DISCORSO DEL SANTO PADRE - 6 dicembre - Atene

07-12-2021 - Notizie

INCONTRO CON I GIOVANI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Scuola San Dionigi delle Suore Orsoline a Maroussi, Atene
Lunedì, 6 dicembre 2021

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Cari fratelli e sorelle, kaliméra sas! [buongiorno!]

Vi ringrazio per essere venuti qua, tanti di voi da luoghi lontani: efcharistó! [grazie!] Sono contento di incontrarvi al culmine della mia visita in Grecia. E colgo l’occasione per rinnovare la mia gratitudine per l’accoglienza e tutto il lavoro svolto per organizzarla: efcharistó!

Mi hanno colpito le vostre belle testimonianze. Le avevo lette e riprendo ora con voi alcuni passaggi.

Katerina, ci hai parlato dei tuoi ricorrenti dubbi di fede. Vorrei dire a te e a tutti voi: non abbiate paura dei dubbi, perché non sono mancanze di fede. Non abbiate paura dei dubbi. Al contrario, i dubbi sono “vitamine della fede”: aiutano a irrobustirla, a renderla più forte, cioè più consapevole, la fanno crescere, la rendono più libera, più matura. La rendono più disposta a mettersi in cammino, ad andare avanti con umiltà, giorno dopo giorno. E la fede è proprio questo: un cammino quotidiano con Gesù che ci tiene per mano, ci accompagna, ci incoraggia e, quando cadiamo, ci rialza. Non si spaventa mai. È come una storia d’amore, dove si va avanti sempre insieme, giorno per giorno. E come in una storia d’amore arrivano momenti in cui bisogna interrogarsi, farsi domande. E fa bene, fa salire il livello della relazione! E questo è molto importante per voi, perché voi non potete andare sulla strada della fede ciechi, no, ma interloquire con Dio, con la propria coscienza e con gli altri.

Nell’esperienza di Katerina vorrei sottolineare un punto importante. A volte, davanti alle incomprensioni o alle difficoltà della vita, nei momenti di solitudine o di delusione, può bussare alla porta del cuore questo dubbio: “Forse sono io che non vado bene… forse sono sbagliato, sono sbagliata…”. Amici, è una tentazione da respingere! Il diavolo ci mette nel cuore questo dubbio per gettarci nella tristezza. Che cosa fare? Cosa fare quando un dubbio del genere diventa soffocante e non lascia in pace, quando si smarrisce la fiducia e non si sa più da dove cominciare? Bisogna ritrovare il punto di partenza. Qual è? Per capirlo, mettiamoci in ascolto della vostra grande cultura classica. Sapete quale fu il punto di partenza della filosofia, ma anche dell’arte, della cultura, della scienza? Sapete quale? Tutto cominciò da una scintilla, da una scoperta, resa da una parola magnifica: thaumàzein. È il meravigliarsi, lo stupore. Così è partita la filosofia: dalla meraviglia di fronte alle cose che sono, alla nostra esistenza, all’armonia del creato, al mistero della vita.

Ma lo stupore non è solo l’inizio della filosofia, è anche l’inizio della nostra fede. Il Vangelo parecchie volte ci dice che quando qualcuno incontra Gesù si stupisce, sente lo stupore. Nell’incontro con Dio sempre c’è lo stupore: è l’inizio del dialogo con Dio. E questo è così, perché il nostro aver fede non consiste prima di tutto in un insieme di cose da credere e di precetti da adempiere. Il cuore della fede non è un’idea, non è una morale, il cuore della fede è una realtà, una realtà bellissima che non dipende da noi e che lascia a bocca aperta: siamo figli amati di Dio! Questo è il cuore della fede: siamo figli amati di Dio! Figli amati: abbiamo un Padre che veglia su di noi senza smettere mai di amarci. Riflettiamoci: qualsiasi cosa tu pensi o faccia, fossero anche le peggiori, Dio continua ad amarti. Io vorrei che questo lo capiate bene: Dio non si stanca di amare. Qualcuno può dirmi: “Ma se io scivolo nelle cose più brutte, Dio mi ama?” Dio ti ama. “E se io sono un traditore, un peccatore tremendo, e finisco male, nella droga… Dio mi ama?” Dio ti ama. Dio ama sempre. Non può smettere di amare. Ama sempre e comunque. Guarda la tua vita e la vede molto buona (cfr Gen 1,31). Non si pente mai di noi. Se ci mettiamo davanti allo specchio magari non ci vediamo come vorremmo, perché rischiamo di concentrarci su quello che non ci piace. Ma se ci mettiamo davanti a Dio la prospettiva cambia. Non possiamo che stupirci di essere per Lui, nonostante tutte le nostre debolezze e i nostri peccati, figli amati da sempre e per sempre. Allora, anziché cominciare la giornata davanti allo specchio, perché non apri la finestra della camera e ti soffermi sul tutto, su tutto il bello che c’è, su tutto il bello che vedi? Esci da te stesso. Cari giovani, pensate: se ai nostri occhi è bello il creato, agli occhi di Dio ciascuno di voi è infinitamente più bello! Egli, dice la Scrittura, “ha fatto di noi delle meraviglie, delle meraviglie stupende” (cfr Sal 139,14). Noi, per Dio, siamo una meraviglia stupenda. Lasciati invadere da questo stupore. Lasciati amare da chi crede sempre in te, da chi ti ama più di quanto tu riesca ad amarti. Non è facile capire questa larghezza, questa profondità dell’amore, non è facile capirla, ma è così: basta lasciarsi guardare dallo sguardo di Dio.

E quando rimanete delusi per quello che avete fatto, c’è un altro stupore da non lasciarsi sfuggire: lo stupore del perdono. Su questo voglio essere chiaro: Dio perdona sempre. Siamo noi a stancarci di chiedere perdono, ma Lui perdona sempre. Lì, nel perdono, si ritrovano il volto del Padre e la pace del cuore. Lì Lui ci rimette a nuovo, riversa il suo amore in un abbraccio che ci rialza, che disintegra il male commesso e torna a far splendere la bellezza insopprimibile che è in noi, il nostro essere suoi figli prediletti. Non permettiamo che la pigrizia, il timore o la vergogna ci rubino il tesoro del perdono. Lasciamoci stupire dall’amore di Dio! Riscopriremo noi stessi; non quello che dicono di noi o che le pulsioni del momento suscitano in noi; non quello che gli slogan pubblicitari ci buttano addosso, ma la nostra verità più profonda, quella che vede Dio, quella in cui crede Lui: la bellezza irripetibile che siamo.

Ricordate le famose parole incise sul frontone del tempio di Delfi? γνῶθι σeαυτόν, «conosci te stesso». Oggi c’è il rischio di scordare chi siamo, ossessionati da mille apparenze, da messaggi martellanti che fanno dipendere la vita da come ci vestiamo, dalla macchina che guidiamo, da come gli altri ci guardano... Ma quell’invito antico, conosci te stesso, vale ancora oggi: riconosci che vali per quello che sei, non per quello che hai. Non vali per la marca del vestito o per le scarpe che porti, ma perché sei unico, sei unica. Penso a un’altra immagine antica, quella delle sirene. Come Ulisse nel percorso verso casa, anche voi nella vita, che è un viaggio avventuroso verso la Casa del Padre, troverete delle sirene. Nel mito attiravano i naviganti con il loro canto per farli sfracellare contro gli scogli. Nella realtà le sirene di oggi vogliono ammaliarvi con messaggi seducenti e insistenti, che puntano sui guadagni facili, sui falsi bisogni del consumismo, sul culto del benessere fisico, del divertimento a tutti i costi... Sono tanti fuochi d’artificio, che brillano per un attimo, e poi lasciano solo fumo nell’aria. Io vi capisco, non è facile resistere. Vi ricordate come ci riuscì Ulisse, insidiato dalle sirene? Si fece legare all’albero maestro della nave. Ma un altro personaggio, Orfeo, ci insegna una via migliore: intonò una melodia più bella di quella delle sirene e così le mise a tacere. Ecco perché è importante alimentare lo stupore, la bellezza della fede! Non siamo cristiani perché dobbiamo, ma perché è bello. E proprio per custodire questa bellezza diciamo no a ciò che vuole oscurarla. La gioia del Vangelo, lo stupore di Gesù fa passare le rinunce e le fatiche in secondo piano. Allora, d’accordo? Ricordate bene questo: essere cristiano fondamentalmente non è fare questo, fare quell’altro… fare cose. Si devono fare cose, ma fondamentalmente non è quello. Fondamentalmente essere cristiano è lasciare che Dio ti ami, e riconoscere che sei unico, che sei unica davanti all’amore di Dio.

Passiamo ad un altro capitolo. I volti degli altri. Ioanna, mi è piaciuto che, per parlarci della tua vita, hai parlato degli altri. Anzitutto delle due donne più importanti della tua vita, la mamma e la nonna che ti «hanno insegnato a pregare, a ringraziare Dio ogni giorno». Così hai assimilato la fede in modo naturale, genuino. E ci hai dato un suggerimento che ci fa bene: ricorrere al Signore per qualsiasi cosa, «parlargli, confessargli le preoccupazioni». Così Gesù è diventato per te familiare. Quanto è contento quando ci apriamo a Lui! Così si conosce Dio. Perché per conoscerlo non basta avere idee chiare su di Lui – questa è una parte piccola, non basta – bisogna andare da Lui con la vita. Forse è questo il motivo per cui tanti lo ignorano: perché sentono solo prediche e discorsi. Invece Gesù si trasmette attraverso volti e persone concrete. Provate a prendere in mano gli Atti degli Apostoli e vedrete quante persone, volti, incontri: così i nostri padri nella fede hanno conosciuto Gesù. Dio non ci dà in mano un catechismo, ma si fa presente attraverso le storie delle persone. Passa attraverso di noi. Dio non ci dà in mano un libro per imparare cose a memoria, no. Dio si fa capire con la vicinanza, accompagnandoci nella strada della vita. Conoscere Gesù è il nocciolo proprio della nostra fede.

Proprio a questo proposito, Ioanna, ci hai raccontato di una terza persona per te decisiva, una suora che ti ha mostrato la gioia «di vedere la vita come un servizio». Sottolineo questo: vedere la vita come un servizio. È vero, servire gli altri è la via per conquistare la gioia! Dedicarsi agli altri non è da perdenti, è da vincenti; è la via per fare qualcosa di veramente nuovo nella storia. Ho saputo che in greco “giovane” si dice “nuovo” e nuovo significa giovane. Il servizio è la novità di Gesù; il servizio, il dedicarsi agli altri è la novità che rende la vita sempre giovane. Vuoi fare qualcosa di nuovo nella vita? Vuoi ringiovanire? Non accontentarti di pubblicare qualche post o qualche tweet. Non accontentarti di incontri virtuali, cerca quelli reali, soprattutto con chi ha bisogno di te: non cercare la visibilità, ma gli invisibili. Questo è originale, rivoluzionario. Uscire da sé stesso per incontrare l’altro. Ma se tu vivi prigioniero in te stesso, mai incontrerai l’altro, mai saprai cosa è servire. Servire è il gesto più bello, più grande di una persona: servire gli altri. Tanti oggi sono molto social ma poco sociali: chiusi in sé stessi, prigionieri del cellulare che tengono in mano. Ma sullo schermo manca l’altro, mancano i suoi occhi, il suo respiro, le sue mani. Lo schermo facilmente diventa uno specchio, dove credi di stare di fronte al mondo, ma in realtà sei solo, in un mondo virtuale pieno di apparenze, di foto truccate per sembrare sempre belli e in forma. Che bello invece stare con gli altri, scoprire la novità dell’altro! Interloquire con l’altro, coltivare la mistica dell’insieme, la gioia di condividere, l’ardore di servire!

A questo riguardo, nell’incontro con i giovani in Slovacchia, lo scorso settembre, alcuni ragazzi mostravano uno striscione interessante. Aveva solo due parole: “Fratelli tutti”. Mi è piaciuto: spesso negli stadi, nelle manifestazioni, nelle strade si espongono striscioni per supportare la propria parte, le proprie idee, la propria squadra, i propri diritti. Ma lo striscione di quei giovani diceva una cosa nuova: che è bello sentirsi fratelli e sorelle di tutti, sentire che gli altri sono parte di noi, non gente da cui prendere le distanze. Sono contento di vedervi tutti insieme, uniti pur provenendo da Paesi e storie tanto diverse! Sognate la fraternità!

In greco c’è un detto illuminante: o fílos ine állos eaftós, “l’amico è un altro me”. Sì, l’altro è la via per ritrovare sé stessi. Non lo specchio, l’altro. Certo, costa fatica uscire dalle proprie comfort zone, è più facile stare seduti sul divano davanti alla tv. Ma è roba vecchia, non è da giovani. Ma guarda: un giovane sul divano, che cosa vecchia! Da giovani è reagire: quando ci si sente soli, aprirsi; quando viene la tentazione di chiudersi, cercare gli altri, allenarsi in questa “ginnastica dell’anima”. Qui sono nati i più grandi eventi sportivi, le Olimpiadi, la maratona... Oltre all’agonismo che fa bene al corpo c’è quello che fa bene all’anima: allenarsi all’apertura, percorrere lunghe distanze da sé stessi per accorciare quelle con gli altri; lanciare il cuore oltre gli ostacoli; sollevare gli uni i pesi degli altri… Allenarvi in questo vi farà felici, vi manterrà giovani e vi farà sentire l’avventura di vivere!

A proposito di avventura, Aboud, la tua testimonianza ci ha colpito: la fuga, insieme con i tuoi, dalla cara martoriata Siria, dopo aver rischiato più volte di essere uccisi dalla guerra. E poi, dopo tanti no e mille difficoltà, siete approdati in questo Paese nell’unico modo possibile, in barca, rimanendo «su una roccia senza acqua e senza cibo, aspettando l’alba e una nave della guardia costiera». Una vera e propria odissea dei nostri giorni. E mi è venuto in mente che, nell’Odissea di Omero, il primo eroe che appare non è Ulisse, ma un giovane: Telemaco, suo figlio, che vive una grande avventura.

Non aveva conosciuto il padre ed è angosciato, sfiduciato perché non sa dov’è e nemmeno se esiste. Si sente senza radici ed è davanti a un bivio: rimanere lì, in attesa, oppure fare una pazzia e lanciarsi alla ricerca. Ci sono varie voci, tra cui quella della divinità, che lo esorta ad avere coraggio e partire. E lui fa così: si alza, sistema di nascosto la nave e di fretta, al sorgere del sole, va all’avventura. Il senso della vita non è restare sulla spiaggia aspettando che il vento porti novità. La salvezza sta in mare aperto, sta nello slancio, nella ricerca, nell’inseguire i sogni, quelli veri, quelli ad occhi aperti, che comportano fatica, lotta, venti contrari, burrasche improvvise. Per favore, non lasciarsi paralizzare dalle paure, sognare in grande! E sognare insieme! Come per Telemaco, ci sarà chi cercherà di fermarvi. Ci sarà sempre chi vi dirà: “Lascia perdere, non rischiare, è inutile”. Questi sono gli azzeratori di sogni, i sicari della speranza, gli inguaribili nostalgici del passato.

Voi, invece, per favore, nutrite il coraggio della speranza, quello che hai avuto tu, Aboud. Come si fa? Attraverso le vostre scelte. Scegliere è una sfida. È affrontare la paura dell’ignoto, è uscire dalla palude dell’omologazione, è decidere di prendere in mano la vita. Per fare scelte giuste, potete ricordare una cosa: le buone decisioni riguardano sempre gli altri, non solo sé stessi. Ecco le scelte per cui vale la pena rischiare, i sogni da realizzare: quelli che richiedono coraggio e coinvolgono gli altri.

E, nel congedarmi da voi, vi auguro questo: il coraggio di andare avanti, il coraggio di rischiare, il coraggio di non rimanere sulla poltrona. Il coraggio di rischiare, di andare verso gli altri, mai isolati, sempre con gli altri. E con questo coraggio, ognuno di voi troverà sé stesso, troverà l’altro e troverà il senso della vita. Vi auguro questo, con l’aiuto di Dio, che vi ama tutti. Dio vi ama, abbiate coraggio, andate avanti! Brostà, óli masí! [Avanti, tutti insieme!]

 

 

 CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE
DURANTE IL VOLO DI RITORNO DALLA GRECIA

 Volo Papale
Lunedì, 6 dicembre 2021

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Matteo Bruni

Buongiorno Santità! Buongiorno e grazie per averci guidato in questi giorni intensi, anche a toccare con mano quelle che Lei chiamava delle “piaghe”. E grazie anche per questo spazio, per poterne parlare insieme. Grazie.

Papa Francesco

Buongiorno, e grazie! Avevo paura che non funzionasse questo per il ritardo, ma si vede che funziona. Grazie tante e ascolto le vostre domande.

Matteo Bruni

Grazie Santità. La prima domanda viene da Constandinos Tzindas della televisione cipriota.

Constandinos Tzindas della televisione cipriota (in ING)

Sua Santità, grazie per l’opportunità e per la sua visita a Cipro e in Grecia. Santità, le sue forti osservazioni sul dialogo interreligioso [ecumenico] sia a Cipro che in Grecia hanno suscitato a livello internazionale aspettative stimolanti. Dicono che chiedere scusa sia la cosa più difficile da fare. Lei lo ha fatto in modo spettacolare. Ma qual è in pratica quello che sta programmando il Vaticano per mettere insieme la cristianità cattolica e ortodossa? È in programma un Sinodo?

Essere sinodali è la sostanza della cristianità, che trae origine dalla Trinità e che risulta nella voce comune della Chiesa nel mondo. Come ora è provato, solo una Chiesa unita in un ambiente globalizzato e disumanizzato può davvero essere efficace. San Giovanni Crisostomo, come Lei ha detto, è un esempio dell’osmosi tra il pensiero greco e la cristianità; egli affermò che “in termini umani la Chiesa è clero e laici, mentre per Dio siamo tutti il suo gregge”.

Insieme con il Patriarca ecumenico Bartolomeo, Lei ha fatto appello a tutti i cristiani a celebrare nel 2025 i 17 secoli dal primo Sinodo ecumenico di Nicea. Quali sono i passi avanti in questo processo?

E in ultimo – mi scusi per questa lunga domanda, ma è nello spirito del suo viaggio – una visione è stata espressa recentemente nell’UE: abbiamo sostituito gli auguri di “buon Natale” con “buone vacanze”. Perché le persone non realizzano che la cristianità non è una ideologia ma un’esperienza di vita che mira a portare gli uomini da un tempo mortale all’eternità? Quindi io esisto perché il mio compagno può anch’egli esistere. È il noi e non l’io. Grazie moltissimo Santità.

Papa Francesco

Sì, grazie. Ho chiesto scusa, ho chiesto scusa davanti a Ieronymos, mio fratello Ieronymos. Ho chiesto scusa per tutte le divisioni che ci sono fra i cristiani, ma soprattutto per quelle che abbiamo provocato noi cattolici. Ho voluto anche chiedere scusa, guardando alla guerra d’indipendenza. Ieronymos mi aveva insegnato qualcosa: che una parte dei cattolici si è schierata con i governi europei perché non si facesse l’indipendenza greca; invece nelle isole, i cattolici delle isole, hanno sostenuto l’indipendenza, sono andati in guerra, alcuni hanno dato la vita per la patria. Ma il centro – diciamo così – in quel momento era schierato sull’Europa… E anche il chiedere scusa per lo scandalo della divisione, almeno per quello di cui noi abbiamo la colpa. Lo spirito di autosufficienza. Ci si chiude la bocca quando sentiamo che dobbiamo chiedere scusa, ma a me sempre fa bene pensare che Dio mai si stanca di perdonare, mai. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono, e quando non chiediamo perdono a Dio, difficilmente lo chiederemo ai fratelli. È più difficile chiedere perdono a un fratello che a Dio, perché noi sappiamo che Lui dice: “Sì, vai, vai, sei perdonato”. Invece, con i fratelli, c’è la vergogna e l’umiliazione… Ma nel mondo di oggi ci vuole l’atteggiamento dell’umiliazione e del chiedere scusa. Tante cose stanno succedendo nel mondo, tante vite disperse, tante guerre… Come non chiederemo scusa?

Tornando a questo, ho voluto chiedere scusa per le divisioni, almeno per quelle che noi abbiamo provocato. Per le altre, sono i responsabili che devono farlo, ma per le nostre chiedo scusa. E anche per quell’episodio della guerra, dove parte dei cattolici si era schierata con il governo europeo, e quelli delle isole sono andati in guerra per difendere… Non so se è sufficiente…

E anche un’ultima scusa – questa mi è venuta dal cuore –:per lo scandalo del dramma dei migranti, per lo scandalo di tante vite annegate nel mare.

Matteo Bruni

La seconda domanda era sull’aspetto sinodale. Lui scrive: “La Chiesa è sintesi, in termini umani la Chiesa è clero e laici mentre per Dio siamo un unico gregge”.

Papa Francesco

Sì, siamo un unico gregge, è vero. E questa divisione – clero e laici – è una divisione funzionale, sì, di qualifica, ma c’è una unità, un unico gregge. E la dinamica tra le differenze dentro la Chiesa è la sinodalità: cioè ascoltarsi l’uno con l’altro, e andare insieme. Syn odòs: fare strada insieme. Questo è il senso della sinodalità. Le vostre Chiese ortodosse, anche le Chiese cattoliche orientali, hanno conservato questo. Invece la Chiesa latina si era dimenticata del Sinodo, ed è stato San Paolo VI a re-instaurare il cammino sinodale, 54, 56 anni fa. E stiamo facendo un cammino per avere l’abitudine della sinodalità, del camminare insieme.

Matteo Bruni

L’ultima domanda invece era sul Natale, in cui dice: “Possibile che non si capisca che il cristianesimo non è una ideologia, ma un’esperienza di vita?” Vogliono cancellare…

Papa Francesco

Ah, Lei si riferisce al documento dell’Unione Europea sul Natale… È un anacronismo questo. Nella storia, tanti, tante dittature, hanno cercato di farlo. Pensa a Napoleone. Pensa alla dittatura nazista, a quella comunista… È una moda di una laicità annacquata, acqua distillata… Ma questa è una cosa che non ha funzionato durante la storia. Questo mi fa pensare a una cosa, parlando dell’Unione Europea, che credo sia necessaria: l’Unione Europea deve prendere in mano gli ideali dei Padri fondatori, che erano ideali di unità, di grandezza, e stare attenta a non fare spazio alle colonizzazioni ideologiche. Questo potrebbe arrivare a dividere i Paesi e a far fallire l’Unione Europea. L’Unione Europea deve rispettare ogni Paese come è strutturato dentro. La varietà dei Paesi, e non volere uniformare. Io credo che non lo farà, non era sua intenzione, ma stare attenta, perché a volte vengono e buttano lì progetti come questo e non sanno cosa fare… No, ogni Paese ha la propria peculiarità, ma ogni Paese è aperto agli altri. Unione Europea: sovranità sua, sovranità dei fratelli in una unità che rispetta la singolarità di ogni Paese. E stare attenti a non essere veicoli di colonizzazioni ideologiche. Per questo, quell’intervento sul Natale è un anacronismo.

Matteo Bruni

Grazie Santità. La seconda - o la terza domanda, viste queste - viene da Iliana Magra, di Kathīmerinī: è un quotidiano greco.

Iliana Magra, di Kathīmerinī in ING

Buongiorno, Santo Padre, grazie per la sua visita in Grecia. Durante il suo discorso al Palazzo presidenziale ad Atene, Lei ha parlato di “arretramento” della democrazia nel mondo, e in particolare in Europa…

Matteo Bruni

[traduce al Papa…] Ha parlato di democrazia che arretra, una democrazia che sta cedendo spazio, che sta cedendo…

Iliana Magra

Può dirci qualcosa su questo, e può dirci a quali Paesi si stava riferendo? E cosa direbbe ai leader e agli elettori di estrema destra in Europa, che professano di essere cristiani devoti, ma al tempo stesso promuovono valori e politiche non democratiche?

Papa Francesco

Sì, la democrazia è un tesoro, un tesoro di civiltà, e va custodito, va custodito, e non solo custodito da una entità superiore, ma custodito tra i Paesi stessi: custodire la democrazia altrui. Contro la democrazia io oggi forse vedo due pericoli. Uno è quello dei populismi, che sono qui, di là, di là, e incominciano a far vedere le unghie. E io penso a un grande populismo del secolo scorso: il nazismo. Il nazismo è stato un populismo che, difendendo i valori nazionali – così diceva – è riuscito ad annientare la vita democratica, anzi, con la morte della gente, ad annientare, a diventare una dittatura cruenta. Oggi dirò – perché tu hai domandato sui governi di destra – di stare attenti che i governi – non dico i governi di destra e sinistra, ma un’altra cosa –: che i governi non scivolino su questa strada dei populismi, dei cosiddetti politicamente “populismi”. Che non hanno niente a che vedere con i popolarismi, che sono l’espressione dei popoli, libera: il popolo che si fa vedere con la propria identità, con il suo folclore, i suoi valori, la sua arte, e si mantiene. Il populismo è una cosa, il popolarismo un’altra. Da un’altra parte la democrazia si indebolisce, entra in una strada di lento declino, quando si sacrificano i valori nazionali, si annacquano andando verso – diciamo una parola brutta, non vorrei dire questa ma non trovo un’altra – verso un “impero”, una specie di governo sopranazionale. E questa è una cosa che ci deve far pensare. Né cadere nei populismi, dove ci si appella al popolo, ma non è il popolo, è la dittatura proprio di noi e noi altri – pensa al nazismo –; né cadere in un annacquare le proprie identità in un governo internazionale. Su questo c’è un romanzo scritto nel 1903. Tu dirai che è antiquato questo Papa in letteratura… Scritto da Benson, uno scrittore inglese. Questo signor Benson scrisse un romanzo che si chiama: “The Lord of the Earth” o “The Lord of the World” – ha i due titoli –, che sogna il futuro in un governo internazionale dove, con le misure economiche, le misure politiche, governa tutti gli altri Paesi. E quando si dà questo governo, questo tipo di governi – lui spiega – si perde la libertà e si cerca di fare una uguaglianza tra tutti. Ma questo succede quando c’è una superpotenza che detta i comportamenti culturali, economici e sociali agli altri Paesi. Indebolimento della democrazia, sì, per il pericolo dei populismi – che non sono il popolarismo, questo è bello –, e il pericolo di questi riferimenti a potenze internazionali: riferimenti economici, culturali, quello che sia. Non so, è quello che mi viene in mente, io non sono uno scienziato della politica, parlo per quello che mi sembra.

Matteo Bruni

Grazie, Santità. La terza domanda ci viene da Manuel Schwartz della Dpa (Deutsche Presse-Agentur), l’agenzia di stampa tedesca:

Manuel Schwartz, Deutsche Presse-Agentur

Santo Padre, grazie prima di tutto per averci fatto andare con Lei in questo viaggio importante. La migrazione è un tema centrale non solo nel Mediterraneo, ma anche in altre parti d’Europa, soprattutto nell’Europa dell’Est, in questi giorni, con tanti fili spinati, come Lei li ha chiamati, e anche con la crisi bielorussa. Cosa si aspetta dai Paesi di questa zona, per esempio dalla Polonia e anche dalla Russia, e poi cosa si aspetta da altri Paesi importanti in Europa, per esempio la Germania, dove adesso ci sarà un nuovo governo dopo l’era di Angela Merkel?

Papa Francesco

Su quelle persone che impediscono le migrazioni o che chiudono le frontiere – ora è di moda, fare i muri, fare i fili spinati, anche il filo con le concertinas (il filo spinato messo a spirale), gli spagnoli sanno cosa significa questo: è usuale fare queste cose per impedire l’accesso – la prima cosa che direi, se avessi un governante davanti: “ma pensa al tempo in cui tu sei stato migrante e non ti lasciavano entrare, quando tu volevi scappare dalla tua terra, e adesso sei tu a costruire dei muri”. Questo fa bene, perché chi costruisce muri perde il senso della storia, della propria storia, di quando era schiavo di un altro Paese. Non tutti hanno questa esperienza, ma almeno una gran parte di coloro che costruiscono muri hanno questa esperienza: di essere stati schiavi. Lei potrà dirmi: “Ma i governi hanno il dovere di governare e se viene un’ondata così di migranti, non si può governare!”. Io dirò questo: ogni governo deve dire chiaramente: “Io posso ricevere tanti”, perché i governanti sanno quanto sono capaci di ricevere: è il loro diritto, questo è vero. Ma i migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati. Se un governo non può fare questo, deve entrare in dialogo con gli altri e che si prendano cura gli altri, ognuno. E per questo è importante l’Unione Europea, perché l’Unione Europea è capace di fare l’armonia tra tutti i governi per la distribuzione dei migranti. Però, tu pensa a Cipro, pensa alla Grecia, pensa a Lampedusa, pensa alla Sicilia: vengono i migranti e non c’è un’armonia tra tutti i Paesi dell’Unione Europea per mandare questi qui, questi là, questi là… Manca questa armonia generale.

E poi, l’ultima parola che ho detto è integrati, no? Vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati. Integrati, perché? Perché se non integri il migrante, questo migrante avrà una cittadinanza di ghetto. L’esempio – non so se l’ho detto sull’aereo, una volta – l’esempio che mi colpisce di più è la tragedia di Zaventem: i ragazzi che hanno fatto la strage all’aeroporto erano belgi, ma figli di migranti ghettizzati, non integrati. Se tu un migrante non lo integri – con l’educazione, con il lavoro, con la cura del migrante – tu rischi di avere un guerrigliero, uno che ti fa queste cose. Non è facile accogliere i migranti, non è facile risolvere il problema dei migranti; ma se noi non risolviamo il problema dei migranti, rischiamo di far naufragare la civiltà. Oggi, in Europa, per come stanno le cose. Non solo sono naufragati i migranti nel Mediterraneo, ma la civiltà nostra. Per questo bisogna che i rappresentanti dei governi europei si mettano d’accordo. Per me, un modello – a suo tempo – di integrazione, di accoglienza e integrazione, è stata la Svezia, che ha accolto tutti i migranti latinoamericani delle dittature militari – cileni, argentini, uruguayani, brasiliani –, li ha accolti e li ha integrati. E oggi sono stato in una scuola, ad Atene, e io guardavo e dicevo al traduttore: “Ma guardi, qui c’è – ho usato una parola familiare – c’è una “macedonia” di culture, sono tutti mischiati!”. E lui mi ha risposto: “Questo è il futuro della Grecia”. L’integrazione. Crescere nell’integrazione. È importante.

E poi un altro dramma, vorrei sottolinearlo: quando i migranti, prima di venire, cadono nelle mani dei trafficanti che tolgono loro tutti i soldi che hanno e li portano sul barcone. Quando sono rimandati [respinti], li prendono questi trafficanti. Nel Dicastero per i migranti [Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale – Sezione migranti e rifugiati] ci sono dei filmati di cosa succede in quei posti dove vanno i migranti che sono di ritorno. Così come non si può accoglierli e abbandonarli, perché dobbiamo accompagnarli, promuoverli e integrarli, così se io mando indietro un migrante devo accompagnarlo, promuoverlo e integrarlo nel suo Paese, non lasciarlo sulla costa libica. Questa è una crudeltà. Se volete di più su questo, chiedete al Dicastero delle migrazioni che ha questi filmati. E c’è anche un filmato – voi lo conoscete di sicuro – sulle “Open Arms”, che è un po’ romantico ma fa vedere la realtà di quelli che annegano. È una cosa che fa dolore, questo. Ma rischiamo la civiltà, rischiamo la civiltà!

Matteo Bruni

Grazie, Santità. E ora una domanda dei giornalisti di lingua francese: c’è la dottoressa Cécile Chambraud di Le Monde che farà la prossima domanda.

Cécile Chambraud di Le Monde (in spagnolo)

Santo Padre, faccio la domanda in spagnolo per i colleghi. Giovedì, quando siamo arrivati a Nicosia, abbiamo saputo che Lei aveva accolto la rinuncia dell’arcivescovo di Parigi, mons. Aupetit. Ci spiega perché, e perché con tanta fretta? La seconda domanda: attraverso il lavoro di una commissione indipendente sugli abusi sessuali, la Conferenza episcopale di Francia ha riconosciuto che la Chiesa ha una responsabilità istituzionale riguardo alle sofferenze di migliaia di vittime. Si parla anche di una dimensione sistemica di questa violenza. Che cosa pensa Lei di questa dichiarazione dei vescovi francesi? Che significato può avere per la Chiesa universale? E, ultima domanda: Lei riceverà i membri di questa commissione indipendente?

Papa Francesco

Comincio dalla seconda, poi torniamo alla prima. Quando si fanno questi studi, dobbiamo essere attenti nelle interpretazioni, che si facciano per settori di tempo. Quando si fa su un tempo così lungo, c’è il rischio di confondere il modo di sentire il problema di un’epoca, 70 anni prima dell’altra. Vorrei soltanto dire questo, come principio. Una situazione storica va interpretata con l’ermeneutica dell’epoca, non con la nostra. Per esempio, la schiavitù: noi diciamo “è una brutalità”. Gli abusi di 100 anni fa o di 70 anni fa, diciamo “è una brutalità”. Ma il modo come lo vivevano loro non è lo stesso di oggi: c’era un’altra ermeneutica. Per esempio, nel caso degli abusi nella Chiesa, il coprire, che è il modo che si usa – purtroppo – nelle famiglie, anche oggi, nella grande quantità delle famiglie, nei quartieri, cercare di coprire, noi diciamo “no, non va questo, dobbiamo scoprire”. Ma sempre interpretare un’epoca con l’ermeneutica dell’epoca e non con la nostra. Questa è la prima cosa. Per esempio, lo studio di Indianapolis, famoso: quello è caduto per mancanza di una retta interpretazione. Erano cose vere, alcune, altre no; si mischiavano le epoche. A questo punto, settorializzare aiuta.

Sull’informe [il rapporto]: non l’ho letto, ho ascoltato i commenti dei Vescovi francesi. No, non so come rispondere, davvero. Verranno, adesso, i Vescovi francesi, in questo mese, e io domanderò loro che mi spieghino la cosa.

E la prima domanda, sul caso Aupetit. Io mi domando: ma cosa ha fatto, Aupetit, di così grave da dover dare le dimissioni? Cosa ha fatto? Qualcuno mi risponda…

Cécile Chambraud

Non lo so. Non lo so.

Papa Francesco

Se non conosciamo l’accusa, non possiamo condannare. Qual è stata l’accusa? Chi lo sa? [nessuno risponde] E’ brutto!

Cécile Chambraud

Un problema di governo [della diocesi] o qualcos’altro, non lo sappiamo.

Papa Francesco

Prima di rispondere io dirò: fate l’indagine. Fate l’indagine. Perché c’è pericolo di dire: “E’ stato condannato”. Ma chi lo ha condannato? “L’opinione pubblica, il chiacchiericcio…”. Ma cosa ha fatto? “Non sappiamo. Qualcosa…”. Se voi sapete perché, ditelo. Al contrario, non posso rispondere. E voi non saprete perché, perché è stata una mancanza di lui, una mancanza contro il sesto comandamento, ma non totale ma di piccole carezze e massaggi che lui faceva: così sta l’accusa. Questo è peccato, ma non è dei peccati più gravi, perché i peccati della carne non sono i più gravi. I peccati più gravi sono quelli che hanno più “angelicità”: la superbia, l’odio… questi sono più gravi. Così, Aupetit è peccatore come lo sono io. Non so se Lei si sente così, ma forse… come è stato Pietro, il vescovo sul quale Cristo ha fondato la Chiesa. Come mai la comunità di quel tempo aveva accettato un vescovo peccatore? E quello era con peccati con tanta “angelicità”, come era rinnegare Cristo, no? Ma era una Chiesa normale, era abituata a sentirsi peccatrice sempre, tutti: era una Chiesa umile. Si vede che la nostra Chiesa non è abituata ad avere un vescovo peccatore, e facciamo finta di dire “è un santo, il mio vescovo”. No, questo è Cappuccetto Rosso. Tutti siamo peccatori. Ma quando il chiacchiericcio cresce e cresce e cresce e ti toglie la buona fama di una persona, quell’uomo non potrà governare, perché ha perso la fama, non per il suo peccato – che è peccato, come quello di Pietro, come il mio, come il tuo: è peccato! –, ma per il chiacchiericcio delle persone responsabili di raccontare le cose. Un uomo al quale hanno tolto la fama così, pubblicamente, non può governare. E questa è un’ingiustizia. Per questo, io ho accettato le dimissioni di Aupetit non sull’altare della verità, ma sull’altare dell’ipocrisia. Questo voglio dire. Grazie.

Matteo Bruni

Grazie, Santità. Forse abbiamo ancora qualche minuto per un’ultima domanda? Da parte di Vera Shcherbakova, della Tass.

Papa Francesco

Ah! Brava! La “successora” di Alexei Bulgakov … era bravo …

Vera Shcherbakova

Sì, e mi manca molto; mi manca molto, lo dico sempre. Grazie mille, Santo Padre, per il Suo atteggiamento verso il nostro Bulgakov che è un patrimonio della Russia e della nostra agenzia. Ma io volevo chiedere la cosa seguente: Lei, in questo viaggio, ha visto i capi delle Chiese ortodosse, ha detto parole bellissime sulla comunione e riunificazione. Allora, quando sarà il Suo prossimo incontro con il Patriarca Kirill? Quali sono i progetti comuni con la Chiesa russa? E quali difficoltà, magari, Lei riscontra in questo cammino di avvicinamento? Grazie.

Papa Francesco

Grazie. È una bella domanda!

È in un orizzonte non lontano l’incontro con il Patriarca Kirill. Credo che la prossima settimana venga da me Hilarion per concordare un possibile incontro, perché il Patriarca deve viaggiare – non so dove va… va in Finlandia, ma non sono sicuro. Io sono disposto sempre, sono anche disposto ad andare a Mosca: per dialogare con un fratello non ci sono protocolli. Fratello è fratello, prima di tutti i protocolli. E io con il fratello ortodosso – che si chiami Kirill, che si chiami Chrysostomos, che si chiami Ieronymos, è un fratello – siamo fratelli e ci diciamo le cose in faccia. Non balliamo il minuetto, no, ci diciamo le cose in faccia. Ma come fratelli. È bello vedere litigare i fratelli: è bellissimo, perché appartengono alla stessa Madre, la Madre Chiesa, ma sono un po’ divisi, alcuni per l’eredità, l’altro per la storia che li ha divisi… Ma noi dobbiamo andare insieme e cercare di lavorare e camminare in unità e per l’unità. Io sono riconoscente a Ieronymos, a Chrysostomos, a tutti i Patriarchi che hanno questa voglia di camminare insieme. L’unità… Il grande teologo ortodosso Zizioulas sta studiando l’escatologia, e scherzando una volta dissi che l’unità la troveremo nell’eschaton, lì sarà l’unità. Ma è un modo di dire. Questo non vuol dire che dobbiamo stare fermi aspettando che i teologi si mettano d’accordo, no. Questa è una frase, un modo di dire, è quello che dicono abbia detto Athenagoras a Paolo VI: “Mettiamo tutti i teologi su un’isola e noi andiamo insieme da un’altra parte”. È uno scherzo. Ma i teologi, che continuino a studiare, perché questo ci fa bene e ci porta a capire bene e a trovare l’unità. Ma nel frattempo, noi andiamo avanti insieme. “Ma come?” Sì, pregando insieme, facendo la carità insieme. Per esempio, penso alla Svezia, che ha la Caritas luterano-cattolica, insieme. Lavorare insieme, no? Lavorare insieme e pregare insieme: questo possiamo farlo noi. Il resto, che lo facciano i teologi, che noi non capiamo come si fa. Ma fare questo: l’unità incomincia oggi, per questa strada.

Matteo Bruni

Grazie, Santità. Grazie per il tempo che ha voluto dedicare anche alle nostre domande. Credo che più o meno ci siamo anche con i tempi del pranzo.

Papa Francesco

Grazie tante, e buon pranzo!

Matteo Bruni

Qualche giornalista voleva darLe una copia dell’Acropoli di Atene, del Partenone, perché sono rimasti dispiaciuti che non sia riuscito a toccarla con mano.

Papa Francesco

Sì, c’era il pericolo che me ne andassi senza vederlo [il Partenone] e ieri sera ho detto: “No, io voglio vederlo!”. Mi hanno portato lì, l’ho visto da lontano, illuminato: almeno l’ho visto. Non l’ho toccato, ma ho detto: “grazie per questa cortesia”.