Il Papa indice l'Anno di San Giuseppe

17-01-2021 - Notizie

   Il Papa indice l'“Anno di San Giuseppe” 2021

Con la Lettera apostolica “Patris corde – Con cuore di Padre”, Francesco ricorda il 150.mo anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale. Per l’occasione, da oggi all’8 dicembre 2021 si terrà uno speciale “Anno di San Giuseppe”

 

In merito a questo anno 2021, che papa Francesco ha voluto dedicare a San Giuseppe, mi sono ricordato che, in occasione di un Natale  di qualche anno fa, avevo pubblicato uno stralcio della Lettera a Giuseppe che don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, aveva immaginato di scrivere al falegname di Nazareth, con espressioni tanto poetiche, come solo lui era solito inventare, quanto delicate e ricche di spunti per aiutarci a scoprire la tenerezza, non solo dello sposo di Maria, ma attraverso di Lui la tenerezza di Dio, espressione molto cara e spesso usata anche da Francesco,vescovo di Roma. Ho così recuperato il pezzo e  ve lo  ripropongo.

 

Santo Natale 2011 all’insegna di San Giuseppe

 

Per parlare del Natale sono stati usati modi e linguaggi diversi nell’arco dei duemila anni. E’ però ancora per noi impossibile dire come e dove realmente sia avvenuta la nascita di Gesù. Tali fatti per lo più  si deducono e i racconti evangelici, come le riletture successive, sono già teologia.

Senza voler tralasciare Maria e il Bambino, desidero quest’anno soffermarmi su Giuseppe, persona poco conosciuta che in fretta sparisce dalle narrazioni forse perché gli evangelisti sono preoccupati di attribuire a Gesù una nuova, superiore origine: da Dio, dallo Spirito Santo (Mt. 1,18-20;  Lc.1,34-35), ma non è stato comunque loro possibile  cancellarne i dati tradizionali, e tra questi innanzitutto la paternità di Giuseppe. Gesù “figlio di Giuseppe” è una designazione che pian piano verrà eclissandosi, resteranno tuttavia ‘Gesù di Nazaret’ e ‘Gesù figlio di Maria’. E poi per sempre “Figlio di Dio”. Così i cristiani credono.

Non intendo disquisire sulla fecondazione di Maria per dono dello Spirito Santo, come recita pure il Catechismo della Chiesa cattolica al n° 483, anche perché entrare nel modo di agire di Dio non è dato a noi e tanto meno di spiegare eventualmente il mistero. Forse il voler dimostrare e spiegare troppo, con definizioni, ci allontana dalle vie più naturali che Dio sceglie per svelarsi a noi.

Intendo solamente dare quest’anno una pennellata di restauro a Giuseppe e ricollocarlo accanto a Maria, e a suo figlio Gesù, nel tentativo di coglierne l’umanità  sia pure nel mistero. Chissà che si riesca a vedere nella famiglia (padre, madre e figli) lo spirito del Natale. E lo faccio lasciando, ancora una volta, spazio al toccante linguaggio poetico e realistico di Mons. Tonino Bello che, immaginando di entrare nella sua bottega, decide di scrivere una lettera a Giuseppe.

 

“Caro S. Giuseppe, scusami se approfitto della tua ospitalità e, con audacia al limite della discrezione, mi fermo per una mezz’oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere con te.

Mio caro San Giuseppe, io sono venuto qui, soprattutto, per conoscerti meglio come sposo di Maria, come padre di Gesù, e come capo di una famiglia per la quale hai consacrato tutta la vita. E ti dico subito che la formula di condivisione espressa da te come marito di una vergine, la trama di gratuità realizzata come padre del Cristo, e 1o stile di servizio messo in atto come responsabile della tua casa, mi hanno da sempre incuriosito, che ora non solo vorrei saperne qualcosa di più, ma mi piacerebbe capire in che misura questi paradigmi comportamentali siano trasferibili nella nostra civiltà dell'usa e getta.

Dimmi, Giuseppe, quand'è che hai conosciuto Maria? Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con l'anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso?

O forse un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di  Nazareth conversava in disparte sotto l’arco della sinagoga?

O forse un meriggio d’estate, in un campo di grano, mentre, abbassando gli occhi splendidi per non rivelare il pudore della povertà, si adattava all’umiliante mestiere di spigolatrice?

Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il capo con la prima carezza,che forse era la sua prima benedizione e tu non 1o sapevi; e poi tu la notte hai intriso il cuscino con lacrime di felicità?

Ti scriveva lettere d'amore? Forse sì; e il sorriso, con cui accompagni il cenno degli occhi verso l'armadio delle tinte e delle vernici, mi fa capire che in uno di quei barattoli vuoti, che ormai non si aprono più, ne conservi ancora qualcuna.

Poi, una notte, hai preso il coraggio a due mani, sei andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e di menta, e le hai cantato sommessamente le strofe del Cantico dei Cantici: “Alzati, amica mia, mia bella e vieni! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata. I fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati, amica mia, mia bella e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave e il tuo viso è leggiadro”.

E la tua amica, la tua bella, la tua colomba si è alzata  davvero. È venuta sulla strada, facendoti trasalire. Ti ha preso la mano nella sua e, mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto.

Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Jahvé. Di un angelo del Signore. Di un mistero

nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande dell'universo e più alto del firmamento che vi sovrastava. Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle addio, e di dimenticarla per sempre,

Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore, e le dicesti tremando: “Per me, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria, purché mi faccia stare con te”. Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza.. era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente.

Spero che, dietro quegli assi di castagno appoggiati alla parete, non ci sia nascosto qualche rabbino esperto di teologia, se no troverà anche lui un buon capo d'accusa per deferirmi davanti all'arcisinagogo.

Ma io penso che hai avuto più coraggio tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del Signore. Lei ha puntato tutto sull'onnipotenza del Creatore. Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura. Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più speranza. La carità ha fatto il resto, in te e in lei.

Ma ora, Giuseppe, cambiamo discorso. Si è fatto tardi, Giuseppe.

Nella piazza non c'è più nessuno. I grilli cantano sul cedro del tuo giardino. Nelle case, le famiglie recitano 1o “Shemà Israel”.

E tra poco Nazareth si addormenterà sotto la luna. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. Cena di povera gente. L’acqua della fonte, il pane di giornata, e il vino di Engaddi.

E poi c'è Maria che ti aspetta. Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch'io le voglio bene. Da morire. Buona notte, Giuseppe!”

(da La carezza di Dio. Lettera a San Giuseppe, Ed. La Meridiana) - Tonino Bello, vescovo di Molfetta

 

Colgo ancora l’occasione per augurare a tutti,  ma in particolare alle persone più provate dalla vita, ben sapendo che per alcune famiglie anche i giorni a venire saranno tristi per la mancanza di affetti cari, per  il venir meno della salute o del lavoro, per l’incertezza del domani, un anno più clemente, meno travagliato, non solo per noi e i nostri familiari, ma anche per quanti arrivano o se ne vanno dal nostro paese per motivi di lavoro o per gravi situazioni di sfruttamento della persona. Auspico davvero per ognuno di noi tanta fiducia e tenerezza nell’incontrare sul nostro cammino fratelli e sorelle che sognano  e si adoperano per “amorizzare il mondo” come era solito ripetere il sacerdote scienziato francese Teilhard de Chardin, un profeta scomparso alla fine del secolo scorso, il cui pensiero  bisognerebbe conoscere meglio per avere uno sguardo più profondo e lungimirante, in quanto a noi oggi viene chiesto di lavorare per  una umanità nuova e per un mondo più abitabile per tutti. 

16 gennaio 2021 - don Mario Marchiori