31 agosto 2022 dieci anni son passati e Martini è più vivo che mai!

29-08-2022 - Notizie

Eredità Il 31 agosto di dieci anni fa morì l’arcivescovo di Milano. La sua figura in un volume che esce da Vita e Pensiero

Martini, l’unità con Wojtyla

Tra il cardinale e il Papa ci furono posizioni differenti ma mai contrapposizione

di Andrea Riccardi (dal Corriere della Sera del 20 agosto 2022)

Martini è stato una grande figura nella Chiesa wojtyliana. Un paradosso: il rapporto tra lui e il Papa, che lo scelse in maniera personalissima. Martini a Milano e Lustiger a Parigi sono due nomine molto personali del Papa, anche se don Stanislao testimoniava: «Quella di Martini ancora di più!». Paradossalmente, Martini, scelto dal Papa, diventa per molti l'antiWojtyla. Eppure, in lui, niente fa pensare alla contrapposizione. Continuamente l'arcivescovo ritorna sul pensiero del Papa, prova a interpretarlo e ad applicarlo a Milano.
Devo notare la sua estrema riservatezza e obbediente attitudine verso il Papa. Anche se, talvolta, esprimeva differenza di posizioni, lo faceva delicatamente e riservatamente. Mai esternava ín pubblico niente che facesse dubitare del suo idem sentire con Giovanni Paolo II. Uno stile molto diverso da quello in voga oggi anche in alcuni prelati. L'unità con il Papa valeva più delle sue idee. Non voleva lacerare la comunione, ma accrescerla. Certo, come ha dichiarato, c'erano molti cambiamenti da fare (...).
Il cardinale Martini, al processo di beatificazione del Papa, espresse questo giudizio su Wojtyla: «Non sempre mi sentivo d'accordo con alcune sue impostazioni pastorali o disciplinari o con il suo giudizio su alcune persone... Ritengo che le sue scelte di persone, soprattutto negli ultimi anni del suo pontificato, non furono sempre le più felici... emerge naturalmente la virtù generale della perseveranza in un compito arduo e difficile. Non saprei però dire se abbia perseverato in questo compito anche più del dovuto, tenuto conto della sua salute. Personalmente riterrei che aveva motivi per ritirarsi un po' prima. Certamente è da ammirare il suo coraggio dopo l'attentato del 1981, dopo il quale non si ritirò minimamente dal contatto con la folla... era così al centro dell'attenzione da sminuire praticamente il ruolo della Chiesa locale e del vescovo. La gente lo percepiva un po' come il vescovo del mondo».
Ammirava il darsi del Papa alla gente e la sua preghiera, anche se aveva una sensibilità assai diversa. Ci sono però similitudini tra due personaggi, seppure così diversi. Martini, da vescovo, fu serio e attento al governo della grande Chiesa ambrosiana, ma si riservò un governo straordinario e creativo con iniziative personali. Su diverso scenario fece lo stesso Wojtyla, che attribuì tanto spazio a quello che ho definito un «governo carismatico», fatto di viaggi e decisioni personali. Il buon governo di un vescovo conciliare non poteva ridursi all'istituzione ecclesiastica. C'è un raffronto con il cardinale Lustiger, che come Martini era radicato nell'ebraismo: Lustiger fu un carismatico nella riforma della diocesi con iniziative personali, con una personalità trascinante. Martini, che non era un carismatico, visse il servizio della Parola attraverso la sua umanità densa, colta, sensibile. Nel carismatico, tuttavia, per forza di cose, l'«io» ha una centralità, che in Martini non c'era.
Don Giuseppe Dossetti non era entusiasta di Martini, pensando che avrebbe potuto esercitare un ruolo più decisivo nella Chiesa italiana, nell'epoca segnata da Ruini. E' vero: il cardinale non fece pesare la sua autorità in Italia, perché era convinto che la linea italiana fosse volontà del Papa. Fece di più in Europa. Fu presidente dei vescovi europei dal 1986 al 1993, concependo un corso per i nuovi vescovi, che poi la Curia volle gestire. Si legò a personalità come il cardinale Hume di Westminster, o Danneels di Bruxelles. Da qui il cosiddetto gruppo di San Gallo riunitosi dal 1996 attorno a Ivo Fürer, con Martini, Vilnet, Kasper e Lehmann, più tardi Danneels, Silvestrini (vero legame di Martini in Curia), infine Husar e pochi altri. Nacque il mito, accreditato dalla biografia di Danneels (quasi un'autobiografia), di aver condizionato i conclavi del 2005 e del 2013 in senso bergogliano.
Il mito va sfatato. Nel 2005 Martini si riuniva con un piccolo gruppo di cardinali a casa Silvestrini, che non entrò in conclave. Fu un candidato di bandiera che esibiva il bastone a cui si appoggiava, come segnale di fragilità. Mi chiamò e mi parlò del prossimo conclave. Parlammo di nomi e io accennai con un certo entusiasmo al nome di Bergoglio: «Andrea, allora è molto cambiato da come lo conosco». Chiuse il discorso con freddezza. Martini partecipava all'establishment della Compagnia, che non aveva un buon giudizio dell'ex-provinciale argentino Bergoglio. Ratzinger non era nelle sue corde, ma alla fine tra colleghi professori, anche se non si è d'accordo, si riconosce il valore dell'altro. Così alla vigilia dell'elezione, nella clausura del conclave, andò a parlare con lui. Anche se poi fu scontento del suo governo, come si vede nell'ultimo incontro a Milano, quasi drammatico, durante la visita di Benedetto XVI all'arcidiocesi di Milano, guidata dal cardinale Scola.
Il rapporto tra Martini e Wojtyla è tra un sistematico professore del Biblico (che non ebbe una buona impressione dei professori polacchi nel suo viaggio del 1972, quando conobbe Wojtyla) e un eclettico professore polacco, entrambi a modo loro timidi. Esisteva poi un muro creato da persone che hanno operato per allontanarli, trasmettendo da Milano notizie sul suo episcopato. Ma Giovanni Paolo II ha sistematicamente respinto le dimissioni di Martini fino all'età di 75 anni.
Martini preparò un processo complesso di individuazione del candidato per la sua successione, non condividendo il metodo con cui si nominano i vescovi. Faceva sue le critiche del cardinale Mario Francesco Pompedda a questo sistema. Si staccò dalla diocesi, portando i mille volti di Milano con sé nella preghiera, esterno alla guida diocesana, estraneo alla linea che in parte avrebbe assunto. E Milano restò con lui, come mostra la partecipazione dei milanesi ai suoi funerali.
Nel suo distacco, non c'è la nostalgia, il senso di spossessamento, che caratterizza taluni vescovi ritirati. Piuttosto, specie per chi lo visitava a Gallarate, una specie di pessimismo, espressione che si ritrova nell'omelia ai funerali di Lazzati, attribuita all'ex rettore: un pessimismo che è inquietudine per un Concilio non realizzato, ma anche un'attesa di una Chiesa diversa. Dice a Sporschill: «Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada di umiltà e povertà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo... Una Chiesa che dà spazio a persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio... Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa. Guardo al futuro: quando verrà il Regno di Dio come sarà?».
Carlo Maria Martini: il vescovo e la città. Tra Milano e il mondo, a cura di Agostino Giovagnoli e Danilo Bessi, esce dopodomani da Vita e Pensiero (pp. 160, €15). II libro nasce da un convegno all'Università Cattolica del 9 maggio scorso. Tra i contributi, quello di Andrea Riccardi di cui anticipiamo un estratto 


[ Andrea Riccardi ]