IL VESCOVO LUIGI BETTAZZI

20-07-2023 - Notizie

IL VESCOVO LUIGI BETTAZZI   di Enzo Bianchi

 

Il Vescovo Luigi Bettazzi è sempre stato un grande amico, mio personale e della comunità di Bose. Negli anni ’60, quando ero solo a Bose, e in seguito, quando la fraternità nascente era vista negativamente per la presenza di cristiani cattolici, protestanti e ortodossi, lui veniva a trovarmi: partecipava alla nostra preghiera e accoglieva l’invito alla nostra tavola, consolandoci e confermandoci nella fede e nella vocazione monastica. Negli anni successivi mi coinvolse in molte iniziative ecclesiali facendomi partecipare come relatore ai tre sinodi diocesani e ad altre assemblee pastorali.

            È poi sempre tornato con regolarità a Bose, di solito il 15 agosto, festa di Maria Assunta, e in occasione degli incontri e dei convegni ecumenici. Quando è avvenuto l’allontanamento da Bose di me, di altri due fratelli e di una sorella ha cercato la riconciliazione tra noi e la comunità recandosi anche a Bose e incontrando il priore allora in carica e l’economo, senza trovare una porta aperta dall’altra parte. È venuto anche più volte a Torino a pranzo da me mostrandomi sempre amicizia fedele e fraternità ecclesiale.

            Ieri, alla notizia che era giunta la sua ultima ora, mi sono recato da lui, al suo letto di morte. Era lucido, gli occhi ancora aperti e subito mi ha mostrato la sua gioia stringendomi la mano. C’era anche il Vescovo di Biella, mons. Farinella. Bettazzi ha preso le sue mani, le ha incrociate con le mie e ha evocato la riconciliazione: voleva che il Vescovo facesse di tutto per la riconciliazione tra la comunità e i fratelli allontanati. Poi si è segnato con il segno della croce. Abbiamo pregato il Padre Nostro, il Magnificat e il Vescovo ha letto le Beatitudini. È anche intervenuto il Vescovo di Ivrea, mons. Cerrato.

            Poi Giuliana è tornata per bagnargli le labbra con acqua mentre io gli tenevo la mano nella mia. A un certo punto ho pregato dal rito della morte: “Parti anima cristiana nel nome del Padre che ti ha creata, nel nome del Figlio che ti ha redenta, nel nome dello Spirito santo che ti ha santificata”. Il Vescovo Luigi si è ancora segnato con il segno della croce, poi è entrato in un sonno profondo e nel giorno del Signore, nell’ora della resurrezione di Cristo, ha fatto il suo transito da questo mondo al Padre.

            Diciamo solo un grazie al Signore che ci ha dato un tale testimone: per noi è stato colui che ci ha confermato nella fede, consolato nelle prove, amico dei poveri e degli ultimi.

 

Un uomo libero, mite, ma fermo,  la Chiesa non lo ha capito.

 

Intervista a Enzo Bianchi, a cura di Paolo Griseri

 

L'ultima sera, nel castello vescovile di Albiano, sulla Serra di Ivrea, a vegliarlo sono stati il vescovo di Biella, monsignor Farinella, e Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose. In serata è arrivato anche l'attuale vescovo di Ivrea, Edoardo Cerrato.

 

Bianchi, come sono state le ultime ore di Bettazzi?

 

«Monsignor Bettazzi è morto in serenità. Possiamo dire che il suo modo di morire è stato l'ultimo messaggio di pace della sua vita. È stata l'epifania di un uomo che è sempre stato di pace senza rancori e senza nostalgie, sicuro del suo messaggio».

 

Quali le sue ultime parole?

 

«Non parlava più. Ma capiva. Annuiva quando il vescovo di Biella leggeva le beatitudini. Ha ascoltato con attenzione quando gli ho letto le preghiere dei morenti. Era lucido e consapevole che si stava compiendo il suo destino».

 

Qual è la sua eredità spirituale?

 

«È l'eredità del Concilio Vaticano cui lui aveva partecipato. La scelta dei poveri, l'impegno per la pace, certo. Ma soprattutto la libertà del confronto nella chiesa».

 

Messaggio difficile da applicare…

 

«Sia chiaro: nessuno dei pontefici ha mai messo in discussione gli insegnamenti del Concilio. 

Diciamo che Giovanni Paolo II e in parte Benedetto XVI hanno fornito interpretazioni restrittive di quel messaggio. Non tanto sui temi della povertà e della pace (pensiamo che cosa ha fatto Giovanni Paolo II per la pace nel Golfo) quanto sul nodo della libertà di confronto nella chiesa».

 

Monsignor Bettazzi ha pagato per la sua idea di libertà nella Chiesa?

 

«Certamente. Ha pagato perché non gli sono stati riconosciuti, all'interno della Chiesa, i meriti che aveva».

 

Chi non glieli ha riconosciuti?

 

«Mah, c'è una burocrazia a Roma che frena gli stessi messaggi che vengono dai Papi. Succede anche oggi con Francesco. Vedremo ora se il sinodo che si apre a ottobre supererà questo problema».

 

A Bettazzi che cosa si rimproverava?

 

«Immagino la sua franchezza, la sua libertà di pensiero che non sempre si allineava con quella dei vescovi italiani. Colpisce che un uomo che è vissuto cristianamente, un uomo mite ma fermo, non certo un eretico rivoluzionario, che viveva in povertà in un castello fatiscente della diocesi di Ivrea, abbia subito questa emarginazione».

 

Qual è stato il suo rapporto con la Comunità di Bose?

 

«Fin dall'inizio ci ha incoraggiato. E non era facile. A metà degli anni Sessanta, quando non avevamo nessuna approvazione del vescovo di Biella che ci escludeva, lui veniva a trovarci e a confrontarsi con noi».

 

E in anni più recenti, quelli della crisi della Comunità?

 

«Lui ha sempre cercato con impegno una riconciliazione. Posso dire che è stato, insieme al cardinale Martini, il vescovo più vicino a noi. E anche nei due anni del mio esilio a Torino veniva a pranzare a casa mia. È stato sempre di grande aiuto per la nostra comunità».