Preghiere poesie

XXIX DOMENICA ANNO A

                XXIX DOMENICA ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal vangelo secondo Matteo 22, 15 - 21
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
 

A prima vista il passo del Vangelo che ci viene proposto per la preghiera di questa domenica si presenta come una riflessione su questioni fiscali o una proposta di soluzione per il delicato equilibrio tra poteri diversi (religioso e temporale). In realtà la risposta di Gesù a chi sta tentando di coglierlo in fallo (!), ci presenta una precisa visione dell’uomo carica di saggezza e con al suo interno la forza di liberare ogni uomo da qualsiasi schiavitù, sottomissione o oppressione.

Partiamo dalla domanda che viene posta a Gesù. Se Gesù avesse risposto “Sì, è lecito” (pagare il tributo a Cesare), sarebbe apparso come un “collaborazionista” dei Romani, deludendo tutte le aspettative dei movimenti profetici e politici incentrati sull’indipendenza. Se Gesù avesse risposto: “No”, sarebbe stato immediatamente accusato di ribellione, presentato come sovversivo, come rivoluzionario. Gesù sa molto bene che chi gli rivolge la parola sta tentando di incastrarlo, che il colloquio proposto è, in realtà, un tranello.

Gesù si fa portare una moneta e, con il denaro in mano, domanda di chi sono l’immagine e l’iscrizione impressi sopra il “metallo”. “Di Cesare” è la risposta. Prosegue Gesù: “Restituite dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Ciò che è di Cesare è chiaro: la moneta. Non solo: ciò che è raffigurato sulla moneta (l’immagine) e ciò che sopra il denaro è scritto (iscrizione) rappresentano il diritto dell’Imperatore a possedere (a dominare) quel denaro perché di sua proprietà. Ora, la forza dell’argomentare di Gesù è rappresentata proprio da questo esempio. Come l’immagine sulla moneta rimanda all’imperatore, così deve esserci un’altra realtà che porta su di sé l’Immagine e l’Iscrizione che esprimono i diritti di Dio. Il passaggio ora è trasparente. L’immagine vivente di Dio è l’uomo (creato a sua immagine e somiglianza – Genesi 1,27), la persona. Ed è l’uomo che porta nel cuore “scritta” la legge di Dio (Geremia 31,33).

La sintesi costruita sull’espressione “immagine e iscrizione” svela ora tutta la sua forza e chiarisce il senso del restituire a Cesare e a Dio. Le monete che appartengono a Cesare vengano riportate al suo legittimo proprietario. Ma proprio perché il ragionamento è lineare, si provveda anche a “restituire” ogni persona a Dio che ci ha creati liberi e a Sua immagine e somiglianza. E si noti che “restituite a Dio quel che è di Dio” significa non solo “Restituite l’uomo a Dio”, ma anche (e soprattutto) “Restituite l’uomo all’uomo”. Dio non crea per possedere e per rendere schiavi. Dio ci ha creati per affidarci alla libertà. Tutto ciò che calpesta la dignità dell’uomo e ferisce la sua libertà deve essere – di conseguenza – fermato perché si possa restituire – a Dio e all’uomo – la piena dignità di ogni creatura umana. Gesù non annulla il profondo legame che tiene insieme Creatore e creatura. Ci

ricorda però che Dio ha creato per amore e, proprio per questo, non possiede, non consuma, non schiaccia la persona, ma propone - per l’essere umano e per ogni persona - autonomia e libertà. Così riletto il Vangelo di questa Domenica diventa di sconcertante attualità.

Soprattutto se pensiamo a quanti sono segretati, umiliati, offesi, feriti e imprigionati (nel vero senso della parola) dalle tante, troppe guerre che ci circondano. Se pensiamo a quanti sono incatenati dall’odio che lega gli uni contro gli altri. Il terrorismo di Hamas ha ucciso, sequestrato e trucidato donne e bambini israeliani. Senza pietà e oltrepassando qualsiasi limite imposto da qualsiasi guerra. La reazione di Israele nel segno della legittima difesa si sta addentrando sui sentieri della vendetta e nega cibo, viveri, acqua, carburante ed energia elettrica a quanti sono imprigionati in una “striscia di terra” senza possibilità di difesa e di sopravvivenza. Nel chiuso delle trincee ucraine la situazione non è molto diversa. E a Putin che chiede il cessate il fuoco a Israele viene da domandargli perché quell’invito non lo rivolge anche al suo esercito impegnato in una spregiudicata e ingiusta operazione di occupazione militari di territori che non gli appartengono.

Mai come oggi abbiamo bisogno che risuoni nel mondo l’invito di Gesù a restituire l’uomo – ogni persona - al Dio della Pace e dunque che ad ogni uomo venga restituita la sua dignità, la sua libertà e la sua possibilità di vivere nella pace. Abbiamo bisogno che si zittiscano le armi e che cessino le guerre. Mai come oggi abbiamo bisogno che i bambini vengano restituiti alle loro famiglie, alla scuola, alle cure ordinarie in contesto sanitario, al gioco, ai cortili e alle piazze.

E se i soldi vengono investiti, spesi e sprecati per costruire armi (nel 2022 si sono spesi 100 miliardi di dollari in più rispetto al 2021 raggiungendo i 2.240 miliardi di dollari investiti, in un solo anno, in armi e munizioni) è segno che la parola di Gesù ha qualcosa da dire anche ai nostri Governanti: non usate il denaro per “dominare” il mondo, ma per restituire l’uomo all’uomo e per liberare l’essere umano dalla fame, dalla siccità, dai cambiamenti climatici e dalle ingiustizie che opprimono e che uccidono la vita di tanti, troppi fratelli.

Buona domenica.

                                                                     Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

              sono confusa e non capisco più il mondo. Non capisco le guerre; non capisco l’orgoglio, non capisco perché le persone debbano ammazzarsi tra loro, non capisco perché in guerra si debbano uccidere anche i bambini e non capisco perché vengono bombardate anche le case, le scuole, gli ospedali, i giardini, i campi di calcio, etc. 

Ho chiesto a mamma di non guardare i telegiornali quando io sono in casa. Quelle scene di morte e di città distrutte mi fanno paura.

Ma non capisco nemmeno perché siano così tanti quelli ti vogliono male e che ti tendono tranelli “per coglierti in fallo nei tuoi discorsi”.

A me piace come parli, come Ti muovi o cosa dici.

Con l’aiuto di una moneta oggi ci hai ricordato che siamo stati creati a Tua “immagine” e somiglianza e che nel nostro cuore c’è “scritta” la legge dell’amore.

Gesù, ti prego, donaci la Pace.

XXVIII DOMENICA anno A

XXVIII DOMENICA anno A per i piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 22, 1 - 14

In quel tempo, Gesù riprese a parlare con parabole (ai capi dei sacerdoti e ai farisei) e disse: 2"Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. ….

8Poi disse ai suoi servi: "La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. 12Gli disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?". Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti".

 

Caro Gesù,

da bambino abitavo, con i miei genitori, in

Guatemala. Loro lavoravano in una periferia della capitale (chiamate “favelas”) in un Progetto di aiuti internazionali.

Gli abitanti di quei posti erano molto poveri, ma la domenica mattina tutti indossavano la camicia della festa che era bianchissima e avevano le scarpe pulite e lucide.

Mio papà dice sempre che “i poveri sono eleganti per difendere la loro dignità”.

Hai ragione Tu, Gesù: l’abito elegante non sempre è quello “firmato”.

Tu lo insegni in questa parabola: la vera eleganza è quella di chi indossa i vestiti della bontà, del servizio e del perdono.

Abiti che tutti possono indossare perché non si comperano, ma che ci restano incollati addosso se impariamo a vivere per gli altri.

Gesù dammi sempre la forza di indossare questi “abiti eleganti” e aiutami a diventare un “signore” nel cuore.

Grazie Gesù perché solo Tu mi rendi elegante.

XXV DOMENICA ANNO A

 

                       XXV  DOMENICA ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo  20, 1 - 16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: "Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò". 5Ed essi andarono. …

8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi". 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo". …

 

Un tempo questa parabola era conosciuta con il titolo: “Gli operati dell’undicesima ora” (quelli che sono andati a lavorare alle cinque della sera). Oggi sulle copie dei nostri Vangeli la presentazione del testo è cambiata con “Parabola dei lavoratori a giornata”.

Al di là del titolo, però, si tratta di un messaggio apparentemente contraddittorio e difficile da accettare con le nostre logiche e rivendicazioni sindacali. Trattare tutti allo stesso modo senza nessun rispetto per chi ha lavorato di più o di meno - dicono in molti - non è giusto. E se si decide di non scendere in profondità e di non prestare attenzione al testo, il ragionamento è anche corretto e - ripeto, a livello superficiale - legittimo.

Il ragionamento diventa diverso, però, se si presta attenzione a ciò che “pensano” gli operai impiegati nella vigna dall’alba non appena vedono il salario dato agli ultimi arrivati (“pensarono che avrebbero ricevuto di più”) e a quanto affermano nel ritirare il denaro pattuito: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.

Una vera schizofrenia tra quanto pensato (“ricevere di più!”) e quanto detto e affermato a voce alta (una protesta affinché gli ultimi arrivati “prendano meno salario!”). A conferma del fatto che l’ingiustizia distrugge le relazioni e lacera la persona in sé stessa!

Di solito - se le cose procedono secondo buon senso, nella direzione della giustizia e con un minimo di solidarietà tra colleghi - si protesta per ricevere di più per sè, non perché all’ultimo arrivato venga dato di meno! Si noti, tra l’altro, il particolare economico interessante: “un denaro al giorno” - il salario pattuito dal padrone di casa - corrispondeva, ai tempi di Gesù al necessario per il fabbisogno alimentare di un giorno. E dunque chiedere che venga dato di meno a chi ha lavorato un’ora soltanto, significa condannarlo alla fame!

Ma cosa sarebbe successo se chi ha lavorato tutto il giorno avesse costruito coerenza e continuità tra pensiero e parola? Proviamo a cambiare la parabola e a riscrivere la reazione dei primi arrivati nella vigna: “Padrone è bello il fatto che tu abbia dato un denaro anche ai nostri colleghi e fratelli arrivati per ultimi. Possiamo però chiederti qualcosa in più per noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo?”.

Così formulata, la protesta suona giusta. Corretta. Legittima e persino solidale. Ma nel cuore umano - annota san Matteo - si annida l’invidia che ci spegne la bontà e che ci spinge prima a spiare l’altro e poi ad adoperarci perché lui abbia meno! L’evangelista vuole però avvisare subito il suo lettore che la protesta dei primi arrivati è ingiusta (oltre che distante da quanto pensato). E lo fa introducendo l’espressione “questi ultimi” riferita ai colleghi e fratelli rimasti disoccupati per quasi tutto il giorno. “Questi” è pronome usato in modo altamente dispregiativo. È la stessa espressione con cui il fratello maggiore decide di definire il fratello minore (il famoso “figliol prodigo”) quando dice al Padre, con tono di disprezzo e come segno di rottura definitiva della fraternità, “questo tuo figlio”.

“Questi” - però - è anche la parola che diciamo noi quando vogliamo prendere le distanze da chi non vogliamo accanto. “«Questi immigrati»”, “Questi «zingari»”, “questi «stranieri»”: ma perché continuano a venire da noi?”, dicono in molti, tra l’infastidito e la voglia di distanza da chi ci chiede, con la sola presenza, un aiuto per soddisfare il fabbisogno alimentare quotidiano. Ma non dobbiamo negarlo: diciamo “questi” perché non vogliamo chiamarli “fratelli”. Dai fratelli (poveri, che hanno fame e che cercano dignità e speranza) non ci si può difendere con le logiche dell’esercito, della guerra, del Ministero della Difesa (quello delegato a gestire le guerre!) o con i blocchi navali. Se gli immigrati vengono chiamati “fratelli” emerge con chiarezza che la questione è complessa, che l’Africa sta esplodendo per mille motivi (a causa anche dell’Europa!) e che è praticamente impossibile fermare questo esodo di disperati. Se li si chiama “fratelli” è evidente che la prima risposta non può essere la difesa dei confini o il “riportarli” a casa loro (come? In aereo? Dove? Etc.). Se li si chiama “fratelli” si scopre anche che non si può fare campagna elettorale con quanti stanno morendo di fame e che è scorretto cavalcare la paura di chi gli immigrati li usa e li sfrutta nei campi e nei lavori pesanti, per pulire le nostre città e per assistere i nostri anziani, ma poi non li vuole accanto! Quante parole facciamo per difendere il nostro egoismo e le nostre ingiustizie! Il Signore Gesù ci chiede - semplicemente - di usare la parola “fratelli” tutte le volte che dal cuore sale la tentazione di dire “questi” con la smorfia sul viso del disprezzo, della presa di distanza o, per dirla senza pudore, del razzismo.

Buona Giornata del Migrante e del Rifugiato a tutti. E grazie a Papa Francesco per il suo profetico e libero magistero.

 

Il 3 ottobre è diventata la Giornata della Memoria e dell'Accoglienza per ricordare e commemorare tutte le vittime dell'immigrazione (stage di Lampedusa del3 ottobre 2016) e per promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà.

La ricorrenza è stata istituita con la legge 45/2016.

                                                                                          

                                                                                    Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

     senza qualcuno che te la spiega questa parabola sembra davvero ingiusta.

Ma poi basta notare che chi protesta non chiede di più per sé, ma si aspetta che venga dato di meno a chi ha lavorato solo un’ora, per capire che qui c’è qualcosa di stonato.

E hai ragione Tu, Gesù, non è giustizia protestare perché ad altri venga tolto ciò che li aiuta ad uscire dalla miseria.

Eppure siamo fatti così: ci lasciamo prendere dall’invidia; quelli che ci ricordano che siamo fortunati li chiamiamo “questi” e protestiamo se i poveri chiedono più giustizia.

Gesù aiutami a non dire mai la parola “questi” con disprezzo.  E visto che oggi è la Giornata del Migrante e del Rifugiato, donaci il coraggio di chiamare “fratelli” quanti sono costretti a scappare dal proprio Paese per inseguire una vita migliore in Europa.

Grazie Gesù perché sei buono e giusto.

Preghiera dell'Insegnante all'inizio dell'anno scolastico

Preghiera dell'Insegnante all'inizio dell'anno scolastico
Padre della Vita, Ti prego per tutti i bambini e le bambine che mi saranno affidati durante questo anno scolastico. Sento forte l’importanza della mia responsabilità educativa, ma conosco anche i miei limiti e le mie incertezze.
Padre, donami una passione educativa che possa plasmare il mio pensare, il mio progettare, il mio agire.
Concedimi l’entusiasmo necessario per testimoniare l’amore del sapere, la gioia della collaborazione, la fiducia negli altri; rendimi capace di accogliere, guidare e incoraggiare chi si affida a me ogni giorno.
Donami la pazienza di attendere tempi educativi che non sono i miei e che tu solo conosci; fà che la fatica, lo scoraggiamento e l’insuccesso non permettano di chiudermi in me stesso, ma mi aprano alla ricerca di prospettive sempre più ampie.
Padre, rendimi capace di comprendere che il mio essere un’insegnante è un grande dono.
Padre, donami la sapienza del cuore, l’intelligenza della carità, l’accoglienza del diverso, il gusto dell’ascolto, la prudenza del confidente l’umiltà dell’amico.

XXII DOMENICA ANNO A

 

XXII DOMENICA ANNO A con preghiera dei piccoli

 

  In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni». (Matteo  16, 21 – 27)           

Cinque versetti dopo aver elogiato Pietro (“Beato sei Tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”), Gesù gli rivolge parole decisamente dure: “Va dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Si tratta ora di capire perché Gesù ha reagito in modo così deciso e severo ai “consigli” di Pietro. La premessa è d’obbligo: Gesù ha appena cominciato a spiegare ai suoi discepoli che il Suo cammino lo avrebbe portato a Gerusalemme per un fine storia della sua vicenda terrena nel segno del soffrire, della morte e della resurrezione al terzo giorno. Pietro è sconvolto. Non vuole accettare una simile realtà. Non è disposto a smantellare il suo progetto al seguito del Rabbì di Nazaret e - con la generosità che contraddistingue - “lo prese in disparte” per correggere il Maestro e per spiegargli come il fallimento e il sacrificio della sua vita. È ovvio che Pietro è preoccupato perché vede frantumarsi i suoi sogni di gloria o di potere, ma è altrettanto evidente che è sincero nel suo provare a difendere Gesù dai prossimi eventi negativi.

Ma facciamo un passo indietro: Gesù era stato chiaro, quando chiamò a sé Simone e suo fratello Andrea: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. La libertà del discepolo di Gesù è data dallo stare al Suo seguito, dietro a Lui.

La tentazione immediata di tutti noi - però - è quella di passargli davanti, di guidarlo e di spiegargli che cosa deve fare per noi e per il nostro bene, per il nostro interesse e per la mia famiglia, per il mio lavoro, salute, etc.

Quante volte usiamo Gesù risorto come un bancomat alla vigilia di scadenze significative (salute, impegni pubblici, malattie, etc.) o alla vigilia di eventi importanti della nostra vita (esami, colloqui di lavoro, mutui, …). E quante volte nel nostro pregare ci poniamo nell’atteggiamento di esigere che si compia la nostra volontà alla quale lui - il Signore Gesù - si deve piegare e ci deve esaudire. Pietro è il simbolo di tutti noi quando - quasi senza accorgerci - smettiamo di andare dietro a Lui e gli passiamo davanti: per dirgli cosa deve fare, che cosa deve darci e come deve esaudirci.

La risposta di Gesù sembra troppo dura. In realtà è di grande libertà (come sempre) e di altrettanta tenerezza. Al diavolo che durante le tentazioni nel deserto insiste perché Gesù scelga la strada del potere e della gloria personale, il Figlio di Dio replica in modo secco e  deciso “Vattene Satana!”. A Pietro che nella sua fragilità non si accorge di essere uscito dal ruolo del discepolo, Gesù non ordina un allontanamento definitivo da Lui. Lo aiuta ritrovare il suo posto: “Va dietro a me, Satana!”, come a dire: “Caro Pietro se dessi retta ai tuoi consigli, il cammino che mi porta a donare la mia vita per tutti voi, si ferma. Tu - in questo momento - stai ragionando come Satana che ho allontanato da me definitivamente. Restami dietro e non ti allontanare da me se non vuoi perderti!”. E ancora una volta la severità di Gesù si scopre intrisa di bontà e di speranza.

Subito dopo aver aiutato Pietro a riprendere il suo posto, Gesù spiega a quanti lo seguono che il segreto della vita non è dato dal desiderio (folle) di vivere solo per sé stessi. Nessuno - dice Gesù - può salvare sé stesso; e nessuno può salvare l’altro, il fratello (il figlio, il genitore, l’amico…) che sta male. Quante volte il nostro delirio di onnipotenza ci convince che con la preghiera, con il sacrificio e con un pizzico di violenza si possa non solo aiutare l’altro, ma anche salvarlo.  Ed è in riferimento a queste nostre tentazioni che l’evangelista costruisce la sua catechesi. Per dirci, da un lato, che ognuno di noi deve evitare di vivere per sé stesso, se vuole essere beato (anche perché chi resta avvitato sul proprio io diventa triste, opaco nello sguardo e soffocato dalle ansie che segnalano le sue senza renderlo capace del perdono). Ma - prosegue Gesù - non dobbiamo nemmeno pensare che l’altro che mi è accanto lo si possa “salvare”. Se questa tentazione prende il sopravvento, chi vuole salvare l’altro, prima plagia e poi gli usa violenza.

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Solo in questa condizione si diventa beati.Buon mese di settembre.

 

                                                                         Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                 un po’ mi spiace che agosto sia finito. E mi spiace anche non sapere in quale classe sarò inserita il prossimo anno scolastico.

Gesù quest’anno non ho fatto le vacanze come gli altri anni: nonno si è ammalato in modo grave e siamo rimasti in città. Però mi sono divertita tantissimo lo stesso e forse anche più degli altri anni.

E poi sei Tu che non ti stanchi di insegnarlo a tutti noi: pensare solo a sé stessi non ci fa stare bene. Mentre occuparsi degli altri e diventare capaci di voler bene a chi ci è vicino ci rende contenti.

Gesù insegnami a seguirti e se vedi che come Pietro ho voglia di dirti io che cosa Tu devi fare, sgridami. Ormai l’ho capito: i tuoi rimproveri fanno bene.

 

XXI DOMENICA ANNO A

                                  XXI  DOMENICA  ANNO A con preghiera dei piccoli

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.   (Matteo 16,13 – 20)

La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. A livello superficiale Gesù sta conducendo un sondaggio sulla sua persona. E anziché affidarsi a sociologi esperti nell’arte del trasformare in numeri gli orientamenti sociali e politici delle persone, decide di farsi aiutare da quanti lo stanno seguendo. Chi Lo segue accetta la richiesta e prova a rispondere: “Alcuni dicono Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia…”. Ma quando Gesù sposta l’asse della domanda dal piano impersonale (la gente!) alla seconda persona plurale: “Ma voi chi dite che io sia?”, i discepoli capiscono che non sono all’interno di un sondaggio, ma nel cuore della catechesi proposta dal vero Figlio dell’Uomo. Anche perché Gesù sa molto bene che è questa la domanda chiave della vita che ognuno di noi prima o poi deve affrontare se vuole stare bene: decidere chi è Gesù di Nazaret. Solo chi prova a rispondere al quesito che Gesù ha posto ieri a quanti lo seguivano (e che pone oggi a ciascuno di noi!), entra pienamente - con libertà e saggezza - nel mistero della vita.

L’evangelista è un abile narratore, ma anche un valido ed un esperto catechista e proprio a metà del suo scritto pone al suo lettore - e a tutti noi - la domanda su chi è, per ciascuno di noi, Gesù di Nazaret. Matteo, però, non lascia solo il suo lettore. Pone, nella domanda di Gesù, un “aiutino” perché chi ascolta il quesito possa essere guidato nel trovare la risposta. Per capirci: Gesù vuole sapere che cosa dice la gente del “Figlio dell’uomo”. Così facendo, però, attribuisce a sé stesso il titolo di Figlio dell’Uomo (usato dal profeta Ezechiele e da Daniele) per aiutare quanti lo seguono a capire che in Lui c’è la piena umanità che ogni essere umano cerca, insegue e vorrebbe raggiungere.

Gesù non si identifica con il Figlio di Davide (che ricostituisce l’esercito di Israele e che distrugge i nemici del suo popolo); Gesù presenta sé stesso come il Figlio dell’Uomo per dire che in Lui, Figlio di Dio, è presente anche la piena umanità. Ed ecco il messaggio che l’evangelista ci vuole lasciare: Gesù è la “carne” di Dio, il volto, la voce e il cuore di Dio che ci incontra nella nostra stessa umanità.

Pietro non è pienamente consapevole di quanto sta per rispondere. Ed anche questo particolare è bello: perché ci ricorda che nella fede convivono il dubbio, la paura, la resistenza a fidarsi di un Maestro scomodo che salda la libertà con la verità, ma - nonostante queste fragilità - Simon Pietro si lascia guidare dallo Spirito Santo e dice ciò che ancora non capisce pienamente: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (ma che comprenderà sempre meglio continuando a camminare al seguito del Suo Maestro).

Non è facile, per Simon Pietro, “credere” che l’umanità di Gesù (il suo essere Figlio dell’Uomo) è la sola realtà in cui si manifesta il Figlio di Dio. Simon Pietro deve abbandonare i suoi vecchi schemi mentali e capire che non ha più senso aspettare il Figlio di Davide intriso di logiche di potere e capace di vincere, di dominare e di sterminare i nemici del suo popolo. Camminando al seguito di Gesù, però, Simon Pietro capirà definitivamente che Gesù di Nazaret è il Figlio dell’Uomo che ci spiega come essere “beati”, dove abita la felicità, che cosa ci rende “grandi” per davvero e che ci insegna ad esercitare il rigenerante perdono verso di noi e verso gli altri. Ma è un cammino che Simon Piero ha intrapreso al seguito di Gesù di Nazaret e che a Cesare di Filippo è decollato.

Adesso - ci dice san Matteo - tocca a noi andare con Gesù e seguirlo fino a Cesarea di Flippo (circa 180 Km a nord di Gerusalemme). Per prendere coscienza che la Sua proposta è diversa da quelle che normalmente ci vengono proposte per essere felici: spiagge da vip, resort costosi, barche sufficientemente ampie e comode, ville ai monti o al mare, escursioni e viaggi in Paesi esotici e lontani…, etc. Tutte soluzioni e iniziative che rischiano di vederci tornare più stanchi di quando siamo partiti, a volte frustrati per servizi non pienamente soddisfacenti, ma soprattutto con il cuore carico delle stesse ansie, delle uguali amarezze e delle solite depressioni che solo in Gesù si placano e si curano.

Dedicare qualche ora in queste calde domeniche di fine estate per rispondere al quesito che ci pone Gesù, è premessa di libertà, di riposo autentico e di vera ripartenza!

 

                                                   Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

             per noi bambini l’eroe vero è quello duro e forte; è quello che non si commuove mai, che non piange, che non conosce la parola scusa ed è quello che, con la spada, vince sempre e che non la ripone mai nel fodero!

Tu – come sempre – mi spiazzi e ci dici che la “roccia” su cui vuoi fondare la Tua chiesa è Simone.

Ma Ti ricordi, Gesù, cosa ha fatto Pietro? Ti ha tradito, ha pianto, si è nascosto, ha negato di conoscerti e non ha mantenuto la parola di dare la sua vita per Te. (Gv.13,37).

Gesù se ho capito bene, per Te non è “forte” chi non piange mai, ma chi ammette i suoi errori e prova a cambiare.

Per Te il vero “grande” è chi sa chiedere scusa e chi crede che può essere perdonato.

Gesù, hai sempre ragione Tu. Ed è bello riconoscerlo.

 

P.S. Dona Tu, Gesù, la Tua benedizione speciale a Papa Francesco.

TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

TRASFIGURAZIONE  DEL SIGNORE  con preghiera dei piccoli

Dal vangelo secondo Matteo 17, 1 – 9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

L’evangelista Matteo vuole fare capire al suo lettore che le lezioni impartite da Gesù non sono (ancora) riuscite a “bucare” le dure pareti mentali del “buon senso”. Il Maestro parla di amore per tutti, di dare la vita, di perderla e di servire. Ma loro – come accade anche a noi – non riescono proprio ad entrare in quella mentalità. Non la capiscono perché è distante anni luce dal loro modo di vivere.

Gesù Maestro non si scoraggia. Sa molto bene che se i suoi alunni non capiscono la sua lezione, non basta sgridare o insultare chi non riesce ad entrare nell’insegnamento impartito: è necessario cambiare il modo di fare la lezione. Per questo li prende con sé e li porta su un monte, in alto e in disparte: per dimostrare loro – oltre le sole parole – che il Suo scendere inaugurato nel momento del battesimo (capitolo 1), non è movimento fine a sé stesso, ma la vera grande premessa per incontrare la libertà, la giustizia e per essere beati.

 Pochissimi versetti prima di questo racconto, san Matteo scrive che: “Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.” (Mt. 16,21ss). Pietro inorridisce. E l’evangelista non sfuma il tono con cui Simone corregge e rimprovera Gesù: “Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai»” (Mt. 16, 22). Pensa, ragiona e parla come il diavolo che tenta Gesù sul monte, ci fa capire l’evangelista. Ed è per questo che Gesù prende i suoi tre discepoli “testoni” (uno anche di nome, perché “Pietro” vuole anche dire “testa dura”) e li porta sul monte: per contrastare i pensieri che provengono dal diavolo e per mostrare, s-velare e rivelare loro il senso profondo, bello e umano della vera Gloria. Quel salire sul monte alto da parte di Gesù e quel portare con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, è una “coccola” che il Maestro decide di fare a tutti coloro che lo seguono perché cambino modo di vedere, di pensare e soprattutto di agire. Gesù vuole mostrare ai tre, ma a tutti coloro che si confrontano con questa pagina raccontata dall’evangelista che la gloria presentata e offerta dal diavolo (potere, vittoria, successo ed egoismo) rende la vita triste, scontenta e – di fatto – sbagliata. La vera Gloria (con la G maiuscola) è quella che Gesù sa rendere operante dopo il venerdì santo e con il mattino di Pasqua, ma che passa inevitabilmente per il dono della Sua vita in croce. Gesù – sia chiaro – non ha cercato croce e dolore per il gusto di soffrire. L’esatto contrario: ha fatto di tutto per non essere arrestato prima del tempo, ma intuito e capito che non poteva evitare quel “passaggio”, non è scappato e non si è sottratto al dono di sé fino alla morte in croce. Così facendo ci ha detto che si è liberi quando si vive per Dio e per i fratelli, non quando si insegue il proprio io e si calpestano Dio e i fratelli pur di stare bene da soli.

I tre sono ancor distanti da questa logica. Pietro si sente persino escluso dal dialogo tra Gesù e Mosè ed Elia e per uscire dal suo isolamento propone a Gesù la costruzione di tre tende, tre capanne perché loro restino per sempre su quel monte. È la tentazione di tutti noi quando si ha l’impressione che le cose vadano bene: fermare il tempo, chiudersi nel momento positivo che si sta vivendo e puntare i piedi per non più avanzare. Per certi aspetti è anche la fotografia del nostro occidente: abbiamo raggiunto livelli alti di benessere e non vorremmo disturbi nel nostro vivere ovattati. Guerre e migranti non possono essere ignorati, ma a volte disturbano perché se ci si concentra con la dovuta attenzione, questi temi ci chiedono di cambiare e di vivere in modo diverso. Forse anche per questo il nostro Ministro – nel commentare la tragedia degli immigrati che si è consumata sulle coste della Calabria – ha preferito dare la colpa del naufragio alle vittime, come ha detto l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice: perché assumersi le nostre responsabilità e cambiare modo di vedere, di pensare e di agire costa fatica. È la sola strada, però, che ci porta all’essere liberi e nella verità. Come dice la preghiera che  è girata in rete: “Se fosse tuo figlio ti getteresti in mare, uccideresti il pescatore che non presta la barca, urleresti per chiedere aiuto, busseresti alle porte dei governi per rivendicare la vita”.

Il segreto della vita e della nostra fede è tutto qui: scendere dal monte perché convinti che solo Gesù ci offre la gloria, la gioia e la libertà che cerchiamo. Scendere dal monte e fissare solo Gesù (nessun altro) che si rende presente in chi sta male, in chi è sulla zattera che cerca speranza e che ci guarda domandandoci: “E se fossi tuo figlio?”.

Solo l’ascolto di questa voce e di questa domanda ci rende veri, umani e liberi. Ed è in quella umanità ferita, debole e perdente che abita Gesù. Fissare e seguire solo questo Gesù è il senso della nostra quaresima. Buon cammino.

 

 Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

 oggi ho capito perché hai scelto Pietro, Giacomo e Giovanni per portarli con Te “su un alto monte” e per trasfigurarti davanti a loro: perché sono i primi che non accettano i tuoi discorsi.

 E un po’ li capisco: sognano da sempre un Messia forte e vittorioso su tutti e Tu continui a parlare loro di arresto, di croce, di sconfitte e di morte.  È normale che si ribellino a queste parole. Ed è anche per questo, secondo me, che “caddero a terra e furono presi da grande timore”.   Ma chi non sarebbe crollato?

Tu li hai portati sull’alto monte, come quello delle beatitudini, e ti sei fatto vedere con il “volto brillante” per spiegare loro che con Te l’amore vince sull’odio e la vita sulla morte.

Gesù porta anche me sul monte. Aiuta anche me a capire che essere buoni, perdonare, imparare a perdere e stare dalla parte di chi è più debole rende bello il volto, la vita e il vivere.

MI PRESENTO: SONO IL SILENZIO

MI PRESENTO: SONO IL SILENZIO di Pino Pellegrino

 

Per favore. Lasciatemi, una volta tanto, prendere la parola.
Lo so che è paradossale che il silenzio parli. E' contrario al mio carattere schivo e riservato.
Però sento il dovere di parlare: voi uomini non mi conoscete abbastanza!
Ecco, quindi, qualcosa di me.
Intanto le mie origini sono assolutamente nobili.
Prima che il mondo fosse, tutto era silenzio. Non un silenzio vuoto, no, ma traboccante.
Così traboccante che una parola sola detta dentro di me ha fatto tutto!
Poi, però, ho dovuto fare i conti con una lama invisibile che mi taglia dentro: il rumore!
Ebbene lasciate che ve lo dica subito: non immaginate cosa perdete ferendomi! Il baccano non vi dà mai una mano!
Io, invece, sì.
Io sono un'officina nella quale si fabbricano le idee più profonde, dove si costruiscono le parole che fanno succedere qualcosa.
Io sono come l'uovo del cardellino: la custodia del cantare e del volare. Simpatico, no?
Io segno i momenti più belli della vita: quello dei nove mesi, quello delle coccole, quello dello sguardo degli innamorati...
Segno anche i momenti più seri: i momenti del dolore, della sofferenza, della morte.
No, non mi sto elogiando, ma dicendo la pura verità.
Io mi inerpico sulle vette ove nidificano le aquile. Io scendo negli abissi degli oceani. Io vado a contare le stelle...
Io vi regalo momenti di pace, di stupore, di meraviglia.
Io sono il sentiero che conduce al paese dell'anima. Sono il trampolino di lancio della preghiera. Sono, addirittura, il recinto di Dio!
Ecco qualcosa di me.
Scusatemi se ho interrotto i vostri rumori e le vostre chiacchiere.
Prima di lasciarci, però, permettete che riassuma tutto in sole quattro parole:
Custoditemi e sarete custoditi!
Proteggetemi e sarete protetti!
                                               

Dal vostro primo alleato
Il Silenzio

 

(immagine: https://pixabay.com/it/illustrations/paesaggio-natura-contemplare-4444133/)

XVI DOMENICA ANNO

 

                     XVI DOMENICA ANNO A con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo secondo Matteo 13, 24 - 43

In quel tempo, Gesù espose alla folla un'altra parabola, dicendo: "Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. …

26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. … E i servi gli dissero: "Vuoi che andiamo a raccoglierla?".  29"No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.  30Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura.

 

Tre parabole che fanno ormai parte del patrimonio sapienziale della vita cristiana. E che devono diventare la colonna sonora della nostra vita, se vogliamo gustare la bellezza della libertà impregnata di bontà. Dedichiamo un istante a ciascuna delle tre parabole.

E i servi gli dissero: "Vuoi che andiamo a raccoglierla?". "No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura.

È la più insidiosa delle tentazioni: decidere di allontanare dalla vita comunitaria chi si ritiene che sia portatore di diversità e dunque da considerare una minaccia per il bene comune. Ma decidere chi è puro e chi è impuro - ormai lo sappiamo - è una patologia che avvelena l’esistenza di tutti, nessuno escluso. Vale per la vita sociale e politica (le ingiuste leggi razziali del ’38 e del ’39 che, per vergogna, vorremmo non ricordare, non sono nate per allontanare dalla “comunità civile” chi aveva la sola “colpa” di essere nato da genitori di origine ebraica?). Ma vale anche per le nostre chiese e comunità cristiane. Giudicare e condannare gli altri, rende la vita un inferno e - prima o poi - porta a giudicare e a condannare anche sé stessi. E chi non impara a perdonare le sue imperfezioni e a lasciare che il Dio di Gesù accolga e perdoni anche le sue fragilità, smarrisce sia la strada della gioia che quella dell’amore.

Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell'orto.

È raro incontrare un segno di gloria, di successo e di grandezza incastonato nella cornice dell’orto! Normalmente per raffigurare, con immagine botaniche, prestigio e onore si fa riferimento ad alti alberi dal grande fusto e inseriti in folte foreste. Il profeta Ezechiele parlava del Regno di Dio come di un immenso cedro sull’alto monte di Israele (Ez. 17). Gesù è esperto di umanità e sa molto bene che dal desiderio di fare bene alla follia del voler contare più degli altri per collocarsi sopra il prossimo, il passo è breve. E a chi vuole diventare famoso, un campione o un artista di successo, Gesù propone di crescere in bontà per diventare il primo - il più grande - che si china a servire chi è nel bisogno.

"Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata".

San Matteo accenna all’episodio in cui Abramo e Sara impastano tre misure di farina per accogliere i tre uomini che annunciano agli anziani coniugi che stanno per ricevere il dono di un figlio (Genesi 18). L’evangelista vuole spiegare ai dubbiosi che nulla è impossibile a Dio. E “nulla” vuole dire “nulla”! Il che significa che quando siamo tentati di credere che il “mio” problema si presenti come senza soluzioni, dobbiamo ricordare che il lievito della grazia di Dio si impasta con la nostra condizione fino ad aiutarci a trovare quel filo di luce e di speranza che avevamo smarrito e che credevamo non esistesse.

Tre parabole e tre grandi messaggi. Carichi di sapienza e di speranza. Da un lato per imparare a non puntare il dito contro nessuno e a non giudicare chi ci vive accanto. Per scoprirci liberi dentro e capaci di relazioni vere nel segno dell’accoglienza, della bontà e del perdono (reciproco). Dall’altro lato per aiutarci a sradicare da noi quelle velenose ambizioni che ci spingono a sognare (per noi, ma spesso per i nostri figli) postazioni, risultati e ruoli sociali “sopra” gli altri. Il granello di senapa e l’orto di cui parla Gesù ci spingono dall’altra parte e ci ricordano che il solo modo per salire è quello dato dallo scendere verso chi è più debole. Per entrare nelle stanze della gioia (purtroppo oggi quasi sempre vuote!).

Mentre prendere coscienza che non esiste problema senza soluzione è una simpatica “certezza” del crescere e del vivere. Che ci aiuta a cogliere la presenza di Dio accanto a noi tanto quando tutto scivola via leggero (e, in questi casi, lo si ringrazia), ma anche quando fatiche, difficoltà e ostacoli bussano alla nostra vita (e, in questi casi, lo si invoca e gli si chiede l’aiuto per intravedere quella speranza presente, ma che non si riesce ancora a vedere).

Considerato il tempo estivo e i contesti di vacanza in cui siamo immersi (con giorni di riposo già fatti o ancor da fare) un gran bel dono di sapienza questo passo del Vangelo di Matteo. Buona domenica.

 

 

                                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                 hai ragione Tu: non ha senso dividere il mondo in buoni e cattivi. Nel campo di grano c’è sempre anche un po’ di zizzania. E viceversa.

Gesù grazie perché oggi mi hai insegnato che la zizzania non cresce solo nel campo degli altri, ma anche nel mio cuore.

Ti prego, Gesù, ricordami sempre che a forza di giudicare gli altri prima o poi si finisce per fare del male anche a se stessi.

Gesù rendimi capace di perdonare gli altri e aiutami a non diventare troppo severo quando sbaglio.

Ancora un pensiero, Gesù.

Mia nonna dice sempre a tutti “Impara ad aspettare. Perché chi vuole tutto e subito non diventa grande!”.

Ho pensato a lei quando ho ascoltato questa parabola.

Secondo me sei Tu che le hai donato questa saggezza.

Insegnami ad aspettare, Gesù, e grazie perché alla Tua scuola non si finisce mai di imparare.

XV DOMENICA ANNO A

XV DOMENICA  ANNO A per piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 13, 1- 23

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. 3Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: "Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò.  7Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9Chi ha orecchi, ascolti".

 

 

Caro Gesù,

            il mese scorso, in treno, pensavo a Te. Stavo andando dai nonni con mamma e papà. Fissavo fuori dal finestrino mentre viaggiavamo in mezzo alla campagna.

In alcuni campi di grano il raccolto era già stato fatto e le balle di paglia sembravano pronte per fare una gara; in altri campi, il grano era ancora da raccogliere ed il vento muoveva le spighe e sembravano delle onde sul mare.

Pensavo alla Tua parabola del seminatore. È vero che tanto seme cade su terreni sbagliati e viene sprecato, ma alla fine molto seme finisce nel posto giusto e dà molto frutto.

Gesù, anch’io qualche volta sono come la strada, come il terreno sassoso e come i rovi.

Aiutami Tu a diventare un “terreno buono”.

Grazie Gesù perché il Tuo Vangelo una volta letto esce dalle cose di chiesa e lo ritrovo dappertutto. Anche in treno (guardando dal finestrino e pensando alle Tue parabole.

XIV DOMENICA ANNO A

XIV DOMENICA  ANNO A  con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo di Matteo 11, 25 – 30

 

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai semplici. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto mi è stato consegnato dal Padre mio; nessuno riconosce il Figlio se non il Padre, e nessuno riconosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. Venite a me, voi tutti, che vi affaticate e siete carichi di pesi, e io vi farò riposare. Prendete su di voi il mio giogo e  diventate miei discepoli, perché io sono mansueto e umile di cuore, e voi troverete riposo per le vostre vite. Il mio giogo infatti è   soave e il mio carico leggero».

 

La domanda è obbligata: chi sono gli stanchi e gli oppressi a cui si rivolge Gesù? San Matteo - che compone questo testo - non ha in mente quanti sono sfiniti dal lavoro e da sforzi fisici ordinari e straordinari. L’evangelista pensa a chi vorrebbe obbedire e rispettare la Legge che Dio ha dato al suo popolo attraverso Mosè, mentre - in realtà - si sperimenta incapace di osservarla. Un vero e proprio circolo vizioso: la Legge mi dice cosa devo fare per essere puro e gradito a Dio, ma io non riesco ad attuare quanto prescritto. È questa drammatica condizione del cuore umano che rende i credenti nel Dio di Mosè stanchi e oppressi.Stanchi” perché il non riuscire a realizzare quanto si vorrebbe, genera dolorosi sensi di colpa i quali, lo sappiamo, rendono il cuore e il corpo umano sfiniti, spossati e senza forze. “Oppressi” perché la Legge che Dio ha dato a Mosè diventa - per chi non riesce ad osservarla - un macigno che appesantisce il vivere, che toglie il respiro e che condanna.

Gesù non si propone come un sindacalista che si pone l’obiettivo di passare da 48 ore di lavoro settimanale a 35 o 40. Gesù invita chi lo segue e chi lo ascolta a sperimentare la dolcezza della sua nuova Legge (le beatitudini) che se vissute in compagnia del Signore risorto rendono il vivere leggero, spedito e beato. Simpatico il linguaggio utilizzato dal Maestro esperto di parole: il “giogo” - conosciuto da tutti i suoi interlocutori come simbolo di oppressione e di schiavitù - viene interpretato dalle parole di Gesù come elemento che unisce - nell’amore - il Maestro al discepolo e che rende possibile attuare la sua nuova Legge. Non solo: Gesù dice a chi lo ascolta - a noi che in questa calda domenica di luglio preghiamo con questo passo del Vangelo - che Lui ci aiuta ad attuare la sua nuova Legge perché Lui è il Dio-con-noi, ma è anche uno di noi! Quando Gesù dice “Io sono mite e umile di cuore” riprende una delle sue beatitudini - beati i miti: Mt. 5,5 - e così facendo si presenta a noi come uno senza terra, al fondo della fila, piccolo, diseredato e senza niente. Al punto che ci basta incontrare, sostenere e servire uno di questi piccoli, per riuscire a stare con Lui e a rispettare la sua nuova Legge.

La Legge data a Mosè accende sensi di colpa (per il fatto che non si riesce ad osservare) e rende stanchi e oppressi perché crea quel senso di inadeguatezza che è l’opposto del riposo.

Le beatitudini date da Gesù alla sua comunità ci uniscono a Lui (la funzione del giogo è questa: tenere insieme il discepolo al Suo Maestro nello spazio dell’amore) e ci ricordano che nel servizio al piccolo siamo con Lui che si identifica con chi è “mite” (senza nulla) e “umile di cuore” (debole e al fondo della fila).

Curioso notare come le parole si pieghino a significati diversi e sempre nuovi. Anche oggi sono tanti coloro che si sentono “stanchi e oppressi”. E non più come nel secolo scorso perché piegati da lavori massacranti per tenere insieme il pranzo con la cena. Oggi sono tanti coloro che sono stanchi anche se molti di loro sono alle prese con lavori decisamente meno pesanti di ieri. Sono stanchi e oppressi dalla noia, dallo stress, dall’ansia e da vacanze, viaggi, gite da organizzare, da giorni liberi e da trasferte o da crociere che non consegnano il riposo promesso.

Siamo stanchi e oppressi anche noi. Nonostante i preziosi traguardi ottenuti dalla tecnica e dalle giuste conquiste sociali che ci hanno insegnato a intrecciare il lavoro con il riposo per fare del tempo libero uno spazio di crescita personale e relazionale. Siamo stanchi perché abbiamo i figli da seguire, ma siamo stanchi anche perché i figli non si fanno seguire, non ci sono o non arrivano. Ci stancano le relazioni, ma ci svuotano anche le solitudini, le rotture e le divisioni che fanno male e che distruggono sogni, progetti e famiglie. Siamo stanchi perché si lavora tanto, troppo o male, ma stanca e opprime anche la disoccupazione e quel senso di inutilità dato dalla disoccupazione. Più in profondità - però - siamo stanchi perché siamo lontani dal Signore Gesù e non siamo più capaci a stare - con Lui - sotto il solo “giogo” che ci rende liberi e che rende leggera la nostra esistenza: Gesù di Nazaret. Abbiamo scelto di stare sotto altri gioghi (carriera, denaro, autonomia assoluta, prestigio, potere, relazioni ammalate, etc.), ma - con amarezza - dobbiamo riconoscere che nessuno di questi gioghi è dolce e che di nessuno di questi gioghi il peso è leggero. Per chi è piegato dai sensi di colpa e per chi è appesantito da stress e stanchezze insopportabili, il capitolo 11 di san Matteo si propone come un vero inno alla libertà e alla gioia.

Buona domenica e buon mese di luglio.

                                                                                                    Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                      Tu hai detto “giogo”, ma io ho capito “gioco”. E così non mi tornava il senso della Tua frase. Poi ho chiesto a mio nonno e lui mi ha spiegato che il giogo è il pezzo di legno che si lega sui buoi per portarli a lavorare nei campi senza bloccarli.

Gesù mi piace questo tuo modo di parlare sempre “attaccato” alla vita di tutti i giorni.

In pratica hai detto che Tu ci guidi senza mai schiacciarci e senza mai bloccarci.

Grazie anche perché ci inviti a “imparare da me che sono mite e umile di cuore”. Niente libri, nessuna lezione speciale e niente da imparare a memoria.

La sola cosa che dobbiamo fare è stare con Te e farci guidare da Te.

Gesù resta Tu il mio Maestro.

E dona alla nostra Europa la Pace che solo Tu sai consegnare.

XII DOMENICA ANNO A 25 giugno 2023

XII DOMENICA  ANNO A  25 giugno 2023

Dal Vangelo secondo Matteo 10, 26 - 33

  (In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli): Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. … 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

 

 

Caro Gesù,

       che belli i tuoi esempi che parlano dei passeri del Cielo che il Padre Tuo non abbandona mai e dei capelli del nostro capo conosciuti e “contati” da Te.

Oggi mi sento davvero come un uccellino del cielo nel palmo della Tua mano.

Nonno dice sempre che Dio è buono.

E vuole che la impariamo anche noi nipoti questa preghiera. Per capire che Dio si occupa di noi, sempre. E che non ci abbandona mai.

Grazie Gesù perché il volto di Dio sei Tu.

Sei Tu che ci fai vedere il Padre e che ci fai toccare con mano che Lui è buono. Sempre.

Aiutami, Gesù, a fidarmi di Te e a non aver paura a seguirTi.

E grazie Gesù anche perché non ci togli le paure che – come dice il mio maestro – sono utili e preziose. Ma ci aiuti ad attraversarle, ad affrontarle e a vincerle.

Tienimi sempre, Gesù, nel palmo della Tua mano.