V DOMENICA DI PASQUA B e preghiera dei ragazzi
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla (…)». (GV. 15, 1-8)
Un primo dato che colpisce, nel parlare e insegnare di Gesù, è il suo continuo attingere a scene di vita quotidiana per spiegare la realtà di Dio che si manifesta nella Sua persona. Sembra che Gesù non voglia fare torti a nessuno e che, per parlare del Regno di Dio, usi i diversi mestieri che compongono il convivere sociale del suo tempo: pastori, contadini, donne alle prese con i lavori di casa (“ho trovato la moneta che avevo perduto”), carpentieri (“Io son la porta”) e oggi vignaioli (“Io sono la vite vera”). Segno che il suo intento è quello di immettere la storia di Dio là dove viviamo, e non nel chiuso di un sacro inaccessibile e poco raggiungibile. Ed è esattamente questo il primo messaggio che in questo anomalo tempo pasquale dobbiamo cogliere: il Dio di Gesù ci affianca là dove siamo, anche se segnati da stanchezza e dalle tante fatiche generate dalla pandemia.
Ed è per questo che la Parola di Gesù oggi ci chiede di resistere, di perseverare nella certezza che Lui è con noi e di continuare a “rimanere in me” perché io, prosegue Gesù, possa “rimanere in voi e con voi”. Il Signore Gesù – ci conferma questa straordinaria pagina del Vangelo di san Giovanni – è la vite su cui ciascuno di noi – come il tralcio – è innestato per vivere e per portare frutto. Ed è Lui che ci offre la linfa necessaria al nostro vivere, che ci tiene insieme (in comunità) e che ci rende capaci di portare frutto.
E a quanti sono tentati di leggere il silenzio di Dio come assenza e come una Sua grande indifferenza verso la nostra povera Terra, ecco che viene in soccorso questa pagina di Vangelo in cui Gesù non solo ci dice che Lui è la vite vera e noi i tralci, ma ci precisa anche che il solo e unico agricoltore è il “Padre mio”. La sfumatura non è periferica o secondaria. Significa che Lui – e solo Lui – è autorizzato a “potare” e/o a espellere qualcuno dalla comunità.
Forse quando compone questo passo san Giovanni è testimone di battezzati più radicali e intransigenti di altri che – all’interno della comunità – si arrogano il diritto di rilasciare patenti di idoneità alla vita cristiana (con tanto di promozioni e di bocciature). Per evitare questo rischio (sempre ricorrente), l’evangelista spiega, precisa e chiarisce che solo l’agricoltore (il Padre) è autorizzato a tagliare, a potare e a gettare via il tralcio secco. Nessun altro. Ed il messaggio è carico di saggezza. Perché ci ricorda – da un lato – che non è compito nostro giudicare la vita dei fratelli che ci sono accanto. E perché – dall’altro lato – ci aiuta a capire che le diverse difficoltà che inevitabilmente ci raggiungono nella vita, non sono sempre maledizioni mandate da Dio. Sono piuttosto potature dolorose e necessarie che appartengono al vivere, ma che il buon Dio usa per aiutarci a portare più frutti d’amore.
Forse è proprio questa la sapienza che ci manca: la capacità di rileggere gli incidenti di percorso, le ferite della vita, i segni della malattia, gli errori che inevitabilmente si commettono e i vari disagi che di fatto ci sono nel vivere, come autentiche “potature” in grado di renderci – se accolte per quello che sono – più umani.
Ha ragione Antonella quando dice: “Il bambino disabile dalla nascita che la vita mi ha donato mi ha fatto stare male fino a quando mi sono ribellata. Da quando l’ho accolto e ho smesso di protestare, ho scoperto che proprio quel bambino mi ha resa migliore. Come donna e come madre”. Non è il buon Dio che manda male e malattie nel mondo. Ma quelle dolorose ferite che sono entrate nella nostra storia, il Padre del Signore Gesù le utilizza per “potare” le nostre vite e per non farle allontanare dalla capacità di portare frutti di amore, di gioia e di libertà. Buona domenica.
P.S. Un ricordo speciale al Signore Gesù per la bella figura di Nadia De Munari, originaria di Schio, Vicenza, missionaria laica in Perù uccisa in circostanze ancora da chiarire nel centro di accoglienza ed educazione in cui operava con bambini della scuola materna. “Scoprire, e soprattutto scoprire con i giovani, con i bambini che hanno un cuore pulito, e vedere che la felicità viene dal dare, non dall'accumulare, viene dal regalare. Un sorriso, un gesto, questo arricchisce anche te”, questa una delle sue ultime interviste.
Caro Gesù,
il Signore di Scandicci è quello che buttava via le castagne e mangiava i ricci. Nel ritornello di questa canzone si dice che: “Tanta gente non lo sa, non ci pensa e non si cruccia. La vita la butta via e mangia soltanto la buccia”.
Gesù ormai l’ho capito: “rimanere” con Te è il solo modo per non seccare e per non gettare via la vita.
Sei Tu Gesù che mi dai la forza di pensare a nonna (che è così contenta quando le telefono) e non solo a me stesso. Sei Tu Gesù che mi convince che perdonare è forza (e non debolezza) e che donare è più bello che comprare o chiedere regali.
Gesù aiutami a “rimanere” attaccato a Te come un tralcio alla vite.
E grazie Gesù, perché “rimanere” con Te vuol anche dire incontrare la gioia ch