Una Pasqua nelle tenebre

19-04-2022 - Notizie

Enzo Bianchi per La Stampa

Una Pasqua nelle tenebre

            Questa Pasqua è una festa celebrata e soprattutto vissuta da molti nelle tenebre. Tenebre della guerra tra Russia e Ucraina, tenebre di una barbarie che non pensavamo più possibile in Europa, tenebre di una follia che come virus è diventata violenza e intolleranza anche tra di noi, nella nostra terra, nutrendo i nostri animi di rancore e di odio. Non guardiamo più ai morti, uccisi dalla cieca violenza che non distingue chi combatte dalla popolazione civile inerme, chi è andato in guerra da chi non sa neppure perché la guerra sia scoppiata. Ma guardiamo ai “valori” e così giustifichiamo i morti appellandoci alla difesa della nostra “civiltà”, e alla superiorità degli assetti ideologici della nostra società. È veramente l’ora delle tenebre, l’ora dei potenti di questo mondo, quando il grido della povera gente, della gente comune, resta inascoltato e la loro disperazione non viene riconosciuta, non diventa neppure oggetto di compassione.

            Come cristiano mi domando, ma con me tanti altri, com’è possibile celebrare la Pasqua cantando che la vita ha vinto la morte, che Gesù Cristo risorto da morte dona la pace. Mi domando anche come possono le chiese pretendere di essere ascoltate, di essere credibili, quando fanno questo annuncio dopo settimane nelle quali ciascuna ha schierato Dio dalla propria parte contro il Nemico che era anche l’altra chiesa, potere politico e potere religioso indissolubilmente legati. Mi domando come sia possibile celebrare gli stessi riti praticamente negli stessi giorni scagliando maledizioni e benedicendo armi che portano distruzione e morte. Perfino la condivisione di un gesto simbolico come il portare la croce insieme ucraini e russi è stato giudicato incomprensibile e offensivo. Ancora una volta si è mostrato, come era accaduto realmente nella passione di Gesù, che nessuno dei suoi seguaci ha portato la croce, ma l’ha portata un ignaro e povero contadino, Simone di Cirene: se neanche pregare insieme e percorrere insieme la via della croce è possibile, ma anzi appare una necessità odiare il nemico, allora il Vangelo è veramente rinnegato e contraddetto. Non ci si può proclamare cristiani e al tempo stesso misconoscere palesemente il Vangelo, eppure i cristiani ci riescono!

            Non sono di quelli che nella loro superficialità vorrebbero cavarsela con l’ipocrita domanda: “Dov’è Dio?”, perché essendo un uomo, nient’altro che un uomo, la domanda che mi compete è: “Dov’è l’uomo? Dov’è l’umanità?”. Ma questi sono giorni di barbarie! Dio non sta con noi quando facciamo la guerra, non ci dà la pace se noi non la edifichiamo e la scegliamo, perché la pace è nelle nostre mani.

            Ormai siamo giunti al punto di incolpare Dio per la guerra pur di non assumerci le nostre responsabilità, e poi incolpare un Dio che non è visibile, che conosciamo in enigmate, e che se parla lo fa con voce di silenzio trattenuto! Le chiese stesse per contribuire alla pace dovrebbero smettere di confidare in appoggi e protezioni del potere politico, smettere di pensarsi destinatarie di una missione universale che si nutre di proselitismo, smettere di parlare di una loro collocazione in una patria. Perché per i discepoli di Gesù non ci sono patrie, e tutte le terre sono straniere. Altrimenti prima o poi la miscela tra religione e nazionalismo si accenderà ed esploderà, come da secoli vediamo verificarsi soprattutto nelle terre non secolarizzate.

            Certamente in questi giorni pasquali si prega per la pace con lunghe litanie, ma Dio non esaudisce le nostre pretese e dalle nostre preghiere attende il cambiamento del cuore e dei comportamenti personali e sociali. Il vero cristiano sa che prega per cambiare se stesso ottenendo il dono dello Spirito di Dio, e non per cambiare Dio!

            D’altronde ciò che noi ricordiamo in questi giorni della passione, morte, sepoltura e resurrezione di Gesù di Nazareth è una serie di eventi avvenuti nella tenebra del male.

            Gesù di Nazareth, un uomo di circa trent’anni, un rabbi ritenuto anche un profeta e un messia, cioè inviato da Dio, per alcuni anni aveva percorso la Palestina predicando che Dio poteva regnare se gli uomini si fossero convertiti, e curando e guarendo molti malati. Aveva anche rinnegato molte immagini di Dio ricevute dalla tradizione religiosa, immagini di un Dio perverso, plasmate dagli uomini religiosi, e aveva rivelato un volto di Dio misericordioso, vicino ai poveri e agli anonimi, agli scarti e ai peccatori. Tutto questo non era sopportabile per gli uomini religiosi e per le autorità sacerdotali, e così, con la complicità di uno dei discepoli, Gesù fu catturato, condannato in un processo illegittimo dal sinedrio, e poi consegnato ai romani come nocivo all’impero.

            Il 7 aprile dell’anno 30 fu crocifisso insieme a due delinquenti, abbandonato da tutti i suoi discepoli: non uno di loro era accanto a lui sotto la croce! Solo alcune donne, discepole che non contavano nulla per nessuno. Dopo un’agonia in croce morì con un grido: “Dio mio, Dio mio, a che scopo mi hai abbandonato?”, mantenendo la relazione con Dio nella fede ma dicendogli la sua tenebra… Non fece una bella morte, ma la morte del maledetto secondo le Scritture: nudo, appeso al legno, indegno per la terra e per il cielo!

            Questa è la tenebra, e quella sera fu l’epifania di un fallimento: del Profeta, della comunità, della grande speranza messianica delle folle di Galilea e di Giudea. E significativamente i discepoli confessarono delusi: “Noi speravamo che fosse lui a portarci la liberazione…”.

            Ci sarà solo una tomba vuota! Sì, la tomba dove Gesù fu seppellito, il terzo giorno risulta vuota! Forse i discepoli sono venuti a prendere il corpo? Forse i nemici di Gesù hanno trafugato la salma? Forse Gesù non era morto ed è fuggito? Domande angosciose, domande. Ma per alcuni, anzi per le donne discepole di Gesù, la tomba era vuota perché Gesù era stato richiamato in vita da Dio!

            Quindi per queste donne, e subito dopo per Pietro e i discepoli, la morte è stata vinta, l’amore con cui Gesù ha vissuto ha vinto la morte. Nel duello éros-thánatos l’amore vince e la morte non può avere l’ultima parola.

            Così è nata la fede cristiana, quella che celebra ancora oggi la Pasqua.

            Una luce, un fuoco nella notte: Gesù non è risorto per la difesa dei valori, è risorto perché è stato vittima innocente, il giusto, tra le vittime della storia, è risorto perché l’amore che ha vissuto all’estremo per gli umani che aveva incontrato non poteva andare perduto.

            Credenti in Cristo e non credenti possono credere all’amore! Questo basta per vivere la Pasqua e sperare ancora.