Preghiere poesie

IL DIO CHE CI PORTIAMO DENTRO

IL DIO CHE CI PORTIAMO DENTRO

Diceva il mistico Eckhart: “Chiamo Dio ciò
che è nel più profondo di noi stessi e nel
punto più alto delle nostre debolezze e dei
nostri errori”: E la Yourcenar affermava che
solo chi muore “sa dare un nome al Dio che
porta dentro”.

È molto più difficile accettare che ogni uomo
è un embrione di Dio e che la casa di Dio è
solo il cuore dell’uomo, di quanto sia accettare
un Dio onnipotente fuori dalla nostra vita
e dalla nostra storia.

Sentirsi Dio dentro è farsi carico di una responsabilità
che pochi sono disposti ad accettare.
Meglio affidarsi al Dio dei dogmi e
delle chiese.

È ben più difficile essere fedeli alla propria
coscienza che alle leggi esterne, per il semplice
motivo che la coscienza è la più esigente
di tutte le leggi.

Né la si può beffare, come si può fare con le
leggi. Essa è più severa; è la parte più profonda
di te, che ti dice con chiarezza e con
piena autenticità quando sei infedele al meglio
di te.

I cristiani predicano una “stoltezza” alla quale
neppure loro credono del tutto: che Dio “si fece
carne” e pertanto dolore, ma anche gioia, piacere,
amore in tutte le sue espressioni. Altrimenti
si sarebbe fatto angelo, spirito. No. Si
è fatto uomo, con tutte le sue conseguenze,
con tutte le sue miserie e le sue sublimità.
Ma uomo.

Per questo il dato più certo di ogni religione
sarebbe che Dio è soltanto ciò che di divino
l’uomo si porta dentro.

           Juan Arias

A MARIA, DONNA VERA

Santa Maria, donna vera, icona del mondo femminile umiliato in terra d’Egitto, sottomesso alle sevizie dei faraoni di ogni tempo, condannato al ruolo di abbrustolirsi la faccia dinanzi alle pentole di cipolle, e a cuocere i mattoni per la città dei prepotenti, noi ti imploriamo per tutte le donne della terra.

Da quando sul Calvario ti trafissero l’anima, non c’è pianto di madre che ti sia estraneo, non c’è solitudine di vedova che tu non abbia sperimentato, non c’è avvilimento di donna di cui non senta l’umiliazione.

Se i soldati spogliarono Gesù delle sue vesti, il dolore spogliò te dei tuoi prestigiosi aggettivi. E apparisti semplicemente donna, al punto che il tuo unigenito morente non seppe chiamarti con altro nome: «Donna, ecco tuo figlio».

Tu che rimanesti in piedi sotto la croce, statua vivente della libertà, fa’ che tutte le donne, ispirandosi alla tua fierezza femminile, sotto il diluvio delle sofferenze di ogni specie, al massimo pieghino il capo ma non curvino mai la schiena.

Santa Maria, donna vera, icona del mondo femminile che ha intrapreso finalmente le strade dell’ esodo, fa’ che le donne, in questa faticosa transumanza quasi da un’ èra antropologica all’ altra, non si disperdano come gli Ebrei «nel mare dei giunchi». Ma sappiano individuare i sentieri giusti che le portino lontano dalle egemonie dei nuovi filistei. E perché la tua immagine di donna veramente riuscita possa risplendere per tutte, come la nube luminosa nel deserto, aiuta anche la tua Chiesa a liberarti da quelle caparbie desinenze al maschile con cui ha declinato, talvolta, perfino la tua figura.

Santa Maria, donna vera, icona del mondo femminile approdato finalmente nella Terra Promessa, aiutaci a leggere la storia e a interpretare la vita, dopo tanto maschilismo imperante, con le categorie tenere e forti della femminilità.

In questo mondo così piatto, contrassegnato dall’intemperanza del raziocinio sulla intuizione, del calcolo sulla creatività, del potere sulla tenerezza, del vigore dei muscoli sulla morbida persuasione dello sguardo, tu sei l’immagine non solo della donna nuova, ma della nuova umanità preservata dai miraggi delle false liberazioni.

Aiutaci, almeno, a ringraziare Dio che, se per umanizzare la terra si serve dell’uomo senza molto riuscirei, per umanizzare l’uomo vuol servirsi della donna: nella certezza che stavolta non fallirà.

 

                                                                          +  don Tonino Bello

Preghiera per chi si trova in carcere

Signore Gesù, io sono un/a carcerato/a,

avrei più tempo dei monaci certosini per pregarti…ma tu sai quanto sia difficile pregare per un carcerato.

E’ difficile pregare e credere,quando ci si sente abbandonati dall’umanità.

Anche per te fu difficile pregare sulla croce e gridasti la tua angoscia,

la tua delusione, la tua amarezza.“Perché, perché mi hai abbandonato?”

Un perché, che sulle tue labbra era diverso……perché tu eri “innocente”.

Anche tu fosti un carcerato, un torturato,un imputato e un condannato.

Ad un tuo compagno di condanna, pentito e Fiducioso in Te, hai assicurato il Paradiso. Lo hai proclamato Santo.

A Te Signore, vittima viva di tutte le ingiustizie commesse dalla giustizia umana, rivolgo il mio grido.

Accettalo come preghiera. Tu scusi, perdoni, dimentichi. Io, però, non voglio essere commiserato da nessuno: voglio che si creda in me, nella mia ri-generazione. Non voglio rinunciare ad essere, voglio credere che

almeno Tu, il più giusto ed innocente dei condannati della storia sarai capace di capire le mie lacrime, la mia rabbia.

Tu sei l’unico filo di speranza vera. Signore Gesù, dammi la fede nella vera libertà che è dentro di me.

E che nessuno può strapparmi.

Preghiera per la pace

Preghiera per la pace

P. Carlo Maria Martini

O Dio nostro Padre, ricco di amore e di misericordia, noi vogliamo pregarti con fede per la pace, addolorati e umiliati come siamo a causa degli episodi di violenza che hanno insanguinato e insanguinano Gerusalemme, città il cui nome evoca subito il mistero di morte e di risurrezione del tuo Figlio, di Gesù che ha donato la sua vita per riconciliare ogni uomo e ogni donna di questo mondo con te, con se stessi, con tutti i fratelli. Città santa, città dell'incontro eppure città da sempre contesa, da sempre crocifissa e sulla quale il tuo Figlio, i profeti e i santi hanno invocato la pace.

Noi vogliamo pregarti con fede per la pace in tanti altri paesi del mondo, per i numerosi focolai di lotte e di odio; vogliamo pregarti per gli aggressori e per gli aggrediti, per gli uccisi e gli uccisori, per tutti i bambini che non hanno potuto conoscere il sorriso e la gioia della pace.

E' vero, Signore, che noi stessi siamo responsabili del venire meno della pace, e per questo ti supplichiamo di accogliere il nostro accorato pentimento, di donarci una volontà umile, forte, sincera per ricostruire nella nostra vita personale e comunitaria rapporti di verità, di giustizia, di libertà, di carità, di solidarietà. Ti confessiamo i nostri peccati personali e sociali: il nostro attaccamento al benessere, i nostri egoismi, le infedeltà e i tradimenti a livello familiare, la pigrizia e lo sciupio delle energie vitali per cose vane e frivole, dannose, il nostro voltare la faccia di fronte alle miserie di chi ci sta vicino o di chi viene da lontano. Vivendo così, non abbiamo forse pensato di renderci responsabili della distruzione di quell'edificio invisibile che è la pace. La pace terrestre è riflesso della tua pace che tu ci doni e ci affidi, nasce dal tuo amore per l'uomo e dal nostro amore per te e per tutti i fratelli.

Cambia il nostro cuore, Signore, perché siamo noi i primi ad avere bisogno di un cuore pacifico. Purificaci, per il mistero pasquale del tuo Figlio, da ogni fermento di ostilità, di partigianeria, di partito preso; purificaci da ogni antipatia, da ogni pregiudizio, da ogni desiderio di primeggiare.

Facci comprendere, o Padre, il senso profondo di una preghiera vera di pace, di una preghiera di intercessione e di espiazione simile a quella di Gesù su Gerusalemme. Preghiera di intercessione che ci renda capaci di non prendere posizione nei conflitti, ma di entrare nel cuore delle situazioni insanabili diventando solidali con entrambe le parti in contesa, pregando per l'una e per l'altra. Noi vogliamo abbracciare con amore tutte le parti in causa, fiduciosi soltanto nella tua divina potenza. Se noi preghiamo perché tu dia vittoria all'uno o all'altro, questa preghiera tu non l'ascolti; se ci mettiamo a giudicare l'uno o l'altro, la nostra supplica tu non l'ascolti.

Manda il tuo santo Spirito su di noi per convertirci a te! Non ci illudiamo di superare le nostre inquietudini interiori, i rancori che ci portiamo dentro verso un popolo o verso un altro se non lasciamo spazio allo Spirito di gioia e di pace che vuole pregare in noi con gemiti inenarrabili. E' lo Spirito che ci fa accogliere quella pace che sorpassa ogni nostra veduta e diventa decisione ferma e seria di amare tutti i nostri fratelli, in modo che la fiamma della pace risieda nei nostri cuori e nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità e si irradi misteriosamente sul mondo intero sospingendo tutti verso una piena comunione di pace. E' lo Spirito che ci aiuta a penetrare nella contemplazione del tuo Figlio crocifisso e morto sulla croce per fare di tutti un popolo solo.

E tu, Maria, Regina della pace, intercedi affinché il sorriso della pace risplenda su tanti bambini sparsi nelle varie parti del mondo, segnate dalla violenza e dalla guerriglia; veglia sulla tua terra, su Gerusalemme, suscita nei suoi abitanti desideri profondi e costruttivi di pace, desideri di giustizia e di verità. Noi ti promettiamo di non temere le difficoltà e i momenti oscuri e difficili, purché tutta l'umanità cammini nella pace e nella giustizia, così che si avveri pienamente la parola del profeta Isaia: "Ho visto le vostre vie e voglio sanarle [...] Pace, pace ai lontani e ai vicini, dice il Signore, io guarirò tutti"

 

 

II DOMENICA DI AVVENTO ANNO B

    II DOMENICA DI AVVENTO  ANNO B

Dal vangelo secondo Marco 1, 1- 8

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:  Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

La domanda ce la siamo posta tutti: perché il femminicidio di Giulia Cecchettin ha scosso e smosso più degli altri femminicidi (più di cento nel solo 2023)? Le ragioni sono molte e sono nascoste nella profondità del cuore umano e nella pancia della nostra società. Ma credo di non sbagliare se dico che in questa dolorosa e drammatica vicenda papà e sorella di Giulia hanno fatto la differenza. Hanno lasciato che il male squarciasse la loro vita e la loro carne, ma non hanno permesso al dolore di aprire le porte dell’odio, del rancore e della vendetta. Si sono ritrovati piegati dalla tragedia, ma non si sono spenti, adagiati e ammutoliti. Non si sono chiusi nel mutismo che la morte violenta vorrebbe imporre a chi piange e non hanno gridato in modo scomposto. Hanno parlato sottovoce, ma con parole ferme e chiare; hanno chiesto di non esorcizzare la violenza di genere con il silenzio di rito, ma hanno invitato a fare rumore; hanno chiesto presenza, coinvolgimento e vicinanza perché il ritrovarsi soli in presenza del dolore e del male spegne la voglia di vivere. E hanno ricordato – a tutti, nessuno escluso – che l’amore vero non offende, non umilia, non picchia e non uccide. Mai.

Il discorso del papà di Giulia al funerale della sua amata figlia (che, come è stato detto in molte occasioni, andrebbe letto in classe, a scuola e nei contesti formativi) ha – infine – consegnato all’intero Paese una direzione da percorrere per dare all’educare la forza di costruire uomini e donne capaci di reggere tanto le fatiche quanto le sconfitte della vita senza mai cedere alla scorciatoia della violenza.

In pratica – e non credo di essere il solo a convivere con questi pensieri – la famiglia di Giulia ha tracciato il sentiero e la direzione delle reazioni quando la morte bussa alle nostre case e soprattutto quando è la violenza a spegnere la vita delle persone care.

Papà, sorella e fratello di Giulia si sono fatti carichi non solo del loro dolore, ma anche del disorientamento del nostro Paese che constata oggettivi fallimenti educativi per indicarci una strada nuova da percorrere: più umana e meno all’insegna della fragilità saldata con la violenza.

Ma è proprio questa la funzione del profeta: dirci come muoverci e dove andare quando il dolore, la fatica o l’errore annebbia la nostra vista; quando tutti percorrono scorciatoie che allontanano dalla mèta e quando si è tentati dal seguire la folla, la moda o le emozioni del momento. Giovanni Battista è il profeta che spiega a chi cerca un senso al proprio vivere che solo Gesù ci dice chi siamo e ci indica dove andare e come procedere.

Ma per sentire la voce di Giovanni Battista è necessario uscire dal rumore della folla e decidere – una volta per tutte – di entrare in quello spazio di silenzio, di serietà, di raccoglimento e di spiritualità autentica che si chiama deserto. Chi cerca la verità su sé stesso incontra la risposta ai suoi dubbi e alle sue speranze – Gesù di Nazaret – solo se ha il coraggio di uscire dalle sue paure per attraversare il deserto-silenzio che immette nella gioia generata dal vivere con Lui e per Lui (che significa, poi, vivere con i fratelli e per i fratelli!).

Preghiamo spesso, come chiesa, perché il buon Do susciti vocazioni sacerdotali e religiose per le nostre comunità. Preghiamo meno (quasi mai) perché il buon Dio ci apra gli occhi e ci faccia incontrare i profeti che, ancora oggi, sono in grado di consegnarci le parole giuste per vivere allontanandoci dalla superficialità che tutto brucia e distrugge.

Il profeta non si si sostituisce a Gesù. Non gli copre la voce e la Parola. Con le sue parole, però, il profeta avvicina la nostra vita alla presenza che libera e che salva. Per usare le parole di Giovanni Battista: ci ricorda che dopo di lui viene uno più forte di lui che ci cerca per immergere le nostre vite nell’amore di Dio che ci ama per primo. Ed è di questi profeti che abbiamo bisogno. Soprattutto oggi che anneghiamo tra parole inutili, false o al solo servizio della pubblicità o della ricerca del consenso.

Abbiamo bisogno di profeti che ci insegnino ad ascoltare la sola Parola che ci insegna a tacere e a parlare; a fare silenzio e a fare rumore; a piangere e a rialzarsi; a difendere la propria famiglia, ma ad aprirsi anche alla comunità tutta e alla fraternità universale.

Abbiamo bisogno di profeti che ci ricordino che la fragilità è forza se non entra nella spirale della violenza e che camminare sotto la pioggia è il solo modo per andare avanti e per scoprire che, inevitabilmente e grazie a Dio, le lacrime non hanno il potere – mai – di indurire il cuore e di spegnere la bellezza del sorriso.

Il sacrifico di Giulia non è stato inutile. Ci ha fatto scorgere profeti in mezzo a noi capaci di riportarci alla forza del Vangelo, alla bellezza di Giovanni Battista e dei suoi successori che Dio ci dona perché ognuno di noi incontri il senso della vita.

                                        

                                                                   Preghiera dei piccoli  

                   

Caro Gesù,   a scuola abbiamo studiato che la parola “vangelo” significa “buona notizia” ed era usata dai romani per dare a tutti l’annuncio di una vittoria in guerra.  Chissà quali “buone notizie” possono nascere da guerre, morti e  distruzioni varie.  Ed è per questo motivo che gli evangelisti prendono la parola usata dall’Imperatore e la saldano a Te, Gesù: per dire a tutto il mondo che nessun imperatore ci salva e che solo Tu, Gesù, sei la buona notizia che tutti cerchiamo.

Gesù lo sai: sono in tanti i grandi che non guardano più il telegiornale perché stanchi delle brutte notizie.

Gesù, aiutami a capire che solo Tu ci porti la buona notizia che ci salva. E rendimi un tuo postino: pronto a portare la Tua gioia a chi sta male.

Gesù è la prima volta che mi preparo al Natale con l’aiuto del Vangelo e della mia comunità.

 

Preghiera d'abbandono

Preghiera d'abbandono

«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» Lc 23,46.

«È l’ultima preghiera del nostro Maestro, del nostro Beneamato… Possa essere la nostra… E sia non soltanto quella del nostro ultimo istante, ma quella di tutti i nostri istanti.»

 

 

Padre mio,

io mi abbandono a te,
fa di me ciò che ti piace.

Qualunque cosa tu faccia di me
Ti ringrazio.

Sono pronto a tutto, accetto tutto.
La tua volontà si compia in me,
in tutte le tue creature.
Non desidero altro, mio Dio.

Affido l'anima mia alle tue mani
Te la dono mio Dio,
con tutto l'amore del mio cuore
perché ti amo,
ed è un bisogno del mio amore
di donarmi
di pormi nelle tue mani senza riserve
con infinita fiducia
perché Tu sei mio Padre.
 

 

Questa è la preghiera comune a tutti coloro che si richiamano a Charles de Foucauld in ogni parte del mondo; è stata perciò tradotta in numerose lingue.

Charles non l’ha scritta tale e quale: è stata tratta da una meditazione più ampia scritta nel 1896, nella quale cercava di unirsi alla preghiera di Gesù sulla croce.

 

 

XXXIII DOMENICA ANNO A

                XXXIII DOMENICA ANNO A  con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo di Matteo 25, 14 – 30

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque». «Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». «Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».

 

La parabola dei talenti è nota. Anche se spesso riduciamo i talenti di cui parla Gesù alle qualità naturali che ci provengono dalla nascita. In realtà i talenti di cui parla il Vangelo di questa domenica sono i beni che abbiamo ricevuto dopo la nascita. Possiamo anche farne un piccolo elenco: la Parola di Dio, lo Spirito Santo, la comunità cristiana, il nostro Oratorio, il servizio che ci è stato donato in questa povera, ma ricca chiesa, etc. Si tratta di “beni” che ci vengono donati dal Padre buono del Signore Gesù sempre secondo le capacità di ciascuno.

Bella questa sfumatura. Il Dio di Gesù ci conosce personalmente. Non ci tratta tutti allo stesso modo perché è consapevole che siamo diversi e dunque che non possiamo essere omologati da un unico modo di fare. Rischiamo di dimenticarlo, ma è anche questo un tratto della bontà di Dio. Prima di parlare delle nostre capacità personali, la parabola dei talenti ci presenta la bontà di Dio il quale non è un Dio ragioniere che affida “talenti” per poi riprenderli con avarizia e severità fiscalità. San Matteo ci chiede di riconoscere nel Padre di Gesù il Dio buono che dona e che diventa, per noi e con noi, la fonte del nostro vivere per gli altri e che ci rende “dono per gli altri”.

Lo sappiamo. Solo chi si avverte caricato da Dio di doni, di bontà e di amore è capace – poi – di vivere per gli altri e di farsi buono come il pane per aiutare e servire chi è nel bisogno. E solo chi si lascia immergere dalla bontà di Dio riesce a spegnere dentro di sé le brutte dinamiche della gelosia e dell’invidia. Senza il coraggio di chiamare “doni” i beni ricevuti dal Dio del Signore Gesù, si entra nella competizione, nel confronto continuo con l’altro per scoprirsi poi carichi di gelosia e di invidia. Se quanto ricevuto lo si riconosce come dono, diventa normale mettere al servizio della comunità e della chiesa tutta la propria vita. Non ha molta importanza il ruolo o il compito che ci è stato affidato. L’essenziale è scoprirsi utili per gli altri. Consapevoli che ognuno è unico, originale e prezioso per il bene di tutti. Spendere i propri talenti perché la comunità sia più bella e meno ferita dall’avarizia dell’individualismo, è il senso del proprio vivere. Riconoscenti verso il Dio buono che ci tratta in modo unico e personale, si diventa orgogliosi della propria diversità e si impara a correre incontro al fratello per dare a ciascuno ciò che lo aiuta a stare meglio e ad uscire dalla sua fatica, sofferenza o povertà.

Ma che dire di chi ha paura di impegnarsi e di coinvolgere i beni ricevuti in dono e li nasconde sotto terra? È il discepolo che non ha maturato una corretta concezione di Do. Per questo discepolo, Dio non è il Padre buono di Gesù che abilita ogni battezzato ad amare con la forza del Suo amore (solo la coscienza di essere amati da Dio ci mette in grado di amare il fratello che ci è accanto!). Quando si arriva ad avere paura dei doni ricevuti da Dio è perché si riduce il Dio di Gesù ad un padrone cattivo, duro e severo che vuole punirci. Ma non dimentichiamolo mai: la paura di Dio blocca, irrigidisce, anestetizza la nostra vita fino ad allontanarci dalla gioia del dare e del servire.

Sfumatura importante: non è Dio che punisce il discepolo che nasconde il suo talento sotto terra. È lui stesso che decidendo di vivere barricato nel suo egoismo si ritrova paralizzato dalla tristezza e dalla solitudine generata dalla paura di amare e di rischiare l’amore

L’invito del Signore Gesù in questa fredda domenica di novembre è forte e chiaro: allontanare dalla nostra vita tre precise parole cariche di veleno: paura, pigrizia e rischio. Fidarsi del Dio di Gesù è l’esatto opposto del vivere con paura la nostra relazione con Lui. Anche quando si ha l’impressione che il Dio di Gesù sia lontano, assente o distratto rispetto alla nostra esistenza, Lui è presente come Padre buono e non si stanca di cercarci, oltre qualsiasi nostro dubbio. La pigrizia è invece quella sottile malattia che ci spinge a posticipare e a progettare per dopo ciò che va fatto adesso, ora, subito. È vero: viviamo nel nord del Mondo, dove è facile fare niente o essere pigri. Molti di noi corrono tanto e forse anche troppo. Si lavora sempre. E questo ci induce a pensare che non siamo “pigri”. Più in profondità però spendiamo tutte le nostre energie per fare denaro per “me”, ma siamo “pigri” quando si tratta di sostenere la nostra spiritualità e di aiutare in modo intelligente e generoso chi ci chiede aiuto La parabola vuole ricordare al lettore che se si corre solo per se stessi non si vede il fratello che ci vive accanto e – sfumatura ancora più profonda – si tratta di un insegnamento di Gesù per convincere ciascuno di noi che il dopo di tante nostre promesse può anche non arrivare. Per il semplice motivo che è arrivato troppo tardi e che non è più possibile fare quell’azione, quel gesto, quella visita o quell’atto di carità e di amore.  Non avere paura di fare il bene, osare e rischiare anche quando il buon senso è contro di noi e quando tutto sembra dirci che tanto non ha senso amare e provare a vincere il male con il bene, è il comportamento giusto di chi, al termine della sua corsa, si sentirà dire: “Bene, servo buono e fedele – sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Buona domenica a tutti e buon 20 Novembre: Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e della adolescenza..

 

                                                                                                            Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                       i servi non vengono trattati tutti allo stesso modo, ma “secondo le capacità di ciascuno” (al primo vengono dati cinque talenti, due al secondo e uno all’ultimo). 

Secondo me è questo l’insegnamento bello della Tua parabola.

Per noi la vera giustizia è dare a tutti la stessa parte.  Tu però sei più buono di noi. Rispetti le nostre diversità. E chiedi a ciascuno di noi di usare i suoi talenti per il bene degli altri. Senza avarizia e senza invidia.

Sai cosa c’è scritto sul mio libro di scuola? Che “fare parti uguali tra diseguali è il massimo dell’ingiustizia”. L’ha detta don Milani. Un prete-maestro che viveva vicino a Firenze.

Una volta non la capivo questa frase. Oggi mi è chiara.

Grazie Gesù. Mi cambi sempre punto di vista (e mi spingi a spendermi per gli altri senza mai invidiare nessuno).

 

12 NOVEMBRE: FESTA DEGLI ANNIVERSARI DI MATRIMONIO

DOMENICA 12 NOVEMBRE 2023: FESTA  DEGLI ANNIVERSARI DI MATRIMONIO

SAN MARTINO DI TOURS

 Mi presento: sono il silenzio

 Per favore. Lasciatemi, una volta tanto, prendere la parola.
Lo so che è paradossale che il silenzio parli. E' contrario al mio carattere schivo e riservato...

Vivere davvero

Vivere  davvero

 

"Vivere una sola vita,
in una sola città,
in un solo paese,
in un solo Universo,
vivere in un solo mondo è prigione.

Amare un solo amico,
un solo padre,
una sola madre,
una sola famiglia,
amare una sola persona è prigione.

Conoscere una sola lingua,
un solo lavoro,
un solo costume,
una sola civiltà,
conoscere una sola logica è prigione.

Avere un solo corpo,
un solo pensiero,
una sola conoscenza,
una sola essenza,
avere un solo essere è prigione".


            (Nkjock Ngana, poeta del Camerun)

INNO - COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI

INNO - COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI

Oh, non piangiamo inutili pianti:
di bianche stole vestite la morte
di questi servi che han tutto donato
e della vita han fatto un battesimo.

Noi siamo grati a voi e al Signore
per questo giorno di dolce memoria:
quanti ricordi ci legano ancora
con tutti voi, fratelli e sorelle!

Di molti il dono serbiamo di grazia,
di molti l’esser vissuti assieme:
un’amicizia più forte del sangue,
e gioia d’essere vostri eredi.

Vero suffragio sarà conformare
sui forti esempi le opere nostre:
questa la pace che voi cercate,
e i figli sian per sempre fedeli.

La nostra Madre che avete servito
or vi introduca nel Regno atteso:
quanto è vero il suo canto c’insegni,
quanto gli uomini sono beati.

           (da “la nostra preghiera” – pag. 1524)

Vieni, Signore. di P. David Maria Turoldo

Vieni, Signore. di P. David Maria Turoldo

Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte:
e, dunque, vieni sempre, Signore.

Vieni in silenzio,
noi non sappiamo più cosa dirci:
e, dunque, vieni sempre, Signore.

Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo:
e, dunque, vieni sempre, Signore.

Vieni, figlio della pace,
noi ignoriamo cosa sia la pace:
e, dunque, vieni sempre, Signore.

Vieni a liberarci,
noi siamo sempre più schiavi:
e, dunque, vieni sempre, Signore.

Vieni a consolarci,
noi siamo sempre più tristi:
e, dunque, vieni sempre, Signore.

Vieni a cercarci,
noi siamo sempre più perduti:
e, dunque, vieni sempre, Signore,

Vieni, Tu che ci ami:
nessuno è in comunione col fratello
se prima non è con Te, o Signore.

Noi siamo lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo:
vieni, Signore,
vieni sempre, Signore.

La preghiera di un vescovo

La preghiera di un vescovo

SCONFITTI NEL SANGUE INNOCENTE

I fiumi di Babilonia, Ninive, Samaria, Kfar Aza, Gaza

Ieri lungo i fiumi di Babilonia (Sl 137,9; Is 13,16)
i tuoi piccoli sfracellati contro la pietra!
A Ninive lungo le strade (Naum 3,10)
i suoi bambini furono sfracellati!
Samaria sconta la sua pena (Os 14,1)
e i suoi piccoli saranno sfracellati!

Oggi Kfar Aza, kibbutz insanguinato
da grida sgomente!
A Gaza scorre copioso il sangue
di bambini senza colpa.

Orrore scorre dalla vendetta
ruscello cruento irriga una terra
senza più vita
arida e senza Dio.
Chi tornerà a seminarla?

Quale immensa sconfitta
in una vittoria dal sapore aspro
nello scempio di volti innocenti!
Quanto dovrà piangere Dio
sulla nuova Gerusalemme?

E’ questo il prezzo della guerra:
sconfitta di tutti!
Dalla morte resta
terrore e dolore
su volti impietriti.

Non siamo ideologie ma vita!

Uomini impastati di terra
ma plasmati d’eterno
soffio divino
che si espande nei respiri.

Fratelli non bestie!
Abbattiamo ogni spirale di guerra
in Israele come in Palestina
torniamo a seminare giustizia
e pur nelle doglie partoriamo pace.

Don Pino Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina e vescovo di Tricarico.