Oggi, celebrando la festa della Madonna del monte Carmelo, siamo invitati insieme all’altezza, a contemplare la bellezza di questo luogo ove lungo i secoli, eremiti e pellegrini hanno cantato la gloria di Maria.
“Carmelo” significa vigna di Dio, che nella lingua ebraica esprime il superlativo, cioè “vigna fertilissima e ricca di frutti”.
- La vetta di un monte ci costringe ad alzare lo sguardo verso l’alto e ricalca la posizione dell’uomo ritto di fronte alle brutalità che avvengono sulla Terra. In tutte le culture, specialmente quella biblica, ritroviamo nel profilo della montagna un’immagine della tensione verso l’Assoluto, verso il divino[1]: “Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto, il mio aiuto verrà dal Signore che ha fatto cielo e terra”. Così si esprime il Salmo 121.
- In particolare, il monte Carmelo ci richiama alla santità di Dio, al Dio altissimo che volge lo sguardo sull’umanità e nel contempo, invita l’umanità a guardare verso l’alto.
Questo monte evoca la grande sfida del profeta Elia tra il Dio vivente e gli dei falsi e ingannatori dei popoli limitrofi, sfida che noi abbiamo ascoltato nella prima lettura tratta dal primo Libro dei Re, capitolo 18.
È San Giovanni della Croce (1542-1591), dottore della Chiesa, che ci invita a fare questa esperienza del monte - del Carmelo in particolare -. Nelle sue opere, La notte oscura e La Salita del monte Carmelo, immaginano la vita del credente come un’ascesa, da un’asperità all’altra, per raggiungere la vetta della perfezione che è Gesù Cristo[2].
Leonardo Da Vinci, nel dipingere la Vergine delle Rocce – la Madonna attorniata da angeli e santi -, ha alle sue spalle le montagne alte ed acuminate. È lei la madre che ha saputo raggiungere, insieme al figlio, la vetta più alta della terra, il Calvario, che un altro Santo, Francesco di Sales, definisce così: “[…] il monte degli innamorati. Ogni amore che non trae la sua origine dalla passione del Salvatore è frivolo e pericoloso”[3]. Solo chi ha la pienezza dell’amore ha la forza di raggiungere la più santa delle montagne dove si è realizzato l’evento della nostra redenzione. Comprendiamo così, perché nella Bibbia, il termine ebraico har, cioè monte o montagna, ricorre per ben 550 volte ed è la parola che torna più spesso nel linguaggio biblico insieme a quello di collina o colle.
- Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento - come ho già ricordato –, la spiritualità del monte è quella dell’uomo alla ricerca di Dio attraverso le notti oscure della vita, dove la fede si trasforma in luce per illuminare i cammini più difficili e pericolosi. È la spiritualità prima di tutto di Gesù, che dai colli di Betlemme (circa 550 metri) raggiungerà la vetta altissima, il Calvario (circa 850 metri), non tanto per l’altezza materiale, quanto per la pienezza di amore che lo rende il monte più alto di tutta la terra.
La Madonna ci appare in questo scenario biblico come la prima discepola del figlio – l’innamorata del figlio- con la forza di salire lo stesso monte, il Calvario, accompagnata da poche donne e da un solo discepolo, che si definiva “quello che Gesù amava”.
- In questo primo anniversario della morte del vescovo Luigi - che papa Francesco ha definito presule così tanto apprezzato e soprattutto amato - noi siamo chiamati dalle letture bibliche proclamate a contemplarlo in questa salita spirituale verso Gesù Cristo, che è la roccia su cui egli ha costruito tutta la sua vita, ed invita anche noi ad essere suoi imitatori nel raggiungere la vetta di questa montagna per essere con lui coeredi della medesima gioia e felicità.
La festa della Madonna del Carmine diventa così la festa delle montagne di Dio. Dobbiamo allenarci a scalarle ogni giorno con fedeltà e tenacia. Mi piace ricordare Sant’Agostino quando parla della speranza ed afferma che questa virtù ha due bellissimi figli: lo sdegno, verso le cose brutte della vita, come le guerre e il coraggio, per combatterle ed eliminarle.
- Ecco una sintesi di questi monti che il vescovo Luigi ha scalato nei suoi numerosi pellegrinaggi in Palestina e soprattutto nella sua vita di credente ogni giorno, realizzando attraverso queste ascensioni la volontà del Signore.
- Il monte Moria: è il monte dove Dio prova la fede di Abramo: “Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va nel territorio di Moria e offri un olocausto sul monte che io ti indicherò” (Gen 23, 29). È il monte della fede, che anche il vescovo Luigi ha salito, ascoltando in silenzio la voce di Dio e cercando di realizzarla pur nelle tante difficoltà della vita. Invita anche noi, questa sera, a seguirlo in questa ascensione spirituale, piena di dubbi ma anche ricca di improvvise luci che si aprono sul nostro cammino. È da leggere, in quest’ottica, il suo primo libro, Intelligenza e Fede, ricordando che il credente autentico non è mai arrogante, ma al contrario, la fede lo rende umile. Penso, soprattutto, al libro Ateo a diciotto anni. L’input gli venne in un incontro coi ragazzi e i giovani a S. Benigno, con domande alquanto imbarazzanti; è in questo contesto che lui riprese il contenuto del suo primo libro, Intelligenza e Fede, ripetendo con forza che l’intreccio fra queste due realtà – l’Intelligenza e la Fede - devono essere a sostegno l’una dell’altra, altrimenti si cade nell’arroganza. Un’intelligenza arrogante elimina la fede, mentre una fede arrogante nuoce all’intelligenza.
- Un altro monte è il Sinai, il monte di Mosè, dove egli riceve le tavole della Legge. Questo monte è speculare all’altro, quello delle Beatitudini, dove Gesù non riceve ma dona la nuova Legge, la quale non è scritta su due pietre ma nel cuore di ogni persona, per opera dello Spirito Santo.
La prima delle otto beatitudini, che illumina tutte le altre, è quella della povertà: “Beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli”. I credenti, tutta la comunità cristiana, sono chiamati a dare testimonianza concreta di questa prima beatitudine. Domenica scorsa, nella pagina del Vangelo di Marco (6,7-13), avevamo esempi di come la Chiesa deve vivere la beatitudine della povertà, senza la quale ogni testimonianza diventa vana. È il Signore che manda i suoi discepoli a due a due, e ordina loro di portare solo un bastone per il viaggio, tutto il resto diventa superfluo, anzi d’impedimento all’annuncio.
- C’è poi il libro dei Salmi, ricco di riferimenti alle montagne, in particolare i 15 salmi (120-134) detti delle ascensioni, cioè dei pellegrini che li cantano mentre salgono verso la rocca di Sion, cioè Gerusalemme. Ma la preziosità dei Salmi è quella che Gesù stesso li ha pregati nei diversi momenti della sua esistenza. Per questo devono diventare la preghiera principale del cristiano, del credente, dell’uomo fedele, che segue Gesù maestro, verso la perfezione del Padre che è nei cieli.
- Tutta la vita di Gesù - dalla nascita alla sua vita pubblica, sino alla sua morte, risurrezione e ascensione al Padre - è segnata dai monti.
- I Vangeli sottolineano che, soprattutto al mattino presto o alla sera, Gesù si ritirava sul monte a pregare, solo col Padre suo. Anche il vescovo Luigi ci dà questo esempio della preghiera prolungata al mattino presto o alla sera tardi. Noi siamo abituati a pensarlo come un vescovo dinamico ed energico che, soprattutto come presidente di Pax Christi, corre per il mondo a predicare la pace. Può venirci il dubbio che, conoscendo la sua vita, il fare abbia prevalso sul contemplare. Ma non è così. Chi gli è stato vicino e l’ha conosciuto in profondità sa che era un uomo di profonda preghiera. Penso abbia mai tralasciato la celebrazione della Messa quotidiana, anche quando arrivava stanco alla sera dopo una giornata faticosa di ministero. Come pure egli ha insegnato ad altri, laici e preti a pregare, attraverso i ritiri, gli esercizi e le settimane di spiritualità.
- Ancora un monte, Il Tabor, profezia del monte Calvario, e delle colline della Galilea al mattino di Pasqua dove Gesù attende, con impazienza, i suoi discepoli: “Là mi vedranno”. Anche l’ascensione al cielo avviene sui monti. Cito quanto narra S. Luca: “Poi li condusse fuori verso Betania e alzate le mani li benedì. Mentre li benediceva si separò da loro e venne portato in cielo” (24, 50-53).
Papa Benedetto XVI fa questo commento al capitolo 24 del vangelo di Luca: “Nel gesto delle mani benedicenti si esprime il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli, con il mondo. Nell’andarsene Egli viene per sollevarci al di sopra di noi stessi ed aprire il mondo a Dio. Per questo i discepoli poterono gioire, quando da Betania tornarono a casa. Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. È questa la ragione permanente della gioia cristiana”[4].
- Aggiungo anche che ciascuno di noi deve essere “monte vivente” e “città visibile”, forza divina che dura nel tempo, come afferma il profeta Isaia: “Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia” (54, 10).
Il nostro compito, oggi, è quello di realizzare questa alleanza che il Signore vuole perpetuare sulla Terra. Ed è anche il testamento che ci lascia il vescovo Luigi di “essere strumenti di pace e di riconciliazione nel mondo”. Solo così si compie l’alleanza tra il cielo e la terra.
- Mi piace, a conclusione di questo elenco di monti, citare anche il primo, che troviamo nel libro della Genesi, ovvero il monte ove si posò l’arca di Noè dopo il diluvio (che un’antica tradizione chiama il monte Ararat, in Armenia). Anche in questo contesto, noi troviamo alcuni elementi che divengono simbolo della pace che il Signore vuole realizzare dopo il periodo di distruzione: l’arcobaleno, la colomba e l’ulivo.
I colori dell’arcobaleno sono i colori dell’alleanza: questi colori che hanno accompagnato gran parte della vita del vescovo Luigi e che anche nel commiato fra lui e noi, li abbiamo trovati posti sulla sua bara; i colori dell’arcobaleno sono anche i colori di Dio, che hanno sancito la fine del primo diluvio, colori che ancora oggi devono ricordare le innumerevoli catastrofi che la guerra produce. Catastrofi che ancora vediamo con i nostri occhi, nonostante le precedenti due avvenute nello scorso secolo. Catastrofi che non solo uccidono l’uomo, ma anche la natura, poiché non si può separare l’uomo da ciò che Dio gli ha affidato come propria casa.
Mi pare di vedere ancora il vescovo Luigi nella festa dei suoi cinquant’anni di Messa, sulla soglia della nostra Cattedrale, con il pastorale ed un ramo d’ulivo tra le mani. È bella questa fotografia! L’ulivo è il primo albero che emerge dalle acque dopo il diluvio (Gen 8,1). Gli ulivi rendono la terra di Canaan un paese pieno di benessere economico (Dt 8,8-9); l’ulivo, poi, e’ il legno prezioso e nobile scelto per la costruzione del “Santo dei santi”, la parte più sacra del tempio (1 Re 6, 31-32).
Ho fatto questi riferimenti biblici per esprimere che il ramo di ulivo simboleggia il dono preziosissimo, quello della pace, che Dio affida alle nostre mani, soprattutto al nostro cuore. Ma con molti rischi! Eppure Dio ha voluto correre questi rischi!
Il ramo d’ulivo, portato dalla colomba, richiama l’impegno del nostro vescovo, prima come presidente nazionale e poi internazionale di Pax Cristi, per far sì che il tema della pace – proposto con tanta forza nell’enciclica “Pacem in terris” da Giovanni XXIII e dalla Costituzione “Gaudium et spes” – divenisse impegno e testimonianza di tutta la Chiesa.
La responsabilità’ di Pax Cristi lo portò in tante parti del mondo alla ricerca di dialogo e di colloquio in difesa dei diritti dell’uomo, ed in particolare dei lavoratori, per gridare che la pace è sempre possibile e che la guerra porta solo morte. E’ stato scritto che era un uomo di dialogo e sapeva ascoltare, confermo che è la verità. La sua casa era aperta ad ogni sindacato e famiglia che cercava aiuto e sostegno nei momenti difficili della loro esistenza.
Nel nome della pace ha viaggiato dal Vietnam[5], all’India e alla Russia, dall’America Latina[6] all’Africa. Inoltre sotto la presenza di mon. Bettazzi, Pax Cristi ricevette il premio dell’UNESCO per l’educazione alla pace.
Come, poi, non ricordare le marce della pace nella notte di Capodanno e quella rischiosa a Sarajevo (dicembre 1992), assediata durante la guerra nei Balcani, la marcia dei 500, per fermare “il massacro che disonora chi lo compie e chi lo tollera”.
Carissimo mons. Luigi, le parole più significative sul tuo impegno in Pax Cristi le ha scritte l’amico mons. Tonino Bello.
Le leggo perché sono troppo belle:
“Il martirio di pace, è una costante viva nel ministero pastorale di mons. Bettazzi. I suoi sono anni di coraggio intrepido sulle frontiere della pace… Sulle labbra c’è tanta eccedenza di futuro, che perfino la rievocazione delle cento battaglie sopportate, non rivendica mai le stellette al martirio. Il ricordo delle mille incomprensioni subite non si tinge mai di rammarico”.
Sintetizzo la vita del vescovo Luigi prendendo in prestito le parole dell’autore canavesano Salvator Gotta, il quale narrò le vicende di un ragazzo nel libro Dagli Appennini alle Ande, che tenterei di parafrasare “Dagli Appennini Bolognesi alle Alpi Piemontesi”.
Egli ha scalato tutte le cime delle nostre Alpi: dal monte Bianco al Cervino e ha percorso tutte le valli del Canavese. È stato un amante della montagna, per questo mi pare bello ricordarlo alla luce dei monti, del Carmelo prima di tutto, poi di quelli che ritroviamo nelle pagine della Bibbia.
Lui ora è stato chiamato nell’eternità a camminare su altre montagne, a partecipare della pace messianica, come viene cantata dal profeta Isaia: “Il lupo e l’agnello pascoleranno insieme, il leone e il capretto si sdraieranno insieme, non faranno né male né danno in tutto il mio monte santo, dice il Signore” (11, 6-7).
Termino queste mie riflessioni in una preghiera, composta per ricordare la sua sincera devozione alla Vergine Maria.
Signore, Ti ringraziamo per averci donato, nel vescovo Luigi, un pastore secondo il tuo cuore.
Egli è stato un grande appassionato del vangelo, annunziandolo con entusiasmo giovanile ai piccoli e ai poveri. Testimone del Concilio, ha gettato semi di speranza, facendo diventare la nostra diocesi, Chiesa giovane a servizio del mondo. È stato profeta e cantore della pace, guardando al futuro con fiducia e ottimismo. Con la Vergine Maria ha saputo cantare il Magnificat, credendo fermamente alla potenza del Signore, che abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili.
Caro, e sempre amato, vescovo Luigi, amico delle nostre montagne, ti vogliamo ricordare alla luce della bellezza lussureggiante del monte Carmelo e ti chiediamo di intercedere per noi, affinché’ siamo sempre innamorati delle vette di Dio, che hanno le loro fondamenta nella giustizia e nell’amore.
Signore, Ti ringraziamo per averci donato, nel vescovo Luigi, un pastore secondo il tuo cuore.
Egli è stato un grande appassionato del vangelo, annunziandolo con entusiasmo giovanile ai piccoli e ai poveri. Intrepido testimone del Concilio, ha gettato semi di speranza, facendo diventare la nostra diocesi, Chiesa giovane a servizio del mondo. È stato profeta e cantore della pace, guardando al futuro con fiducia e ottimismo. Con la Vergine Maria ha saputo cantare il Magnificat, credendo fermamente alla potenza del Signore, che abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili.
Caro, e sempre amato, vescovo Luigi, amico delle nostre montagne, ti vogliamo ricordare alla luce della bellezza lussureggiante del monte Carmelo e ti chiediamo di intercedere per noi, affinché’ siamo sempre innamorati delle vette di Dio, che hanno le loro fondamenta nella giustizia e nell’amore.
Grazie per il bene che ci hai voluto, continua a pregare con noi e per noi. In pace e con il sorriso.
N.B: Le parole in grassetto sono state prese dal telegramma del papa, inviato all’indomani della morte del vescovo, il 17 luglio 2023.
[1] Cf. G.Ravasi, I monti di Dio, Editrice San Paolo, Cinisello Balsamo, 2001, p. 9
[2] Cf. S. Giovanni della Croce, La notte oscura e La salita al monte Carmelo.
[3] S. Francesco di Sales, Trattato dell’Amor di Dio, Edizioni Paoline, 1989, p. 898
[4] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, LEV, Roma 2011, pg. 324.
[5] Occorre ricordare il Convegno di Torino sul Vietnam nel 1973, ben riuscito, ma realizzato superando molti ostacoli.
[6] Mons. O. Romero aveva chiesto una visita nell’America Centrale per denunciare le violazioni dei diritti umani in quelle Nazioni sotto la dittatura.