Uscirono le donne con i tamburelli e le danze (Es 15,20)
di Marinella Perroni
in “Come se non” - http://www.cittadellaeditrice.com/munera/ - del 2 marzo 2021
Ricevo da Marinella Perroni questo testo appassionato. E’ una sapiente meditazione, alla vigilia del compleanno di Enzo Bianchi, che domani compie il 78esimo anno di vita. Vi si esprime una domanda di custodia di ciò che è stato, nel bene e nel male, per la vita di quella casa che è Bose. Parla anzitutto alle “donne della comunità, alle sorelle”, cui spetta “imporre e pretendere il dovere della memoria”. (Andrea Grillo)
Domani, 3 marzo, è il compleanno di Enzo Bianchi (78 anni). Non indugio sui ricordi di pranzi di festa a cui anche io ho avuto la gioia di essere invitata. Per quanto mi riguarda, so come festeggiare Enzo: ascolterò qualche canzone di Lucio Dalla (soprattutto 4.3.1943) e farò memoria di tante cose. Ecco, questo è il punto: fare memoria.
Tanto è stato detto e scritto, perché Bose è cara a tanti, e la sua grave infermità preoccupa. Parole, valutazioni, comunicati, ricostruzioni, accuse hanno scandito, come campane a morto, questi mesi. A riprova di grande partecipazione, di straordinario affetto, di accorata preoccupazione. I silenzi, poi, non sono stati meno eloquenti: se in tanti hanno riconosciuto in Bose un segno della vitalità dello Spirito, molti altri in questi anni sono stati seduti sul greto del fiume aspettando che, prima o poi, passasse finalmente il cadavere del nemico. Chi ha letto “La mula del Papa”, uno dei racconti di Alphonse Daudet, lo sa bene: in certi ambienti il momento tanto atteso prima o poi viene e fa finalmente scattare tutti i meccanismi predisposti dai custodi del passato, sempre atterriti dall’incalzare del futuro. Che dal mondo monastico e da quello ecclesiastico siano venuti a Enzo Bianchi, nei lunghi anni del suo ministero, riconoscimento e riconoscenza è fuori di dubbio, come lo è altrettanto che, in modo direttamente proporzionale con la crescita della sua fama, sia cresciuto anche il livore contro di lui. Per invidia, certo, ma non soltanto. La forza carismatica difficilmente si combina con un carattere arrendevole e una parola accomodante.
Che questo poi – visto che non sembra siano riusciti ad imputargli altro – sia una delle cause dell’implosione della comunità è ben possibile. Anche perché la stabilitas monastica non favorisce certo la cura dei tanti “bleus à l’âme”, come li aveva felicemente chiamati Françoise Sagan, soprattutto quando qualcuno ha più diritto di parola di qualcun altro. Ed è difficile che, dall’esterno, una parola balsamica riesca a penetrare quel corpo a corpo, al contempo esaltante e mortificante, che va sotto il nome di vita di comunità. Di qualsiasi comunità: come “La guerra dei roses”, che abbiamo visto al cinema, ci ha tolto ogni illusione sulla vita di coppia, la vicenda di Bose, che nell’epoca della comunicazione abbiamo visto svolgersi davanti ai nostri occhi puntata dopo puntata, ci conferma che volersi distruggere a vicenda è ben possibile e, significativamente, si realizza attraverso la distruzione della casa comune.
Nessuno di noi sa se e quando tutto questo finirà né, tanto meno, come. Le date, però, ci aiutano a non perdere il senso della realtà: comunque sia, domani è il 3 marzo, giorno della memoria per tutti quelli che sono a Bose. Nessun decreto ecclesiastico può cancellare il fatto che, di Bose, Enzo Bianchi è stato il fondatore e che, per decine di anni, ha presieduto alla vita della comunità. Nella buona e nella cattiva sorte.
Spetta a mio avviso alle donne della comunità, alle sorelle, imporre e pretendere il dovere della memoria. Abituate, forse, a tenere un basso profilo, spetta però a loro chiedere a tutti, monaci e monache, di fare i conti con la memoria: «uscirono le donne con i tamburelli e le danze» (Es 15,7). Non è questione di sentimentalismi romantici, anche perché non è detto che la fatica di questi mesi di profonda sofferenza abbia conservato intatto, oltre alla lucidità della mente, anche lo scrigno dei
sentimenti. Non è neppure questione di costruire una narrazione fittizia di ciò che è stato, come se i lividi non fossero lividi o si potesse fare come se ciò che è stato, compresi gli ultimi spasmi di questi mesi, non fosse stato.
Sarebbe importante però, e forse anche decisivo, se le sorelle assumessero su di sé la responsabilità di una consegna. Stando a tutti i vangeli, solo le discepole di Gesù erano in grado di ricevere la consegna pasquale per eccellenza, quella di non sfuggire alla memoria (Lc 24,8). All’inizio, per gli altri discepoli, è apparso come «un vaneggiamento» (Lc 24,10), ma non importa. Senza la memoria di quanto avvenuto in Galilea, qualsiasi fede si sarebbe tradotta in ideologia. Può piacere o no, può far emergere sentimenti di rabbia o di condiscendenza, poco importa: il 3 marzo del 1943, Enzo Bianchi è nato e, senza di lui, molte delle cose che a Bose e nella chiesa sono state e sono non ci sarebbero.
Marinella Perroni Biblista
Pontificio Ateneo S. Anselmo – Roma