racconto di sant’Agostino che, sulla spiaggia, incontra un bambino intenzionato a svuotare il mare con un secchiello. Agostino prova a spiegargli che il progetto è impossibile. Ma il bambino si rivela un angelo incaricato di spiegare al santo che illudersi di capire razionalmente e in modo completo il mistero di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo è esattamente come provare a svuotare il mare con un bicchiere.

Oggi la chiesa ci presenta, attraverso il Vangelo di san Giovanni, un altro personaggio alle prese con il mistero di Dio: Nicodemo. È un capo dei Giudei, ci dice l’evangelista. È perciò adulto e inserito tra coloro che considerano Gesù un pericolo e un nemico: da arrestare da fermare. Per quanto però esista distanza tra loro, Nicodemo è incuriosito dalla figura di Gesù e - allo stesso tempo - è attratto da questo uomo che presenta un volto insolito del Dio pregato in sinagoga. Forse non è l’unico tra i capi dei Giudei a vivere questi sentimenti. Sembra però il solo che, con determinazione, va avanti in questa sua ricerca che lo rende inquieto e che, tra l’altro, lo espone anche a consistenti pericoli. Per questo va da Gesù “di notte”: per non essere visto dai colleghi che lo cercano per catturarlo. E lo incalza subito con parole forti: “sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui” (Gv. 3,2). È la conferma che Nicodemo segue Gesù e che conosce quanto Lui opera e dice. È anche la prova che questo capo dei Giudei riconosce in Gesù la presenza di Dio. Ma non riesce ancora a capire - però - come possa Dio abitare in mezzo a noi e rendersi presente nella persona di Gesù di Nazaret.

Nicodemo vuole scardinare le sue fragili certezze. Cerca (di notte) lo scomodo Maestro per dialogare con Lui. Non ha paura a mettersi in discussione e oltre a presentargli i suoi dubbi si rivela anche disposto ad ascoltare le risposte che Gesù gli consegna (come a dire: non basta mettersi in discussione e cercare; è anche indispensabile ascoltare in profondità quanto la ricerca ci fa raccogliere e incontrare!).

I tre versetti che oggi la chiesa ci presenta sono tratti da questo lungo dialogo tra Gesù e Nicodemo (al capitolo terzo del Vangelo di san Giovanni) e dopo questo incontro notturno con Gesù, di Nicodemo si perdono le tracce. Fino alla morte di Gesù. Quando Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea chiedono a Pilato il permesso di “prendere” il corpo morto di Gesù per una decorosa sepoltura. Se ai piedi della croce sono rimasti in pochissimi, ora che Gesù è morto sono scomparsi tutti. Anche perché riuscire a vedere nel cadavere di Gesù i segni tangibili dell’amore del Padre per la nostra umanità è impresa quasi impossibile.

Gesù però aveva chiesto Nicodemo di provare a rinascere con l’aiuto dello Spirito ed ora è proprio lo Spirito che lo guida e che lo aiuta a cogliere, nel corpo senza vita di Gesù, il dono definitivo del Padre all’umanità perché il bene vinca - una volta per tutte - sul male.

Credo che per la nostra preghiera Nicodemo possa rappresentare il testimone privilegiato della santissima Trinità. Per invitarci a non stancarci mai di cercare (anche quando vorremmo convincerci che siamo arrivati) e per ricordarci che in Gesù morto e risorto è visibile l’amore del Padre ed è con noi lo Spirito che ci rende creature nuove e capaci di parlare la lingua dell’altro. Nicodemo ci ricorda anche che il cambiamento genera disorientamento, ma che è fecondo ed indispensabile per il nostro crescere e migliorare. Il Dio di Gesù, ecco la liberante verità, è presenza che sfugge ai nostri schemi e alle nostre tradizioni. Ormai è chiaro: ci è chiesto di prendere atto - in questo tempo di transizione e di cambiamenti - che la nostra fede ci chiede di accogliere nuovi schemi e nuove forme di vita ecclesiale. Non sappiamo ancora quale forma assumerà il nostro essere chiesa al servizio del Regno di Dio, ma sappiamo - grazie alla testimonianza di Nicodemo - che lo Spirito Santo renderà le nostre comunità ecclesiali vive e interessanti come quelle da cui proveniamo.

Seguire Gesù in compagnia di Nicodemo diventa perciò un ottimo esercizio di libertà interiore per continuare a cercare e per non sentirsi mai arrivati. Grazie alla preziosa compagnia di Nicodemo, poi, si impara a “vedere” nel Signore Gesù il dono d’amore del Padre che, consegnandoci il Suo Spirito, ci spinge a rinascere dall’alto, ad amare come Lui ha amato noi e a perdonare: tanto noi stessi quanto chi ci ha fatto del male.

Siamo allo sprint finale di un intenso ano scolastico.

Un sentito e cordiale grazie a quanti operano nella scuola e che in questo mese raccolgono i frutti del loro lavoro. E un augurio alle famiglie e ai nostri cari studenti perché la scuola diventi sempre più quella palestra che ci rende uguali e liberi, come diceva don Milani.                                                

 

                                                                                  Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    a catechismo ci hanno raccontato la storia di sant’Agostino che mentre spiega al bambino che non si può svuotare il mare con un secchiello scopre che quel bambino è un angelo mandato da Dio. Per spiegargli che prima di provare a capire il mistero di Dio uno e trino ci si deve lasciare abbracciare dal Suo amore.

Bello questo racconto.

Mi ha aiutato a capire perché a me non piace stare da solo: perché siamo stati creati a Tua immagine, Gesù, che sei un Dio sempre in relazione e dunque mai solo.

Mia mamma mi sgrida quando cerco un amico, un compagno o un cugino per andare alla casa in campagna.

Tu però mi capisci: insieme tutto è più bello.

E, come dice un proverbio africano, “se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme”.

Grazie Gesù anche per il dono di questo anno scolastico.

 

DOMENICA DI PENTECOSTE

DOMENICA DI PENTECOSTE con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo secondo Giovanni 20, 19 - 23

19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". 22Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati".

 

La “sera” è la parte del giorno che precede la notte ed esprime, a livello simbolico, sentimenti di incertezza, di insicurezza e di bisogno di protezione dal buio.

Le porte chiuse “del luogo in cui si trovavano” sono la diretta conseguenza delle paure che stanno vivendo i discepoli di Gesù dopo la morte del loro maestro (“E se adesso dopo aver condannato alla pena capitale Lui, vengono a cercare noi, che eravamo con Lui?). Si tratta, perciò, di un contesto di fatica dove sembra non esserci molto spazio per la speranza.

Per evitare però che il lettore del Vangelo si lasci prendere dallo sconforto, san Giovanni inserisce un veloce inciso che rischia di passare inosservato: “La sera di quel giorno, il primo della settimana, …”). Non è una sera qualunque. È il primo giorno della settimana ed è un riferimento diretto ed esplicito alla creazione per spiegare a chi legge che il mondo creato da Dio sta per rinascere: in modo nuovo e con al suo interno la possibilità di superare la paura e il male. La resurrezione di Gesù diventa, per san Giovanni, il primo giorno della settimana (la nostra “domenica”!), per ricordarci che male, rancore, ingiustizie, fragilità e divisioni che consumano la libertà e la fraternità sono vinte una volta per tutte.

Penso ai nostri giorni Siamo passati dalla siccità che ha minacciato seriamente la qualità della nostra vita alle inondazioni che hanno spezzato 15 vite umane e distrutto intere comunità in Emilia Romagna, nelle Marche e in Piemonte. Acqua e frane che hanno creato fango, “sfollati” (36.000 nella sola Emilia Romagna), Comuni inondati (più di cento lungo la costa romagnola) e tanta, tanta paura.

Non c’è molta differenza tra questo scenario e il modo di scrivere di San Giovanni. Che potremmo rendere così: la sera di quel giorno, mentre le case erano allagate e tutti erano sul tetto per paura che l’acqua si prenda anche la vita oltre che l’abitazione, il primo della settimana, decine, centinaia di volontari arrivarono con pale e stivali per dire a quanti hanno perso tutto in poche ore: «Pace a voi!». Siamo qui per aiutarvi; per portarvi sollievo e per dirvi che - insieme - si può ricominciare e che un nuovo giorno è già iniziato.”.

Gesù risorto oggi come ieri continua ad essere in mezzo a noi per rendere visibile quel “primo giorno” senza il quale si resta immersi nella notte e nella paura. Ma tra gli alluvionati di quel pezzo d’Italia spazzato via dall’acqua così come nei contesti di guerra, che tutti conosciamo (penso all’Ucraina, al Sudan e alle troppe guerre che insanguinano il nostro Pianeta) Gesù risorto non appare in modo magico o con i tratti dell’apparizione che ha il colore del miracolo. La speranza avanza sempre con i piedi e con le mani dei fratelli che ci avvicinano e che con la sola presenza ci dicono: “Pace a voi!!”.

La solennità della Pentecoste - cinquanta giorni dopo Pasqua - descritta nella prima lettura con immagini “forti” (vento impetuoso che si abbatte sulla casa, fragore, lingue di fuoco…) è, oltre le apparenze, la festa in cui Gesù risorto ci dona il Suo Spirito affinché ognuno di noi diventi in grado di portare speranza - e Pace! - a chi è nel pianto, nella fatica, nella guerra, nell’alluvione o nella disperazione di una emigrazione che ti ha portato in mezzo all’acqua, etc. Amati, consolati e perdonati diventiamo capaci di amare, di aiutare, di consolare e di perdonare chi, accanto a noi, attende noi per ricominciare a vivere con fiducia e nel segno della speranza.

Ancora una riflessione: quanti ricevono il dono dello Spirito di Gesù diventano capaci di parlare la lingua dell’altro. Diventano cioè forti nell’empatia e in grado di entrare nella testa e nel cuore dell’altro. Per ascoltarlo; per farlo sentire accolto, compreso e ben voluto; per donargli quel sorriso e quella vicinanza che lo fa ripartire. Senza lo Spirito di Gesù ognuno resta chiuso in sé stesso e si affatica in quel doloroso e sterile monologo che ci obbliga a parlare da soli e, cosa peggiore, a darsi ragione tra sé e sé.

Lo Spirito ci insegna a entrare in comunione con chi sta male; a parlare la “sua” lingua e a costruire - con lui - il linguaggio della solidarietà, della vicinanza e della prossimità, in una parola: il linguaggio dell’amore.

E solo Dio sa quanto le nostre case, le nostre famiglie, le nostre comunità e il mondo intero abbiano bisogno di questo Spirito che ci immette nel “primo giorno della settimana”.

Buona Festa di Pentecoste e, per venerdì prossimo, buon 2 Giugno.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    non so a chi dirlo, ma anch’io ho tante paure. Ho paura di non riuscire ad andare bene a scuola; ho paura che il mister mi metta fuori dalla squadra; ho paura che i miei amici si stanchino di me; ho paura che succeda qualcosa a mamma e papà, etc.. È la prima volta, Gesù, che faccio un elenco delle mie “paure”.

Gesù ho capito bene? Appena Ti sei accorto che i Tuoi discepoli vivevano a porte chiuse “per paura” dei giudei, sei andato da loro, ti sei messo in mezzo a loro e gli hai donato il Tuo Spirito

Dona anche a me, Gesù, il Tuo Spirito e insegnami a superare le mie paure.

Le due parole che l’angelo ha detto a Maria – Non temere – me le voglio ripetere al mattino e alla sera.

E grazie perché se Tu mi parli e sei vicino a me, io ho molto meno paura.

 Venerdì è il 2 giugno, la Festa della Repubblica. In piazza il Sindaco regala – come ogni anno – la Costituzione Italiana ai diciottenni. E quest’anno tra i festeggiati c’è anche mio cugino. Grazie Gesù anche di queste feste.

ASCENSIONE DEL SIGNORE Anno A

ASCENSIONE DEL SIGNORE  Anno A con preghiera dei piccoli

 

Dal vangelo secondo Matteo,  28, 16 – 20

 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

Lo sappiamo e non dobbiamo dimenticarlo: i Vangeli non sono libri di storia e chi scrive non è un cronista incaricato di raccontare dettagli precisi della vicenda di Gesù, ma un teologo che vuole consegnare al suo lettore quella verità teologica che ci rende - personalmente e come comunità - migliori e più autentici. Per capirci: la Galilea dista 150 Km. da Gerusalemme, dal luogo dove hanno deposto Gesù morto. L’invito dell’angelo alle donne che di buon mattino si recano a visitare la tomba di Gesù di recarsi in Galilea (“…ecco vi precede in Galilea”) non è, pertanto, una annotazione geografica. È piuttosto il grande annuncio del Vangelo: Gesù risorto si rende visibile là dove ognuno di noi vive, lavora, lotta, sogna e spera. La Galilea - regione di frontiera che permette a Israele di “toccare” terre diverse e definite dal credo religioso come terre “pagane” - è stata per Gesù il luogo dove si è consumata la quasi totalità della sua vicenda umana; il contesto in cui è cresciuto nel più totale anonimato all’interno di quella famiglia che oggi chiamiamo “santa”, ma in tutto uguale alle altre: alle prese con il lavoro, con la precarietà dei poveri e con le fatiche di vivere in un Paese occupato da forze straniere. L’evangelista non ha dubbi: la Galilea in cui Gesù risorto ci precede è il richiamo alla nostra quotidianità, quella dalla quale vorremmo scappare e dove - di fatto - consumiamo la nostra voglia di assoluto e di infinito.

È un sogno ricorrente che tenta spesso: illudersi che il giorno in cui riusciremo a scappare dal dove siamo (stanchi, delusi incompresi, alle prese con fatiche, divisioni, litigi e forse anche invidie…), si possa - finalmente - trovare quella pace e quella serenità di cui abbiamo profonda nostalgia. Se questo pensiero attecchisce in noi, si sappia - ci dice san Matteo - che il primo a proteggerci da quelle fantasie sbagliate e pericolose è Gesù risorto.  Scappare dalla vita non è mai sano. Così come non è saggio illudersi che solo in un altrove astratto e ideale possano esistere le condizioni per stare bene.

Gesù risorto ci vuole bene in “questa” vita; all’interno delle coordinate storiche e geografiche in cui siamo immersi; con questi parenti, figli, amici e relazioni che hanno costruito la nostra vita. Gesù risorto ci chiede di restare là dove siamo: nella nostra Galilea. Ma ci invita anche a cercare - tra le case in cui viviamo, lavoriamo e condividiamo la nostra vita - “il monte” che cambia il senso del nostro essere e del nostro correre insieme.

Affascinante il particolare. Gesù aveva detto: “andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno” (Mt. 28,10). Loro - i discepoli - “andarono sul monte che Gesù aveva indicato loro” (Mt.28,16). Intuiscono che la Galilea non è solo una regione geografica, ma è soprattutto il luogo ordinario e feriale in cui ognuno di noi vive. Ma capiscono anche che se non si mettono in pratica le beatitudini che Gesù ha proclamato dal monte in Galilea, la quotidianità non decolla e non incontra la libertà sperata.

Per incontrare Gesù risorto e per stare bene, ci dice san Matteo, dobbiamo andare sul monte delle beatitudini. Dobbiamo cioè - oltre il linguaggio simbolico - entrare in quella logica liberante dell’occuparsi di chi, vicino a noi, è oppresso, piange e soffre l’ingiustizia perché il Dio di Gesù è con loro, in mezzo a loro e accanto a chi soffre e a chi si prende cura del debole. Prospettiva rovesciata. Non scappare da dove siamo, ma abitare la nostra storia individuando - però - il monte che ci aiuta a stare con il Vangelo e con il messaggio di Gesù. Ed ecco il doppio movimento che ci presenta l’evangelista: il Dio di Gesù ci precede, ci trova e ci raggiunge, ma ci chiede anche di “andare”, di muoverci e di non smettere mai di cercare. Ci propone - in pratica - quella bella fatica del credere e del fidarsi del Signore Gesù oltre i riti, le semplici appartenenze o le pratiche tradizionali. Un cammino certamente liberante per ciascuno di noi, ma indispensabile e profetico anche per i nostri giovani. I quali non capiscono più i codici della tradizione (e non si ritrovano perciò nei nostri riti, nelle nostre pratiche di fede, etc.) e vorrebbero provare ad affrontare la fatica dell’andare in Galilea per dare un senso alla loro vita carica di ansie e di furti di futuro, ma rischiano di trovarsi sbarrato il cammino di chi li aspetta a messa. Giovani che cercano adulti disposti ad accompagnarli in quel cammino che li aiuta a raggiungere il monte in Galilea e non cittadini delusi dalla politica e cristiani confusi e spenti.

Ultimo ma non meno importante. “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” è una espressione che può dire solo Gesù. Solo Gesù può dire “Io sono” e usare così il nome di Dio (“Io sono”). Solo Gesù può usare questa formula. Nessun altro. Il che significa che chi vende la tesi che “Dio è con noi” è perché vuole legittimare la sua voglia di dominare e sta cercando un lasciapassare per usare la violenza. Se non è Gesù a dire “Io sono con voi” è forte il rischio che si stia preparando qualche guerra. E la storia di ieri e di oggi conferma la forte attualità e chiarezza del Vangelo.

Buona domenica.

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                 non lo avevo mai notato: all’inizio del Vangelo di Matteo c’è scritto che a Te “sarà dato il nome Emmanuele che significa Dio con noi” (Mt. 1,23).   E alla fine ci sono le stesse parole: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Gesù è bello sapere che Tu sei sempre con noi: quando le cose vanno bene, ma anche quando vanno male.

Tu, Gesù, non sei lontano da dove noi viviamo, dalle nostre città e dalle nostre case. E sei soprattutto “con-noi” per farci sentire il tuo amore e il tuo perdono.

Grazie Gesù perché il Tuo Vangelo mi aiuta a non dire sempre “io” e a scoprire la bellezza del “noi” anche se a volte è difficile stare insieme.

Sono solo sei parole: “Io sono con voi tutti i giorni”. Ma cambiano tutto.

Grazie Gesù.

VI DOMENICA DI PASQUA ANNO A

VI DOMENICA DI PASQUA ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Giovanni 14,15-21                                                                                                     In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Per Gesù, ci dice san Giovanni, la fatica di vivere ha un preciso nome: quel sentirsi “orfani” e “gettati” in un mondo dal caso, per non dire dal caos, senza nessun punto di riferimento. Oggi ci sono, domani non ci sono, ma il perché di questo tribolare quotidiano non ci è dato saperlo. Questo vuole dire sentirsi “orfani”. Qualcuno anestetizza questo dolore con un forte investimento progettuale per fare carriera, per diventare famoso, ricco e senza mai troppo misurarsi con le domande fondamentali della vita (salvo poi scoprire che il tramonto arriva per tutti!). Altri provano ad acquistare l’immortalità generando figli o producendo opere (libri, quadri, aziende, beni di varia natura, etc.), nemmeno questo - però - libera dai dubbi del vivere. Altri ancora scappano da tutti e da tutto e si fanno male (dipendenze, illegalità…). Resta il fatto che in un modo o nell’altro - tutti, nessuno escluso - ci sentiamo, non poche volte, “orfani” e soli. Gesù, esperto di umanità e profondo conoscitore del cuore umano, si pone in ascolto attento delle nostre fragilità e ci immette nella Sua preghiera (costantemente rivolta al Padre) perché ci doni il Suo Spirito affinché rimanga “con voi per sempre”. E si noti come Gesù definisce lo Spirito che ci dona: “un altro Paraclito” e “Spirito di verità”. Vale la pena fermarsi un istante su queste due definizioni dello Spirito date da Gesù.

Paraclito. È termine che proviene dal linguaggio giuridico e indica chi ti sta accanto quando sei nella difficoltà. Anticamente non esisteva l’avvocato formalmente incaricato di difendere l’imputato. Chi veniva considerato colpevole di qualche reato poteva solo sperare di essere “affiancato”, nel processo, da una persona stimata e ricoperta di onore che, per il solo fatto di sedersi al suo fianco, ne dichiarava l’onorabilità e l’innocenza. Provo ad immaginare il vissuto che generava questo “gesto” di difesa: “allora esisto; c’è qualcuno che crede in me; non sono gettato nel mondo-tritacarne; ho ancora speranza, etc.”.

Non dovremmo mai dimenticarlo: il Vangelo è “buona notizia”, ma - proprio per questo - è sempre anche parola molto concreta e aderente alla storia. Gesù doveva conoscere le realtà dei processi in cui colpevoli e innocenti rischiavano di trovarsi soli e senza difese e, di conseguenza, prende spunto da questo personaggio - il “paraclito”, il difensore, il consolatore - per aiutarci a capire che il Suo Spirito si muove e si coinvolge per ciascuno di noi come un “paraclito”, che sceglie di sedersi al nostro fianco per difenderci tanto dalle fatiche e dalle difficoltà del vivere quanto dalle accuse che ci tolgono il respiro.

Domanda: perché Gesù dice un “altro” Paraclito? Perché il primo nostro “amico” e “difensore” è Lui - Gesù stesso - che, risorto e Signore della vita, non ci lascia orfani e verrò da voi”. Gesù e Spirito Santo sono con noi per consegnarci quell’amore che cerchiamo “fissando il cielo” quando in realtà è sulla nostra povera terra che troviamo l’amore di Gesù! Ultima annotazione: Gesù e Spirito Santo sono con noi per difenderci non solo dai tanti pericoli esterni, ma anche da noi stessi: quando diventiamo così severi con noi stessi da negarci - da soli - il perdono. Gesù risorto e il suo Spirito sono con noi per allontanare dalla nostra esistenza l’angoscia del vuoto, per difenderci (anche da noi stessi!)  e per renderci capaci di fare il bene.

Spirito di verità. È la seconda funzione dello Spirito che ci dona Gesù. Per aiutarci ad entrare in quella verità della vita che, per mille ragioni, vorremmo non vedere. In profondità sappiamo dove è il bene, dove si trova la verità e che cosa dovremmo fare. Perdonare, servire, tacere, dare e non vendicarsi: lo sappiamo che questi verbi sono le azioni che ci rendono liberi. Presi da tanti disordini interni, però, preferiamo ignorare queste direzioni e illuderci che la verità abiti da altre parti (in direzione del prendere, dello sparlare, del non perdonare, del serbare rancore, del vendicarsi o del voltarsi dall’altra parte quando il fratello chiede aiuto e manifesta bisogni di assistenza).

La verità è espressa molto bene dalla sintesi di Gesù: “I miei comandamenti”. Non più i precetti, le norme, le prescrizioni e i sacrifici dati da Mosè, ma “i miei comandamenti” (che, nel capitolo successivo a questo, si scopre che si tratta di un solo comandamento) che rendono liberi perché sono veri e sono veri perché assecondano la nostra profonda natura: vivere per amare e amare per vivere.

Che bella domenica. Non siamo figli del caso e non siamo orfani. E se anche noi stessi smettiamo di volerci bene e di perdonarci, Gesù risorto verrà da noi e ci dona il “paraclito” che crede in noi e che si siede accanto a noi per difenderci. Non solo: il Suo Spirito ci aiuta a trovare la verità del vivere - “i miei comandamenti” - contro tutte le scorciatoie che ci ostiniamo a percorrere sapendo molto bene, però, che non ci aiutano a diventare beati.

 

Preghiera dei piccoli   

 Caro Gesù,                       

 

                   in classe con me ci sono tre bambini che sono arrivati dall’Ucraina.  Andavano nella loro scuola e vivevano in casa in pace. Come facciamo noi.

Poi, un bel giorno, si sono trovati in guerra.

E loro, i bambini, non hanno più potuto andare a scuola.

I papà sono andati a combattere e i bambini, con le mamme, sono scappati a cercare rifugio dove potevano.

Due di loro adesso sono orfani.

I loro papà sono morti a causa di una bomba.

E quando ho sentito che Tu hai detto: “Non vi lascerò orfani” ho pensato a questi miei amici.

Grazie perché ci sei sempre accanto: anche quando il buio fa paura.  È la prima volta, Gesù, che ho la guerra così vicino.

Ti prego Gesù: donaci la Tua Pace e insegnaci a costruire un mondo senza guerre.  Gesù: grazie anche per la festa della mamma.

V DOMENICA DI PASQUA Anno A

V DOMENICA DI PASQUA  Anno A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Giovanni 14, 1 – 12  

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

Pietro è il primo che apre le danze e che pone una precisa domanda a Gesù: “Signore dove vai?” (Gv. 13,36). Dopo di lui anche Tommaso (Gv. 14,5), Filippo (14,8) e Giuda, non l’Iscariota (14,22) prendono coraggio e formulano altrettanti interrogativi a Gesù. L’evangelista non ha nessun dubbio: Gesù è Maestro non solo perché parla e insegna con autorità, ma anche perché permette a chi cammina con lui di esternare le sue paure, i suoi dubbi, i suoi interrogativi e i suoi quesiti. Permette all’altro di porre - con libertà - le sue domande, è il vero tratto distintivo del Maestro. Ed è per questo che questi quattro discepoli - ci dice san Giovanni - prendono fiducia e pongono i loro punti interrogativi al Maestro: perché hanno avvertito che Gesù è in grado di farsi carico anche dei loro lati oscuri e delle loro ansie e insicurezze. “Dove vai?”, “Cosa vuole dire che Tu sei la Via?”, “Riesci a farci vedere il Padre? Riesci a renderci visibile il volto di Dio?”.

Si noti però un particolare. Quando Giovanni descrive questi dialoghi tra Gesù e i suoi apostoli, sono passati quasi 50 o 60 anni. Se dopo tutto questo tempo l’evangelista ritiene utile raccontare il botta e risposta tra il Maestro e chi lo interroga è perché quegli interrogativi sono di tutti: della comunità a cui chi scrive si rivolge, ma anche di chi legge oggi questa pagina di Vangelo. Per san Giovanni non ci sono dubbi: sono queste le domande profonde che sono depositate nel profondo del nostro cuore. Credere e diventare discepoli di Gesù vuole dire esattamente questo: imparare a formulare questi interrogativi e - soprattutto - confrontarci con la Sua risposta.

Lasciamo perciò che i due interrogativi che san Giovanni ci presenta oggi entrino dentro di noi e lavorino per diventare la bella notizia che cerchiamo. Partiamo dal quesito di Filippo: “Signore mostraci il Padre e ci basta”. Come a dire: “Gesù facci vedere il tuo Dio; dacci qualche conferma che quanto tu proponi (servizio, perdono, amore per i nemici, etc.) sono in grado vincere il male; dimostraci che sei proprio Dio”.

Nella risposta Gesù sposta il piano su cui si muove Filippo e rovescia le parti. Per spiegare a lui e a tutti che Dio è Gesù. Abbiamo imparato al catechismo che Gesù è Dio, ma non abbiamo quasi mai provato ad mettere in atto il ragionamento opposto: che Dio è Gesù. In realtà - però - è questa la buona notizia che ci deve guidare dal di dentro. Dio ha il volto, il corpo e le mani di Gesù. Dio ci parla con le parole di Gesù; Dio ci serve con le mani di Gesù; Dio ci cerca e ci raggiunge con i piedi di Gesù. Dio è amore perché Gesù ha donato la sua vita per noi. Dio è servizio perché Gesù si è chinato su di noi nella lavanda dei piedi.

La “misura” dell’amore di Dio per noi, la ricaviamo dalle “opere” che Gesù compie per noi e verso di noi. Così come ciascuno di noi “è misurato” nell’amore dalle “opere” che compie verso i fratelli. E chi di noi vuole vedere Dio - ribadisce san Giovanni - si lasci abbracciare da Gesù e impari ad amare come Lui ha amato noi. Parole scomode, ma liberanti. Anche perché alla fine della vita non saremo “misurati” dalle preghiere fatte, ma dalle “opere” che abbiamo compiuto innestandoci sull’agire di Gesù. Vale per i politici (servire la giustizia e non rincorrere il consenso per alimentare il proprio potere), ma vale per ogni professione e per ogni ruolo. Sono riflessioni che rendono migliori le nostre case e le nostre famiglie, se ci lasciamo misurare dalle opere di Gesù e la smettiamo di idolatrare i piccoli (con il rischio di renderli prima dei tiranni viziati e poi dei giovani fragili e sempre in ansia). Così come avremo comunità cristiane migliori se lasciamo entrare nelle nostre stanze e nei nostri gruppi il “perdono” di Gesù e ci rendiamo disponibili a perdonare chi ci ha fatto un torto.

Così riletta, la domanda di Filippo illumina anche la domanda di Tommaso che vuole conoscere la via o la strada su cui camminare per arrivare alla libertà proposta da Gesù. E la risposta del Maestro è illuminante: “Io sono la vita, la verità e la vita”.

Tommaso cerca qualcosa da mettere in tasca per potersi sentire al sicuro. Vuole “avere” la verità con sé per essere certo di non sbagliare. Gesù sa molto bene che chi pensa di avere la verità in tasca diventa arrogante e poco disponibile ad amare il fratello che ha logiche, pensieri e idee diverse. Ecco perché Gesù invita chi cerca la via e la verità a camminare con Lui: perché solo se non giudichi, se non condanni l’altro e se servi chi ti è vicino tu ti avvicini alla verità e alla libertà che ti permette di entrare nella vita che non ha fine.

Teniamoci qualche dubbio, ma non si rinunci mai a camminare con i fratelli che ci sono accanto e senza i quali non incontriamo il Signore Gesù e il suo Vangelo.

Bello da dirsi. Impegnativo da attuare. Liberante quando si riesce a realizzare.

Preghiera dei piccoli 

Caro Gesù,

sono arrabbiato con i miei genitori. Non mi lasciano andare a scuola da solo perché, dicono, la strada è piena di pericoli (loro però andavano a scuola a piedi e da soli!).

Non mi lasciano giocare in cortile (“È vietato”, mi dicono!). Non posso andare ai giardinetti dietro casa (“Perché non riesco a vederti”, dice mamma). E non vogliono che vada in oratorio o a casa dei nonni da solo, sempre per il solito motivo: perché sulla strada non sai mai chi incontri.     Scoprire dal Vangelo che Tu ti sei definito «la Strada», mi ha fatto davvero tanto pensare.

Tu non solo non hai paura di lasciarci andare nella strada da soli, ma Tu ci dici che per incontrarti dobbiamo imparare a fidarci di Te che sei Strada.  Grazie, Gesù, perché ti fidi di me e dei miei amici.

Aiuta i miei genitori a fidarsi di me.

IV DOMENICA di PASQUA ANNO A

IV DOMENICA di PASQUA  ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Giovanni 10,1 - 10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

 

Non siamo abituati a cogliere i nessi logici (e teologici) tra un capitolo e l’altro del Vangelo. Il fatto però che il racconto del buon pastore (cap. 10) segua la descrizione della guarigione del cieco dalla nascita (cap. 9), è perché l’evangelista vuole presentarci il Signore Gesù come il Pastore che ci guida e che ci rende capaci di “vedere” chi realmente sa prendersi cura di noi. Se il Signore non apre i nostri occhi ognuno di noi rischia di affidare la sua vita a ladri e a briganti che non si occupano delle pecore (“Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere” - Gv. 10,10), ma che usano le pecore per ingrassare sé stessi. Dopo una lunga catechesi da parte di Gesù sulla bellezza e sulla bontà del Pastore che dà la propria vita per le pecore e dopo aver denunciato senza ambiguità i rischi e i reali pericoli che ladri e briganti rappresentano per ciascuno di noi, l’evangelista riprende il suo racconto. Per presentarci poi, al capitolo 18, Pilato scosso e confuso davanti ad un Gesù arrestato senza colpe alle prese con il suo goffo tentativo di liberare quell’inquietante imputato in occasione delle feste di Pasqua. La folla dei giudei, però, non è d’accordo: “Allora essi gridarono di nuovo: “Non costui, ma Barabba!”. (Gv. 18,40). E all’evangelista non resta che annotare: “Barabba era un brigante”. Utilizzando lo stesso termine greco (“lestes”) impiegato nel capitolo 10: dove viene messo a confronto il buon pastore (che la dà la propria vita per le pecore) con il ladro e il brigante.

In teoria e durante la fase dell’ascolto di un principio astratto, siamo tutti pronti a dare ragione all’evidenza e alla verità. Nella pratica però, quando la vita si fa avanti con il suo carico di fatiche, di contraddizioni e di pressioni emotive, ecco che il cuore oltrepassa la ragione e si affida a chi era stato definito un “brigante”.

Non è ciò che è accaduto anche nella storia? Siamo reduci da un 25 aprile che ha acceso molte speranze (come non ringraziare il Presidente Mattarella per la chiarezza dei suoi discorsi e per la lucidità di analisi storiche che non possono essere stravolte o addolcite) e altrettante discussioni e ambiguità. Ma non possiamo dimenticare che sempre le dittature crescono e si espandono con il consenso delle folle che “gridano” una adesione cieca e acritica al capo che puntualmente la storia smaschererà come un ladro e un brigante. È stato così per Hitler, per Mussolini e per i tanti (troppi) dittatori che hanno versato fiumi di sangue. Le vergognose leggi razziali che hanno sporcato per sempre il nostro Paese, non si sono “impiantate” nel nostro Paese grazie anche al consenso della folla e all’indifferenza di chi non voleva vedere?

Si noti ancora che nel suo presentarsi, il Buon Pastore si presenta dicendo: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Il tratto distintivo della libertà è dato - secondo la Parola di Gesù - dalla possibilità di entrare e di uscire dal pascolo che rende “beata” la nostra vita. L’esatto opposto dei mille inviti che riceviamo ogni giorno ad “entrare” in questo o quel contesto (penso ai luoghi pubblicizzati che ci chiedono di oltrepassare la soglia di siti commerciali, del gioco, della vacanza e persino della sanità privata) per poi uscire solo dopo aver sborsato il prezzo per quella permanenza!

Per tornare al Vangelo: abbiamo bisogno che il Signore Gesù ci apra gli occhi (siamo tutti dei ciechi quando ci mettiamo alla ricerca del “pastore” della vita) e soprattutto abbiamo necessità che Lui - e soltanto Lui - ci guidi, si prenda cura di noi e ci conduca fuori dai nostri schemi piccini che ci imprigionano e che ci rendono schiavi di troppi padroni (pigrizia, egoismo, consumismo, odio, rancore, etc.).

Senza mai dimenticare che Gesù Buon Pastore ci chiama per nome e Lo si riconosce soltanto se si familiarizza con la Sua voce e con la sua Parola. Significa che se non impastiamo la nostra vita con il Suo Vangelo, sono le altre voci (commerciali, pubblicitarie e/o ideologiche) che si prendono cura di noi e che ci gestiscono. Quando - al contrario - il Vangelo ci forma mente e cuore, non solo riconosciamo il Buon Pastore e siamo critici verso tutti i “briganti” che fingono di interessarsi alla nostra vita, ma sale spontanea - nel cuore e nel nostro stile di vita - la voglia di servire chi ha bisogno di noi e chi ci chiede aiuto. Si scopre, cioè, che ascoltare la Sua voce ci rende piccoli collaboratori del grande Pastore. E questo apre la vita ad orizzonti di vita che non ha fine.

Buon I maggio a tutti.

                                                                 Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                        il fratello di mio nonno è andato a fare il pastore all’età di otto anni. Da maggio a novembre suo papà l’ha mandato al pascolo in montagna e lui dormiva in una baracca. La sua storia l’ho trovata su un libro dal titolo “Bambini in affitto”.

Una volta era così: a otto o dieci anni si era già grandi e si andava a lavorare.

Oggi per fortuna le cose sono cambiate.

Tutti noi bambini andiamo a scuola e possiamo crescere senza pensare al lavoro.

Grazie Gesù perché il pezzo di mondo in cui viviamo è migliorato. Aiutaci Tu a difendere tutti i bambini del mondo. Anche quelli che ancora oggi vanno a lavorare a otto anni o, peggio ancora, quelli che fanno i bambini-soldato.

E grazie anche perché sei Tu che ci guidi, che ci proteggi e che ci aiuti a crescere bene.

Sei Tu il mio pastore.

III DOMENICA ANNO A

III DOMENICA ANNO A  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo di Luca 24, 13 - 35

Ed ecco, in quello stesso giorno (il primo della settimana) due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: "Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?". Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: "Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?". …30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 

 

Nel primo libro dei Maccabei si racconta che a Emmaus (siamo tra il 175 e il 134 avanti Cristo) “gli uomini di Giuda diedero fiato alle trombe 14e attaccarono. I pagani furono sconfitti e fuggirono verso la pianura, 15ma quelli che erano più indietro caddero tutti uccisi di spada.  … ne caddero circa tremila. … 25Fu quello un giorno di grande liberazione per Israele.” (1 Maccabei 4,1ss). Emmaus è perciò un luogo storico e simbolico che parla di vittoria, di trionfo e di annientamento del nemico. Ecco perché i due discepoli hanno deciso di allontanarsi dalla città in cui è stato ucciso Gesù di Nazaret e si sono incamminati verso Emmaus: perché sono sconsolati, tristi e si illudono che recarsi a Emmaus possa calmare un po’ quel senso di sconfitta che la condanna in croce di Gesù ha consegnato loro. Delusi dal presente e convinti che con l’arresto e l’uccisione di Gesù sia stato rubato loro il futuro, questi due discepoli si rifugiano nel passato e con una forte carica di nostalgia si accontentano del profumo di vittoria acquisita in decenni ormai lontani.

Schemi che consociamo molto bene e che sembrano una fotografia di quanto viviamo oggi. Si pensi ai nostri contesti ecclesiali: sono sempre più vuoti e con età media dei partecipanti sempre più alta; il calo di vocazioni sacerdotali e religiose ci segnala che non ci sono più le forze per reggere servizi che fino a ieri erano ordinari. Siamo cioè immersi in una crisi di fede che sta cambiando il volto delle nostre Parrocchie. Ma è così anche per la vita politica e sociale. I partiti non hanno più i numeri, la consistenza e la forza attrattiva di ieri; la crisi demografica svuota le nostre scuole e i nostri contesti urbani; non esiste più il lavoro garantito che ieri si cercava dopo il militare; la crisi della famiglia è visibile ad occhio nudo e sono davvero tante le coppie che vivono, con i figli, la dolorosa esperienza della separazione. Non stupisce che alle prese con questi inattesi cambiamenti che generano disorientamento nasca – in molti – quel senso di nostalgia triste che spinge a rifugiarsi nel passato. Ci disorientano i cambiamenti climatici (creati da noi); vorremmo fermare l’immigrazione che cambia volto alle nostre città (ma sappiamo che senza immigrati la nostra economia crolla); ci lamentiamo che i nostri giovani non vanno in chiesa, ma non ci siamo accorti che insieme – loro e noi – ci siamo allontanati dal Vangelo.

E mentre procediamo (esattamente come i discepoli di Emmaus) alle prese con la nostra nostalgia triste e fissiamo il passato (!), quasi mai ci accorgiamo che il Signore Gesù ci cammina accanto; ci affianca, ci parla, ci spiega quanto ci sta accadendo e vorrebbe aiutarci ad entrare nel senso profondo della storia con l’aiuto della Parola di Dio.

Ed eccoci nel cuore del nostro racconto pasquale: Gesù risorto cammina con noi. Sceglie di stare con noi e di ascoltare le nostre fatiche e i nostri dubbi. Subito dopo - però - Gesù risorto ci parla, spiega il Suo Vangelo e fa in modo che chi lo ascolta lo inviti a “restare con Lui”. Ed è la premessa perché si realizzi il miracolo del presente trasfigurato dalla Sua presenza. Per scoprire che Gesù risorto non è più un viandante anonimo e sconosciuto, ma la Parola che cura e che salva, l’Ospite che trasforma in casa qualsiasi edificio, il Dono che educa a dare e a servire, il Compagno di strada che fuga la paura e il Fratello che libera dalla solitudine, dall’isolamento e dall’egoismo.

San Luca inserisce nel suo racconto un chiaro riferimento alla celebrazione eucaristica. Per spiegare alla comunità che lo legge (e a tutti noi!) che quanto vivono i discepoli diretti ad Emmaus, è dinamica che appartiene ad ogni discepolo (di ieri e di oggi). Ma è solo all’interno del rito eucaristico che si riesce a ritrovare la speranza che non si trova fissando il passato. Solo nell’ascolto della Parola di Dio si capisce quanto ci accade. E solo nel coraggioso atto del vivere la fraternità con chi la vita ci ha messo accanto si impara a condividere, a perdonare e a servire.

I due discepoli diretti a Emmaus erano tristi. Dopo che Gesù risorto ha spezzato il pane con loro, Cleopa e il suo anonimo compagno di viaggio (ognuno di noi?) si sono ritrovati il cuore colmo di gioia e hanno recuperato il coraggio, la forza e la libertà necessaria per abbandonare i vecchi schemi mentali (“fecero ritorno a Gerusalemme”) e per intraprendere un cammino nuovo. Intriso di speranza.

Buon cammino anche a noi e buon tempo pasquale.

                                                                             Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                        il don ci ha spiegato che i due discepoli sono diretti a Emmaus perché quello è un posto in cui il popolo di Israele ha riportato una grande vittoria sui nemici.   Sono tristi e delusi per la Tua morte e sono così presi dai loro pensieri negativi che non si accorgono che Tu li hai avvicinati e cammini con loro. Gesù ormai mi è chiaro: non vederti con gli occhi non vuole dire che Tu non ci sei. Anche se “non -visibile”, Tu sei sempre con noi. Come il vento. Come l’amore: che non si vede, ma si sente quando qualcuno ti tiene per mano. Oggi ho capito meglio la mia Prima Comunione, Gesù.  Mi sento come quel

discepolo senza nome che, con i suoi compagni, cammina con Te.

Grazie, Gesù, perché mi hai invitato alla Tua tavola (dove Tu ci spieghi che nel dono di sé non c’è mai sconfitta).

 

 

 

II DOMENICA DI PASQUA ANNO A

II DOMENICA DI PASQUA  ANNO A  con preghiera dei piccoli

Giovanni  20,19 - 31

 «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. 22Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.

 

Per ben due volte Gesù risorto entra nella stanza in cui sono barricati i Suoi discepoli “per timore dei Giudei”. E se chi scrive annota questo prezioso particolare è perché in questa doppia visita del Signore Gesù ai Suoi, c’è qualcosa di molto importante. Dal punto di vista teologico, ma anche sul versante del metodo per quanto riguarda la vita comunitaria. Anche perché dopo la morte di Gesù in croce la comunità si è trovata senza Maestro e – dinamica comprensibile – ha vissuto disorientamento, paura, insicurezza e non poche divisioni interiori. Restiamo al nostro racconto. La prima volta Gesù risorto incontra, a porte chiuse, dieci discepoli. Giuda Iscariota si è perso per strada (e sono perciò rimasti in “undici”), ma Tommaso non è con loro. Sono solo undici, ma hanno idee diverse sul come essere e restare fedeli al Maestro che è appena morto in croce. Per i “dieci” che sono chiusi in casa prevale un atteggiamento di prudenza e di nascondimento per non esporsi al rischio di arresti o di ulteriori violenze varie da parte dei giudei. Tommaso, al contrario, è convinto che sia necessario “uscire” allo scoperto: andare di villaggio in villaggio e continuare a testimoniare quanto appreso da Gesù di Nazaret. Solo così, secondo questo discepolo, si resta fedeli a chi ha dato la vita per noi.

Sono approcci, idee, letture e strategie diverse che possono arricchire la comunità, ma che la possono anche dividere e lacerare.

Sono meccanismi che conosciamo molto bene. Le idee diverse sono una inevitabile ricchezza per tutti. Quando però la diversità viene considerata l’unica verità e ci si fissa sulla quota della “mia” ragione, l’altro – inevitabilmente – non viene considerato un fratello che arricchisce il confronto, ma il portatore di un’idea sbagliata che va fermato perché presenza ostile, un nemico. Nelle guerre questi meccanismi sono evidentissimi. L’aggressione della martoriata Ucraina (come dice Papa Francesco) da parte delle forze militari russe conferma questi schemi. L’altro ormai è solo un nemico da abbattere, da annientare, da eliminare e da odiare. Ma è così anche nei tanti (troppi) litigi, divisioni e scontri che avvelenano le nostre famiglie e le nostre comunità

Quante volte la “mia” ragione mi impedisce di sentire l’altro come fratello. Quante volte orgoglio e indisponibilità a perdonare allontanano sposi, fratelli, parenti e amici e li rendono lontani e estranei gli uni agli altri.

Nel nostro racconto, particolare prezioso, Gesù risorto non si schiera né con gli uni né con l’altro. E soprattutto non giudica la prudenza (paura?) dei dieci o l’audacia (incoscienza?) di Tommaso. Chiede però a tutti – e a ciascuno – di non usare i propri occhi per darsi ragione, ma per rimparare a vedere nel fianco ferito del Signore Gesù le ferite del fratello che ci è accanto il che ci chiede di essere accolto.

Pace e comunione – questo il messaggio dell’evangelista – non sono conquista di un gruppo sull’altro o il frutto di strategie calibrate e inseguite con furbizia, ma sono il dono per eccellenza che il Risorto consegna a tutti noi per aiutarci a vivere, da una parte, la diversità come ricchezza e – dall’altra parte – per impedire che il confronto degeneri in scontro o peggio ancora, in guerra. E si noti come opera Gesù risorto: si piazza “in mezzo” ai discepoli per impedire che il centro del confronto venga occupato da un soggetto o dall’altro (di solito è il più forte che piazza in mezzo, al centro!). Gesù risorto però va oltre questa prima indicazione. E chiede a Tommaso di tendere la mano e di metterla nel Suo fianco ferito. Invita, così facendo, le due parti che non si capiscono a passare dal piano delle idee che si scontrano alla pratica – condivisa e vissuta insieme – del servizio da dare al fratello ferito. Ed è metodo che vale anche per le nostre comunità cristiane. Possiamo discutere e confrontarci sul che cosa fare o sul come mettere in atto la pastorale migliore per servire il Signore Gesù, ma se non vogliamo dividerci dobbiamo continuare a mettere Lui e la sua Parola al centro delle nostre realtà ecclesiali e scoprire che solo il servizio al debole è l’elemento che ci tiene insieme, uniti e in piena comunione. Senza questa attenzione concreta al mondo dei vinti, continueremo a litigare e ognuno insisterà per dare ragione a sé stesso.

San Giovanni riporta solo due beatitudini. La prima è inserita nella lavanda dei piedi e ci ricorda che è beato chi segue l’esempio del Maestro e sceglie il servizio come stile di vita (Gv.13). La seconda è rivolta a Tommaso e, di conseguenza, a tutti noi e ci dice che riconoscere nel fianco ferito del fratello il “Mio Signore e mio Dio” è una rivoluzione copernicana nel nostro modo di pensare, ma è la sola strada per entrare in quella pienezza di vita che rende liberi, contenti, nella gioia o – per dirla con una parola – beati.

Buon tempo pasquale.

                                           Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

               a me Tommaso è simpatico. Dopo la tua morte in croce gli altri apostoli si sono chiusi in casa.

Lui, invece, va in giro e non ha nessuna paura di far vedere ai Tuoi nemici che è un Tuo discepolo.

Nemmeno quando gli altri discepoli gli dicono che Ti hanno visto vivo, lui scappa.

È sconvolto; non riesce a credere a quanto gli hanno detto i suoi amici, ma non esce dal gruppo. Accetta il loro invito e va da loro per capire cosa sta succedendo.

E poi, quando finalmente Tu lo incontri e gli parli, lui si rivolge a Te con quella preghiera bellissima: “Mio Signore e mio Dio”.

Gesù aiutami ad essere come Tommaso: coraggioso, ma anche disposto ad ascoltare gli altri e soprattutto insegnami a non giudicare chi non fa le cose che faccio io.

Grazie Gesù, “mio Signore e mio Dio”.

DOMENICA delle PALME

DOMENICA delle PALME  con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo secondo Matteo 21, 1 – 11

 

6I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.  8La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada.  9La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: "Osanna al figlio di Davide!  Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli! ".

 

 

Preghiera dei piccoli

 

Caro Gesù,

ascoltare tutto il racconto della Tua passione e morte (anche se è lungo!) mi piace: mi aiuta a stare di più con Te. Ed è bello anche prendere l’ulivo, portarlo a casa, metterlo prima a tavola e poi in cucina, sul crocefisso.

In casa si sente già aria di Pasqua, di festa, di vacanza (da scuola) e di uova di cioccolato.

Domanda: non credi di aver esagerato ad entrare in Gerusalemme sul dorso di un asino? Di solito l’eroe buono che sconfigge il male è seduto sul dorso di un cavallo nero o bianco.

Ma seduto sul dorso di un asino non si era mai visto.

Gesù, se volevi dirci che sei venuto “in mezzo a noi” per amarci e per servirci e non per giudicare o per condannare, ci sei riuscito. Ed è anche per questo che ti dico grazie.

 

BENEDIZIONE DELLA CASA CON IL RAMO D’ULIVO

(Prima di pranzo il più piccolo benedice i commensali con il ramo d’ulivo mentre il più “grande” recita questa preghiera.)

 

Grazie, o Dio, perché anche quest’anno ci doni di vivere insieme la settimana santa che ci prepara alla Pasqua del Tuo Figlio Gesù.

Benedici, Padre buono, le nostre vite e aiutaci a portare conforto a chi ha fame, a chi non ha casa, a chi è immigrato, in guerra, in carcere e senza speranza.

Per Cristo nostro Signore.

 

TUTTI: Amen.

 

V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A

V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Giovanni 11, 1 - 45

17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. ... 21Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà". 38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: "Togliete la pietra!". …  43Detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare".

 

Marta e Maria non si danno pace per la morte del fratello. Incolpano l’amico comune – Gesù – e gli addossano la responsabilità di non aver impedito alla morte di entrare in casa loro. Anche Gesù è addolorato per quella morte (“Gesù … si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?»” – 11, 33-34; 11,38). Ma decide, nonostante il dolore che lo attraversa, di aiutare Marta e Maria a non restare “legate” e “imbavagliate” dal lutto. Perché è questo il dramma generato dalla morte: trascinare i familiari e gli amici del defunto nelle sabbie mobili della disperazione; chiudere anche chi sopravvive al morto nel cimitero dove riposa la salma della persona scomparsa.

Siamo stati abituati a pensare che a Betania Gesù abbia resuscitato Lazzaro. Più in profondità – però – il miracolo del Signore Gesù a Betania coinvolge Marta e Maria, le sorelle del morto. E si noti come l’evangelista descrive la scena: “Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra»”. È questo il miracolo che Gesù compie a Betania: impedire che Marta e Maria muoiano con il fratello e aiutare le due sorelle a capire che il Signore Gesù ha donato a Lazzaro una vita che non muore più.

Quanto segue è coerente con questa premessa. Perché Marta e Maria non abbiano più dubbi, Gesù – dopo aver fatto togliere la pietra posta davanti alla grotta – chiama chi è stato chiuso in quel sepolcro (“Lazzaro vieni fuori” – 11,43). Lazzaro è ancora avvolto dalle bende utilizzate per il rito funebre. Ed è a questo punto che Gesù sferra l’insegnamento finale: “Liberatelo e lasciatelo andare”: lasciate che vostro fratello entri pienamente nella sua nuova condizione di vita senza fine e non chiudetelo mai più in un luogo di morte.

Gesù – ci dice san Giovanni – impedisce che la morte ci avvolga e ci trascini in quei sentieri di morte dai quali, se si entra, si rischia di non più uscire.

Penso alla spirale viziosa che genera la guerra. Distruzioni, ferite, famiglie smembrate, morte, ma anche – per non farci mancare nulla! –  bambini rubati alle famiglie di origine e deportati in altri contesti per sradicare da loro l’appartenenza identitaria al popolo nemico. Portarci fuori dalla morte generata dalle guerre (58 nel mondo, oggi!), è il grande miracolo che Gesù ci propone e ci chiede di attivare con Lui.

Ma penso a quanti malati sono affidati alla morte prima del tempo: chiusi e abbandonati in reparti altamente tecnologici dove ogni respiro e ogni battito del cuore è registrato, ma dove manca la vicinanza di una persona cara, la carezza di un famigliare e la parola affettuosa di chi ti ha sempre voluto bene. Il Signore Gesù ci offre una qualità di vita distante anni luce dai codici che la morte vorrebbe imporre a ciascuno di noi. E se non facciamo molta attenzione, noi – a chi si ammala seriamente – rischiamo di offrire cure così tecniche e fredde da anticipare la morte a chi è ancora fisicamente con noi, vivo.

Liberatelo e lasciatelo andare”. Si pensi alla forza di questa espressione applicata ai contesti in cui la corruzione corrode non solo la legalità, ma negando diritti e impedendo risposte ai bisogni dei cittadini, introduce il linguaggio della morte nella nostra società. Fermare l’arricchirsi personale proposto dalla corruzione e lasciare andare verso l’onestà chi deve servire il bene comune (e non rubare soldi e vita ai fratelli): è un altro aspetto del miracolo di Gesù. 

Liberatelo e lasciatelo andare”. Penso a chi scappa dal suo Paese perché segnato da miserie e guerre. Penso ai migranti. A quanti vediamo annegare e che spesso lasciamo in mare. Gesù, senza se e senza ma, ci chiede di aiutarli a vivere: slegandoli dalle loro sofferenze (possibilmente senza aggiungerne altre) e aiutandoli ad andare per la loro vita.

“Liberatelo e lasciatelo andare”. Penso al nostro cuore quando è abitato dal rancore, dalla voglia di vendetta ed è avvolto dall’odio e dal risentimento che avvelenano le relazioni e la vita tutta. Gesù ci porta fuori da questi sentimenti di morte e con la forza del Suo perdono ci educa a perdonare per ritrovarci liberi, “slegati” e capaci di andare verso la vita.

Ecco perché si chiama Pasqua la festa che stiamo per celebrare: perché con il Signore Gesù possiamo uscire dai contesti di morte e passare all’altra riva, dove la vita è più forte della morte e dove l’amore vince l’odio, l’egoismo, l’indifferenza e persino l’ingiustizia.

Grazie Signore Gesù per aver tolto la pietra che chiude la nostra vita e grazie per aver slegato il nostro cuore, le nostre mani e i nostri piedi. Grazie perché con Te abbiamo la forza di andare dove la vita è più forte della morte.                             

                                                Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

              non ho capito se il miracolo lo hai fatto a Lazzaro o alle sue sorelle, a Marta e Maria.

Anche perché loro hanno deciso che il fratello morto deve restare chiuso in una tomba.

Tu, invece, hai spiegato loro che Lazzaro anche se morto è ancora vivo e “con loro”.

Secondo me è questo il vero miracolo: aiutare chi resta a capire che i parenti e gli amici morti sono ancora vivi e soprattutto vicini.

Gesù sta finendo l’inverno. E nel primo giorno di primavera il nostro Paese ricorda, ogni anno, quanti sono morti per un’Italia più bella: senza ingiustizie e senza mafie.

Gesù aiutaci a non lasciare soli quanti hanno perso parenti e amici per difendere la giustizia.

Stai loro vicino come hai fatto con Marta e Maria.

E aiuta anche noi a fare la nostra parte

 

 

IV DOMENICA DI QUARESIMA anno A

IV DOMENICA DI QUARESIMA  anno A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Giovanni  9, 1 - 41

 (In quel tempo, Gesù) passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?". 3Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo".  6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe" - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

Domenica scorsa il Vangelo di Giovanni ci ha comunicato in modo forte e chiaro che l’acqua vera che disseta la nostra voglia di infinito si chiama Gesù. Oggi lo stesso evangelista utilizza un simbolo diverso e ci dice che Gesù è la luce che rende possibile – per ciascuno di noi – il vedere. E sul fatto che oggi siamo un po’ tutti ciechi nei confronti di quanto ci circonda, non ci sono dubbi. I cambiamenti climatici sono visibili (siccità compresa), ma non vogliamo vedere le cause che hanno stravolto le nostre stagioni per non cambiare stili di vita. Per quanto riguarda l’aggressione in Ucraina della Russia, idem come sopra: gli effetti dei bombardamenti li vediamo, ma i nostri occhi non riescono a scorgere vie di uscite in grado di costruire negoziati e di arrivare alla Pace (quest’ultima ormai barattata da tutte le parti in causa con la parola “vittoria”). Ma siamo ciechi anche davanti alla questione migranti che riempie le pagine dei nostri giornali e i dibattiti televisivi. Quando possiamo facciamo finta di non vederli, altre volte li guardiamo con un po’ di fastidio e in molti li vedono solo come stranieri, come nemici, come invasori o come una minaccia per la nostra sicurezza. La Coldiretti, la Confindustria e quanti operano nel settore della cura delle persone ci dicono che senza immigrati (almeno un milione all’anno per sostenere la nostra denatalità) il nostro Paese muore. Nonostante tutto questo, però, i nostri occhi non riescono a vederli come fratelli che cercano accoglienza e le nostre politiche sull’immigrazione guardano il migrante solo ed esclusivamente per difendersi da chi chiede accoglienza mentre in realtà è presenza che ci aiuta a diventare un Paese migliore.

Si noti però la bellezza di questa pagina di vangelo. Chi vede il cieco (seduto lungo il ciglio della strada a mendicare?) è Gesù. L’iniziativa, ci dice l’evangelista, è sempre Sua. Ed il fatto che la figura del cieco non abbia nome è per permettere a ciascuno di noi di identificarci con lui e scoprire che è sempre il Signore Gesù che ci vede per primo, che ci cerca e che ci viene incontro. Gli altri (i discepoli, i vicini, i genitori, i giudei e i farisei) vedono in lui solo un poveraccio che ha peccato e che è responsabile dei suoi guai. Perché questo vuole dire essere ciechi: ridurre l’altro – ogni altro – al suo problema e considerarlo colpevole anche se in realtà è solo una vittima. Andiamo però avanti. Dopo essersi presentato come la luce del mondo, Gesù costruisce un gesto altamente simbolico: “sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco…”. Il richiamo alla creazione dell’uomo di Genesi 2,7 è immediato e trasparente. E serve a chi scrive per dire a ciascuno di noi che quando Gesù ci vede e ci incontra ci rinnova in modo così profondo da renderci creature nuove liberate dalla paura di amare. Da adesso in poi chi legge è invitato a non farsi distrarre dal rumore generato da chi non vuole “vedere” questo scomodo Gesù perché ha paura di perdere il suo potere o perché non si sente pronto ad una libertà così grande. Il lettore deve camminare al seguito del cieco a cui Gesù ha ridato la vista. A cominciare dal dire – con lui e come lui – “sono io”.

Io sono” è il nome di Dio (così si è presentato Jahvè a Mosè quando gli ha chiesto quale è il Tuo nome). Ed è il modo con cui Gesù si presenta ai Suoi (“Io sono la strada, io sono il buon pastore, etc.”). Toccato da Gesù, il cieco prende coscienza che quell’incontro lo introduce nella vita stessa di Dio (al punto di poter dire “sono io”) e che “quell’uomo che si chiama Gesù” (9,11) è “un profeta” (9,17), che certamente viene da Dio (9,33) e che è il solo Signore che salva e a cui ha senso affidare la propria vita (“Credo, Signore!” - 9,38).

Tutto il racconto è costruito perché nel pregare domenicale come comunità e personalmente si dica in modo nuovo – con il cuore, con la mente e con le labbra – “Credo, Signore!”. Esattamente come qualcuno ha detto – al nostro posto – quando, bambini, siamo stati battezzati. Con molta saggezza la chiesa ci chiede – con questa pagina di Vangelo – di rinnovare, da adulti, le nostre promesse battesimali perché quel “Credo, Signore!” diventi la nostra preghiera, la nostra litania che – con l’aiuto del Vangelo – ci apre gli occhi e ci rende consapevoli – da un lato – che le ginocchia vanno piegate solo davanti al Signore Gesù e – dall’altro lato – che il principio della libertà è dato dal non ridurre mai l’altro ad un problema per riconoscerlo sempre e solo come il fratello che mi è stato donato da Dio per rendere migliore la mia vita. Ritrovare il nostro battesimo e riscoprire la forza generata dall’inginocchiarsi solo davanti al Signore Gesù: che bella la quaresima.

 

                                                  Preghiera dei piccoli                                                   

Caro Gesù,

                     sai che cosa mi colpisce di questo racconto? Che quel povero cieco “è visto” da tutti, tutti lo conoscono, tutti parlano di lui, ma nessuno parla “con” lui e nessuno fa qualcosa per lui.

Anche oggi è così.

Anche davanti alla nostra chiesa ci sono spesso dei poveri che chiedono l’elemosina.

Tutti li vediamo, ma solo pochi parlano con loro.

Sai che cosa mi piace di Te, Gesù?

Che al povero Tu non fai una piccola offerta per evitare di fermarti a parlare con lui.

Tu decidi di incontrarlo. Ti fermi. Prendi l’iniziativa, vuoi capire, parli con Lui e lo ascolti.

E non lo giudichi. Mai.

Quel cieco dopo aver parlato con Te è l’unico che ti vede e che ti riconosce.

Gesù ti posso chiedere di aprire anche i miei occhi e di insegnarmi a guardare il mondo come lo vedi Tu?

Grazie Gesù.

III DOMENICA ANNO A

III DOMENICA ANNO A con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo secondo Giovanni 4, 5 -42

 

In quel tempo, Gesù giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: "Dammi da bere". 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?".

 

Quando il nostro Paese godeva di abbondanza d’acqua (prima dei cambiamenti climatici che abbiamo causato), i due personaggi attorno al pozzo presenti nel Vangelo di oggi (la donna che vuole attingere acqua e Gesù che le chiede da bere), sono sempre stati interpretati così: la donna come il simbolo dell’umanità disidratata dalla mancanza di valori e assettata di affetto, di amore e di accoglienza (è una donna, dice il testo, che ha avuto cinque mariti e che vive con un ennesimo compagno); mentre Gesù veniva presentato, a livello simbolico, come la vera e unica sorgente d’acqua viva che sazia la voglia di infinito che abita nel cuore di ogni donna e di ogni uomo.

La siccità di cui siamo tutti testimoni (e che spaventa perché una seconda estate senza acqua non crea solo disagi, ma innesca danni) ci aiuta a leggere il testo in modo meno figurativo. E ci obbliga a fissare anche la “sete” dei terreni, dei fiumi, dei laghi e dei campi che ci dovrebbero nutrire. È lo stesso evangelista che ha voluto intrecciare, nello stesso racconto, tanto la dimensione simbolica e figurativa quanto il piano concreto, reale di chi deve bere per sopravvivere (anche perché con la sete non si scherza!). Ed è vero che la samaritana ha sete di amore e di relazioni liberate dalla povertà del reciproco consumarsi, ma è altrettanto vero che Gesù ha fisicamente bisogno di acqua al punto che è disposto a chiedere “da bere” ad una donna straniera (della serie: due volte impura e perciò inavvicinabile per un rabbì rispettoso delle norme!).

 

Per il nostro tempo. Nessuno di noi è pronto a rinunciare al consumo di duecentoventi litri di acqua al giorno (questo è il fabbisogno quotidiano pro-capire, in Europa) e per quanto la siccità “svuoti” le nostre fonti di acqua, non siamo ancora entrati nell’ordine di idee di cambiare stili di vita a proposito del consumo di acqua. Così come è scioccante scoprire che un africano della zona subsahariana ha a disposizione non più di 20 litri di acqua al giorno e che 768 milioni di persone nel mondo non dispongono di una fonte d’acqua potabile. Ed è anche per questo motivo che molti emigrano, che scelgono di salire su zattere inaffidabili e che rischiano di essere inghiottiti dalle acque del nostro mare e morire a 100 metri dalla terra promessa. Da una parte una mancanza di acqua che nega la vita e – dall’altra parte – troppa acqua che toglie il respiro e che annega, che fa morire.

Ma è così anche ad altri livelli simbolici: abbiamo scelto di fare pochi figli (al massimo due!) per seguirli meglio, ma ci ritroviamo troppo spesso alle prese con ragazzi che hanno “sete” di adulti credibili, autorevoli e severi (quando serve); ragazzi e giovani che si sentono orfani di riferimenti educativi e che chiedono aiuto usando la violenza sulle piazze oppure

 

correndo come dei pazzi sulle nostre strade di giorno e di notte (con la tragica conseguenza che la prima causa di morte dei nostri giovani è rappresentata dagli incidenti stradali). Abbiamo “sete” di lavoro e di soldi, salvo poi scoprire che bottega e conti correnti non danno la felicità se non sono inseriti in un progetto di senso che sa consegnare il giusto valore ad ogni cosa. Abbiamo “sete” di amore, di carezze, di coccole e di affettività capace di far riposare il nostro cuore, ma troppo spesso ciò che si credeva amore si rivela un inganno che espone al litigio, alla delusione e ci si convince che il solo modo per curare le proprie ferite sia dato dal costruire altre storie e cambiare partner. Abbiamo “sete” di spiritualità adulta, solida e robusta, ma troppe volte ci rivolgiamo a chi vende surrogati o a chi vorrebbe convincerci che il vero problema non è adoperarsi per garantire la Pace nel mondo, ma decidere di “stare in pace” e sonnecchiare nella propria indifferenza.

Ed eccoci alla buona notizia del Vangelo di oggi: Quel Gesù che chiede da bere alla donna al pozzo, è lo stesso Signore che non ha paura di avvicinarci là dove noi siamo: per dare concrete risposte alle nostre fragilità. E l’immagine del pozzo non è casuale: serve a chi scrive per dirci che Gesù non ci cerca per punire, per condannare o per sanzionare, ma solo e sempre per amare (è al pozzo che Isacco e Giacobbe hanno conosciuto le loro mogli!).

La “sete” di Gesù entra nella profondità della nostra storia per dare senso al nostro vivere; per liberarci dalle nostre paure di morire e per educarci ad offrire quel bicchiere d’acqua (Mt. 10,42) che salva la vita di chi è nel deserto, ma non vuole annegare nelle acque salate del nostro mare. La “sete” di Gesù in croce (Gv. 19,28 – “Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete»”) è la “sete” di Dio che desidera donarci la vita affinché questa ci disseti per sempre e ci abiliti ad amare come Lui ha amato noi.

Buon cammino verso Pasqua.

 

 

 

Caro Gesù,

 

Preghiera dei piccoli

 

il mio angolo preferito, nella casa di

 

campagna del nonno, è il pozzo.

È un posto tranquillo. C’è una bella panchina e anche quando fa tanto caldo c’è dell’ombra che fa stare bene.

Oggi ho capito una cosa: al pozzo non posso più sentirmi solo.

Tu sei lì, con me e mi chiedi di darti dell’acqua. Non sono io che Ti domando chissà che cosa.

Sei Tu che non hai nessuna paura di usare il mio piccolo secchio per dissetarti.

Di solito siamo noi che chiediamo cose a Te.

Oggi    sei   Tu    che   ci    avvicini   per   domandarci dell’acqua.

Gesù io ti dò il mio secchio perché Tu possa bere, ma Tu “dammi la Tua acqua”.

E grazie perché sei sempre Tu che prima ci cerchi e poi ci trovi. Sei davvero speciale.