II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C (Gv. 2, 1-11)
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”
Ai tempi di Gesù i simboli per eccellenza dell’abbondanza, della pienezza e della festa erano le “nozze”, il matrimonio e – strettamente collegato a questo evento – il banchetto che consacrava l’evento. Oggi non è più così. Ci si sposa molto meno di ieri. Le coppie si chiamano “di fatto” perché hanno intrapreso la convivenza senza nessun scambio pubblico di consenso ufficiale. E l’industria del divertimento si è così perfezionata che appare quasi preistorico associare la festa al pranzo di nozze.
Ciò che non cambia e che non può cambiare – però – è l’ingrediente della gioia all’interno di feste, divertimenti ed eventi straordinari incaricati di interrompere lo scorrere quotidiano del tempo per consegnare alle nostre esistenze il piacere di vivere.
Ed è esattamente questo ciò che è accaduto a Cana di Galilea: il banchetto imbandito per le nozze dei due sposi si sta svolgendo con tutto il suo carico di passaggi obbligati che devono essere attuati. Ciò che nota Maria – ecco l’attualità di questo passo – è che a quel gruppo di invitati “manca il vino della gioia”. Può succedere. Ancora oggi si può presenziare fisicamente ad una “festa”, ma con il cuore spento, poco motivati e abbastanza lontani dall’orizzonte della felicità. Crociere, viaggi, gite, escursioni, concerti, uscite, concerti, visite o tour enogastronomici…, quante volte si è immersi in questi eventi e la gioia resta il grande assente dell’esperienza consumata insieme.
Se nessuno lo fa notare, si finge che tutto vada bene. “Ci siamo divertiti – si dice. Abbiamo fatto foto e video.”. Le risate non sono mancate. Ma si aspetta il prossimo evento per sperare che si accenda la spia della gioia.
Maria non ha finto di non vedere. È andata da Gesù – suo figlio – e gli ha fatto presente la situazione. “Non hanno più vino”. Gesù sembra indispettito dalla segnalazione della mamma: “Donna che vuoi da me?”. Ma l’occhio attento della mamma ha colto che al di là dell’impreparazione del Figlio ad entrare in azione (“Non è ancora giunta la mia ora.”), la sua richiesta ha fatto breccia nel cuore di Gesù. Il resto è noto: Gesù fa riempire le anfore di acqua e ordina poi che queste vengano portate al banchetto: l’acqua si è trasformata in ottimo vino. La festa è salva. Torna non solo il divertimento, l’allegria e quel clima di sana baldoria senza la quale non c’è festa di nozze, ma si fa strada “anche” la gioia che riempie il cuore di chi partecipa alla felicità degli altri e che rende indimenticabile quell’evento.
Solo Dio sa quanto anche noi abbiamo bisogno che Maria dica a Gesù che in moltissime nostre case, comunità e “banchetti” è finito il vino della gioia. Per imparare che per trovare la felicità non ci è chiesto di cercarla da soli (!) consultando – per sé stessi – il ricco menu che ci viene fornito dall’industria del divertimento. La felicità autentica la trova solo chi è disposto a condividere la gioia di chi – vicino a noi – si accorge di aver nuove ragioni per vivere e per continuare a lavorare e a sperare.
Agli anziani della Chiesa di Efeso che, addolorati, si sono recati al porto per salutare per l’ultima volta San Paolo (certi che non lo avrebbero più rivisto) San Paolo non consegna solenni discorsi o grandi raccomandazioni. Affida a chi lo saluta con il nodo alla gola le parole di Gesù perché le imprimano nel loro cuore: “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (Atti degli apostoli 20,35). Il senso della vera festa attraversa la nostra vita non appena decidiamo di condividere con chi ci è vicino le ragioni della sua piccola e grande gioia. Nel cercare la festa per sé stessi, si spendono molti soldi; ci si stanca e si resta con il cuore carico di nostalgia della vera gioia. Occuparsi di chi ha meno; farsi carico di chi è più debole e creare le condizioni perché nessuno debba essere senza il necessario per vivere vuole dire praticare la grammatica della gioia che si declina con servizio, perdono, accoglienza e libertà dal giudicare.
Facciamo in modo che ai nostri giovani giunga all’orecchio (e al cuore) l’ansia di Maria per le troppe realtà comunitarie senza il vino della gioia. Diamo l’esempio a chi cresce che solo Gesù trasforma l’acqua della nostra quotidianità nel vino della gioia permanente che non delude. E facciamo in modo che non manchino, nei pressi dei nostri figli, le giare che al momento opportuno potranno, su ordine di Gesù, essere riempite di acqua per poi trasformarsi in gioia.
Quali sono queste giare? Il nostro esempio; la nostra testimonianza di servizio e di attenzione alla vita comunitaria; il partecipare alla ricerca del bene comune anche se non si è sempre retribuiti; la disponibilità a non giudicare e soprattutto a non condannare chi è più debole; l’ascolto del Vangelo come la sola Parola che insegna a vivere e che guarisce le nostre malinconie e lo sforzo per imparare a perdonare. Se queste sei giare sono presenti accanto a chi cresce, prima o poi Gesù – su invito di Maria – farà in modo che l’acqua del vivere si trasformi nel vino della gioia.
E preghiamo perché la tregua nella Terra di Gesù si consolidi per preparare quella Pace giusta che tutti attendiamo.
Preghiera dei piccoli
Caro Gesù,
al matrimonio della zia a noi bambini ci hanno messo su un tavolo “riservato”.
E al posto del vino hanno messo, sulla tovaglia, aranciate e altre bibite.
Gli sposi ci hanno detto, per ridere, di non bere troppo e Mattia ha risposto: “Fate attenzione anche voi perché chi beve troppo vino poi litiga”.
E poi a noi ha aggiunto: “Il papà di Alessio quando beve troppo vino bisticcia con tutti e tratta male anche i figli. Per questo motivo lui spesso è triste.”.
A catechismo ci hanno detto che solo Tu, Gesù, ci aiuti ad essere felici.
Ti prego Gesù: porta il vino della Gioia in tutte le nostre case.
E porta il vino della Pace anche nella Tua terra: dove, forse, si riesce a “firmare” la tregua e a “fermare” quella brutta guerra che ha distrutto tutto e ucciso troppe persone.
P. S: Cana e Gaza sono distanti?