XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B

28-06-2021 - Preghiere poesie

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B con preghiera dei piccoli

21Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. 22Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». 24Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

25Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28«Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». 29E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.

35Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40Ed essi lo deridevano.Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.

(Mc. 5,21-43)

La figura del capo della sinagoga – Giairo – che si reca da Gesù per supplicarlo perché “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”, è significativa e con alto valore simbolico. Si tratta di un papà che ha ricoperto di così tante cure e premure la “sua” figlia, da privarla della possibilità di crescere e di vivere (ed è per questo che si lascia morire nella stanza dorata in cui il padre l’ha relegata). Si notino alcuni particolari descrittivi utilizzati da san Marco: secondo le parole del papà, la figlia è solo “sua” (“la mia figlioletta”, dice; mamma e altri parenti non ci sono). Ed è una “figlia” che il padre, premuroso e possessivo, considera perennemente “piccola”, “bambina”, “fanciulla” (“figlioletta”) e – in ogni caso – mai adulta. Anche se con i suoi 12 anni sta ormai entrando nella condizione adulta della donna palestinese. Non ha nessuna coscienza – questo povero papà – che è stato lui a mettere sotto una campana di vetro sua figlia fino a spegnerle la voglia di vivere. Non si è accorto – questo capo della sinagoga – che voler trattenere a sé la figlia, impedirle di rendersi autonoma e vietarle di sganciarsi da lui (come dovrebbe fare ogni figlia per fare la sua strada!), sono le vere cause che spingono la giovane donna a lasciarsi morire nella sua “ camera- prigione” dalla quale non può uscire.

Così inquadrato il testo è più attuale di quanto sembra. Nei nostri ultimi decenni abbiamo inventato l’adolescenza anche perché nei secoli precedenti non è mai esistita un’“età di mezzo” tra infanzia e vita adulta. Terminati gli anni della scuola dell’obbligo – tra gli 8 e dodici anni – un tempo non troppo distante da oggi si andava a lavorare e iniziava la vita adulta. Poi, però, abbiamo chiesto ai nostri ragazzi di fare durare il più a lungo possibile questa condizione “di mezzo” (anche oltre i 30 anni!). Forse perché – come Giairo, il capo della sinagoga – abbiamo paura che i nostri figli crescano, che si sgancino dai “nidi” che abbiamo costruito per loro e che, se prendono il volo, le nostre case diventano vuote perché senza vita di coppia. Abbiamo paura – come società – che i nostri giovani diventino “adulti” nel senso vero, profondo e libero del termine

 

perché la loro maturità potrebbe denunciare la nostra immaturità.

E cosa abbiamo fatto per prolungare l’adolescenza? Non è difficile: basta creare le condizioni perché i “nostri” giovani vengano tenuti lontani dal mondo del lavoro degno di questo nome e dalla possibilità di rendersi autonomi (concorsi che si rinviano di anno in anno per decenni è pur sempre un buon metodo, per questo obiettivo). È sufficiente “parlare” tanto di politiche giovanile, di diritto alla casa, di aiuti all’autonomia dei giovani e poi fare poco o niente perché questi diritti vengano realmente erogati. Perché i nostri giovani non diventino adulti è anche necessario investire (molto) solo sulle strategie del divertimento, dello sballo, del consumare (tutto e di più) e dello spingerli a vivere senza assumersi mai le vere responsabilità della vita non protetta da mamma e papà.

Si noti però il particolare: Gesù non condanna la giovane donna a cui è stato negato il diritto all’autonomia da chi è soltanto una “caricatura” del “padre” (il quale è chiamato a lanciare, con fiducia, i figli nel mondo senza possederli). Gesù vuole “attrezzare” il padre perché diventi realmente tale. Ed anche per questo che allontana, da quella casa, la folla guidata solo da curiosità morbosa. Ora Gesù può fare ciò che non ha fatto il padre: prende la figlioletta/ragazza “per mano” (come segno di comprensione della sua fragilità), l’aiuto ad alzarsi in piedi (segno di autonomia) e la invita a camminare con le sue gambe e a diventare protagonista della sua vita adulta.

Per il nostro tempo. Creare le condizioni perché chi cresce possa andare per la sua strada (e lasciarlo andare senza ricatti e senza vincoli di vario genere); non pensarsi i proprietari dei figli autorizzati anche a “possederli”; non aggrapparsi ai giovani per difendere le nostre fragilità; non togliere loro tutte le difficoltà e soprattutto non soffocarli di cure e di premure, ma consegnare loro diritti, buone pratiche e percorsi di impegno, di responsabilità e di concrete possibilità di lavoro decoroso e dignitoso: è molto di più di un programma educativo. È questa la buona notizia che ci consegna il Vangelo e che ci ricorda che Gesù risorto ripete – oggi 2021 – Tali Kum ai nostri giovani e a tutti noi. Buona domenica a tutti.

 

Caro Gesù,                                      Preghiera dei piccoli

mi ha fatto effetto scoprire che la bambina che hai preso per mano e alla quale hai detto Talità kum (che significa: “Fanciulla io ti dico alzati!”) aveva 12 anni.

Il papà che ti ha supplicato di guarirla la chiama “figlioletta”, ma Tu la prendi per mano, la tratti da grande e aiuti quel papà a vederla per quello che è: una ragazza che sta crescendo e che sta diventando donna.

Credo, Gesù, che dovresti parlare anche con i miei genitori e con mamma e papà delle mie amiche. Per loro noi siamo sempre “piccole”.“Non è di te che non mi fido – ripetono in continuazione

– è degli altri”.

Grazie Gesù perché sento che Tu hai tanta fiducia in me e perché mi tratti da grande. Gesù dillo anche a me (e ai miei genitori) quel Talità Kum che hai detto alla ragazza del Vangelo.