O Francesco o l’abisso

19-09-2021 - Notizie

O Francesco o l’abisso

 

Michele Meschi

 

Dalle consuete chiacchierate con il papa durante i suoi viaggi all’estero, emergono aspetti di un pontificato che, come argutamente argomenta da sempre Alberto Maggi, proprio perché aderente al messaggio del Vangelo finisce spesso con lo scontentare entrambe le anime del cattolicesimo, la progressista e la conservatrice, ufficialmente negate e nella realtà drammaticamente coesistenti.

Sorvolando sulla deliziosa ironia gesuitica in merito ai cardinali negazionisti COVID, mi soffermo su due temi importanti, uno di etica e uno, più propriamente, di morale.

Come accadde nell’ottobre del 2018, Bergoglio tocca il problema dell’aborto nuovamente usando l’infelice espressione di “sicari” in riferimento a coloro che opererebbero in questo delicato ambito.

Allora fui onorato di pubblicare su Adista News, grazie a Ludovica Eugenio, una brevissima riflessione, che fu poi tradotta in Spagna da “IViva- Pensamiento crìtico y cristianismo” e intitolata “Santidad, sobre el aborto, mi conciencia como católico me obliga a discrepar”.

Eccone, a grandi linee, il contenuto:

“Dunque, Santità. Prendo il discorso con le pinze, e mi intenda bene. La ritengo il miglior pontefice da Giovanni XXIII a questa parte, credo che lei abbia fatto e faccia molto per il cambiamento della Chiesa e per il superamento di posizioni incommentabili.

Le sue encicliche e le sue esortazioni apostoliche sono autentici capolavori spirituali. Non amo definirmi, ma dovrei essere cattolico per prassi e per cultura. Non vorrei esserlo per bandiera, mai. Per motivazioni umane, più che per adesione ad un credo, sono personalmente contrario all’aborto. Però sto parlando a titolo personale, davanti a una scelta che spero non mi tocchi mai. A una scelta davanti a cui, peraltro, non so come mi comporterei davvero. Perché ai problemi bisogna essere dentro.

Ritengo invece la possibilità di abortire con assistenza sanitaria, secondo criteri, tempi e regole precisi, un diritto inalienabile di tutti. Meglio: di tutte, non dimentichiamo questa sottile declinazione. Ritengo altresì fondamentale la prevenzione (nemmeno in questo caso il divieto tout court) dell’aborto richiesto per ragioni non cliniche, pertinenti alla madre o al concepito.

Fatte queste premesse, Santità, devo dirle che le parole usate da Lei, e mi riferisco a “terapeutico” e “sicario” messe in una stessa frase, non sono degne di un papa. Perché non sono degne di un uomo, e sono terribilmente gravi nei confronti dei medici, degli infermieri, degli ostetrici. E delle donne, ancora una volta. Non lo sono soprattutto di questi tempi, ché già li sento, i violenti coercitori che rialzano la testa, che verranno a dirmi che il magistero del papa si prende in toto o non si prende.

Il gesto da Lei compiuto in occasione del giubileo della misericordia, ovvero di sottrarre al giudizio dei vescovi un argomento così delicato, per lasciarlo all’incontro tra chi offre e chi riceve il mistero del dolore e del perdono, era in tutt’altra direzione. Se oggi molti cristiani sono fieri di essere diversi, rispetto alla confessione cattolica, e di non aver voglia di alcun passo avanti o indietro, hanno perfettamente ragione. E io sono con loro. Da cattolico: perché, grazie a Dio, il Concilio ci ricorda che sopra di Lei e del suo magistero c’è solo la voce della propria coscienza. Ed oggi la mia è altrove”.

L’altro argomento pare sia stata una presunta apertura sul riconoscimento e sulla regolamentazione amministrativa delle coppie omoaffettive, che da un lato - sulla scia di illustri predecessori, tra cui il mai abbastanza compianto cardinale Martini - vengono ora (finalmente) auspicati anche nell’osticissimo ambito della tremenda morale cattolica (leggi in delicate circostanze: la comunicazione dei dati sanitari, la tutela familiare, il momento del lutto), e dall’altro si scontra con la serena dichiarazione dell’unicità del matrimonio sacramentale eterosessuale.

La Chiesa gerarchica, sempre per usare un’espressione di Martini, viaggia con un ritardo mostruoso rispetto alla coscienza dei fedeli (non di minore importanza).

Oggi penso che Francesco sia un anziano signore con il lessico e la “forma mentis” di un ultraottantenne sudamericano, in aggiunta pure gesuita, e che dunque: a) non si debba mai transigere su un uso realmente inaccettabile di termini lessicali come quello sopra descritto; ma b) si debba indulgere sul contesto e sulla modalità espressiva di un colloquio pertinente ad un uomo, volenti o nolenti, di un altro secolo.

L’aborto resta un dilemma etico - ribadisco, si badi non morale - devastante, al quale non possiamo che dare risposte personali; per quanto riguarda la sfera sociale, dovremmo tutti quanti farci da parte e lasciar parlare solo il vissuto della donna nel singolo caso, ancora più calice prezioso e sacro quanto Dio e il concetto di vita stessa. Ricordandosi che, dovendo scegliere tra Dio e uomo, prendere le parti di Dio spesso fa del male all’uomo e difendere l’uomo è invece garanzia assoluta di operare secondo la volontà di Dio.

Che le coppie eterosessuali debbano essere equiparate alla famiglia tradizionale e che meritino anche più di una benedizione, per me significa sfondare una porta aperta, sia dal punto di vista civile che da quello religioso.

Sul significato del termine “sacramento”, probabilmente una via di uscita può trarsi dall’abbandonare una visione “magica” del concetto di “sacramento” stesso e dall’abbracciarne il significato magistralmente espresso dal saggio “Simboli di libertà: analisi teologica dei sacramenti” di José María Castillo , ove si riprende l’antico concetto di “simbolo”, con una visione tanto storica quanto rivoluzionaria.

Come concludere? Con le stesse parole del teologo, che attribuisce qualunque posizione di Bergoglio alla sua più profonda, forse banale e inusitata caratteristica: una smisurata e autentica bontà interiore ed umana. Che per un papa, scusatemi, non è poco.

Bergoglio a volte può apparire maldestro, spiazza in accelerazione e in decelerazione, “fa troppo” o “non fa abbastanza”.

Ma non dimentichiamoci che ci ha donato “Amoris Laetitia” e “Laudato si’”, che hanno scardinato decenni di ferocia anticonciliare.

Che ogni giorno parla di misericordia (che, si badi, non è pruriginoso paternalismo, ma vicinanza al cuore di chi soffre).

Che ricorda che l’essenza ultima della Divinità è il Perdono, e che è in questa essenza che convergono l’alpha e l’omega (rileggiamoci Teilhard de Chardin) dell’identificazione Dio-Uomo così unicamente - ma probabilmente non esclusivamente - coincisa con la vita di Yešu bar Yoseph, “simbolo” per eccellenza di Dio stesso (anche questa una idea gesuitica, di Roger Haight).

O Francesco o l’abisso, dunque.

Lunga vita a Francesco!