ASCENSIONE DEL SIGNORE Luca 24, 46 - 53
“Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su in cielo”
“Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse”. San Luca pesa le parole e con la scelta dell’espressione “condurre fuori” vuole evidenziare un esplicito riferimento alla vicenda dell’Esodo. Il popolo di Israele è deportato e ridotto in condizione di schiavitù in Egitto. Dio ha compassione di questo popolo e decide di liberarlo. Incarica Mosè di guidare la carovana dei fuggitivi e li “conduce fuori” da una realtà fatta di fango, di lavori forzati, di sfruttamento e di violenze. Tutto detto con un verbo. Affinché il lettore metta a fuoco che Gesù è il nuovo Mosè che conduce fuori i suoi discepoli da un vivere da schiavi per introdurli in un’esperienza di vita comunitaria liberata dal male, dall’odio, dalla violenza e persino dalla morte.
Rischiamo di dimenticarlo, ma la più profonda delle nostre schiavitù è quella rappresentata da un vivere senza Cielo, senza Dio e senza “finestre” in grado di aiutarci ad oltrepassare il fitto buio della morte. Dopo il venerdì santo e la morte in croce di Gesù i discepoli sono sconvolti, spenti e immersi nel più cupo pessimismo. Si stanno convincendo che il Cielo sia definitivamente chiuso alle vicende della Terra. E si sentono soli, orfani e senza speranza. Ma non era così solo ai tempi del Gesù terreno. Quando san Luca scrive il suo vangelo sono già passati quattro o cinque decenni dall’evento della resurrezione. E le comunità cristiane sono nuovamente piegate da fatiche, da persecuzioni e da violenze di ogni tipo (si pensi alla furia dell’Impero romano che si rivela sempre più prepotente e violente). “A chi chiedere aiuto – si dicono i cristiani a cui si rivolge l’evangelista – se anche il Cielo è sordo, sbarrato e chiuso alle fatiche della terra?”
Ma non siamo anche noi alle prese con esperienze simili? Le tragiche guerre di cui siamo tristi spettatori non solo non si avviano a qualche forma di trattato, ma sembrano allargarsi sempre più. La Pace è costantemente negata da un ricorso ad armi sempre più “a lunga gittata”. Il calo demografico ci presenta società in Occidente sempre più vecchie e più bisognose di assistenti per i nostri vecchi (badanti?), ma sempre più blindate contro ogni forma di immigrazione. Tanti (troppi!) giovani hanno paura del futuro; altrettanti “fuggono” all’estero (in tredici anni, dal 2011 al 2023, sono 550 mila i giovani italiani di 18-34 anni emigrati all’estero) e per le giovani coppie il figlio è un progetto – che per adesso – non trova spazio perché il futuro è incerto.
Ecco perché Gesù risorto “conduce fuori” i suoi discepoli: per portarli dove il la Terra e il Cielo sono strettamente connessi e in costante e definitiva comunicazione tra loro. San Luca aveva già fatto un esplicito accenno a questa apertura del Cielo. In occasione del battesimo di Gesù l’evangelista aveva scritto: “Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo” Lc. 3,21-22). Eravamo all’inizio dell’opera. Chi scrive sa che la memoria del lettore può perdere qualche pezzo e non sempre ricorda tutto. Soprattutto quando si è sopraffatti dalla fatica. Ed è per questo che san Luca riprende l’immagine del Cielo definitivamente “aperto” alla Terra: perché chi legge interiorizzi una volta per tutte che il Dio di Gesù ci ha aperto definitivamente la strada che conduce Dio verso ciascuno di noi e che ci permette di arrivare al suo amore per ricambiarlo verso i fratelli. Chi scrive, però, va oltre questa indicazione. E con l’annotazione di Betania, ci presenta Gesù che conduce i suoi dove Lui ha vissuto le intense esperienze del riposo, dell’affetto, dell’amicizia, dove è iniziata la preparazione dell’ultima cena (19,29) e dove anche Lui ha pianto e sofferto per la morte di Lazzaro.
A Betania Gesù risorto alza le mani e benedice tutto ciò che l’umanità vive, spera e soffre. Betania è il simbolo della vita carica di amore, di amicizie, di progetti, ma anche delle ferite che non si vorrebbero conoscere.
Il Signore Gesù benedice chi siamo e dove siamo. Il Suo staccarsi da noi per essere portato in Cielo è il modo per dirci che da adesso in poi il Dio di Gesù è sempre con noi. In modo duratura e continuativo. Per donarci il coraggio di tornare alla vita di tutti i giorni (“poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia”), per immergerci nella gioia perché certi che Lui è sempre con noi.
Così riletta la solennità dell’Ascensione non è una festa dal difficile significato teologico e poco comprensibile per la nostra vita di fede. È, al contrario, la risposta alle nostre ansie, paure e pessimismi vari per dirci che “C’è ancora domani”. (come direbbe quel bellissimo film che racconta del voto alle donne del 2 giugno 1946 e dell’importanza dell’andare a votare; sempre).
C’è ancora domani perché Dio non è stanco di noi. Perché la Pace è ancora possibile. Perché la nostra Terra è definitivamente aperta al Cielo del Dio che ci ama, che ci cerca, che ci perdona, che ci benedice e che ci rende capaci di amare, di perdonare e di servire.
Preghiera dei piccoli:
Caro Gesù, la catechista ci ha detto che ai tuoi tempi la gente pensava al Cielo e alla Terra come a due mondi separati ed estranei uno all’altro.
Ecco perché san Luca ha scritto che a Betania Tu sei stato “portato in Cielo”. Per dirci che Tu sei il “Dio-con-noi” anche se sei in Cielo. Tu, Gesù, non sei assente o estraneo dal nostro vivere sulla Terra. Sei sempre con noi.
Ti prego, Gesù, aiutaci a far finire le guerre che distruggono la nostra Terra. Donaci la Tua Pace, Gesù. E non permettere a nessun grande di far morire di fame adulti e bambini.
Ti prego anche per mia sorella, Gesù. Ha diciotto anni e l’hanno invitata alla Celebrazione che si tiene in piazza per la Festa della Repubblica. Le daranno una copia della Costituzione Italiana.
Come dice un film molto bello, vuole dire che “C’è ancora domani”.
Grazie, Gesù.