Preghiere poesie

Ringraziamento fine anno di don Tonino Bello

Ringraziamento fine anno  di don Tonino Bello

 

Eccoci, Signore, davanti a te.
Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato.

Ma se ci sentiamo sfiniti,
non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto,
o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei.

È perché, purtroppo, molti passi,
li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue:
seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera,
e non le indicazioni della tua Parola;
confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre,
e non sui moduli semplici dell'abbandono fiducioso in te.

Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno,
sentiamo nostre le parole di Pietro:
"Abbiamo faticato tutta la notte,
e non abbiamo preso nulla".

Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente.
Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto,
ci aiuti a capire che senza di te,
non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.

Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell'anno,
esigono il nostro rendimento di grazie.

Ti ringraziamo, Signore,
perché ci conservi nel tuo amore.
Perché continui ad avere fiducia in noi.

Grazie, perché non solo ci sopporti,
ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi.

Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi.
Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini.

Anzi, ci metti nell'anima un cosi vivo desiderio di ricupero,
che già vediamo il nuovo anno
come spazio della speranza e tempo propizio
per sanare i nostri dissesti.

Spogliaci, Signore, di ogni ombra di arroganza.
Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza.
Donaci un futuro gravido di grazia e di luce
e di incontenibile amore per la vita.

Aiutaci a spendere per te
tutto quello che abbiamo e che siamo.
E la Vergine tua Madre ci intenerisca il cuore.
Fino alle lacrime.

SANTO NATALE 2022

SANTO NATALE  2022 con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo secondo Luca 2, 15-20

Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

 

Abbiamo tutti l’impressione che le luci del Natale 2022 non abbiamo la forza di rischiarare le tenebre da cui proveniamo. E non soltanto perché la crisi energetica incide pesantemente sulle nostre economie domestiche, ma anche perché il male sembra davvero eccessivo. Dopo la pandemia che ha spento moltissime luci di speranza di affetti cari, siamo stati colpiti dalla siccità e dai cambiamenti climatici che ci hanno ricordato che abbiamo oltrepassato linee dalle quali è molto difficile tornare indietro. L’aggressione poi dell’Ucraina da parte della Russia di Putin ci ha portato la guerra in Europa. Nei nostri mari e sulle nostre montagne – da non dimenticare – si continua a morire di freddo o annegati per scappare da fame, da guerre e da campi di concentramento disumani. E – dulcis in fundo – l’emergere di una corruzione a livello gigantesco all’interno delle istituzioni europee ci ha – definitivamente per così dire – tagliate le gambe (“È una vicenda troppo grossa per parlarne” – mi ha detto Carla, 69 anni e nonna – siamo spiazzati. Disorientati”).

Qualcuno ha ipotizzato che si tratta di castighi divini “mandati” dal Cielo per scuoterci dai nostri peccati e dalla nostra incredulità. E a questo proposito voglio ribadire, con forza, che non appartiene allo stile di Dio “mandare” sulla terra calamità, guerre, corruzioni e violenze varie. Se queste tristi realtà ci vivono accanto è perché il cuore umano le ha fatte entrare nella nostra storia. Ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare che la sola realtà che il buon Dio “ha mandato” sulla Tera è il Suo Figlio.

In principio era il Verbo”. Ed il significato è tanto bello quanto solenne. Per dirci che prima ancora della creazione, nel cuore di Dio abitava il Verbo: il Suo Progetto di creare per amore l’uomo per immergerlo in quel giardino che era la Terra e per farlo diventare come Lui. Siamo stati pensati, amati e voluti da Dio prima ancora che il mondo fosse creato, ci dicono queste cinque parole. E quando Dio ha visto che l’uomo si è allontanato dalla strada dell’amore tracciata per lui, non ha scelto di “chiudere” con il Suo Progetto d’amore. Dio non si è pentito di aver fatto l’umo e non lo ha abbandonato al suo destino. Ha “mandato” sulla Terra il Suo Figlio Gesù – il Suo Progetto d’amore per noi – perché ognuno di noi possa trovare le luci sufficienti per diradare le nebbie della fatica di vivere.

Il Mistero del Natale è esattamente questo: Dio ci dona (e ci “manda”) la Sua Parola per contrastare e per fermare le tante parole inutili e nocive che ci mangiano la speranza. E mai come quest’anno abbiamo bisogno di parole vere, solide e soprattutto in grado di aiutarci a ritrovare i sentieri della libertà, dell’onestà, della pace e della fraternità.

Dobbiamo reimparare ad accogliere quella Parola che si chiama Gesù e che è la sola che ci sa guidare sulla strada della felicità (che il Vangelo chiama beatitudine).

Senza la Parola-Gesù siamo tutti stanchi, depressi e storditi da mille suoni che – di fatto – non hanno la forza di diventare voce, presenza, consolazione e “parole di libertà”

In principio era il Verbo” sono cinque parole che devono impastarsi con la nostra vita fino a diventare respiro, preghiera, prassi e movimento tanto del cuore quanto delle mani. Accogliere quella Parola significa prendere coscienza che “a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Significa che accogliere il Suo amore rende la nostra umanità come quella di Gesù: liberata dal peccato e disponibile a dare, a donare, a perdonare, ad amare e a servire. Come ha fatto Gesù. Ed eccoci agli auguri:

  • Il Signore Gesù accolto da ciascuno di noi ci renda capaci di opporre, alle parole negative che ci circondano, la bellezza della Sua presenza e della Sua bontà.
  • La Sua Parola renda le nostre case luoghi di fraternità e di perdono dove il noi vince l’io e ogni forma di egoismo.
  • Natale 2022 ci liberi dalla solitudine che diventa isolamento per un vivere troppo barricato su sé stessi. E a chi si sente solo, isolato e dimenticato chiedo, propongo e auguro di rovesciare le parti e iniziare a cercare chi è più solo di lui.
  • Le nostre comunità cristiane diventino spazi di profezia e progetti capaci di guardare avanti senza nostalgie e senza rimpianti. La società cristiana di ieri non c’è più. Ma non è assolutamente detto che la società di oggi sia meno bella o meno meritevole di impegno.
  • E a chi si sente sopraffatto dalle ombre del tempo presente, auguro di “ruminare” – giorno dopo giorno – quella Parola che non scioglie come una bacchetta magica i nodi del vivere, ma che impasta la nostra vita con la mentalità e la persona di Gesù che è il solo pane quotidiano che sazia la nostra voglia di infinito.

Un cordiale, intenso e vero augurio di Buon Natale. Immerso e impiantato nella fiducia che il Signore Gesù ci dona la possibilità di diventare Figli di Dio.

 

 Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

il don a catechismo ci ha detto che la preghiera chi si trova all’inizio del Vangelo di San Giovanni si chiama Prologo. E poi ha aggiunto: tante parole belle e difficili per dire a tutto il mondo che Tu sei Parola.

Subito non ho capito.

Poi mi sono detto che se Tu sei Parola io non sono mai solo perché Tu, Gesù-Parola, mi parli, mi ascolti, mi tieni sempre compagnia e mi insegni a “parlare” senza dire le bugie e senza mai offendere l’altro.

Grazie Gesù.

Sono giorni brutti questi che stiamo vivendo. Tantissimi bambini vivono in mezzo alle guerre e ai bombardamenti. I grandi per la politica litigano sempre. Per le strade nessuno sorride. E tutti parlano solo di corruzione.

Abbiamo bisogno di Te, Gesù, e del Tuo essere Parola vera. Parola di gioia e Parola di Pace.

Abbiamo bisogno del Tuo Natale, Gesù.

IV DOMENICA DI AVVENTO anno A

IV DOMENICA DI AVVENTO anno A

Dal Vangelo secondo Matteo 1, 18 - 24

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Non tutto ciò che si sogna è bene che si realizzi. Così come non ha senso realizzare un sogno a qualsiasi prezzo. Si pensi al “sogno” dei mondiali in Qatar, in quel piccolo stato monarchico della penisola araba che è costato, a livello economico, 220 miliardi di dollari mentre, in termini di vite umane, si parla di più di 10.000 morti per la realizzazione degli stadi. Tutti manovali e operati provenienti dal Nepal, dall’Afghanistan e messi a lavorare senza sicurezze sociali per un pezzo di pane, come documenta Matteo Pinci su La Repubblica del mese scorso: “A volte dovevamo lavorare per dodici ore...  E se eravamo malati, dovevamo andare lo stesso a lavorare. Ribellarsi? Pessima idea: in Qatar l'associazione sindacale è ancora vietata: "E poi i datori di lavoro non amano avere gente che protesta. Se avessimo protestato saremmo stati licenziati o la polizia ci avrebbe potuti arrestare”.

È ovvio che questi particolari non fanno onore al Sogno e nemmeno al Paese e perché il mondo intero senta parlare del Qatar come “di un Paese all’avanguardia nei diritti dei lavoratori” (quanto ha dichiarato la Vice Presidente Kaily in Parlamento Europeo), niente di meglio che corrompere altolocati politici dell’Unione Europea perché dichiarino il falso in cambio di generose ricompense. Il resto è cronaca. Valigie piene di soldi (1 milione e mezzo di euro in banconote) sequestrate dai magistrati in casa di parlamentari ora indagati e sospesi. Come a dire: alcuni sogni si trasformano in incubi. Soprattutto se si passa da vite lussuose alle fredde celle del carcere.

Il Sogno di Giuseppe è di tutt’altra natura. Intanto non nasce dall’ambizione. Ciò che l’angelo del Signore affida al giovane Giuseppe è un compito di cura perché si faccia carico di Maria che è diventata mamma del Figlio di Dio. Da adesso in poi mamma e Figlio sono affidati alle sue cure. Giuseppe deve perciò accogliere, proteggere e occuparsi del Figlio di Dio come se fosse suo Figlio (“ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù”) e – allo stesso tempo – accompagnare e affiancare Maria in questo straordinario compito di nuova a inimmaginabile genitorialità.

Senza la “spinta” dell’angelo, Giuseppe non era pronto a questa missione. Era persino offeso con Maria, ma per non condannarla a morte con una denuncia che l’avrebbe portata alla lapidazione, aveva deciso di “ripudiarla in segreto”.

Da adesso in poi tocca al lettore e a ciascuno di noi fare tesoro della grandezza di Giuseppe. A partire dal suo concetto di giustizia che è così alto da spingerlo a rinunciare ad un suo diritto pur di salvare la vita alla ragazza amata. E poi con il suo coraggioso stile intriso di silenzio. Sta per prendersi cura della Parola che si fa carne-bambino-figlio e come prima risposta: aderisce alla richiesta, si rende disponibile e tace.

Ma torniamo al sogno. San Matteo sembra che ci voglia comunicare che perché il sogno sia umano, liberante e fonte di serenità deve essere aperto al servizio e sorretto dalla giustizia e dalla capacità di fare silenzio, di tacere. Tutto ciò che esce da questi orizzonti, rischia di trasformarsi, prima o poi, in un incubo.

Penso ai nostri giovani. E mi domando chi ha ancora la forza di dire loro che il senso della vita è dato dal prendersi cura di chi il Signore ci mette accanto e non dall’inseguire successo, celebrità, vittorie e valigie piene di denaro frutto di corruzione?

Il senso del Natale è anche questo: lasciare che l’angelo del Signore ci affidi il Bambino Gesù perché ognuno di noi si prenda cura di Lui e di Sua mamma presenti in tutti i piccoli che, accanto alle loro mamme, ci chiedono aiuto, protezione, abbracci, giustizia e … meno parole e più accoglienza.

Bella la conclusione del passo: “Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Quel “prese” può essere tradotto anche con “accogliere”. Per dire che ogni “sogno” è vero solo se si misura con l’accoglienza del più debole.

Buona novena di Natale.      

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

secondo me esistono due tipi di sogni.

Uno riguarda se stessi: si sogna di diventare un campione o di fare successo nel mondo del cinema, della canzone, etc.

L’altro modo coinvolge gli altri. E allora si sogna di andare in Africa per aiutare chi muore di fame oppure si sogna di inventare la medicina che fa guarire i bambini ammalati (come Mirko, il mio compagno, che sta facendo scuola dove lo hanno ricoverato).  Gesù insegnami a sognare bene e per gli altri.

Ogni volta che sogno – nel sonno o ad occhi aperti – aiutami a fissare san Giuseppe che nel suo sogno impara a prendersi cura di Te bambino e di Tua mamma.  E grazie Gesù perché oggi mi hai insegnato a sognare e a pensare cose grandi. Non per me, ma per aiutare chi ha bisogno anche del mio servizio. 

       Aiutaci a fermare le guerre, Gesù.

papa Francesco, Angelus del 18-12-2022

«Fratelli, sorelle, che cosa dice Giuseppe oggi a noi? Noi pure abbiamo i nostri sogni, e forse a Natale ci pensiamo di più, ne parliamo insieme. Magari rimpiangiamo alcuni sogni infranti e vediamo che le migliori attese devono spesso confrontarsi con situazioni inattese, sconcertanti. E quando questo accade, Giuseppe ci indica la via: non bisogna cedere a sentimenti negativi, come la rabbia e la chiusura, questa è la via sbagliata! Occorre invece accogliere le sorprese, le sorprese della vita, anche le crisi, con un’attenzione: che quando si è in crisi non bisogna scegliere di fretta secondo l’istinto, ma lasciarsi passare al setaccio, come ha fatto Giuseppe, “considerare tutte le cose” (cf. v. 20) e fondarsi sul criterio di fondo: la misericordia di Dio. Quando si abita la crisi senza cedere alla chiusura, alla rabbia e alla paura, ma tenendo aperta la porta a Dio, Lui può intervenire. Lui è esperto nel trasformare le crisi in sogni: sì, Dio apre le crisi a prospettive nuove, che noi prima non immaginavamo, magari non come noi ci aspettiamo, ma come Lui sa. E questi sono, fratelli e sorelle, gli orizzonti di Dio: sorprendenti, ma infinitamente più ampi e belli dei nostri!»

papa Francesco, Angelus del 18 dicembre 2022

III DOMENICA DI AVVENTO ANNO A 

III DOMENICA DI AVVENTO ANNO A  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 11, 2 – 11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

 

Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?”. Non è soltanto una domanda. È anche un grido di dolore, uno sfogo e un rimprovero. Giovanni Battista è in carcere. Ed è stato portato in prigione non perché ha commesso dei reati o dei crimini, ma perché non ha fatto sconti ad Erode sul suo adulterio (e lui, il potente, non ha gradito la sua franchezza). Ancora oggi le prigioni rendono deboli e disperati (nei primi undici mesi del 2022 in Italia si sono suicidati 76 persone nelle carceri italiane). Figuriamoci ai tempi di Gesù. Giovanni Battista è privato della libertà, della luce, della dignità e da quell’inferno in cui è stato collocato sente parlare di Gesù che alcuni associano al Messia tanto atteso.

La domanda è obbligata: ma se Lui – mio cugino che non ho mai visto – è il Messia, perché non libera i prigionieri (!), perché non stermina i nemici del popolo di Israele (i romani) e perché non vendica il male che abbiamo subito? Il cuore umano è fatto così: ha sete di infinito, cerca Dio giorno e notte, ma poi piega queste sue aspettative ai suoi bisogni ultimi. È stato così per Giovanni Batista, ma è così anche per noi. Lui sta male, è in carcere e chiede al “suo” messia di portarlo fuori da una condizione disumana. Noi non siamo molto diversi da lui: quando siamo fragili e segnati dalla debolezza ci rivolgiamo al Dio dei nostri desideri a partire dai nostri bisogni (“Fa guarire mio figlio, aiutami a trovare lavoro convinci mia moglie o mio marito a tornare con me…”). E se le nostre richieste non vengono esaudite siamo tentati di cercar un altro “messia”, un altro “Dio”.

Il grido e il rimprovero di Giovanni Battista va in questa direzione: “Se sei il Messia portami fuori da questo carcere. Altrimenti aspetterò un altro Messia”.

Gesù – esperto di umanità – conosce molto bene questi meccanismi del cuore. E sa che nella debolezza ognuno di noi è più esposto al rischio della preghiera interessata e forse anche al ricatto rivolto a Dio. Gesù non condanna la domanda/rimprovero di Giovanni Battista. La prende sul serio. La ascolta. E manda dei suoi discepoli a riferirgli che quella fragilità Lui la prende sul serio. Al punto da aiutare chi sta male a trovare – con l’aiuto della Parola di Dio – un senso al suo soffrire. Gesù non è una bacchetta magica che soddisfa le nostre richieste all’istante. Gesù si muove diversamente: si rende vicino a chi sta male e con l’offerta della Parola di Dio lo aiuta a capire che anche in quella condizione negativa Dio è presente per portare sollievo e aiuto.

E beato è colui che non torva in me motivo di scandalo”, aggiunge Gesù. Per dire che un “dio” che stermina i nemici, che vendica chi ha ricevuto il torto o che toglie malattie e dolori a sua discrezione, non è un “dio” dal volto umano. Anche Gesù è stato arrestato, condannato e ingiustamente ucciso (Giovanni Battista è stato, senza nemmeno immaginarlo, precursore di Gesù anche nella sua condizione finale!). Il Dio di Gesù non è pero intervenuto per cambiare il senso della storia o per renderlo vittorioso sui nemici. Ha permesso al male di avanzare sul corpo del suo Figlio Gesù e ha chiesto a chi era “scandalizzato” dall’impotenza di Gesù di cogliere nella Sua debolezza la forza e la bellezza di un Dio che ha scelto di abitare nella debolezza.

Giovanni Battista è grande, ci dice san Matteo, perché ha saputo uscire dalla sua vecchia concezione di Dio ed è riuscito a guardare avanti: oltre le sue attese e i suoi schemi mentali. Giovanni Battista è grande perché ha capito che Dio non lo ha mai abbandonato (nemmeno in carcere) e perché con l’aiuto della Parola di Dio ha scoperto che Gesù era con lui: pronto a spiegargli il senso del suo vivere, delle sue scelte e persino del suo soffrire.

Natale significa prendere coscienza – con l’aiuto del Vangelo – che il Dio di Gesù è con noi. Vicino a noi. Accanto alla nostra forza, ma anche alle nostre fragilità. E quando ci accorgiamo che Lui è il Dio-con-noi, la vita si incammina sul sentiero della libertà e del servizio verso i ciechi, i poveri, gli zoppi, i sordi e tutti coloro che cercano aiuto.

E noi: quale domanda poniamo a Gesù? Quale rimprovero gli rivolgiamo? E dopo lo sfogo e la protesta perché abbiamo l’impressione che non ci consideri: siamo disposti ad ascoltare la Sua risposta e l’invito ad ascoltare la Sua Parola? Siamo consapevoli che il Do di Gesù si farà trovare nella debolezza di un bambino che ci chiede di prenderci cura di lui?

Natale sarà esattamente come lo abbiamo preparato. Buone domande a tutti.                             

 

                                                         Preghiera dei piccoli    

Caro Gesù,                         

            anche mio papà è in carcere. Giovanni Battista, però, non aveva figli. Il mio papà invece ne ha due. E con il suo arresto siamo stati puniti anche noi perché non possiamo crescere con papà vicino.

Forse a Natale verrà qualche giorno a casa con noi. In permesso. E io di questo sono molto contento anche perché non mi ricordo più cosa voglia dire avere papà in casa.

Grazie Gesù per l’immagine della “canna sbattuta dal vento”. Mi ha ricordato una favola letta in classe e scritta per insegnarci che nella vita dobbiamo certamente “chinarci” per aiutare i “poveri”, senza mai – però – “piegarci” per fare accordi disonesti. La maestra dice che dobbiamo tenere la schiena diritta.

Bello anche sapere che il Vangelo è annunciato ai poveri. Vuole dire che vieni per aiutare anche quelli poveri come noi.

Grazie Gesù perché ci sei vicino anche in questa brutta situazione.

Papa Francesco, Angelus del 4 dicembre

«Cari fratelli e sorelle, Giovanni, con le sue “reazioni allergiche”, ci fa riflettere. Non siamo anche noi a volte un po’ come quei farisei? Magari guardiamo gli altri dall’alto in basso, pensando di essere migliori di loro, di tenere in mano la nostra vita, di non aver bisogno ogni giorno di Dio, della Chiesa, dei fratelli. Dimentichiamo che soltanto in un caso è lecito guardare un altro dall’alto in basso: quando è necessario aiutarlo a sollevarsi; l’unico caso, gli altri non sono leciti. L’Avvento è un tempo di grazia per toglierci le nostre maschere – ognuno di noi ne ha – e metterci in coda con gli umili; per liberarci dalla presunzione di crederci autosufficienti, per andare a confessare i nostri peccati, quelli nascosti, e accogliere il perdono di Dio, per chiedere scusa a chi abbiamo offeso. Così comincia una vita nuova. E la via è una sola, quella dell’umiltà: purificarci dal senso di superiorità, dal formalismo e dall’ipocrisia, per vedere negli altri dei fratelli e delle sorelle, dei peccatori come noi, e in Gesù vedere il Salvatore che viene per noi – non per gli altri, per noi – così come siamo, con le nostre povertà, miserie e difetti, soprattutto con il nostro bisogno di essere rialzati, perdonati e salvati».

               papa Francesco, Angelus del 4 dicembre 2022

II DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

II DOMENICA DI AVVENTO  ANNO C  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 3, 1-12   

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

 

Come cristiani che abitano nel nord Italia siamo chiamati anche noi ad esprimere solidarietà ai fratelli di Ischia colpiti dalla tragedia che ha causato morti, distruzione del territorio e sfollati. Ma dobbiamo anche pregare il Dio di Gesù perché il Suo Spirito consoli chi si è visto cambiare la vita da questa vicenda e perché dia la forza alle Istituzioni pubbliche di porre dei rimedi a questo dramma e – allo stesso tempo – di impedire che simili eventi si ripetano. E al di là dei giudizi veri, falsi, frettolosi e inutili che in tanti e forse in troppi si sono affrettati a formulare sui fatti di Ischia, resta il fatto che questa tragedia ci ricorda che se la casa non è costruita sulla roccia prima o poi crolla e porta in rovina chi la abita. L’immagine della casa costruita sulla roccia è di Gesù (Matteo 7, 24-27) e nel suo insegnamento il Maestro non si riferisce a tecniche urbanistiche necessarie per impedire che le montagne crollino spazzando strade, case e vite umane. Gesù parla per immagini e la casa della metafora è un forte richiamo alla vita in sé, al progetto esistenziale a cui ognuno di noi affida il senso del suo procedere e degli obiettivi che ci siamo posti per essere beati o, come si dice oggi, realizzati e contenti di vivere.  Con il suo grido lanciato dal deserto, Giovanni Battista non fa altro che ricordare a chi lo ascolta che solo Gesù è la “roccia” su cui possiamo fondare con certezza di realizzazione la nostra vita: “preparate la via del Signore”. Come a dire: accogliete Gesù se volete vivere in modo pieno; fategli spazio; ascoltate il Suo Vangelo e assumete la Sua mentalità che libera dall’egoismo e dalla paura di amare.

In questa seconda domenica di Avvento il profeta e martire della Parola che siamo soliti conoscere con il nome di Giovanni Battista ci ricorda che per imparare a parlare ha dovuto recarsi nel deserto per apprendere l’arte dell’ascolto. Ed ecco la duplice lezione che ci viene impartita. La prima: per imparare a parlare dobbiamo esercitarsi e apprendere l’arte del tacere e dell’ascoltare. Seconda: non solo le difficoltà, le crisi, le fatiche o le oscurità della vita sono una tragedia senza senso. Quasi sempre sono il “deserto” nel quale possiamo crescere, cambiare stile di vita e rivedere gli obiettivi prefissati. Senza mai dimenticare che nel “deserto” delle nostre crisi e nel prendere le distanze dal rumore del facile e falso successo, ognuno di noi può affinare il suo orecchio per imparare ad ascoltare la Parola di Gesù che ci scuote, che ci rende veri e che ci libera dalle parole inutili e dalle parole intrise di veleno. È così per tutti, anche se molti provano a negare le difficoltà o a curarle con distrazioni di ogni tipo: soldi, feste, fughe, viaggi o accuse sempre e solo rivolte agli altri.

Giovanni Battista è severo, ma il suo tono forte e austero non è per incutere timore o per paralizzare. L’esatto contrario: ci vuole scuotere da un torpore che fa male e da quella indifferenza nella quale, spesso senza accorgercene, scivoliamo. La sua parola è schietta e diretta al cuore. Ai farisei e ai sadducei che lo cercano per mettersi a posto la coscienza, lo scomodo profeta ricorda che non sono le pratiche religiose che salvano e che non basta provenire da una famiglia religiosa per dirsi credenti (“Abbiamo Abramo per padre”).

Per costruire la casa sulla roccia è indispensabile cambiare strada, dice Giovanni Battista. E lasciare che la Parola di Gesù ci aiuti a prendere coscienza che il regno dei cieli è vicino. Ed ecco allora la buona notizia: il Vangelo di Matteo ci conferma e ci comunica che non siamo “lanciati” in un mondo dominato dal caso o, peggio ancora, dal caos. Non siamo in balia delle onde della storia che ci sballottano come relitti di una nave devastata e ormai distrutta. Siamo in cammino verso quel Regno di Pace, di giustizia e di libertà che inseguiamo ogni giorno e che non incontriamo lontani dal Vangelo che rende presente, in mezzo a noi, il Signore Gesù.

Il dono dell’Avvento ha proprio questo significato: prepararci a vivere il Natale come tempo dell’incontro con la Parola di Gesù senza la quale la nostra storia perde il suo sapore e il suo valore. E per sostenere questa preparazione, la chiesa ci dona – in questa domenica – la figura di Giovanni Battista che è credibile perché per primo ha abitato il deserto, perché imparato a comunicare grazie all’ascolto della Parola di Dio e perché ha parlato in modo forte, chiaro e senza mai fare sconti a nessuno.

Esattamente ciò di cui abbiamo tutti bisogno. Buona Avvento.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù

Giovanni Battista, tuo cugino, un po’ mi fa paura. Mi sembra troppo severo.

Anche Tu quando è necessario sgridi, ma lui usa parole e toni durissimi. Parla di una “scure” che taglia gli alberi che non danno frutto; parla del fuoco che brucia.

Tu invece all’albero che non fa frutti dai ancora una possibilità e quando i tuoi discepoli vogliono lanciare un “fuoco” che consumi chi non vuole riceverti, Tu li blocchi e li rimproveri. Grazie Gesù perché sei severo con il peccato, ma buono con chi sbaglia. E grazie perché non neghi mai la Tua misericordia a chi ha bisogno di essere perdonato.

Oggi tutti fanno a gara per chi è il più grande. Lui, invece, sa che sei Tu il più grande e che solo seguendo Te diventiamo buoni.  Sei forte Gesù. Anzi, come dice Giovanni: “sei il più forte”! E grazie per il dono dell’Avvento.

I DOMENICA DI AVVENTO ANNO A

I DOMENICA DI AVVENTO  ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 24, 37-44

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Un dato è certo: se la Chiesa italiana mettesse in atto le strategie proposte da alcuni partiti per porre un rimedio al calo di partecipazione alla vita sacramentale di cui siamo tutti testimoni, le nostre comunità cristiane si svuoterebbe nel giro di pochi mesi. Anche perché fede e sacramenti – per volontà del Signore Gesù e del suo Vangelo – non si acquistano. Illudersi che la partecipazione alla vita cristiana possa aumentare grazie ad incentivi economici, significa non sapere che il movimento della fede è – per sua natura – sganciato da incentivi monetari, da mance e da retribuzioni di qualsiasi tipo. Sposarsi in chiesa significa, per due battezzati che vogliono camminare insieme per il resto della vita, riconoscere che la loro sfida è possibile solo se restano immersi nella comunità di cui fanno parte e dalla quale ricevono il nutrimento del Vangelo e del pane eucaristico. Senza comunità cristiana, anche il matrimonio cristiano, con o senza 20.000 euro, è esposto al rischio di ritrovarsi in quella “solitudine a due” che ingenuamente quasi tutti pensano di curare con la separazione e la costruzione di una nuova vita di coppia.

Nella Prima Domenica di Avvento Matteo è molto chiaro: mangiare, bere, prendere moglie e prendere marito sono azioni che appartengono al vivere. Ciò che conta è non lasciare che il tran tran della vita – dice l’evangelista – ci travolga al punto da “non accorgersi di nulla”. Se questo accade, ci si ritrova chiusi in sé stessi e “sordi” alle fatiche di chi ci vive accanto. Si mangia, si beve, ci si sposa e si lavora (anche tanto), ma non si capisce il senso della vita e si è perennemente insoddisfatti. L’evangelista è molto chiaro: l’indifferenza verso gli altri (la “mia” casa, i “miei” figli, i “miei” soldi, il “mio” mutuo, le “mie” ferie, la “mia” carriera, la “mia” pensione, etc.) è – di fatto – il terreno sassoso sul quale non riesce attecchire la buona notizia del Vangelo. Anche perché “non accorgersi del fratello che ci vive accanto”, è sinonimo di non percepire la presenza del Signore Gesù che – vicino a noi – continua a cercarci, tanto nel campo come alla mola.

Come direbbe Pier Giorgio Frassati, non si fa il male. Ma non si fa nemmeno il bene. E in questo “vivacchiare” senza grosse colpe e senza attenzioni al prossimo, ci si ritrova stanchi dentro. Spenti. Delusi dalla vita anche se ci illudiamo di raggiungere un futuro che ci sembra a portata di mano e che – come nei peggiori sogni – non riusciamo mai ad agganciare e a fare nostro.

L’Avvento ci ricorda però che non stiamo correndo verso un futuro ignoto e inarrivabile, ma che siamo in cammino verso il Dio di Gesù che ci viene incontro (“Avvento” vuole dire che “viene verso di noi”) per renderci – finalmente – liberi, beati e capaci di dare un senso al nostro bere, mangiare, sposarsi e lavorare. Siamo tutti nel campo della vita. Tocca a noi accorgersi che Lui ci è accanto, ci parla e ci spinge a vivere per gli altri, per scoprire che è solo nel dare e nel servire che si realizza la nostra vita.

E quante riflessioni ci propone questo benedetto Avvento. Non ci eravamo accorti che eravamo fragili e che una pandemia ci avrebbe messo in ginocchio perché non preparati. Non ci siamo accorti che il Pianeta si è ammalato e che tra siccità e alluvioni siamo ad un passo dalla malattia irreparabile dell’unica Terra che abbiamo. Ma non ci siamo accorti nemmeno che la Pace, data per scontata, non è un bene assoluto, acquisito una vola per tutte. E ora che la guerra è vicino a noi siamo spaventati e disorientati. Così come non ci siamo accorti che l’Italia è diventato un Paese di anziani con una denatalità che pregiudica pesantemente la qualità dello sviluppo dei prossimi decenni.

L’Avvento è un dono perché si capisca che non si vive per mangiare, bere, prendere moglie e prendere marito, ma l’esatto opposto: siamo chiamati a mangiare, a bere e a prendere moglie e marito per vivere. E se ci accorgiamo che Lui ci chiama e ci chiede di aprirci al fratello, il nostro vivere diventa pieno, bello, intenso e ricco di grazia. Buona Avvento. A tutti e a ciascuno.             

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

         ho fatto il compito che ci ha dato il don (“Chiedete a parenti e amici che cosa stanno aspettando di importante)” ed ecco il risultato: mio nonno “aspetta” la pensione; mia zia “aspetta” un bambino; mio papà la Pace e mia mamma “aspetta” che la chiamino per un lavoro.

Hai ragione Tu, Gesù: non si può vivere senza aspettare qualcosa o qualcuno.

Gesù insegnami ad aspettare non solo cose per me (giocattoli, vacanze o feste) ma dammi un cuore grande capace di chiedere il bene soprattutto per gli altri.

E visto che la mia maestra dice che io mi distraggo troppo, ti prego Gesù: fa che mi “accorga” della Tua presenza nella mia vita di ogni giorno: a scuola, in oratorio, in strada e anche in casa.

Grazie Gesù perché Natale sarà come lo abbiamo atteso e come lo abbiamo preparato. E grazie per il dono dell’Avvento.

 

XXXIV DOMENICA ANNO C FESTA DI CRISTO RE

XXXIV DOMENICA  ANNO C  FESTA DI CRISTO RE  con preghiera dei piccoli                 

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23,35-43)

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

La solennità di Cristo Re è stata istituita da Pio XI l’11 dicembre 1925 con l’Enciclica Quas Primas, ma era da circa 25 anni che ampi segmenti della chiesa cattolica chiedevano al Papa di promuovere questa celebrazione annuale. Una solennità pensata e voluta per costruire un argine e una critica ai totalitarismi e ai regimi che, agli inizi del ‘900, chiedevano ai popoli un’adesione personale assoluta e che non lasciavano spazi al dissenso e alla vita democratica. Un modo per opporsi (con la debole arma della liturgia!) alla forte idolatria della Nazione che, in quel periodo, stava diventando l’altare sul quale sacrificare migliaia di vite umane con guerre, movimenti militari e repressioni varie per illudere un popolo di poter dominare sugli altri.

Nei primi decenni del secolo scorso le democrazie erano fragili. Gli arsenali erano strapieni di armi (e si sa: dopo averle fabbricate, le armi vanno usate!). La propaganda era in grado di convincere chi non aveva altre fonti di informazioni che guerre, occupazioni, invasioni o campagne militari per colonizzare ampi strati dell’Africa erano movimenti giusti e sacrosanti. Sono nate così, nel secolo scorso, due guerre mondiali che ci hanno fatto vivere in un’Europa frantumata da trincee, da scontri, da divisioni e da campagne di razzismo che hanno seminato odio, più di 80 milioni di morti (senza contare feriti, orfani e famiglie distrutte) e che hanno dimostrato l’assurdità del titolo di Nazione quando questo è pensato in contrapposizione ad altri Stati e usato per dominare un altro popolo.

Il senso della Solennità di Cristo Re era questo: ricordare a tutti i governanti del mondo che solo nonviolenza, amore, perdono e giustizia sono in grado di costruire Paesi che anziché difendersi l’uno dall’altro possono cooperare per un progetto comune e per un mondo senza guerre, liberato dai totalitarismi, dalle ingiustizie e dalle eccessive diseguaglianze che preparano le guerre.

Esaurito l’entusiasmo per i Re e per le monarchie (titoli e riferimenti più turistici e ornamentali che politici per il nostro tempo) questa Festa ha perso un po’ di smalto. Anche il titolo di “Nazione” negli anni immediatamente dopo il Concilio risultava stretto e inadatto a chi voleva dare spazio e voce a quel desiderio di fraternità universale che ci spingeva a pensare la Terra tutta come la nostra casa comune.

Decennio dopo decennio queste piccole-grandi “letture” sono state erose da istanze più piccine. Ci siamo lasciati prendere dalla paura. E ci siamo ritrovati all’interno di confini nazionali che abbiamo cominciato ad avvertire come insicuri e da rinforzare. Per difenderci da quanti – perché disperati – bussavano alle porte del nostro Paese per cercare speranza e dignità. Il titolo di Nazione è riapparso e – come era prevedibile – non si è proposto solo come sinonimo di Paese o di Italia, ma anche con quella accezione carica di orgoglio che spinge a primeggiare e a porsi sopra gli altri e, in alcuni casi, anche contro gli altri!

Cristo Re – come sempre – osserva e tace. Non ha parlato quando lo hanno arrestato e non ha proferito parole quando, inchiodato alla croce, veniva spiato e deriso dai pochi che, con cattivo gusto, si sono resi spettatori della sua crocifissione per vedere se era in grado di salvare sé stesso. Con il suo silenzio ha però reso evidente a tutti che la sola cosa che nessuno può fare è quella di salvarsi da solo e – se Dio -  si è assoggettato  anche Lui a questa legge umana per aiutare tutta l’umanità ad uscire dal delirio di onnipotenza sganciato dalla pratica dell’amore e del perdono. Perché è questo il grande dono di Cristo Re: convincerci che solo con il perdono e con il servizio il nostro amore diventa onnipotente e ci rende pienamente umani. Era imprevedibile quanto stiamo vivendo negli ultimi anni. Imprevedibile il covid e la siccità. Ma del tutto inattesa anche l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin e il suo scenario di distruzione, di morte e di migrazioni forzate. Imprevedibile anche un’Europa sempre più anziana che necessita di manodopera proveniente da altri Paesi e – allo stesso tempo – impegnata a difendere i suoi confini e a respingere chi vuole lavorare per noi.

Cristo Re non parla. Ma dall’alto della croce ci ricorda che solo il Suo Vangelo ci rende veri e che il sinonimo di amare non è dominare, ma accogliere, servire e perdonare.

Cristo Re ci ricorda che la Terra ha bisogno di ponti e non di muri; che i confini solo sicuri solo se sanno aprirsi e che ciò che la vita ci chiede è impegnarci per difendere l’ambiente e i poveri, non le nostre fragili sicurezze. "I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve” (Lc. 22, 25-26).

Buona festa di Cristo Re.

                                                                                        Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                       nemmeno in croce ti hanno lasciato in pace. Qualcuno Ti guarda solo per vedere come reagisci; altri Ti sfottono e Ti chiedono di dimostrare che hai dei super poteri e ti chiedono di usarli per salvare te stesso. Anche tra i condannati uno ti attacca. L’altro, invece, capisce chi sei realmente e Ti chiede di aiutarlo e di perdonarlo.

E anche in croce Tu pensi prima agli altri e poi a te stesso.

Grazie Gesù perché in questa pagina di Vangelo non fai molti discorsi, ma quello che insegni con la vita e con il silenzio è un qualcosa che resta per sempre nel nostro cuore.

È bello sapere che Tu, Gesù, non sei un “re” che comanda o che fa guerre, ma un Re che ama, che serve e che perdona. E grazie anche perché sei il Re Buon Pastore che ci aiuta oggi, non domani.

XXXIII DOMENICA ANNO C

XXXIII DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Luca  21, 5 -19

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Due belle caratteristiche del Dio di Gesù meritano di essere analizzate al termine di questo ricco anno liturgico. La prima è il Suo grande amore per il “pluralismo”. Si pensi a quando – a Babele – l’umanità si era illusa di arrivare al Cielo con una torre di mattoni e tutti parlavano la stessa lingua. Dio, per allontanarli dall’omologazione di un solo linguaggio, “confuse” le loro lingue e consegnò loro – come segno del Suo amore – il dono della diversità. Sono gli animali che emettono tutti lo stesso suono. Il sogno di Dio è che gli uomini scoprano, attraverso le infinite lingue che popolano il pianeta Terra, la fatica del comprendersi e tocchino con mano la gioia e la forza generata dall’accogliere l’altro. Seconda caratteristica: la sua indisponibilità a scendere a patti con “i falsi maestri”. Tanto è forte l’amore di Dio per il pluralismo tanto è determinata e severa, da parte di Gesù, la condanna nei confronti dei falsi maestri. Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino. Non andate dietro a loro”, dice Gesù a quanti lo interrogano per sapere “Quando accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?”.

Pluralismo e falsi maestri. I due grandi punti critici del nostro tempo. Da un lato siamo appiattiti dal pensiero unico e immersi in modelli tecnici e consumistici che ci hanno reso tutti uguali, ciclostilati. Siamo guidati dalla moda che decide chi siamo e chi possiamo o dobbiamo essere, ma siamo convinti di essere originali proprio perché perfettamente aderenti al cliché imposto. Allo stesso tempo – però – siamo circondati da falsi maestri che tutte le sere urlano uno contro l’altro nei loro sterili salotti mediatici per convincerci che la ragione è una sola e che “sono io” quello che la possiede.

Niente di nuovo sotto il sole, direbbe Gesù. Siamo fatti così. Viviamo male e facciamo il male, ma quando arriva il fallimento, vorremmo addossare a Dio la responsabilità di quanto sta accadendo. Per fortuna non è così. Dio non è il burattinaio della storia che distrugge edifici, che manda guerre o disgrazie di ogni tipo e che fa separare coniugi, fallire gli studi a figli pigri o che “getta” le persone nelle dipendenze dal gioco d’azzardo o di altre sostanze. Se e quando queste cose accadano, l’unico responsabile del male sulla Terra è l’uomo, non Dio. Il quale non parla mandando disgrazie sulla Terra, ma con il Suo Figlio Gesù presente nel Vangelo e con la forza del Suo Spirito riconoscibile perché suggerisce solo parole di Pace, di perdono, di non violenza, di servizio e di libertà dal rancore.

È questo ciò che i discepoli di Gesù fanno fatica a capire. Vorrebbero che Gesù dicesse loro che il Tempio di Gerusalemme è stato distrutto perché Dio voleva mandare un “segno” della fine del mondo. In realtà, dice Gesù, molte realtà crollano perché l’uomo le ha fatte male e altre finiscono perché non possono essere eterne. Anziché attribuire a Dio la responsabilità del male che ci circonda, Gesù invita i Suoi a non avere paura e a seguire l’unico Maestro che conosce per nome le sue pecore e che si prende cura di ognuno di noi.

Molti falsi maestri ci dicono ogni giorno che il male può essere chiamato bene, che rubare, tradire, sparlare o calunniare a volte può essere giustificato. Ci dicono che pensare prima a sé stessi è ormai un obbligo, visto il dilagare dell’egoismo e dell’indifferenza. E ci chiedono, ogni giorno, di difenderci dai poveri e di rimandare in Africa i migranti disperati che cercano la “terra promessa” che a noi è stata data senza fare troppo fatica per calpestarla, usarla e inquinarla. Ci ripetono fino alla noia che il diritto alla “mia” felicità è sacro e che calpestare gli altri, se appaiono come ostacolo, è un dovere sano e sacro.

La Parola di Gesù è ferma e forte: “Badate di non lasciarvi ingannare. Non andate dietro a loro”. Per poi aggiungere: Non fissatevi sulla fine del mondo, occupatevi piuttosto di non perdere di vista il fine della vita: che è lasciarsi amare da Dio e amare e servire i fratelli. Cambia l’articolo – la fine e il fine –, ma la distinzione è indispensabile per aiutare il lettore del Vangelo a capire che i falsi maestri usano anche le guerre e le rivoluzioni per parlare di sé tessi e per terrorizzarci. Lui – Gesù, l’unico e il solo Maestro – ci dice che le guerre sono nostra responsabilità e che mediare per fermarle è la sola cosa giusta che possiamo e che dobbiamo fare.

Senza dimenticare, ci dice Gesù, che il falso maestro spesso e volentieri entra anche nei luoghi religiosi, nei palazzi della Politica o si nasconde in casa (tra genitori, fratelli, parenti e amici). E anche in questo caso – ci ordina Gesù per incamminarci verso la libertà – dobbiamo non seguirli. Proveranno a farci del male? È possibile. Ci riusciranno? No, ci promette Gesù: “Nemmeno un capello del vostra capo andrà perduto.”.

Buona domenica.

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,   

la tua richiesta mi sembra molto bella. Soprattutto perché ci inviti a non seguire quelli che fanno finta di sapere sempre tutto, anche la volontà di Dio.  Anche mio papà ci ripete spesso di non ascoltare chi dice di sapere ogni cosa. E subito dopo parte con le sue raccomandazioni perché si resti umili, disposti ad imparare e pronti a fare domande (anziché dare risposte anche quando non si sa).

Gesù, a scuola ho chiesto alla maestra se anche da noi può arrivare una guerra come quelle che vediamo al televisore.

E lei ci ha detto di non avere paura, ma di impegnarci tutti e ogni giorno per fare gesti di pace. Gesù manda anche a me l’angelo che hai inviato a Maria che invita a “Non aver paura”.  E resta Tu il mio unico Maestro.

Grazie Gesù perché il nonno è tornato a casa dall’ospedale.

XXXII DOMENICA ANNO C

XXXII DOMENICA  ANNO C con preghiera dei piccoli

Dal vangelo di Luca 20, 27-38

In quel tempo, gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

 

La domanda che i sadducei pongono a Gesù è certamente strana per il nostro tempo, ma anche rivelatrice di schemi mentali che dobbiamo capire se vogliamo estrarre, dal testo, tutta la sua straordinaria vitalità. Per approfondire. La donna vedova e senza figli aveva l’obbligo, per la legge ebraica, di sposare il fratello del marito defunto per garantire al defunto l’immortalità assicurata solo dal figlio. Nella resurrezione dei giusti – ecco il senso della domanda dei sadducei – quale dei sette fratelli che hanno sposato questa donna avrà diritto al figlio e dunque all’immortalità?

Nessuna visione romantica della coppia e nessuna concezione “alta” della donna. La sposa, nel linguaggio dei sadducei, va semplicemente “presa” e “usata” per garantire, grazie al figlio, l’immortalità all’uomo, al maschio. Gesù non si riconosce in questo schema. Il matrimonio non può essere ridotto, secondo il Maestro di Nazareth, ad un “prendere” una donna da parte dell’uomo per garantirsi l’immortalità con il figlio! Ma, più in profondità ancora, Gesù ribadisce in modo perentorio che non è il matrimonio e nemmeno il figlio a “dare” l’immortalità della persona. Se questo schema fosse vero, tutti coloro che per scelta o per necessità non si sposano e quanti non hanno figli, sono esclusi dalla vita eterna. Ciò che ci immerge nella vita che non ha fine, dice Gesù, non è l’affannarsi per individuare l’elisir dell’eterna giovinezza, ma aderire alla proposta di Gesù che immette nella vita senza fine chi si lascia amare da Dio ed è disposto a riversare quell’amore sui fratelli.

Così riletto il passo è più attuale di quanto possa sembrare. Anche perché oggi come ieri il tarlo profondo che mina la serenità del nostro vivere è l’illusione di ritardare il più possibile non solo l’invecchiare, ma anche la morte. Alcuni si affidano ai soldi, altri alla fama, al successo, al desiderio di restare nella storia e di essere ricordati; altri investono nel ruolo e soprattutto nel “potere” illudendosi che comandare renda eterni; altri ancora scappano per paura da questi “fantasmi” e provano a stordirsi con sostanze di ogni tipo o con un correre disperato senza mèta, ma anche senza sosta. Resta il fatto che alla paura della “mia” morte” si affianca una ricerca (più o meno disperata) di aggirare l’ostacolo e il desiderio di costruirsi, per ciascuno, frammenti di immortalità.

Gesù conosce molto bene il cuore umano. E ci ricorda che il Dio di Gesù è solo ed esclusivamente “vita” e chi entra nel Suo “spazio” si imbatte nella “vita che non ha fine”.

E eccoci alla domanda: “Ma quale è lo “spazio” di Gesù che ci permette di vivere liberi e liberati dalla paura del morire? Un primo cenno di risposta proviene dal Maestro in persona: “Che poi i morti risorgano lo ha indicato Mosè.”. Gesù invita chi lo ascolta a “stare” con la Parola di Dio e a scoprire in quelle “parole di verità e di libertà” la fonte della vita vera, piena, autentica e premessa e promessa di gioia. Come a dire: non basta ascoltare in modo più o meno distratto le letture della Parola di Dio a messa. La Sua Parola deve diventare “carne” se vogliamo che ci cambi il cuore e educhi la nostra mente a pensare dalla parte della vita e non della morte. Non lo diremmo mai abbastanza: la preghiera adulta inizia con la lettura, la meditazione e l’approfondimento del Vangelo e della Parola di Dio. Ben vengano le zucche di Hallowen e qualche vestito di carnevale per far uscire i nostri bambini di casa (sempre troppo pochi e molti di loro troppo sedentari), ma non illudiamoci: il sorriso vero e la gioia profonda non nascono dal pensare solo e sempre a sé stessi, ma dall’imparare a donare e dalla decisione, decisa e determinata, di abbandonare il “prendere” per vivere nel solco del servizio. Così come l’immortalità non è garantita dal potere e nemmeno da quanti amici posso contare sui network o dalle citazioni sui media. Il Dio di Gesù è il Dio dei viventi: di coloro che hanno capito e scelto di vivere per gli altri. La vita che non ha fine non la si trova guardandosi allo specchio o impegnandosi per diventare famosi o “qualcuno”. La vita che non ha fine ognuno di noi la incontra, con l’aiuto del Vangelo, nell’imparare a vivere per gli altri. Solo se ci si porta al servizio dei fratelli si vive per Lui e con Lui.

Un bellissimo modo per camminare in questo anomalo autunno segnato da troppe guerre e appesantito da troppi morti.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

non conosco nessuno che ha sette fratelli e non ho mai sentito dire che una donna si è sposata sette volte. Forse anche per questo non ho capito bene questo Vangelo.

La cosa che mi è piaciuta, però, è sentire che Tu ci dici che il Padre è il Dio dei vivi e non dei morti.

Negli ultimi mesi si è quasi sempre parlato di covid, di morti, di siccità, di guerra o di ragazze uccise perché mettono male il velo. Discorsi veri, ma che fanno diventare tristi, musoni o – come dicono i grandi – tutti stressati se non si parla anche di pace o di cose belle.

Grazie Gesù per questo Tuo discorso sul Dio dei vivi e non dei morti.

Aiutami Gesù a vivere e a vivere bene. Aiutami a fare cose grandi. Con Te e per chi ha bisogno di me.

Grazie a voi tutte/i

Grazie  a voi tutte/i

Vogliamo rivolgere questa preghiera a voi tutti che
avete lasciato questa nostra terra
e ora siete nel misterioso silenzio di Dio.

Grazie perché la  vostra vita ha segnato la nostra.
Grazie per tutto quello che ci  avete donato di bello e di grande.
Grazie per i gesti e le parole che ci avete regalato.
Grazie per il vostro amore, presente per sempre nel nostro cuore.
Grazie per la luce del vostro volto e la limpidezza del vostro sguardo.
Grazie per tutto quello che abbiamo potuto leggere nel profondo dei vostri occhi.
Grazie per i sentieri percorsi insieme, per le prove faticose e dure, che abbiamo potuto affrontare insieme.Grazie per il  vostro lavoro, la vostra pazienza e il vostro sapere.
Grazie per le vostre  risa e le vostre  lacrime.
Grazie anche per le vostre esitazioni, le paure.
Grazie per tutti i dubbi e anche per gli sbagli.

Tutto questo fa parte della vita. Il  vostro posto è vuoto
e la vostra assenza ci fa male.
Ci mancate oggi e pure domani…
Ma vi sentiamo e vi sappiamo presenti in tanti modi.

Dateci il coraggio di andare avanti,
diretti verso Colui che ci attende sull’altra riva,
là dove ora, voi  con tutti i nostri cari,
conoscete già la Pace, l’Amore e la Gioia.

(da Christine Reinbolt)