SE IL CRISTIANESIMO ABBIA UN FUTURO

02-08-2021 - Notizie

Christoph Theobald, Il popolo ebbe sete. Lettera sul futuro del cristianesimo, EDB, Bologna 2021 (originale Bayard, 2021), pp. 143, euro 13,00

 

Enrico Peyretti, pubblicato su “il foglio” n. 481, giugno-luglio 2021

 

Chi ha sete è la Chiesa di oggi, ma anche tutti. Il teologo Theobald scrive questa «lettera a chi non è indifferente all’avvenire della tradizione cristiana. Che siano in una chiesa oppure no, credenti oppure no, i destinatari sono quelli che, come il popolo biblico nel deserto, hanno sete».  Ne sintetizzo qui alcune conclusioni.

Oggi la crisi della Chiesa cattolica è triplice : 1) Il clericalismo, fino agli abusi. La Chiesa non ispira la vita quotidiana, patisce “esculturazione”, è espulsa dalla cultura della società.  2) Il messianismo ebraico-cristiano è esso stesso una tradizione di crisi (deserto, esilio, crocifissione). È crisi da spostamento dello spirituale verso la libertà dei soggetti: non più riproduzione familiare o sociale della fede, ma libertà del destinatario, spiritualità personalizzata.  3) L’unico atteggiamento possibile è accettare l’incertezza e farne luogo di fiducia, come hanno fatto Mosè, Elia, Gesù. Appoggiarsi alla visione messianica, osare di abbozzare con umiltà ciò che percepiamo del futuro. Anche il cristianesimo è messianismo, attesa del compimento della promessa incarnata.

Ma che cosa è la Chiesa? 1) È assemblea locale, di quel luogo. Le grandi divisioni (Roma, Oriente, Riforma) sono confessionali-istituzionali, ma la Chiesa reale è «due o tre riuniti nel suo nome». Oggi molti identificano la Chiesa col passato. La tradizione c’è soltanto se c’è chi la porta avanti. La Chiesa esiste in forma di pluralità di chiese. Si tratta di non identificarla nell’istituzione sociopolitica.  2) La Chiesa  è anche tradizione, istituzione, una risorsa che non è perpetua come tale (la manna, l’acqua nel deserto, solo per un giorno): non dura se non è evento, miracolo, grazia. Vive sospesa a Colui che la convoca. La crisi attuale della Chiesa è crisi felice perché ci riporta a ciò. Non  si regge da sola, la Chiesa. Cristo è nella storia, ma per scoprirlo bisogna che alcuni lo riconoscano. Non sono migliori degli altri, no, e si lasciano trasformare dal suo Spirito. La Chiesa non va ridotta a una istanza e risorsa etica, non è la società dei buoni, dei puri, ma di quelli che ricorrono alla sorgente dello Spirito per avere coraggio davanti alla morte, al dolore, agli errori e orrori. Vive i dolore del parto.   3) La Chiesa ha da  proseguire l’annuncio di Gesù: bontà incondizionata. Dio non è l’Essere Perfettissimo: Dio è vangelo, è notizia buona, resistenza al male del mondo, lui non è violenza. Gesù ha avuto questa coscienza, e l’ha trasmessa. La Chiesa si realizza (è anche istituzione), solo se è  assemblea del vangelo che essa annuncia. Il punto nevralgico della crisi è quando non riesce ad annunciare il vangelo in modo da raggiungere i cuori umani. Essi possono persino vedere nella Chiesa più zizzania che grano buono. Così accade quando dimentica l’arte di Gesù di farsi prossimi a chiunque nella loro vita. Nei cuori umani  operano forze di vita e di morte. Non deve dare un catechismo, ma vivere la fede nella loro cultura. La messa in tv, durante la pandemia, senza popolo, era pura plateale estraneità: la Chiesa non è lì. 

Il futuro della Chiesa in Europa dipende dalla capacità delle comunità di raggiungere i cuori con l’atto del pasto insieme, evangelico. La Chiesa non vive per sopravvivere, ma per essere ospitalità. L’ospitalità era sacra nelle civiltà antiche, ora è violata da frontiere armate, da diminuzione o negazione di diritti, da dure politiche di securizzazione. Sono grandi questioni etiche e spirituali nelle nostre società. La tradizione ebraico-cristiana-musulmana è una dimensione messianica (utopica, di orizzonte, di liberazione, oltre ogni sistemazione). L’ospitalità aperta di Gesù, e la mescolanza sociale della chiesa nascente, solo in seguito viene gerarchizzata. Le chiese siano oggi spazio ospitale per tutti, con creatività storica, nonostante la sacralizzazione. E le chiese chiedano ospitalità per offrire il vangelo di Dio. I cristiani stessi sono come migranti. Non devono cercare potere dove sono maggioritari. L’ospitalità offerta e richiesta è «differimento fondamentale dello “spirituale” verso la libertà dei soggetti», dice Theobald.

Chi fa esperienza di Dio, esperienza intima infinitamente ospitale e rispettosa della libertà personale, non la fa per sé, ma sente necessario comunicarla come vangelo.  Non si tratta di nuovi mezzi e tecniche, di “risorse”, ma  di attingere alla “sorgente”.

La crisi sistemica della chiesa è solo un sintomo grave della “esculturazione” del vangelo dalla vita quotidiana di tanti. Finisce un modello clericale, ma invece di lasciarsi paralizzare da questa fine, le comunità imparino a vedere l’entourage umano come «messe abbondante» (Mt 9,37; Lc 10,2), che richiede la loro presenza, con modestia. Allora, per la figura e struttura della Chiesa non conta la mancanza di preti, ma solo la fecondità del vangelo di Dio nelle nostre società. La vera questione futura è cambiare mentalità. «Quale sarebbe la “figura” di chiesa all’altezza delle attuali società, nell’epoca dell’”antropocene” e nella transizione che stiamo vivendo?», si chiede Theobald.  Vede due “spostamenti”: a) lo «spostamento del baricentro ecclesiale verso le chiese locali, liberandole gradualmente dall’uniformazione romana: quindi “la chiesa di chiese”»;   b) lo spostamento del “soggetto” ecclesiale dal sacerdote post-tridentino alle comunità ecclesiali, per quanto piccole e povere, col nome del luogo: esse sono “chiese” in quanto sono annuncio del vangelo nel loro ambiente, con battesimo e cena. C’è un problema di unità tra queste chiese, lo stesso problema che è sul piano ecumenico. Le differenze sono sempre meno confessionali e più legate ad appartenenze culturali, gruppi sociali, spiritualità e pratiche. C’è ben altro a cui pensare che alle differenze dottrinali-confessionali! Già si pratica qua e là la  comunione di pulpito e di altare.  La crisi è nel cattolicesimo la dipendenza dal sacerdote, nel protestantesimo la frammentazione per insistere sulla libertà. Non basta questo per assumere insieme una comune missione?

Il principio di unità della «nuova» figura di Chiesa dovrebbe essere l’uguaglianza fra tutti i cristiani e le cristiane, tutti «discepoli-missionari». Questa uguaglianza si esplicita in tre parametri biblici interconnessi: 1) il “senso della fede” comune, dato dallo Spirito a tutti i cristiani, guidati interiormente in una «comunione con Dio spesso inesprimibile»; 2) comunione che si esprime nei vari “carismi”; 3) il modo sinodale (= procedere insieme) nel deliberare per il bene comune, riconoscendo la varia ricchezza di «molteplici manifestazioni carnali della grazia (carismi) che sono l’unica ricchezza che Dio dona alla Chiesa». Per l’unità di questi doni nella comunità è necessaria la deliberazione sinodale. «Dove il potere del clero è accentrato, il “senso della fede” si riduce a un’obbedienza passiva e letterale, senza coinvolgere l’interiorità e la capacità creativa di ognuno». Ciò rende superfluo discernere i carismi e deliberare insieme. Invece, sentire che la missione è di tutti rivela i carismi che abbondano nella comunità.

La struttura battesimale ha, sì, bisogno del ministero apostolico, ma anche di nuovi ministeri. La Chiesa non si convoca e non si nutre da sé, non è democrazia autoconvocata, ma si lascia «istruire» per esercitare il ministero di Cristo Gesù. Però ora la Chiesa europea sbaglia a sentirsi paralizzata dalla mancanza di preti e non osa chiedersi: di quale ministero presbiterale e diaconale, maschile e femminile, o di quali altri ministeri ha bisogno per passare da comunità che si riproducono a fatica, a comunità decisamente missionarie?  Questa domanda è fuori luogo per chi pensa la chiesa di preti, ma è già in ritardo per chi, col senso della fede, pensa la struttura carismatica e sinodale della Chiesa. Siamo seri: non ci sono argomenti seri che impediscano l’ordinazione di donne e di uomini sposati. Ma forse bisogna pazientare fino a che la fecondità evangelica ci convinca, come successe a Pietro: «Chi può impedire che siano battezzati questi che hanno ricevuto come noi lo Spirito santo?» (Atti 10,47).

Coraggio e pazienza occorrono alla Chiesa, verso il futuro di Dio, ma anche svolte sostanziali, come quando si iniziò a battezzare i non circoncisi, e si aggiunsero nuovi scritti alla Bibbia ebraica, e si lasciarono proliferare ministeri carismatici, pur fissando un  ordine apostolico. Non impediamo allo Spirito santo di delineare una nuova figura di Chiesa che succederebbe a quella del secondo millennio, ormai esaurita! Occorre una figura più adeguata all’umanità attuale, e alla tradizione messianica.

Bisogna imparare a vivere nella storia, dove nessuna figura è perfetta, ogni cambiamento ha anche effetti perversi, come li ha ogni fissazione. La «crisi» e l’instabilità è la norma per chi cammina nel deserto verso la promessa, con modestia, e nel deserto trova la “sorgente” per la sete, ben più che “risorse” per sentirsi forte.

Theobald conclude la sua lettera intimamente convinto che il messianismo biblico e la forma comunitaria della Chiesa sono sempre più plausibili. È perfettamente legittimo che la tradizione spirituale che si riferisce a Cristo Gesù oggi si presti a rielaborazioni di ogni sorta. Si può appartenere alla Chiesa con il corpo e non con il cuore, e si può appartenere con il cuore senza esserlo con il corpo (dice S. Agostino). Lo Spirito di Dio non si ferma alle frontiere visibili della Chiesa. La differenza è tra ricorrere alle risorse delle tradizioni, oppure alla sorgente. Theobald si rivolge a chi ha lasciato la forma ecclesiale, ma non è indifferente alla tradizione cristiana, che sia non praticante, simpatizzante, o cristiano fervente, laico o vescovo o teologo. La Chiesa non potrà restare fedele alla sua nascita e alla sua missione se non acconsente ad “adattarsi” alla situazione storica attuale dell’umanità e della terra. 

 

                                                                             Enrico Peyretti, luglio 2021 2021