VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

16-02-2025 - Preghiere poesie

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Lc. 6,7.20-26) - 16.II.2025

Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.

 

I dati ISTAT 2024 sulla povertà in Italia sono discretamente inquietanti e vale la pena prendere coscienza del numero delle famiglie in povertà assoluta che, secondo questo rapporto, sono aumentate rispetto agli anni precedenti raggiungendo circa 2,2 milioni di nuclei familiari. Significa 6,2 milioni di individui “poveri”, pari al 10,3% della popolazione.

Il Report di Save the Children ci fotografa invece il mondo dei bambini e ci dice che il 13,4% delle bambine e dei bambini tra 0 e 3 anni è in povertà assoluta e circa 200mila di età compresa tra 0 e 5 anni (8,5% del totale) vivono – sempre in Italia – in povertà alimentare, ovvero in famiglie che non riescono a garantire almeno un pasto proteico ogni due giorni.

Numeri che si vorrebbe non conoscere, non vedere e non “incontrare” perché, da una parte, generano ansia e – dall’altra parte – ci ricordano che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Già ai tempi di Gesù povertà, fame e pianto erano strettamente collegate e facce diverse della stessa medaglia: quella della miseria.

Non siamo abituati a leggere le prime tre beatitudine di san Luca come un’unica sintesi. In realtà secondo l’evangelista il “povero” (letteralmente “pitocco”: participio passato del verbo “piegare” e dunque il “piegato” perché con la schiena curva nell’atto del mendicare per sfuggire ai morsi dello stomaco vuoto) è – di fatto – chi ha fame e chi, a causa di queste assolute privazioni, piange. Alla luce di questa premessa è più facile cogliere la continuità dell’unica beatitudine articolata in tre passaggi: "Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete.” (Lc. 6,20).

Ma non è l’unico particolare che merita di essere annotato di questo passo del Vangelo di Luca. È indispensabile anche capire se l’evangelista intenda, con questo suo messaggio, dire che i poveri, gli affamati e i piangenti sono “beati” in quanto tali. Se così fosse dovremmo salutare con gioia i dati sopra riportati e quasi benedire chi crea le condizioni affinché il numero dei poveri aumenti nel nostro Paese e nel mondo intero. Dovremmo persino “benedire” chi fa in modo che il numero dei poveri cresca!

 E che dire di Trump: ha chiuso l’Agenzia Umanitaria voluta da Kennedy che ha distribuito, nel 2023, medicinali a mezzo milione di bambini colpiti dall’HIV; che ha portato cibo ricco di nutrienti a “piccoli” in pericolo di morte e che – sempre nel 2023 – ha investito 20 miliardi di dollari per programmi sanitari finalizzati a combattere la malaria, la tubercolosi, l’HIV, l’AIDS e le epidemie di malattie infettive oltre ad investire risorse ed energie per dare assistenza umanitaria ai tanti (troppi!) popoli devastati dalle guerre?

No: san Luca non considera dei valori la povertà, la fame o la disperazione di chi piange a causa della sua miseria. Tra la parola “beati” e il vocabolo “poveri” l’evangelista inserisce quel piccolo pronome – “voi” – che serve per indirizzare il Suo discorso ai discepoli, non ai poveri. Ed il messaggio è chiaro: Voi che oggi mi seguite e che siete vittime di ingiustizia, di persecuzioni, di privazioni; “voi che ora avete fame”, “voi che ora piangete” (e si noti come “ora” ancora il discorso di Gesù all’oggi, al presente) sappiate che il Regno di Dio è ormai in mezzo a voi. Quello che il profeta Isaia aspettava (“Il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri…”, con Gesù si è avverato “oggi”, “ora”.

Voi discepoli”, dice Gesù. “Noi battezzati” dobbiamo leggere pregando in questa fredda domenica di febbraio. Noi siamo “beati” se siamo disponibili ad entrare nel Regno di Dio che Gesù ha inaugurato e che ci rende capaci di condividere il nostro troppo con chi ha niente; se ci accorgiamo di chi ha fame, di chi piange e di chi sta male per sorreggerlo e sostenerlo; se siamo disposti a perdonare, a dimenticare il male ricevuto e a fare il bene. Beati siete voi – dice Gesù – se sarete liberi da ogni potere che dimentica il servizio e la difesa del debole. Beati siamo noi se scegliamo di vivere seguendo Gesù e il suo Vangelo che ci cura dalla malattia dell’accumulare, dell’avarizia, dell’egoismo, delle inutili divisioni e della vendetta.

San Luca è l’evangelista della gioia al punto che l’intero racconto si apre e si chiude con il forte riferimento alla gioia (1,14 e 24,52). Non solo: sono 11 i brani di questo vangelo che sviluppano il tema della gioia. Segno e conferma che chi scrive non vuole esaltare povertà, fame e pianto, ma l’esatto contrario: vuole inculcare nel battezzato e nel discepolo di Gesù la certezza che vivere secondo lo stile del Maestro di Nazaret rende “beati” e immerge nella “gioia”. Ma vale anche il contrario: uscire dalla grammatica delle beatitudini proclamate da Gesù significa spingere la propria vita verso quei “guai” (da intendere come lamentazioni non come minacce) che oggi potremmo definire come stile di vita all’insegna delle continue lamentele (“sono tutti contro di me”), ansie perenni, depressioni e tristezze permanenti dalle quali non si riesce ad uscire.

Solo il Vangelo ci rende beati e con il cuore carico di gioia.

Buona domenica.

 

 

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

 

Luca 6,17-20.26

 

 

Caro Gesù,

                   papà ha ritagliato, da un giornale, una scheda sui poveri in Italia. Due milioni e duecentomila famiglie sono povere (che significa 6 milioni e duecentomila persone: il 10,3% della popolazione italiana).

Un altro dato mi ha impressionato: il 13% dei bambini sono poveri (sul giornale dicono “in povertà assoluta”) e 200.000 tra gli 0 e 5 anni soffrono la fame (povertà alimentare, hanno scritto).

Gesù vuole dire che tutte queste persone sono “beate” o “felici” perché sono poveri?

Gesù aiutaci a capire che Tu non ci vuoi poveri perché in miseria, ma perché capaci di aiutare chi ha nulla.

Quando zio Luca ha portato al centro immigrati sciarpe, cappelli di lana, guanti e maglioni che aveva nell’armadio gli ho chiesto perché lo ha fatto.

“Perché fa freddo – mi ha risposto –, perché non hanno nulla. E perché solo così si vince la povertà”.

Grazie Gesù per le beatitudini.