La lenta rivoluzione di Francesco

09-10-2023 - Notizie

La lenta rivoluzione di Francesco

A dieci anni dall’inizio del pontificato di Bergoglio le esortazioni del papa al cambiamento sono ancora spesso inascoltate: il nuovo saggio

di Enzo Bianchi

 

La Chiesa di Dio che è in Italia vive un’ora che dovrebbe essere di scelte e decisioni molto importanti per il futuro della fede cristiana nella nostra terra. Sarà capace di operare un mutamento profondo, impostole innanzitutto dalla fine di un mondo e dall’affacciarsi dei germogli di una nuova stagione? Sarà capace di quella “conversione pastorale” alla quale la chiama il Papa, conversione urgente perché la primavera inaugurata da Francesco ormai è attestata e il rischio grande è che finisca proprio per risultare estranea, anacronistica rispetto all’inedita situazione antropologica, sociale, culturale? 

 

Detto con una semplice domanda: dove va la Chiesa? 

 

Sono ormai passati dieci anni dall’inizio del pontificato di papa Francesco: non sono pochi, considerando anche che questo papato non potrà essere lungo come quello di Paolo VI o di Giovanni Paolo II, con la conseguente possibilità di incidere per lungo tempo nella vita della Chiesa cattolica. 

 

Tutti, così almeno sembra, sono convinti di questo cambiamento d’epoca, ma poi l’incamminarsi effettivo su nuovi sentieri, l’acconsentire al lutto della stagione passata, l’andare al largo su acque profonde (cf. Lc 5,4), lasciando la calma delle baie, è un’altra cosa ed è qui che a me sembra che prevalga l’inerzia, la logica del «si è sempre fatto così», un facile provvidenzialismo scambiato per fede, il rifiuto della fatica a discernere i segni dei tempi. Eppure papa Francesco si è rivolto alla Chiesa italiana in modo puntuale e autorevole, chiedendole un mutamento preciso. 

 

Al Convegno nazionale della Chiesa italiana tenutosi a Firenze, il 10 novembre 2015, due anni dopo la promulgazione dell’Esortazione post-sinodale Evangelii gaudium, il Papa ha detto: «Permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni». 

 

D’altronde, nell’Esortazione stessa il Papa aveva chiaramente manifestato il suo desiderio che questa fosse accolta come invito «a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni». 

 

Nonostante ciò, questi inviti pressanti e convinti paiono non aver avuto finora una risposta adeguata. In un’intervista il cardinale Gualtiero Bassetti ha confessato che in occasione di due udienze il Papa gli ha chiesto: «Ma l’Evangelii gaudium sta entrando nelle Chiese italiane?». Domanda imbarazzante, confessa il cardinale, alla quale ha risposto: «Un pochino …». E il Papa di rimando: «Non ho chiesto qualche rinnovamento della pastorale, vi ho chiesto una conversione pastorale!». 

 

E qui non si può tacere l’ironia: la formula “conversione pastorale” è stata coniata proprio in Italia ed è presente in modo chiaro e significativo nel documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, emanato dai vescovi italiani all’inizio del terzo millennio. 

 

Perché tanta lentezza, allora? Viene da chiedersi: «Siamo ancora lì?». 

 

Nella stessa intervista, il cardinale Bassetti dichiarava: «Nella Chiesa italiana si registra una certa lentezza nella ricezione del progetto di papa Francesco e si osservano tante chiusure!». Giudizio pacato, ma espresso con parrhesía e che significativamente trova concordi altre voci nella Chiesa che leggono la situazione in modo analogo. Penso per esempio a un libro intelligente, molto coraggioso, del biblista di Firenze Giulio Cirignano, o ad articoli di Giuliano Zanchi, di Marcello Neri e di altri che denunciano questa situazione: il canto del gallo risuona, ma si continua a dormire. Cerchiamo di capire il perché. 

 

Innanzitutto occorre rilevare che abbiamo alle spalle, dopo la primavera di Giovanni XXIII, del concilio Vaticano II e di Paolo VI, decenni in cui la Chiesa italiana ha cercato sì di attuare il concilio, però non solo assecondandone un’interpretazione restrittiva, ma dimenticando l’evento concilio e lo spirito che lo animava. Per questo è stata una Chiesa più impegnata ad autoconservarsi che non una Chiesa “estroversa”, una Chiesa autoreferenziale e non in confronto fiducioso con l’umanità, una Chiesa che ha tentato di far rivivere — fino a illudersi di esservi riuscita — una nuova forma di cristianità, giungendo persino negli anni attorno al 2000 a un’alleanza con il potere politico: insomma, una Chiesa tentata di stemperare il cristianesimo in “religione civile”. Giulio Cirignano così riassume: «Questi cinquant’anni dal concilio sono stati vissuti in Italia quasi come una mesta elaborazione del lutto». 

 

Dal canto suo il cardinale Bassetti afferma che «il peccato originale è stato la poca ricezione del concilio Vaticano II nella Chiesa italiana». Così — mi sento di doverlo dire perché conosco bene e ascolto numerosi vescovi — l’episcopato italiano nella sua grande maggioranza non è ostile al Papa, non lo contesterà mai, ma resta con un’altra sensibilità che gli impedisce un’obbedienza entusiastica alle sue richieste. 

 

Tra i nuovi vescovi scelti da papa Francesco, ce ne sono alcuni che hanno inaugurato uno stile nuovo, ispirato sì dal Papa, ma prima ancora dal Vangelo; tuttavia essi non sono in numero sufficiente per dare un nuovo volto all’insieme dell’episcopato italiano, anche perché continuano ad avvenire ancora nomine di persone “in carriera” o impegnate soprattutto nell’attesa di una promozione. E il clero? In verità i preti sono affaticati, sempre meno numerosi e più anziani — almeno in Italia settentrionale e centrale — sovente in situazioni di povertà economica e umana: salvo alcuni, faticano ormai a entusiasmarsi per nuove forme di missione. 

 

Ecco perché è importante che ora con urgenza la Chiesa italiana, a iniziare dai vescovi e dai presbiteri, assuma la responsabilità del mutamento che le è necessario per essere luce e sale (cf. Mt 5,13-16) in un mondo che rimane sì indifferente al fatto religioso, ma che è anche sempre raggiungibile dal Vangelo, il quale, se ascoltato, provoca la fede.