III DOMENICA ANNO A con preghiera dei piccoli
Dal Vangelo secondo Giovanni 4, 5 -42
In quel tempo, Gesù giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: "Dammi da bere". 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?".
Quando il nostro Paese godeva di abbondanza d’acqua (prima dei cambiamenti climatici che abbiamo causato), i due personaggi attorno al pozzo presenti nel Vangelo di oggi (la donna che vuole attingere acqua e Gesù che le chiede da bere), sono sempre stati interpretati così: la donna come il simbolo dell’umanità disidratata dalla mancanza di valori e assettata di affetto, di amore e di accoglienza (è una donna, dice il testo, che ha avuto cinque mariti e che vive con un ennesimo compagno); mentre Gesù veniva presentato, a livello simbolico, come la vera e unica sorgente d’acqua viva che sazia la voglia di infinito che abita nel cuore di ogni donna e di ogni uomo.
La siccità di cui siamo tutti testimoni (e che spaventa perché una seconda estate senza acqua non crea solo disagi, ma innesca danni) ci aiuta a leggere il testo in modo meno figurativo. E ci obbliga a fissare anche la “sete” dei terreni, dei fiumi, dei laghi e dei campi che ci dovrebbero nutrire. È lo stesso evangelista che ha voluto intrecciare, nello stesso racconto, tanto la dimensione simbolica e figurativa quanto il piano concreto, reale di chi deve bere per sopravvivere (anche perché con la sete non si scherza!). Ed è vero che la samaritana ha sete di amore e di relazioni liberate dalla povertà del reciproco consumarsi, ma è altrettanto vero che Gesù ha fisicamente bisogno di acqua al punto che è disposto a chiedere “da bere” ad una donna straniera (della serie: due volte impura e perciò inavvicinabile per un rabbì rispettoso delle norme!).
Per il nostro tempo. Nessuno di noi è pronto a rinunciare al consumo di duecentoventi litri di acqua al giorno (questo è il fabbisogno quotidiano pro-capire, in Europa) e per quanto la siccità “svuoti” le nostre fonti di acqua, non siamo ancora entrati nell’ordine di idee di cambiare stili di vita a proposito del consumo di acqua. Così come è scioccante scoprire che un africano della zona subsahariana ha a disposizione non più di 20 litri di acqua al giorno e che 768 milioni di persone nel mondo non dispongono di una fonte d’acqua potabile. Ed è anche per questo motivo che molti emigrano, che scelgono di salire su zattere inaffidabili e che rischiano di essere inghiottiti dalle acque del nostro mare e morire a 100 metri dalla terra promessa. Da una parte una mancanza di acqua che nega la vita e – dall’altra parte – troppa acqua che toglie il respiro e che annega, che fa morire.
Ma è così anche ad altri livelli simbolici: abbiamo scelto di fare pochi figli (al massimo due!) per seguirli meglio, ma ci ritroviamo troppo spesso alle prese con ragazzi che hanno “sete” di adulti credibili, autorevoli e severi (quando serve); ragazzi e giovani che si sentono orfani di riferimenti educativi e che chiedono aiuto usando la violenza sulle piazze oppure
correndo come dei pazzi sulle nostre strade di giorno e di notte (con la tragica conseguenza che la prima causa di morte dei nostri giovani è rappresentata dagli incidenti stradali). Abbiamo “sete” di lavoro e di soldi, salvo poi scoprire che bottega e conti correnti non danno la felicità se non sono inseriti in un progetto di senso che sa consegnare il giusto valore ad ogni cosa. Abbiamo “sete” di amore, di carezze, di coccole e di affettività capace di far riposare il nostro cuore, ma troppo spesso ciò che si credeva amore si rivela un inganno che espone al litigio, alla delusione e ci si convince che il solo modo per curare le proprie ferite sia dato dal costruire altre storie e cambiare partner. Abbiamo “sete” di spiritualità adulta, solida e robusta, ma troppe volte ci rivolgiamo a chi vende surrogati o a chi vorrebbe convincerci che il vero problema non è adoperarsi per garantire la Pace nel mondo, ma decidere di “stare in pace” e sonnecchiare nella propria indifferenza.
Ed eccoci alla buona notizia del Vangelo di oggi: Quel Gesù che chiede da bere alla donna al pozzo, è lo stesso Signore che non ha paura di avvicinarci là dove noi siamo: per dare concrete risposte alle nostre fragilità. E l’immagine del pozzo non è casuale: serve a chi scrive per dirci che Gesù non ci cerca per punire, per condannare o per sanzionare, ma solo e sempre per amare (è al pozzo che Isacco e Giacobbe hanno conosciuto le loro mogli!).
La “sete” di Gesù entra nella profondità della nostra storia per dare senso al nostro vivere; per liberarci dalle nostre paure di morire e per educarci ad offrire quel bicchiere d’acqua (Mt. 10,42) che salva la vita di chi è nel deserto, ma non vuole annegare nelle acque salate del nostro mare. La “sete” di Gesù in croce (Gv. 19,28 – “Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete»”) è la “sete” di Dio che desidera donarci la vita affinché questa ci disseti per sempre e ci abiliti ad amare come Lui ha amato noi.
Buon cammino verso Pasqua.
Caro Gesù,
Preghiera dei piccoli
il mio angolo preferito, nella casa di
campagna del nonno, è il pozzo.
È un posto tranquillo. C’è una bella panchina e anche quando fa tanto caldo c’è dell’ombra che fa stare bene.
Oggi ho capito una cosa: al pozzo non posso più sentirmi solo.
Tu sei lì, con me e mi chiedi di darti dell’acqua. Non sono io che Ti domando chissà che cosa.
Sei Tu che non hai nessuna paura di usare il mio piccolo secchio per dissetarti.
Di solito siamo noi che chiediamo cose a Te.
Oggi sei Tu che ci avvicini per domandarci dell’acqua.
Gesù io ti dò il mio secchio perché Tu possa bere, ma Tu “dammi la Tua acqua”.
E grazie perché sei sempre Tu che prima ci cerchi e poi ci trovi. Sei davvero speciale.