Accoglienza in Italia, un sistema in crisi

28-02-2023 - Notizie

 

Accoglienza in Italia, un sistema in crisi di Alice Pistoiesi

Unimondo.org - 13 febbraio 2023  

Migliaia di futuri richiedenti asilo in strada, scarsa programmazione e una gestione ancora emergenziale. Queste le caratteristiche dell’attuale sistema di accoglienza italiano. Per capirne di più, alla luce anche del dibattito sugli arrivi via mare e sui salvataggi compiuti dalle ong, abbiamo rivolto alcune domande a Stefano Trovato, vicepresidente e responsabile immigrazione per il Cnca (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza).

In quale fase siamo per il sistema di accoglienza italiano?

Come Cnca stiamo partecipando, insieme ad altre realtà che si occupano di accoglienza al tavolo asilo e immigrazione e abbiamo incontrato il nuoco dirigente del Ministero degli Interni. È chiaro che c’è la consapevolezza che gestire il tema degli arrivi non è cosa semplice. Il sistema è sempre più debole. I posti in accoglienza sono sempre di meno, a causa del taglio dei fondi seguito ai decreti Salvini. Le prefetture e le questure, inoltre, hanno carenza di personale e i servizi reggono con difficoltà. Questo, se ci pensiamo, non vale solo per i servizi ai richiedenti asilo, ma anche per i cittadini italiani. Basti pensare ai tempi attuali per ottenere il rinnovo del passaporto. Come Cnca diciamo da sempre che l’accoglienza deve essere gestita dai comuni e dal Ministero del Lavoro e dei servizi sociali. Non si tratta infatti di un problema di sicurezza, ma rientra invece nella gestione sociale dei territori.

Si può dire quindi che il sistema di accoglienza è in crisi? Se sì perché?

In effetti sì. Anche lo stesso sistema Sai (Sistema Accoglienza Integrazione), che ha sostituito gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) è in difficoltà. Molto cambia da regione a regione. Sono infatti i comuni a dare la propria disponibilità ad attivare i progetti Sai. Anche nella fase con più progettualità in corso su ottomila comuni italiani, solo duemila erano quelli che avevano aderito presentando una proposta. Il sistema è quindi estremamente frammentato.

Il Sistema però non è andato in crisi per l’aumento degli arrivi. Giusto?

Nel 2022 un incremento degli arrivi via mare e via terra c’è stato, ma non tale da giustificare questa disorganizzazione. Il problema è la totale mancanza di programmazione sui bisogni, che configura un’inefficienza del sistema generale. I flussi sono grossomodo gli stessi dal 2016 eppure la nostra gestione è ancora costellata da sistemi leggerissimi, che trattano la questione come se fosse un’emergenza e non la normalità.

Come in molti altri momenti, però, l’attenzione è spostata sul mare.

Come ben sappiamo concentrare l’attenzione sugli sbarchi è una questione mediatica. È noto, ad esempio, che le navi delle ong raccolgano solo un decimo delle persone che arrivano e che è invece la Guardia costiera che ne salva in numero maggiore. La questione è quindi strumentale. Le ong sono però soggetti terzi che mettono in discussione un sistema e per questo sono da anni sotto attacco. Oggi con l’allontanamento dei porti di sbarco, ieri con altre forme vessatorie.

Sull’accoglienza oggi il vero problema è che migliaia di persone si trovano in strada perché non possono fare domanda di asilo e, di conseguenza, non possono aspirare ad un posto in accoglienza. Posti che comunque scarseggiano. Da una nostra rilevazione abbiamo appurato che viaggiamo sui sei mesi di lista di attesa solo per ricevere il documento di richiesta di asilo. Questo non riguarda chi arriva dal mare che viene subito indirizzato negli hotspot e dopo in accoglienza, ma chi giunge dalla rotta balcanica o da altri Paesi europei.

Avere in strada migliaia di persone porta con sé una serie di questioni, come ad esempio gli accessi impropri nei pronto soccorso. Senza documenti, infatti, queste persone sono obbligate a rivolgersi ai servizi sanitari di emergenza. L’aumento del numero delle persone che dormono in strada è impressionante ed è in linea con altri Stati europei. L’incremento della povertà è infatti evidente in un’Europa che tenta sempre più di chiudersi nella propria Fortezza.

Gli accordi in discussione tra alcuni Stati Europei e Africani per bloccare i flussi sono da intendersi in questa ottica?

Certo. L’Italia, così come altri Paesi europei sta chiudendo accordi per fermare l’immigrazione alla radice. Questa tendenza non è una novità, ma ora stiamo andando oltre perché si punta ad esternalizzare ancora di più i confini. Secondo il nuovo ‘disegno’ infatti, nei Paesi di origine ci dovrebbero essere delle zone franche da cui la persona può presentarsi per fare la propria domanda di asilo al Paese in cui desidera essere accolto. Questo porterebbe alla totale cessione a terzi di un diritto internazionale. Si farebbe in questo modo ‘selezione all’ingresso’, trasformando i Paesi di origine in contoterzisti che farebbero la valutazione della richiesta per conto degli stati europei.

Anche l'Onu chiede all'Italia di ritirare il decreto Ong: si rischiano morti

Avvenire - 16 febbraio 2023

Dopo il Consiglio d'Europa, la richiesta arriva da Ginevra: «Modo sbagliato di affrontare le questioni umanitarie». La nave di Emergency salva 156 persone  

A Ginevra l'Onu scende in campo a difesa delle ong, invitando il governo italiano a "ritirare" il dl che «punisce organizzazioni umanitarie e migranti», mentre a Lampedusa una successione senza sosta di sbarchi mette di nuovo in crisi l'hotspot di Contrada Imbriacola e in mare la nave di Emergency, reduce da due soccorsi, viene indirizzata verso il porto di Civitavecchia.

Dopo il Consiglio d'Europa, è toccato alle Nazioni Unite bacchettare il governo Meloni: «È un modo sbagliato di affrontare le questioni umanitarie. Si rischia di far morire più persone in mare», ha detto l'Alto Commissario Volker Turk.

Il dl Ong, approvato dalla Camera e tra poco in discussione al Senato, non fa altro che «punire sia i migranti sia coloro che cercano di salvarli. Questa penalizzazione delle azioni umanitarie trattiene le organizzazioni dei diritti umani dal fare il proprio lavoro».

Il provvedimento, che andrà in discussione al Senato, richiede che le navi delle Ong non facciano soccorsi multipli e si dirigano, immediatamente dopo il primo soccorso, verso il porto assegnato, a prescindere dalla possibilità di salvare altri naufraghi nell'area. Al tempo stesso, fa rilevare l'Onu, l'Italia ha assegnato alle navi porti di sbarco distanti, talvolta a giorni di navigazione dal primo luogo in cui è stato compiuto un soccorso. «In base al diritto internazionale - spiega Turk - un capitano è vincolato al dovere di immediata assistenza alle persone in difficoltà in mare, e gli Stati sono tenuti a proteggere il diritto alla vita, ma il nuovo provvedimento obbliga una nave di ricerca e soccorso a ignorare le richieste di soccorso da parte di coloro che sono in mare solo perché ne sono stati salvati altri». L'Alto commissario «sollecita con urgenza il governo dell'Italia a ritirare la legge proposta, e a consultare i gruppi che operano nella società civile, in particolare le Ong che si occupano di ricerca e soccorso, e assicurare una legislazione che rispetti le norme internazionali sui diritti umani, le leggi sui rifugiati e altre cornici normative, inclusa la Convenzione dell'Onu sul diritto del Mare e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare».

Le partenze dalla Libia, intanto, sono riprese, complice il bel tempo, e, di conseguenza, i soccorsi. La Aita Mari ha salvato 31 migranti stipati in una piccola barca di legno. Tra loro donne incinte, bambini e neonati di pochi mesi. Altri 33 migranti, che si aggiungono a quelli arrivati negli ultimi due giorni, sono stati soccorsi davanti alle coste sud-occidentali della Sardegna. La nave Life Support di Emergency ha soccorso e salvato, in due distinte operazioni, 156 persone nel Mediterraneo centrale, ma è stata minacciata da unità libiche con «manovre azzardate - spiega la ong - e intimidatorie». Emergency «ha scoperto ieri che il mezzo in questione apparteneva alle Ssa (Stability Support Apparatus, un organismo dipendente dal ministero dell'Interno libico)». «Denunciamo - sottolinea l'ong - le intimidazioni ricevute e le manovre azzardate nei nostri confronti da parte di un mezzo che appartiene a forze di sicurezza libiche. Confermiamo che la nostra nave si trovava a oltre 25 miglia nautiche dalla costa libica, quindi a debita distanza delle acque territoriali che terminano a 12 miglia, come riscontrabile dagli apparati di navigazione presenti a bordo».

Le autorità italiane hanno assegnato alla nave il porto di Civitavecchia. I naufraghi a bordo provengono da Bangladesh, Pakistan, Sudan, Eritrea, Egitto, Gambia, Ciad, Camerun, Senegal Mali, Nigeria, Costa d'Avorio, Guinea Conakri. «Tutte le persone soccorse - ha assicurato Agnese Castelgrandi, medico di bordo - stanno bene e stanno riposando. Stiamo monitorando costantemente le loro condizioni».

A loro è andata bene. Non così, invece, all'uomo il cui cadavere è stato trovato al largo di Lampedusa dalla Guardia di finanza. Il corpo era nei pressi dell'isolotto di Lampione. Potrebbe trattarsi di una delle vittime degli ultimi naufragi avvenuti nel canale di Sicilia. La salma è stata portata alla camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana. Ieri sono arrivati 735 migranti a bordo di nove imbarcazioni. Oggi ci sono stati oltre una ventina di sbarchi.

Altri uomini e donne non arriveranno mai. Le persone soccorse da Emergency hanno segnalato di aver incrociato, prima di essere soccorsi, un'altra imbarcazione come la loro in mare "in condizioni precarie". «Per ora non ve ne sono tracce», spiega l'equipaggio della nave, obbligata ormai a dirigersi verso Civitavecchia e a lasciare qualcuno indietro, in balia del mare.