“I giovani sono frutta da spremere. Traditi con gli open day”
di Antonello Caporale | 14 Giugno 2021
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Una società con la bocca piena della parola “giovani”, che intesta il programma europeo di ripresa alla “next generation”, che quotidianamente lacrima sui debiti che addosseremo “a chi viene dopo di noi”, e poi li arruola come target e un po’ se ne frega della loro vita. Professor Sarantis Thanopulos è successo con gli Open day di Astrazeneca.
La nostra è una società quantitativa. La sua fede è nei numeri, nella tecnologia, nella performance. Con la pandemia la nostra religione assoluta è divenuta la scienza, incuranti che la scienza non può essere esatta, onnipotente, definitiva. Ha risposte provvisorie, precarie, incomplete.
È assai tartufesco mandare i ragazzi a vaccinarsi con un siero che può creare problemi e far finta di accorgersene solo quando il problema accade.
Non è il siero che dobbiamo incolpare. Ogni medicina produce effetti collaterali. Ma noi aboliamo il rischio dal nostro orizzonte perché il potere pubblico della verità non si fida.
La verità produce conflitto.
Infatti il nostro tempo rifiuta il conflitto, siamo genitori che hanno l’ansia di appianare, ridurre, banalizzare il confronto. Abbiamo l’idea che la vita dei figli debba essere una estensione della nostra.
Si parla dei giovani solo quando c’è di mezzo l’apericena, la movida, le scazzottate notturne oppure, nei casi più gravi, la morte. La gioventù come elemento trainante della cronaca nera. Un po’ poco per la “next generation”.
Tacito diceva: hanno fatto un cimitero e l’hanno chiamato pace. Siamo così persuasi che ogni discussione debba essere silenziata, nella convinzione che meno conflitto c’è e più si cammina spediti, che stiamo cadendo in tante trappole che mistificano la realtà. Quante bugie ci siamo raccontati sull’era digitale nella quale galoppavano festose le nuove generazioni?
Lo smartphone è testimone fedele della vita dei nostri figli.
Un ragazzo maneggia meglio di me il computer, ma un ragazzo soffre più di me la società digitale, la virtualizzazione. Si è accorto che durante questi lunghi mesi di pandemia le strade – quando era concesso – erano riempite solo da giovani? Sono loro che hanno bisogno di vedersi, riconoscersi, capirsi, confrontarsi. Molti di noi adulti sono invece divenuti felici prigionieri dello smart working. La solitudine come astensione attiva dalla vita.
I giovani nascono già rassegnati, non si ribellano.
Ogni gesto di ribellione è appianato dalla nostra voglia di reprimerlo nell’accomodamento. Perché questi ragazzi devono essere pronti e idonei alla nostra idea di società performante. È un imbuto nel quale li caliamo, come se fossero frutta da spremere. Ma una società così votata all’agire meccanico, votata all’efficientismo, alla produttività fine a se stessa, è senza anima.
Il numero dei vaccinati e non più la loro età sono divenuti l’ossessione di queste giornate.
La terribile fine di Saman (la ragazza di origine pakistana che ha rifiutato il matrimonio organizzato e ora è scomparsa) è l’epilogo dell’idea dei suoi genitori che lei fosse solo una estensione della loro vita. L’omicidio è terribile e ancora più terribile è che sia concepito come l’amputazione di una parte di sé, di una loro gamba.
E la vicenda di Matteo, il ragazzo che si è ucciso in chat, prendendo parte al forum dei suicidi, illustrando la sua morte ai propri compagni?
Vede lo stupore, l’assoluta distanza che separa quel mondo dal nostro? La verità è che rifiutiamo di conoscerli, e dunque non li riconosciamo. Chi era Matteo? Lo sa il papà, lo sanno i suoi amici?
Lei era giovane al tempo della Grecia dei colonnelli. Ha conosciuto la forza e la vitalità della rivolta. Ma da un ventennio e più in Europa non c’è alito di ribellione.
Quella di Greta, della sua generazione, non è una ribellione? Diversamente dai nostri padri non sappiamo affrontare i ragazzi, fuggiamo dalla sfida, dalla durezza del confronto. Sopire, questo il verbo. Perché in fondo la nostra idea è portarli dove abbiamo deciso noi.