La morte di Vittorio Bellavite

13-04-2023 - Notizie

La morte di Vittorio Bellavite 12 Aprile 2023

Il cordoglio di Rete Pace Disarmo per la scomparsa di Vittorio Bellavite

 

La Rete Italiana Pace e Disarmo si unisce al cordoglio dei suoi cari e degli amici per la morte di Vittorio Bellavite, per lungo tempo presidente di “Noi Siamo Chiesa” una delle organizzazioni aderenti alla nostra Rete (e prima ancora a Rete Italiana Disarmo).

Figura importante dei movimenti per la Pace di ispirazione cristiana (e attivo anche nelle esperienze politiche) Vittorio Bellavite non ha mai fatto mancare il suo sostegno e quello della sua organizzazione alle campagne ed attività collettive della nostra Rete. Non avendo potuto partecipare alla recente Assemblea annuale di RIPD aveva comunque voluto manifestare con un messaggio la consonanza di obiettivi e percorsi con parole chiare: “Noi Siamo Chiesa c’è, e partecipa toto corde a tutte le prese di posizione e le iniziative di Rete Pace e Disarmo. In altri momenti faremo di più”. Anche se in realtà Vittorio Bellavite ha sempre e comunque fatto tanto per la Pace e la Nonviolenza, e ci lascia in coincidenza con il sessantesimo anniversario dell’enciclica “Pacem in Terris” – ultimo lascito del Papa del Concilio Giovanni XXIII – nel cui solco si è svolta gran parte della sua azione sociale e politica.

Rete Italiana Pace e Disarmo si unisce nel cordoglio e nel conforto alla moglie, ai figli, agli amici di Vittorio.

UN DONO DELLA PROVVIDENZA

Nel ricordo di Vittorio Bellavite, che è stato un dono per noi, ripubblichiamo questo suo articolo in cui ricordava, come un dono della Provvidenza, la fine del potere temporale della Chiesa

Con vivo dolore “Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri” ricorda Vittorio Bellavite, a lungo coordinatore di “Noi Siamo Chiesa”, venuto a mancare nei giorni immediatamente seguiti alla Pasqua e assunto nella sua luce. Egli è stato un esempio di limpida fede e di impegno per il rinnovamento evangelico della Chiesa, in fedeltà al Concilio e per un radicale progresso della società politica. In sua memoria ripubblichiamo un suo articolo del 20 settembre 2020 in cui riferiva di un documento di “Noi Siamo Chiesa” in cui si rievocava, come “un dono della Provvidenza” la fine del potere temporale della Chiesa.

La migliore storiografia ritiene che la breccia di Porta Pia, cioè la fine, il 20 settembre 1870, del potere temporale della Chiesa, fu avvenimento dall’importanza straordinaria e dalle molte facce: internazionale, nazionale, politico, militare e soprattutto religioso. Questa data, dopo 150 anni, meriterebbe una grande attenzione ma essa è ora scarsa per la concomitanza nel nostro Paese delle elezioni e del referendum. Penso anche che concorra un accresciuto disinteresse sui grandi fatti della storia come se essi non contribuissero a capire il presente e a guardare al futuro. Sarà interessante capire se anche fuori d’Italia la situazione sarà simile.

Lo Stato pontificio nell’Ottocento

Una rilettura delle linee generali della storia del pontificato da fine ‘700 al 1870 serve a capire. Lo scontro con l’Illuminismo e poi con la storia della rivoluzione francese, e più nello specifico tra Napoleone e i papi, portò a vicende che sono poi state alla base di tutto. Nel 1798 i francesi occupano Roma, dichiarano decaduto il potere temporale e papa Pio VI viene fatto prigioniero e muore in esilio in Francia l’anno successivo. Una seconda volta i francesi entrano a Roma nel 1809, annettono lo Stato pontificio all’impero francese e Pio VII sarà loro prigioniero per ben cinque anni. Dopo la caduta di Napoleone, con il Congresso di Vienna, lo Stato pontificio viene ricostituito. La durezza dell’antagonismo del papato contro tutti gli errori dell’età moderna continua e si accresce. Nell’enciclica Mirari vos del 1832 Gregorio XVI condanna la libertà di coscienza, “l’aborrita libertà di stampa” e tante altre cose. I primi mesi di apertura di Pio IX, eletto nel 1846, si esauriscono ben presto ed egli si contrappone alla Repubblica romana andando, per protesta, in esilio a Gaeta. Solo le truppe francesi gli permetteranno di tornare dopo più di un anno. Intanto nel ’50 in Piemonte passano le leggi Siccardi di esproprio dei beni ecclesiastici che saranno seguite nel ‘66/’67 da altre simili. Nel ’60 venivano annesse la Romagna, le Marche e l’Umbria dal nuovo Stato italiano. Lo Stato pontificio era ridotto al Lazio. Mentre Cavour e poi la Destra storica al governo volevano il “libera Chiesa in libero Stato” e tentavano di trattare col papa una soluzione concordata per Roma capitale, la sinistra mazziniana, garibaldina ed anticlericale sperava invece in una soluzione di forza (di ciò sono prova le ben note vicende dell’Aspromonte e di Mentana). La tanto attesa insorgenza del popolo romano, auspicata ed attesa dai piemontesi, si dimostrò inesistente. Nel ’64 Pio IX firmò la famosa enciclica Quanta cura a cui era allegato il Sillabo, un elenco di 80 frasi raccolte dai suoi documenti dei quindici anni precedenti (non ci sono citazioni della Scrittura e ben poco dei Padri della Chiesa). La lettura, fatta ora, dei due documenti stupisce per i loro contenuti e per la violenza anche verbale delle condanne che contengono. Di striscio si condanna il comunismo e il socialismo, per il resto la critica implacabile è “alla società civile considerata in se stessa”, al relativismo, alla “volontà del popolo come legge suprema” e via di questo passo. Forse mai c’era stata nella storia della Chiesa una presa di posizione così rigida e a tutto campo.

Il Vaticano I e Porta Pia

Pio IX, convocando il Concilio Vaticano I nel 1869, voleva dare sanzione formale ad un’idea di Chiesa dotata di grande compattezza e capace del massimo contrasto contro tutte le nuove libertà e le nuove culture. Al centro dell’assemblea ci fu la proclamazione dell’infallibilità del Pontefice romano con la Costituzione dogmatica Pastor Aeternus. Lo scontro interno non fu semplice, una minoranza consistente non partecipò al voto il 18 luglio ‘70, mentre nelle Cancellerie europee ci si interrogava con preoccupazione su cosa significasse in concreto questa decisione. Il contemporaneo inizio della guerra franco-prussiana mise in moto immediatamente l’iniziativa del governo italiano, conseguente al ritiro da Roma delle truppe francesi che proteggevano quello che rimaneva dello Stato Pontificio. Il 20 settembre in una mattina i bersaglieri entrarono in Roma e la occuparono mentre le truppe papaline si arresero ben presto su ordine del papa che non poteva resistere né militarmente né politicamente (ma ci furono ben 69 morti, 49 sabaudi e 19 pontifici) né per la sua funzione di leader spirituale. Pochi giorni prima la sconfitta di Sedan aveva fatto cadere Napoleone III e proclamato in Francia la Repubblica. Il plebiscito del 2 ottobre confermò quasi all’unanimità l’annessione al Regno d’Italia (non si capisce se per consenso o per l’astensione di chi era contrario o per entrambe le cose insieme). Pio IX il primo novembre diffuse l’enciclica Respicientes ea omnia, irruente nella protesta e nel giudizio (i sabaudi a Roma portano “disordine e propaganda immorale”), sostenendo che il Quirinale era stato violato, che il plebiscito era stata una finzione, che sacrilega era la spoliazione dei beni, ecc. L’enciclica si concludeva irrogando la scomunica maggiore a tutti quanti avevano operato, mandanti ed esecutori. Nell’affermazione che “la Nostra intenzione e la Nostra volontà è di conservare integri e inviolabili tutti i diritti e i domini di questa Santa Sede” si intravede la speranza che la situazione potesse non essere definitiva e che il papa potesse tornare per la quarta volta nel secolo a governare. Ma Pio IX, mentre si dichiarava prigioniero, rifiutava con decisione di lasciare Roma. Forse intuiva che la situazione si sarebbe consolidata a tempo indefinito. Nasceva così “la questione romana”.

Le “guarentigie” del 1871

I moderati al governo, per motivi interni ed internazionali, volevano ad ogni costo trovare un qualche modus vivendi col papa. Proposero e riuscirono a fare approvare il 13 maggio ‘71 la legge delle “guarentigie” (criticata dall’area radicale del Parlamento). Essa prevedeva ogni garanzia per la funzione pastorale del papa e per le comunicazioni con l’estero, la tutela della sua persona (“la persona del Sommo Pontefice è sacra e inviolabile”), i luoghi necessari al funzionamento della Curia, la rinuncia al diritto di nomina o di proposta per le nomine ecclesiastiche, l’abolizione del giuramento dei vescovi nelle mani del Re ed una somma annua per le necessità degli uffici e della corte pontificia (3.250.000 lire corrispondenti a circa 16 milioni di euro di oggi, somma mai riscossa dal papa ma accantonata dallo Stato). Gli interventi di tipo giurisdizionale venivano molto ridotti permettendo però alcuni interventi, che saranno poi del tutto discutibili, in assenza di una promessa legge (art. 18) sul riordinamento, la conservazione e l’amministrazione delle proprietà ecclesiastiche. Per capire l’importanza di queste norme bisogna ricordare che l’art. 19 del Concordato del 1929 prevede che il Vaticano comunichi in via riservata al governo il nome di ogni nuovo vescovo per ottenere una specie di nulla osta in relazione a eventuali esistenti “ragioni di carattere politico”. E veniva ripreso l’obbligo del giuramento al Re. Rimaneva in vigore il sistema della “congrua”, un assegno di moderato importo garantito a tutti i parroci a titolo di indennizzo per gli espropri degli anni precedenti (il sistema è rimasto poi in vigore fino al 1986). Il tentativo fatto con la legge sulle guarentigie, che era costato un forte impegno delle forze al potere nel nuovo Stato italiano, fallì immediatamente. Due giorni dopo l’approvazione della legge Pio IX firmò l’enciclica Ubi nos arcano Dei i cui contenuti erano identici a quella di novembre ma con in più un rifiuto formale del provvedimento legislativo perché “promanante da uno Stato e quindi unilaterale ed interno in contrasto con il carattere internazionale e sovrano della potestà papale” ed indicante uno “sfrontato disprezzo per la Nostra dignità ed autorità pontificia”. Il papa invocava la solidarietà degli Stati cattolici come aveva già fatto nei mesi precedenti (ma altre erano diventate le questioni più importanti, la diplomazia in Europa si limitò a non ritenere risolta la situazione). Ma fu un fatto importante nello scenario internazionale dell’epoca se non altro per il coinvolgimento dell’opinione cattolica e delle sue organizzazioni. La questione rimaneva dunque tutta italiana e i cosiddétti cattolici “conciliatoristi” che volevano un accordo con lo Stato erano troppo pochi. La legge delle guarentigie fu rispettata dallo Stato, mai accettata dai papi e fu espressione della Destra storica (la sinistra mazziniana e garibaldina avrebbe voluto prendere Roma anche per indebolire o distruggere la Chiesa stessa). Nella linea del disimpegno nel gennaio successivo il Parlamento votò una legge che chiudeva le facoltà teologiche in tutte le università di Stato. Il fatto fu gradito dalla “Civiltà Cattolica” perché lasciava l’esclusiva dell’insegnamento e della ricerca in campo teologico e pastorale ai seminari e alle tante facoltà teologiche cattoliche. Ciò garantiva all’autorità ecclesiastica l’ortodossia ma, a posteriori, è stato giudicato negativamente perché creò le condizioni per un vero e proprio pensiero unico nella Chiesa.

Il NO di Pio IX fu del tutto comprensibile

Il magistero di Pio IX rappresentava il culmine di un secolo di affermazioni e di contrapposizioni. Esse avevano un fondamento soprattutto religioso e, come tali, non erano negoziabili. Di qui il rifiuto, senza incertezze, che i papi sostennero a nome della maggioranza del tessuto ecclesiale di quel periodo nel quale avevano ancora poca voce in capitolo le nuove realtà cristiane presenti nel mondo al di fuori dell’Italia e degli Stati “cattolici”. Lo scontro avviato a fine ‘700 si avvitò su se stesso radicalizzando ogni posizione nei confronti della democrazia, dei diritti civili e del libero pensiero, poi del socialismo e del comunismo, mettendo ai margini le nuove sensibilità pure emergenti nella Chiesa (basti pensare a Rosmini, a Manzoni e, in seguito, a padre Curci, a Fogazzaro e a tanti altri). I poteri della Chiesa e nella Chiesa – ribadivano i papi – sono stabiliti direttamente da Dio. Il principio di autorità è fondato sulla Rivelazione che è garante dell’interpretazione autentica del depositum fidei. La forma di governo istituita da Cristo costituisce la Chiesa “societas perfecta” dotata di tutte le competenze proprie di un organismo sociale pubblico. Il papato, infallibile in materia di fede e di costumi, ha giurisdizione universale e diretta su tutta la Chiesa, non è solo il centro ma anche il fondamento e il principio, l’autorità e la giurisdizione. Il papato è maestro di dottrina e guida la giurisdizione. Si trattava di un irrigidimento dello schema tridentino che portava a un atteggiamento di ripulsa dei “moderni errori” lontana dal capire le pluralità del mondo moderno. La Chiesa era guidata dal Magistero e dalla Tradizione (in diretta polemica col “sola Scriptura” dei protestanti) e doveva essere molto centralizzata (nei riti, nelle nomine dei vescovi, ecc.) perdendo così la ricchezza delle Chiese locali e la stessa comprensione della storia. Il tomismo e il diritto naturale furono la posizione unica nelle università e nei seminari. Ciò premesso, con questa teologia, “lo Stato pontificio era assunto, nel corso dell’Ottocento a segno di una sovranità del papato, e dunque della Chiesa, estranea e concorrenziale con le tipologie moderne di sovranità politica. Esso era diventato come espressione di una necessità teologica. In questa logica la difesa del potere temporale del pontefice riassumeva, in figura, tutti i motivi di inconciliabilità della Chiesa con i modelli di società e di Stato proposti dalle filosofie moderne, che attentavano al modello cattolico di ordinamento socio-religioso” (F. Traniello). Quindi il papa non poteva accettare in nessun modo, per motivi di fede, la perdita del suo residuo potere temporale nella condizione in cui aveva finito per trovarsi e doveva rinunciare ad una legge, quella delle “guarentigie”, vantaggiosa per la Chiesa, che il nuovo Stato le offriva perché bisognoso di credibilità a livello internazionale presso l’opinione cattolica.

Dopo il XX settembre nello Stato e nella Chiesa

La fine del potere temporale ebbe conseguenze in tutti i decenni successivi e condizionò non poco la vita del nuovo Stato italiano che rimaneva privo di consensi ed energie per affrontare bene le necessità materiali che incombevano, per creare un sentimento comune nazionale fondato sulla solidarietà ed un senso di appartenenza che mancava. Pio IX proibì con il non expedit (1874) la partecipazione alla vita politica dei cattolici e l’atteggiamento suo e di Leone XIII fu diffidente nei confronti dei nascenti movimenti per una presenza organizzata dei cattolici in politica. Nuovi sistemi di governo potevano essere tollerati ma alla Chiesa toccava in definitiva definire le regole del bene comune cui l’attività politica doveva essere orientata. Una situazione complessa ed ambigua che vedeva il papa “prigioniero” in Vaticano vivere in una specie di situazione di extraterritorialità. Intanto la libertà della Chiesa veniva garantita, il non expedit si riduceva progressivamente di importanza, davanti a tante situazioni di fatto, fino alla sua sostanziale caduta con il Patto Gentiloni nel 1913 e la sua abrogazione nel ‘19. In parallelo a fine Ottocento cresceva la radicalizzazione tra cultura e politica da una parte e il sentire cattolico dall’altra (popolo e Vaticano); si ebbero fenomeni di forte anticlericalismo come non più in seguito. Ma il fenomeno che veramente ci interessa è la cosiddetta “modernizzazione cattolica”. La Chiesa, a partire da Leone XIII, inizia ad organizzare o a permettere l’organizzazione di realtà associative laicali allargando l’orizzonte della Chiesa (basti pensare alla Rerum Novarum). Esse hanno un dinamismo particolare, basti pensare all’Opera dei Congressi, a don Bosco, nascono le Leghe sindacali bianche, ci sarà il tentativo democratico cristiano di Murri, sorgono le banche e le cooperative bianche, nascono nuovi ordini religiosi, cresce il numero dei missionari. Si è parlato di temporalismo sociale. La Storia cammina. Lo Stato pontificio finisce sullo sfondo, non è più oggetto di rivendicazione. Il popolo cattolico inizia ad avere, anche quando “ortodosso” e ubbidiente, una sua presenza e vivacità, deve valutare le situazioni concrete. La Chiesa opera attraverso questo popolo, non pensa più al “principe cristiano” ma la gerarchia si riserva il diritto-dovere di giudicare (in particolare la politica ecclesiastica degli Stati). Le associazioni sanno che c’è un limite alla loro azione ma la situazione non è più come prima.

La sostanziale continuità

Altrettanto interessante quanto si muove nell’ambito della riflessione più interna alle strutture ecclesiastiche. Nasce un movimento biblico per la ripresa della lettura delle Scritture (prima sospettata sempre di protestantesimo), nasce un primo movimento ecumenico, in generale si riflette sul rapporto scienza-fede. Soprattutto il modernismo, movimento composito, fu l’espressione dei nuovi orientamenti, il personalismo di Maritain in seguito creò cultura per l’agire politico dei credenti, indicherà che ci può essere una antropologia cristiana. Soprattutto nuove emergenze mettono all’ultimo posto il problema del potere temporale del papa. La Grande Guerra, il socialismo ed il comunismo, il fascismo e il nazismo al potere diventano le vere questioni per la Chiesa e per i cattolici. Ma la posizione dottrinale ed istituzionale della Chiesa, ereditata dai decenni precedenti, per come si era definita nel passaggio centrale del XX settembre ha contato molto, in modo diretto o indiretto, nella Chiesa nei decenni successivi nel determinarne l’arroccamento, la rigidità dottrinale, il ruolo del papa e della curia con le sue rigide gerarchie e il forte accentramento nelle decisioni. Per cenni, ricordiamo il Catechismo di Pio X, l’enciclica Pascendi contro il modernismo (che riprende lo stile della Quanta cura), il codice di diritto canonico del 1917, l’abbandono a se stessi dei leaders del Partito popolare, i Patti Lateranensi (in qualche modo una specie di rivincita sul XX settembre) che rafforzarono il fascismo. Un caso esemplare di violenza antievangelica fu l’emarginazione di Ernesto Buonaiuti, “uno dei più belli ingegni che abbia avuto l’Italia” (A. C. Jemolo). Il pontificato di papa Pacelli, dovrà poi affrontare vicende come la seconda guerra mondiale e il consolidamento del comunismo nel mondo. Egli resta erede della linea che sostiene e giustifica la insostituibile funzione pedagogica e orientativa della Chiesa nei riguardi della società politica con un giudizio ambivalente nei confronti della democrazia. In questa situazione per molti aspetti ancora di continuità con la rigidità della Chiesa di Pio IX si arriva a papa Giovanni XXIII.

Il Vaticano II cambia la storia della Chiesa

Tutti i fermenti che circolavano, in modo spesso sotterraneo nella Chiesa, soprattutto fuori d’Italia, ebbero modo di esprimersi nel Concilio Vaticano II e a prevalere grazie a un papa che aveva studiato la storia della Chiesa e che era vissuto fuori dal circuito curiale del cattolicesimo italiano, prima a confronto con l’Ortodossia, poi a Parigi. Il Concilio rovesciò completamente gli assi portanti della Chiesa dei tempi di Pio IX. Il rapporto col mondo (il famoso incipit della Gaudium et spes), l’idea di Chiesa (collegialità, Chiese locali, laicato), la libertà di coscienza e la libertà religiosa, il ritorno alla Bibbia, il giudizio sui privilegi ecclesiastici e altro aprirono alla Chiesa le possibilità di un nuovo ascolto di quanto avveniva nella società. La Pacem in terris e la Populorum Progressio, che hanno fatto parte del momento e dello spirito del Concilio, hanno amplificato ulteriormente la voce della Chiesa e soprattutto hanno dato risposte di fede che incontravano le domande di tanti credenti. Quando Montini, prima da cardinale e poi da papa, disse che bisognava “ringraziare la divina Provvidenza” per la fine del potere temporale e che non c’era più “nessun rimpianto, nessuna nostalgia né tantomeno alcuna segreta velleità rivendicativa” non faceva che esprimere una posizione ormai largamente maggioritaria nel popolo cattolico. Erano passati cento anni da Porta Pia. Una opinione consistente continua a sostenere la continuità del Vaticano II con tutta la storia della Chiesa. È un punto di vista fondato sulla volontà di leggere dei contenuti del Concilio solo quelli omogenei (qualcuno ne è rimasto) con una visione riduttiva e angusta della Chiesa e del messaggio di Gesù. Il più autorevole interprete di questa posizione è stato Benedetto XVI in ripetuti interventi.

Il tentativo di fare marcia indietro dopo il Concilio

Nell’occasione di questi 150 anni ho fatto questo excursus storico per richiamare alla memoria dove eravamo e per ragionare su dove siamo ora. Nei cinquant’anni successivi al Concilio quella che sembrava una strada aperta, densa di speranza e di un nuovo modo liberante di vivere la fede si è ristretta, è stata in parte deviata, a volte è stata esplicitamente bloccata. La struttura centrale della Chiesa si è rafforzata, la ricerca teologica è stata spesso mortificata proprio quando nuove comprensioni della storia esprimevano una nuova fedeltà alla Parola, un nuovo protagonismo femminile nelle comunità cristiane è rimasto isolato, le difficoltà a farsi ascoltare dalle strutture ecclesiastiche sono continuate, una nuova alleanza, in forme particolari, si è organizzata tra il trono dei grandi poteri dell’economia nel mondo e l’altare di quelli che santificano il “sabato”, che usano violenza contro gli “ultimi”, che, recitando il rosario, stanno dietro alle guerre e alla crescita delle disuguaglianze nel mondo ed usano la religione per interessi del tutto mondani. Questa alleanza non è stata veramente contrastata. Per quanto riguarda i rapporti con lo Stato il nuovo Concordato del 1984 ha perso l’occasione di assumere i contenuti conciliari e si è limitato a una modernizzazione dei Patti Lateranensi. I due papati hanno contribuito in parte, o non hanno ostacolato come avrebbero dovuto, questo corso così da tenere bloccata la Chiesa. Il momento peggiore è stato quello della beatificazione di Pio IX il 3 settembre del 2000, nello stesso giorno di quella di papa Giovanni. Abbiamo ampiamente motivato il nostro radicale dissenso sulla canonizzazione dei papi, di tutti i papi (o almeno essa avvenga a secoli di distanza). In questo caso poi abbiamo ritenuto un errore imperdonabile quello relativo a papa Mastai Ferretti perché essa è rientrata nella logica che vuole ignorare la forte discontinuità nella storia della Chiesa tra il Vaticano I e il Vaticano II, mettendo sullo stesso piano Pio IX e Giovanni XXIII. Quanto alla riforma della Chiesa che essa sia ancora urgente e necessaria abbiamo cercato, dal basso con le nostre possibilità, di dimostrarlo negli ultimi anni intervenendo sulle principali questioni e chiedendo cambiamenti con spirito costruttivo e di dialogo. Siamo stati e siamo poco ascoltati. C’è l’incapacità di parlarsi, in particolare tra quelli che ritengono di essere gli unici depositari di ogni interpretazione del Vangelo e i cosiddetti “laici”. Anche in questa occasione vogliamo sperare che questa ricorrenza non sia celebrata solo con belle parole o con rievocazioni solo storiche come ha fatto il gesuita Giovanni Sale sulla “Civiltà Cattolica” di questo mese. Per esempio, proprio il prestigioso quindicinale dei gesuiti potrebbe cogliere l’occasione per ripensare, in modo autocritico, su come ha informato su quelle vicende dall’inizio (la “Civiltà Cattolica” aveva scritto, al momento della sua convocazione, che il Vaticano I serviva solo a proclamare l’infallibilità del papa, oltre che a fare propri, per acclamazione, tutti i contenuti del Sillabo) e su quanto si possa dire ora sulle differenze tra la Chiesa di Porta Pia e quella del Vaticano II. La stessa proposta vale naturalmente per la generalità della stampa cattolica e dei movimenti cattolici.

Papa Francesco esprime la voce universale della Chiesa sui problemi del mondo

Il nostro interesse al XX settembre e la nostra convinzione che esso sia stato “manovrato” dalla Provvidenza ci è poi reso molto piacevolmente evidente dalla situazione relativamente recente che abbiamo davanti col magistero di papa Francesco. Dopo il potere temporale dello Stato pontificio, dopo aver mediocremente usato della libertà del papato da vincoli temporali (l’anticomunismo di Wojtyla e l’eurocentrismo di papa Ratzinger) abbiamo un papa che parla veramente in nome dell’umanità con visione veramente universale, in nome di credenti e di non credenti, sulle questioni generali. Papa Francesco è in difficoltà nel riformare la Curia, nel fermare gli scandali, nell’affrontare davvero la questione della presenza femminile nella Chiesa, vincolato come è da troppe strutture ecclesiali retrograde. Ma sullo scenario internazionale si muove con una grande evangelica libertà di analisi, di giudizio, di denuncia e di proposta. Quanto ha detto sulla questione dell’ambiente del nostro pianeta, sulla nuova generale corsa alle armi nucleari e sulle guerre, e sulle diffuse disuguaglianze e sofferenze nel mondo è espressione del Vangelo e conferisce alle sue parole un’autorità straordinaria perché libera dai poteri, dai nazionalismi, dalle culture settarie che pesano sull’umanità in questa fase difficile della storia.

                                                                                           Vittorio Bellavite

                                                           Coordinatore nazionale di “Noi Siamo Chiesa”

Roma, 20 settembre 2020