Preghiere poesie

III Domenica del tempo ordinario B

III Domenica del tempo ordinario B  (24 gennaio 2021)

Vi riporto le letture che ascolteremo durante la celebrazione che sarà bene leggere in anticipo e che ci faciliterà la comprensione dell’omelia che il celebrante proporrà all’assemblea: 

Dal libro del profeta Giona (Gn 3,1-5.10)

Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore. Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 7,29-31)

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1, 14-20)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.  

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Da sempre l’umanità impreca contro il tempo quando desidera lamentarsi per le l’eccessivo carico di sofferenze, di morte e di ingiustizie presenti sulla terra. Ai tempi di Gesù circolava un’immagine molto forte per descrivere la disperazione di chi, sulla terra, si sentiva solo e senza aiuti dall’alto: quella di un cielo – sopra la terra – chiuso, blindato e sbarrato allo sguardo di chi, girone infernale in cui si trova, soffre, impreca e muore. 

Niente di nuovo sotto il sole direbbe un osservatore acuto del tempo presente! La pandemia che sta piegando il mondo, non rallenta (si sono superati i 2 milioni di morti e quasi 100 milioni di contagi!). La situazione dei migranti al campo di Lipa, nel nord-ovest della Bosnia e Erzegovina, è disumana (circa 1000 persone sono abbandonate al ghiaccio e al gelo in accampamenti senza nemmeno una tenda come riapro e costrette a sopravvivere senza servizi igienici, acqua potabile ed elettricità. I migranti che dall’Honduras cercano di arrivare negli Stai Uniti sono presi a bastonate in Guatemala. I vaccini acquistati tardano ad arrivare; il nostro Governo – appena entrato in crisi – è sospeso tra veti, discussioni, polemiche e ricerche di maggioranze! “Tempo scaduto”, dice qualcuno; “tempi infelici” replicano altri; “tempo di crisi, di mancanza di valori, di sprechi, di immoralità, di pandemia…”. Oggi come ieri molto nostro tempo è fonte di disperazione e di paura.

Ma torniamo all’immagine del cielo chiuso. Gesù la conosceva molto bene. Anche perché era scritta persino nel libro del Profeta Isaia che, rivolgendosi a Dio, così pregava: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Ecco perché al battesimo di Gesù san Marco scrive che il Messia, “vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui”: perché – finalmente – il cielo inteso come un Dio lontano, assente e e sordo alle fatiche del mondo, si è aperto. Dio è sceso sulla Terra; si è reso vicino agli uomini; si è portato presso di noi per farci sentire il suo amore e il suo perdono. Con questa premessa è più facile capire perché le prima parole di Gesù – nel Vangelo di Marco – sono quelle che siamo invitati a pregare oggi: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo”. Perché per l’evangelista è di assoluta urgenza e importanza ricordarci che il “tempo” in cui viviamo non è il magazzino del male e del soffrire. Iltempo è compiuto” significa che Dio ha reso il nostro presente definitivamente aperto alla Sua presenza. La bontà di Dio è ormai con noi per sempre – questo vuole dire il “tempo è compiuto” – e significa che nessuna realtà negativa (pandemia compresa!) potrà mai separarci dall’amore di Dio. Questa è la buona notizia che deve risuonare in queste prime domeniche dell’anno. Per ricordarci che accogliere questa nuova realtà che è con noi, rende la nostra vita vera, buona, nuova e definitivamente liberata. In concreto? Come tutto questo si impasta con la nostra quotidianità?

Intanto ci dice che prima di “fare” chissà che cosa, il convertirci che ci propone Gesù è dato dall’accogliere l’amore di Dio che vuole stare con noi nella persona del Signore Gesù e con l’aiuto del Suo Vangelo. E chi accoglie Gesù nella sua vita (e si confronta con il Vangelo), trova in sé le forze per cambiare modo di vivere e scopre che uscire dall’individualismo che ci rende egoisti e tristi è possibile perché siamo chiamati a ritrovarci in un “noi” certamente imperfetto (come le nostre comunità), ma sempre migliore della solitudine depressa a cui condanna l’avarizia. Il “tempo è compiuto” vuole dire che la nuova umanità che cerchiamo è iniziata. “Convertirsi” vuole dire guardare dall’altra parte. Portare lo sguardo non più sul successo, sui soldi o sul benessere mio e solo dei miei figli, ma sulla generosità, sui bisogni di chi sta male, su quel Vangelo che non è un libro scritto, ma una presenza vera, viva e accanto a noi.

Un particolare curioso: in questi sei versetti ricorre per ben due volte la parolina “subito” (che troviamo 10 volte solo nel primo capitolo). Prima sono i discepoli che, appena chiamati, “subito lasciarono le reti e lo seguirono”. Nel secondo caso l’avverbio è riferito a Gesù: “E subito li chiamò”. Come per dire: Il Dio di Gesù ha fretta di cercarci, di incontrarci e di portarci all’umanità nuova che ci rende migliori. E noi? Cosa facciamo per accorgerci che il “cielo sopra di noi è aperto” e per accogliere questo “tempo che è compiuto”? Siamo disposti “a guardare dall’altra parte” (questo vuole dire convertirci|): dalla parte del Vangelo, della comunità, della bontà, del servizio e di chi ha bisogno di noi oppure restiamo ancorati ai nostri schermi e fissiamo ciò che non ci fa volare e nemmeno ci spinge sul terreno dell’amore?

Un piccolo merito questa pandemia forse lo ha: ci ha ricordato che non possiamo sempre dire, “poi”, “domani”, “vedremo” o “lo farò”.

Il nostro essere beati è attaccato a corda doppia alla parola “subito”. Perché il Dio di Gesù non rinvia e non rimanda. Non posticipa e non affida a dopo. Subito ci vuole aiutare. Adesso. Ora. Ed è per questo che si chiama buona notizia.

Buona domenica.

 

Preghiera dei “piccoli”      

Caro Gesù,

la parola “subito” io la uso quasi mai. Quando mamma o papà mi chiamano di solito rispondo dicendo: “tra un attimo”, “sto arrivando” oppure dico: “poi”, “domani”, “dopo”.

Nel Tuo vangelo invece la parola “subito” viene detta due volte in pochissime righe. Prima sono Simone e Andrea che, appena chiamati, “subito lasciarono le reti”.

Poi sei Tu, Gesù, che appena incroci con lo sguardo Giacomo e Giovanni (suo fratello), subito li chiami.

Hai ragione Tu, Gesù, il segreto della vita è dentro la parolina “subito” e vive bene solo chi la dice e la mette in pratica.

Anche diventare “pescatore di uomini” è una bella immagine! Come i pesci muoiono quando escono dall’acqua, così noi viviamo solo se qualcuno ci aiuta ad uscire dal mare della cattiveria e della pigrizia.

Gesù aiuta anche me a diventare un pescatore di uomini.

E grazie per la Domenica della Parola.

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  B

 

«Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro».    Gv 1, 35-42

 

Non si parla solo con la bocca. Spesso e volentieri ognuno di noi parla anche con gli occhi. Proprio come fa Giovanni Battista quando – così dice il testo – “fissando lo sguardo su Gesù” scorge in Lui l’agnello di Dio. “Fissare lo sguardo” è molto di più del solo vedere o osservare. Significa guardare con gli occhi del cuore, in profondità – oltre le apparenze – e scorgere nell’altro la sua verità. Con gli occhi del cuore Giovanni Battista addita Gesù a quanti hanno l’animo inquieto perché alla ricerca della guida che non tradisce. Bello anche il dialogo che sgorga, grazie a questa intensità di sguardi, tra il Maestro e quanti lo seguono. Gesù “si volta” ed in questa descrizione è tutto detto: si accorge di quanti lo cercano; si ferma; prende l’iniziativa di rivolgersi loro; pone loro una precisa domanda – “Che cosa cercate?” – per aiutare chi lo incontra ad entrare in sé stesso e a capire il suo cuore.

“Che cosa cercate?” è il grande invito che Gesù rivolge a ciascuno di noi per aiutarci a rientrare in noi stessi e per spingerci nella direzione della libertà vera. Siamo tutti alla ricerca di qualcosa. Sempre. Siamo tante volte stanchi di cercare, di correre, di ritrovarci sempre allo stesso punto di partenza, ma siamo anche – allo stesso tempo – indisponibili a cambiare stili di vita. Forse abbiamo anche smesso di cercare, ma non di inseguire ciò che, molte volte, ci avvelena l’esistenza. Si è tutti – però – alle prese con un cuore che cerca risposte capaci di saziare la nostra voglia di infinito.

Il Vangelo di oggi ci dice che la risposta a questa continua ricerca di senso e di verità è Gesù presente nella Sua Parola e nel fratello bisognoso di aiuto. Sia chiaro: non stiamo cercando – ci dice san Giovanni – una buona idea, una teoria o una ideologia convincente.

E si noti la finezza suggerita dall’evangelista: la ricerca è sempre personale, ma va condotta insieme, a livello comunitario. Per la semplice ragione che è rimasta, in ciascuno di noi, la nostalgia per quella fraternità infrante (come testimonia bene la vicenda di Caino e Abele) che, da soli e senza l’aiuto di Gesù, non riusciamo a ricostruire. Il particolare rischia di non essere colto, ma le prime chiamate di Gesù coinvolgono sempre coppie di fratelli: affinché nasca quel “noi” che libera l’io dalle catene della solitudine, dell’egoismo, ma anche delle divisioni, delle lacerazioni, dei litigi, dei pettegolezzi e delle discordi.

Prima è Giovanni Battista che fissa lo sguardo su Gesù. Ora è Lui che porta i suoi occhi su Simone (“Fissando lo sguardo su di lui”). Occhi che parlano e che raccontano una storia d’amore e di libertà che cura e che guarisce il nostro vivere.

Simone non sa che cosa sta cercando. Ha fame e sete di vita piena, vera e con senso. Cerca una comunità capace di vivere tanto l’amore quanto il perdono. Vorrebbe vivere per gli altri (intuisce che l’essere beati passa per il dare e non per il prendere), ma no sa di chi fidarsi e soprattutto non riesce a mollare barca, reti, garzoni, padre e pesca che gli consegnano quella falsa sicurezza che lo rende inquieto.

Simone è ognuno di noi. Inquieto, irrequieto e con tanta bontà depositata sul fondo del cuore. Nessuno di noi ama la solitudine, ma a forza

 

 di cercare i compagni perfetti rischiamo di restare soli e sempre arrabbiati con la vita da solo. Simone – come ognuno di noi – aspetta qualcuno che gli cambi il nome non per il gusto di rinnegare il passato, ma per imparare che la vera libertà inizia quando si capisce che anziché “pescare” per sé stessi si diventa capaci di “pescare per gli altri”. Non solo: Simone – come ognuno di noi – deve anche intuire che liberare i fratelli dalle acque del male (questo vuol dire diventare “pescatori di uomini”) immerge la vita nella bontà e fa stare bene.

Ecco che cosa cerchiamo: Chi sa asciugare le nostre lacrime; Chi ci cambia nome e modo di vivere; Chi ci dona senso e nuova libertà perché ci insegna a vivere per gli altri; Chi si accorge di noi e delle nostre mute domande nel cuore; Chi si ferma per noi; chi si volta per noi; chi ci parla con parole di vita eterna.

Stiamo cercando una comunità che ci aiuti a leggere, a pregare, a vivere e a mettere in pratica il Vangelo. Con la certezza che chi trova questa presenza che si chiama Gesù non si sente soltanto fissato nel cuore dal suo sguardo, ma fissa anche – nella sua memoria – l’ora di quell’incontro.

Erano circa le quattro del pomeriggio” annota l’evangelista.

Sono passati decenni da quell’incontro che ha cambiato, salvato e liberato la vita.

Chi scrive – però – ricorda ancora l’ora precisa in cui gli sguardi si sono incontrati e la Parola ha iniziato a guidare la vita nuova di chi lo ha seguito.

L’augurio che per ciascuno di noi scatti quell’ora: le quattro del pomeriggio.

Buona domenica.

 

Preghiera dei “piccoli”

Caro Gesù,

è bello che Andrea – dopo la Tua chiamata – conduca da Te suo fratello Simone e insieme Ti seguano.

Ho notato questo particolare perché la maestra ci ha insegnato un proverbio africano che dice: “se vuoi andare veloce, corri da solo, ma se vuoi andare lontano vai insieme a qualcuno”.

Tu Gesù non ci chiedi di fare una gara su chi arriva prima. Per Te le cose che contano sono chiare: seguire Te, camminare insieme, non restare bisticciati dopo aver litigato e imparare a chiedere scusa o a perdonare l’altro quando serve. Solo così arriviamo lontano: nel paese dove il Noi vince sull’Io (dove Caino e Abele non sono mai arrivati).

Grazie Gesù perché con Te diventa possibile essere, fare e diventare fratelli. Con tutti, come dice Papa Francesco. E sempre.

Piccola domanda, Gesù. Perché a Simone non gli hai detto “Seguimi”? Quando glielo dirai?

BATTESIMO DEL SIGNORE (Mc. 1, 7-11)

BATTESIMO DEL SIGNORE (Mc. 1, 7-11)  

 

«[In quel tempo Giovanni Battista] proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. 9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento”»

 

Con un bellissimo esercizio di scrittura, san Marco cuce e tiene insieme l’inizio del ministero pubblico di Gesù con la morte in croce. Nel momento del Sua battesimo – dice il testo – i cieli si squarciano, lo Spirito discende verso di lui come una colomba e una voce dal cielo proclama “Tu sei il figlio mio, l’amato”. Il messaggio è intenso e forte. Con l’irrompere di Gesù nella storia, il Cielo si squarcia e resta definitivamente aperto per permettere a Dio di coinvolgersi con la nostra faticosa e affascinante Terra. E dal Cielo scende la stessa voce di Dio – la Sua Parola – per dirci che Gesù è il Figlio di Dio. È Dio stesso che pronuncia questa frase in modo solenne che ostenta la gioia e persino il sano orgoglio del Padre per il Figlio alla presenza dello Spirito. Nel momento dell’avvio del ministero di Gesù Dio ha non solo la forza, ma anche l’entusiasmo per “parlare” di Lui e con l’umanità.

Non è più così sul Calvario. Quando Gesù muore in croce, san Marco richiama volutamente la scena del battesimo con l’utilizzo del verbo “squarciare” (“Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo”). Come a dire: se con l’inizio del ministero di Gesù si è squarciato il Cielo – segno che la Terra mai più sarà lontana dall’amore di Dio – ora, al momento della Sua morte – si squarcia il Tempio per dirci che nessun luogo di culto può impossessarsi dell’amore universale di Dio. Ma san Marco fa di più. Nel momento in cui muore Gesù ci presenta Dio incapace di parlare – Lui è che Parola – perché bloccato dal dolore per la morte del Figlio. Nel battesimo è Dio stesso che parla. Ora, al momento della morte, è il centurione che assiste alla morte in croce di Gesù che parla e che esclama: “Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!”. Come Gesù è stato aiutato da Simone di Cirene a portare la croce, ora è il Padre che si fa aiutare e chiede in prestito la voce al centurione per comunicare al mondo il Figlio Suo è morto (“avendolo visto spirare in quel modo disse)”.

Ma si noti la finezza: il Padre non riesce a parlare perché scosso dal dolore per la morte di Gesù, ma non tace. Semplicemente si fa prestare la voce dal centurione romano (un pagano!) e fa dire a lui ciò che non riesce a pronunciare perché con il cuore in gola.

E vale la pena farla nostra questa bella riflessione che ci propone l’evangelista. Succede anche a noi: quando ci viene a mancare una persona cara, abbiamo la voce strozzata in gola e non riusciamo a parlare. Quell’impossibilità a parlare perché con le lacrime agli occhi – però – è diversa dal silenzio che la nostra cultura vorrebbe imporre sulla morte rendendolo il vero tabù del nostro secolo.

Ci vorrebbero convincere a vivere come se la morte non ci fosse; educarci a fingere che la morte non esiste e anche quando – purtroppo – arriva deve essere considerata, per molti, “solo” colpa di sanitari negligenti che non l’anno fermata. Lo sappiamo che non è così. Anche perché vivere come se la morte non ci fosse (per paura), vuole dire non vivere. Il solo modo per impedire alla morte di possederci, di rubarci la serenità e di dominare i nostri pensieri è riconoscerla, con saggezza, come parte della vita che ci insegna a vivere bene per entrare – definitivamente – nella vita che non finisce più. E se noi – oggi – riusciamo a trovare parole di speranza e di vita anche in questi tristi e duri mesi, è perché Dio scrive diritto anche sulle righe storte e perché ha scelto di non fermare mai la Sua Parola. E per chi – visitato dal dolore – non trova più le parole per piangere e per sfogarsi, ognuno di noi diventi come il centurione: prestiamo la voce a Dio e invitiamo chi cammina con noi a fissare Gesù morto in croce per riconoscere, in quella Parola che momentaneamente non parla più, la fonte della speranza e l’inizio della vita che non ha più fine.

Non diventiamo migliori fingendo che la morte non ci sia. Ciò che ci rende buoni, liberi, veri e beati è l’esatto opposto: vivere sapendo che ci aspetta quella nuova nascita che raccoglierà tutto il buono che abbiamo costruito per portarlo dove c’è solo vita e vita eterna.

Buona domenica a tutti.

                                                                                  

Preghiera dei “piccoli”                                        BATTESIMO DEL SIGNORE

 

 

Caro Gesù,

               quando ho detto a mia nonna che mi sono messo in camera, appeso al muro, il certificato di battesimo incorniciato, lei si è commossa.

E poi ha aggiunto che piacerebbe anche a lei avere il suo certificato di battesimo.

Mi sono fatto dire da mamma dove nonna è stata battezzata. Ho telefonato alla sua vecchia Parrocchia; me lo sono fatto mandare via internet e dopo averlo stampato l’ho fatto inquadrare. Oggi chiedo a mamma di portarle questo regalo (non possiamo ancora mangiare tutti insieme, come una volta). 

E Ti ringrazio Gesù perché non appena sei stato battezzato, i Cieli sopra di Te si sono “squarciati”: segno che non si possono più chiudere sopra di noi e che il Tuo Spirito non ci lascia soli.

E Tu sai quanto è bello sentircelo ricordare in questo periodo.

Sei unico Gesù. E grazie ancora.

II domenica dopo Natale 2021

 

  2a  domenica dopo Natale  2021

 

 Dal vangelo di  Gv 1, 1-18

“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”.

 

Può essere utile, in questo periodo post natalizio, confrontarsi con un brano come quello che abbiamo da poco ascoltato, perché può essere inteso come un modello di riferimento per comprendere come una costruzione filosofico letteraria, debba esser indagata per risultare significativa all'interno di un percorso di ricerca di fede.
L'autore è ben diverso, come modo di ragionare, dal contesto evangelico sinottico, e non ricerca certo una descrizione verosimile di quanto ha appreso da testimonianze orali: proprio per questo diventa legittimo chiedersi come questo scritto possa affondare le sue radici alla fine del primo secolo d.C.
L'autore, probabilmente, ha cercato di trasmettere significati importanti utilizzando profili letterari molto ricercati.
Questo ci offre la possibilità di interrogarci su quale sia la figura di Gesù che noi ricerchiamo.
Giovanni, con mirabili costruzioni ci spinge verso un Gesù filosofico religioso:
alla luce degli altri scritti evangelici natalizi, noi possiamo pervenire ad un messaggio utile in una prospettiva di ricerca di fede, ma se ci limitiamo a questa, pur sublime poesia, rischieremmo di non trovare Gesù di Nazareth.
Diventa tuttavia interessante comprendere quale è il Cristo che noi cerchiamo, o meglio: come noi vogliamo farci interpellare dal racconto o dai racconti che in queste settimane vengono presentati nelle chiese, o nei luoghi di culto.
Ovvero: siamo noi, sono gli ascoltatori, i lettori che scelgono come render credibile il tempo natalizio.
Troppo spesso ci si è accontentati di rileggere, rievocare i vari passi evangelici propri di queste settimane.
Pur con le sue specificità ogni brano evangelico che si proponga di far riflettere su questi giorni ci richiede uno sforzo per giungerne ad una significativa comprensione.
Il testo giovanneo ci spinge a ricercare la centralità del "Verbo" ovvero della Parola, Parola che diventa significato, che diventa prassi di vita: un susseguirsi di ricerca, di studio e di prassi.
Se noi ricordiamo le varie accezioni del cristianesimo che abbiamo finora scoperto e che ancora dobbiamo scoprire come prassi di servizio allora sappiamo dare attualità al "Verbo" che Giovanni ci invita a scoprire.
Il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio... dove con questa frase dovremmo saper intendere che il "Comandamento Nuovo", la legge dell'amore può diventare elemento propulsivo per ogni nostra ricerca di senso nel nostro vivere.
Quindi, si può dire che un brano, pur poetico, pur letterariamente espresso, non può evitare di richiamare ognuno che vi si accosti a farlo proprio, a comprenderne un significato: non è possibile ingessare un brano di questo tipo volendo essere troppo aderenti al testo letterale, si finirebbe per ricavare una descrizione di un Gesù di Nazareth lontano dalla vita quotidiana degli uomini.
Proprio per ciò, si fa più disponibile una lettura di queste pagine intesa come stimolo a condurre una ricerca verso i nomi, la figura attribuita a Gesù, poiché meglio che con presepi, rievocazioni in costume o letture sublimi dobbiamo sempre riscoprire il messaggio collegato alla figura di quel Gesù che seppe farsi promotore di tante istanze di liberazione pur in una parabola esistenziale contenuta e interrotta anzitempo.

A coloro che si dicono cristiani oggi restano enormi spazi per rendere concreto ciò che Giovanni poeticamente ci descrive.

Rileggere i diversi interventi, omelie e messaggi che papa Francesco in questo periodo natalizio ha donato a tutta l’umanità (e che potete trovare nel sito:                             www.unachiesaapiuvoci.it ) ci aiuterebbe a comprendere e a meditare meglio il cosiddetto “Prologo di Giovanni”, per vivere nel nostro quotidiano la sorprendente ultima Enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti…”, il cui contenuto ha il sapore di quel Vangelo che Gesù ha affidato agli apostoli per  tutti i popoli e le nazioni della terra,  di ieri, di oggi e del domani.  

                                                                                                                   dm

Preghiera al Creatore

Signore e Padre dell’umanità,
che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità,
infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno.
Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace.
Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno,
senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre.

Il nostro cuore si apra
a tutti i popoli e le nazioni della terra,
per riconoscere il bene e la bellezza
che hai seminato in ciascuno di essi,
per stringere legami di unità, di progetti comuni,
di speranze condivise. Amen.


Preghiera cristiana ecumenica

Dio nostro, Trinità d’amore,
dalla potente comunione della tua intimità divina
effondi in mezzo a noi il fiume dell’amore fraterno.
Donaci l’amore che traspariva nei gesti di Gesù,
nella sua famiglia di Nazaret e nella prima comunità cristiana.

Concedi a noi cristiani di vivere il Vangelo
e di riconoscere Cristo in ogni essere umano,
per vederlo crocifisso nelle angosce degli abbandonati
e dei dimenticati di questo mondo
e risorto in ogni fratello che si rialza in piedi.

Vieni, Spirito Santo! Mostraci la tua bellezza
riflessa in tutti i popoli della terra,
per scoprire che tutti sono importanti,
che tutti sono necessari, che sono volti differenti
della stessa umanità amata da Dio. Amen.

Dato ad Assisi, presso la tomba di San Francesco, il 3 ottobre, vigilia della Festa del Poverello, dell’anno 2020, ottavo del mio Pontificato.

                                                                                                  Francesco
 

Preghiera dei “piccoli”

 Caro Gesù,

è iniziato un nuovo anno, ma siamo ancora in zona rossa. Come lo scorso anno. E abbiamo ancora troppi contagi e soprattutto tantissimi morti.

In un solo giorno – l’ho letto sul giornale – sono state contagiate 524.000 persone e ne sono morte 9.546. E anche per quanto riguarda l’Italia i numeri sono grandissimi: più di 72.000 persone morte nello scorso anno e tra queste 274 medici, 60 infermieri (28.000 contagiati) e 182 preti.

Gesù ti prego per quanti non iniziano questo nuovo anno con noi. Ringraziali Tu per tutto il bene che hanno fatto. E donaci Tu la luce capace di illuminare questa notte dalla quale, da soli, non riusciamo ad uscire.

Gesù abbiamo tutti tanta voglia di abbracciarci.

Per questo ti chiedo di iniziare Tu ad abbracciarci.

Grazie Gesù. Resta “con noi”.

 

P.S. In questo mese forse vaccinano mia mamma che fa l’infermiera. Speriamo.

 

 

PRIMO GENNAIO 2020

PRIMO GENNAIO 2020

Maria santissima Madre di Dio (Luca 2,16-21)

 

«Andarono [i pastori], senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo».

 

“Vergine Madre, figlia del tuo figlio, in cui il suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura” (Dante).

Maria viene oggi celebrata come Madre di Dio.
Ma non è l’essere divenuta Madre di Dio a rendere grande Maria – (questa è opera dell’Amore) – ma il suo sì, la sua disponibilità all’azione di un Altro in sé. Ciò che rende grande la creatura è riconoscersi tale, ‘opera di un altro’.
Maria, la ‘benedetta tra tutte le donne’, sconosciuta perfino a se stessa, fa ora della sua vita un oblio di sé, spazio vuoto per l’accadere di Dio.
Laddove non c’è più l’io, c’è Dio.

Maria, Madre di Dio, è solo terra feconda. Semplice campo arato, perché il seme vi possa cadere e sbocciare. Poi sarà il seme a fare il suo corso: «dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso [il contadino] non lo sa» (Mc 4, 27); l’energia, la potenzialità sta tutta racchiusa nel seme, chiede solo un terreno in cui poter portare frutto.

Maria è madre paziente. Ha atteso nove mesi come tutte le madri, poi prende tra le braccia la carne della sua carne, perché Dio non scavalca mai l’umano, non avendo strade preferenziali.
Con Gesù impariamo che i tempi di Dio son quelli dell’uomo, della natura, della maturazione, dell’attesa. L’amore sa aspettare.

Maria è madre della fatica del capire. Con la calma propria degli amanti è divenuta discepola del suo figlio. L’assurdo, il dubbio, la domanda non l’hanno risparmiata se un giorno s’è recata da Gesù con l’intento di riportarselo a casa ritenendolo impazzito (cfr. Mc 3, 21).

Maria la madre, non è stata preservata nemmeno dal dolore.
L’amore non toglie l’amato dalla sofferenza, ma accompagna, sta accanto e con-patisce. Dopo una vita passata a maturare alla luce del figlio, non è divenuta Madonna, ma discepola, aggrappata al patibolo infame, scoprendo lentamente che a compiere una vita, non è l’essere integerrimi di fronte alla Legge divina (cfr. Lc 2, 22.23.39) ma un amore capace di andare sino alla fine.

                                                                                                             don Paolo Scquizzato

 

54 Giornata Mondiale della Pace La cultura della cura come percorso di Pace

 

         I numeri del 2020 riferiti al covid li consociamo: oltre 82 milioni di contagiati nel mondo e quasi 2 milioni di morti distribuiti nei cinque continenti. Anche in Italia le cifre sono impressionanti: i contagiati hanno superato i 2 milioni e i morti sono – per ora – a quota 73.000 (in Europa le vite umane fermate dal covid superano i 560.000).

            Sappiamo anche, però, che stiamo parlando di persone, di volti, di storie, di famiglie e anche di ruoli sociali vissuti intensamente (per dare qualche cifra: 273 medici morti in Italia perché stroncati dal covid, 60 gli infermieri e 28.000 i contagiati, mentre sono 184 i preti che hanno concluso la corsa terrena a causa di questa pandemia) e che tutta questa fatica sta mettendo a dura prova la nostra fede

            Quante volte siamo stati tentati di dirci, in questi mesi, “Ma Dio, dove sei? Perché non intervieni? Perché non fermi questo virus?”. Ci siamo ribellati quando falsi predicatori hanno associato questa pandemia al castigo di Dio (e abbiamo ritenuto di competenza psichiatrica chi riduce Dio ad un distributore di virus per castigare la nostra umanità), ma è indubbio che in quasi tutti noi si è spenta – per ora – la voglia di ringraziare Dio per questo tempo.

            Il cuore umano è fatto così: quando il bene è abbondante sulla nostra vita, non c’è tempo per ringraziare nessuno anche perché tutto ci sembra dovuto.

            Quando però il male bussa alle nostre porte, si protesta, si impreca, si domanda a Dio dove si è nascosto, perché non interviene e perché permette tutto questo disordine.

            Alle prese con il verbo ringraziare il Vangelo ci presenta, però, una diversa e migliore umanità. Quando le cose procedono per il giusto verso (salute, casa, lavoro, ambiente, affetti. etc.) siamo invitati a cogliere questi beni come tracce (evidenti) della bontà di Dio e a lodarlo (come fanno i pastori descritti oggi nel Vangelo: “I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.” –  Lc. 2,20).

            Quando però il male raggiunge Gesù, Lui non impreca e non protesta contro Dio. Sulla croce, condannato ingiustamente, Gesù sceglie di pregare con la Parola di Dio e recita il solo salmo che racconta il cammino dell’uomo che prima è devastato dal dolore, dalla sofferenza e dalla solitudine, ma poi riesce ad aprirsi alla lode e alla consolazione della comunità. Gesù con sole quattro parole (“Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”) chiede alla Parola di Dio di aiutarlo a situare il male che lo aggredisce alla presenza del Dio che non abbandona mai (ed è bello, in questi drammatici giorni provare a leggere tutto il salmo 22 e il successivo salmo 23 in cui il Signore ci viene presentato come il pastore buono che ci conduce oltre la fatica e sui pascoli del riposo vero!).

            Ma si noti anche che negli ultimi istanti di vita in croce, Gesù ha ancora la forza:

  • per perdonare chi gli sta facendo del male (“Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»” – Lc. 23,34);
  • per chiedere ai suoi cari di accogliersi a vicenda (“Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!»” - Gv. 19,26s);
  • per ascoltare la preghiera dell’ultimo disgraziato che gli chiede un atto di carità: (“Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso.»” – Lc. 23,43).

            Ecco il senso del nostro Te Deum.

            Ringraziare Dio per tutti i doni che sempre ci ha fatto e per il bene che ha saputo offrirci anche in questo tempo di pandemia (sono circa 400.000, in Italia, i bambini nati nel 2020!). E poi chiedere a Dio che ci insegni a pregare. Che ci aiuti, con il salmo 22, a portare fatica e sofferenza sul piano della lode e che ci pungoli a passare dalla solitudine alla comunità. Solo – però – se nella fatica diventiamo capaci, come Gesù, di perdonare chi ci fa del male, di aprire le nostre relazioni all’accoglienza e di ascoltare chi – vicino a noi – chiede aiuto, saremo tutti insieme nella vita che non ha fine. Nel paradiso.

            Nel Te Deum affidiamo a Dio anche le tante sorelle e i tanti fratelli che ci hanno lasciato, ma che ora pregano per noi dal Suo Regno.

 

 

Grazie o Dio,

                            perché ci insegni a ringraziare anche nella tempesta e perché ci educhi, quando stiamo male, a non lasciarci piegare dalla fatica e ad aprire il nostro cuore a chi ha bisogno di noi.

     Liberaci dal male e rendici, o Padre buono, capaci di amare e di perdonare per tutti i giorni del 2021.

     Per Cristo nostro Signore.

SANTO NATALE 2020

SANTO NATALE  2020

 Dal Vangelo secondo Luca 2, 1-14

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.

Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».  E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».   

 

L’annuncio della nascita di Gesù ai pastori è costruito – dal punto di vista letterario – in maniera davvero efficace.

Si parte sommessamente: «C’erano in quella regione alcuni pastori».

E fin qui niente di eccezionale, anzi l’immagine che viene proposta è quella della tipica normalità abitudinaria legata alle attività di campagna.

È poi aggiunto un dettaglio: «pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge».

Nell’atmosfera statica dell’immagine di partenza viene introdotta una “pulsazione anomala”. È notte, ma non si dorme. I pastori non sono nel proprio letto al caldo, ma all’aperto e sono svegli, per fare la guardia al gregge. Sono “svegli” – ecco l’elemento che rompe la staticità. Sono “allerta”: potrebbe accadere qualcosa.

La stessa pulsazione arriva anche a noi lettori: nel “fermo-immagine” proposto all’inizio non tutto è “fermo”. Anche noi ci mettiamo “allerta”.

Ciò che accade però non è ciò che ci si aspetta: non arriva qualche bestia feroce o qualche malintenzionato. A sopraggiungere è qualcun altro: «Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce».

Nella calma placida di una notte uguale a tutte le altre notti, si presenta sulla scena un messaggero di Dio, che avvolge i pastori di luce. Immaginiamoci questa scena: l’evangelista, passaggio dopo passaggio, sta costruendo una parabola ascendente che punta dritta verso un vertice. Non ci siamo ancora però: certo l’irrompere dell’angelo e il suo rischiarare la notte è già un bell’effetto scenografico, ma – se rileggiamo bene – la scena continua a mantenersi sostanzialmente statica: «Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce».

La reazione dei pastori però movimenta il quadro: «Essi furono presi da grande timore». E sembra di vederseli, non più immobilizzati nella ripetizione dei gesti di sempre, ma agitati, frementi, con gli occhi strabuzzati.

«Ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo”»: la frenesia e l’inquietudine tornano per un momento a placarsi. Non si tratta di un messaggero che porta cattive notizie. Non c’è da temere. Quello che vuole dire è un vangelo, l’annuncio di una grande gioia, per tutti: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”».

Riparte l’agitazione: Un salvatore? Per noi? Il messia?

Ma nonostante mille domande si agitino nel cuore dei pastori e nel nostro, non siamo ancora arrivati in cima… tutti i passi fatti finora conducono all’ultima parola che l’angelo ha da dire: «Questo per voi il segno»…

Oh mamma mia… eccoci… il segno…

Che segno sarà? Quale segno potrà mai “segnare”, “significare” l’arrivo del salvatore, del messia, di qualcuno che è venuto per noi?

Proviamo a rispondere veramente: quale segno potrebbe essere efficace per dire che è arrivato Dio? Cosa ci viene in mente? Quale sceglieremmo noi?

Dimmi il segno che immagini… e ti dirò chi sei… e che idea di Dio hai…

L’evangelista Luca indica un segno apparentemente deludente. Tutta questa scalata pirotecnica di angeli e luce e messaggi altisonanti dal cielo per indicare «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

Un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia?

Ma che segno di Dio è?

Se avvertiamo l’incongruenza l’evangelista è riuscito nel suo artificio letterario: portarci a chiederci se il problema è il segno, che ci pare deludente, o l’idea di Dio che abbiamo in testa, che ci fa apparire deludente il segno.

                                                                                                            don mario

 

CARO GESÙ  ( Preghiera dei Piccoli)

 

Caro Gesù,

        tra i miei regali di Natale c’è una bella calcolatrice.  Sono contenta. Mi serve per fare i compiti. La voglio però tenere sulla scrivania, vicino al Vangelo che mi hanno regalato per la prima Comunione.

E sai perché?

Per ricordarmi, sempre, che per amare bisogna imparare a non “contare”.

   Amare vuol dire spendere noi stessi senza fare troppi calcoli. E poi ormai l’ho capito: chi ama non è interessato a contare di più, ma vuole aiutare chi conta così poco da stare male.

   Gesù se tu avessi usato la calcolatrice per decidere di venire in mezzo a noi, non saresti nato a Betlemme.

Grazie Gesù.

Ti prego per tutti coloro che non contano nulla; per quanti sono solo numeri; per i tanti, troppi morti per questa epidemia e per tutti coloro che ci aiutano a combatterla.

Rendi Tu, Gesù, “buono” questo Natale.

IV DOMENICA DI AVVENTO B

IV DOMENICA DI AVVENTO B

«Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”.29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L'angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.34Allora Maria disse all'angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. 35Le rispose l'angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio”. 38Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l'angelo si allontanò da lei».

 

Il vangelo di questa domenica, l’ultima prima di Natale, ci avvicina decisamente all’evento che stiamo aspettando: la memoria della nascita di Gesù. Ci viene infatti raccontato il momento dell’annunciazione a Maria.

Il testo è tratto dal vangelo di Luca, che insieme a quello di Matteo, è l’unico che parla di Gesù bambino.

I testi dell’infanzia, come sappiamo, non sono cronache dei fatti, ma racconti teologici: essi cioè puntano a fondare nelle origini (dalla nascita e addirittura prima della nascita) l’eccezionalità del personaggio (Gesù) protagonista dei vangeli.

Leggendo questo brano è perciò importante chiedersi non tanto cosa sia accaduto realmente e come sia possibile che certi passaggi siano verosimili, ma cosa hanno voluto dirci di Gesù gli evangelisti, e in questo caso, cosa abbia voluto dirci l’evangelista Luca.

La prima cosa che salta agli occhi è che nella vita di Gesù è all’opera un attore particolare: Dio.

Questo è evidente fin dall’inizio: non è l’angelo Gabriele ad andare da Maria, ma egli «fu mandato» (verbo passivo) «da Dio». L’iniziativa è sua.

Ed è di Lui che l’angelo parla, della sua iniziativa: Maria è chiamata da Gabriele «piena di grazia», cioè “amata gratuitamente”. Da chi? Da Dio, ovviamente: riecco dunque spuntare la sua iniziativa. Il tutto ribadito anche in seguito: «hai trovato grazia presso Dio».

Queste espressioni stanno a indicare che l’origine dell’esperienza storica di Gesù non è da cercare nelle vicende umane e nemmeno in quelle angeliche: la nascita di Gesù è iniziativa di Dio.

 

Il protagonista dell’intero libro del vangelo di Luca viene dunque immediatamente accreditato come “proveniente da Dio”.

Eppure… la storia che viene costruita intorno all’origine storica di Gesù non mostra unicamente l’iniziativa di Dio: viene infatti subito introdotta anche la commistione con gli uomini, anzi, con le donne. L’origine storica di Gesù non è esclusivamente divina, ma inclusivamente umana. Nella storia narrata da Luca, per fondare l’origine storica di Gesù, Dio

– tramite il suo messaggero – chiama in causa una donna: Maria.

Questo – se non fossimo troppo abituati a sentire il racconto – dovrebbe farci sussultare.

Se, infatti, l’unica intenzione dell’evangelista Luca fosse stata quella di fondare l’origine storica di Gesù in un’iniziativa divina, avrebbe potuto raccontarci di una “spedizione” diretta del Figlio: cioè avrebbe potuto raccontarci una storia in cui Gesù veniva mandato direttamente sulla terra, senza passare per Maria.

Invece no… perché?

Perché l’evangelista Luca aveva il problema opposto al nostro (e se non ne teniamo conto, rischiamo di fraintendere quello che ha voluto trasmetterci). Noi, infatti, guardiamo alla nascita di Gesù dando per scontato (senza forse capire fino in fondo cosa significhi) che Gesù è Figlio di Dio e infatti ci stupiamo del “passaggio attraverso Maria”; i primi cristiani, invece, davano per scontato che Gesù fosse un uomo (perché davanti agli occhi avevano avuto sempre e solo un uomo in carne ed ossa), tant’è che l’accusa che veniva loro mossa (che poi era la stessa che era stata mossa a Gesù durante il processo) è che ritenessero Dio un uomo. Ecco perché per loro era così importante fondare divinamente l’origine storica di Gesù.

Il punto di vista di Luca è dunque quello di testimoniare che colui che – agli occhi – appariva solo come un uomo, in verità veniva da Dio.

Eppure – quell’uomo che veniva da Dio – era davvero “passato per Maria”. Questo era un dato di realtà che Luca – in tutto il suo sforzo di accreditare divinamente l’origine di Gesù – non poteva negare: tutti sapevano che Gesù era il figlio di Maria e del falegname. Tutti sapevano che era un nazareno (mentre il messia doveva essere un betlemmita della stirpe di Davide).

Ecco allora che i dati di realtà vengono plasmati (non negati) in modo che “stiano dentro” (collimino) con le antiche profezie messianiche. I primi cristiani sono così convinti che Gesù sia il messia, che gli cuciono addosso un’identità originaria funzionale alla sua identificazione con il messia atteso.

Di tutta questa opera di cucitura a noi rimane: la loro convinzione che Gesù venisse da Dio e la loro fedeltà ai dati di realtà che mostrano il passaggio attraverso il grembo di una donna, in un luogo geografico preciso: Nazaret.

Qual è il nostro compito? Non sbagliare il punto prospettico da cui guardare.

Se leggeremo il vangelo partendo dalla convinzione che Gesù è Figlio di Dio, continueremo a trovare “strana” (estrinseca) la sua umanità. Se invece – come i primi cristiani – leggeremo il vangelo partendo dall’evidenza che Gesù era un uomo, potremo finalmente convertire la nostra idea di Dio, che è lo scopo dei vangeli (e prima ancora di Gesù stesso).

Detto con uno slogan: il vangelo non è il percorso dall’ideale al reale, ma dal reale all’ideale.

Chiara Giuliani - Fraternità di Lessolo

 

Preghiera dei “piccoli”

Lc. 1,26-38

Caro Gesù, oggi, in chiesa, Simone ci ha fatto ridere.
Dopo la lettura di questo Vangelo, sottovoce ha detto: “Meglio «Ave» che «Rallegrati». Altrimenti per il don che pizzica la “erre” l’Ave o Maria sarebbe una tortura”.
Siamo scoppiati tutti a ridere. Anche il don però ha sentito. E ha confermato: “Per me è molto meglio dire «Ave», ma – ha aggiunto – non dimenticate mai che il vero saluto dell’angelo a Maria è “rallegrati”: per aiutarci a capire che Gesù viene verso di noi per portare gioia, non per sgridare o punire.”.

Grazie Gesù perché con una sola parola ci dici tutto. E ci fai capire che solo chi si mette al Tuo servizio è contento.
Prima di andare a letto, e fino a Natale, voglio dire “Rallegrati Maria” e poi lo ripeto mettendo il mio nome.
Sono contento, Gesù, anche se siamo in un tempo un po’ brutto.

II DOMENICA DI AVVENTO B

II DOMENICA DI AVVENTO B

«Viene dopo di me colui che è più forte di me.»    Mc. 1,1-8

«Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

2Come sta scritto nel profeta Isaia:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:

egli preparerà la tua via.

3Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri,

4vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali.

8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

 

All’inizio del suo Vangelo, Marco ci presenta Giovanni il Battista intento a proclamare la conversione attraverso un atto di purificazione. In questa sua missione, il profeta ci viene presentato vestito di peli di cammello, con una cintura ai fianchi, e come un uomo che si nutre di cavallette e miele selvatico.

Peli di cammello (v. 6). Il cammello, si riteneva fosse l’unico animale in grado di attraversare il deserto – luogo tipologico di morte – senza disorientarsi e quindi morire. Marco ci invita qui a rivestirci di Cristo – colui che ha attraversato la morte -, di vivere la sua parola, la sua stessa logica ossia quella fondata sul bene, unico modo per attraversare il quotidiano segnato dalla morte potendo così vivere per sempre (cfr. Rm 13, 14).

Giovanni, ci informa ancora Marco, porta ai fianchi una cintura di pelle (v. 6b); nel cammino di esodo in vista della liberazione, il popolo ebraico fu chiamato a cingersi l’abito con una cintura (Es 12, 11), per poter camminare liberamente e speditamente, senza inciampare, in vista della Terra Promessa. Siamo donne e uomini costituiti per andare avanti, verso un orizzonte di compimento, per entrare nella pace del cuore, il proprio compimento, nostra terra promessa. Occorre non inciampare in distrazioni inutili che rallentano, distraggono o addirittura conducono da altre parti.

Il Battista si nutriva di cavallette (v. 6b); un’antica leggenda semitica racconta che nel deserto viveva un tipo di cavalletta in grado di mangiare addirittura un serpente, simbolo male.

Inoltre quest’uomo del deserto si nutre di miele selvatico (v. 6b). Il miele in tutta la Bibbia è simbolo della Parola di Dio. Ora, fuori di metafora, se nel deserto della nostra esistenza, dove tutto pare avere sapore di morte, di sconfitta, di male cominciamo a nutrirci della Parola di Dio, ossia del ‘fare esperienza’ dell’Amore, del bene in grado di vincere anche la morte, allora impareremo a distruggere quel ‘serpente’ che ha voluto da sempre inocularci la tremenda idea menzognera su Dio come padre-padrone, vendicativo e giudice così da incamminarci speditamente verso il suo abbraccio di misericordia e bontà, luogo pensato per noi da sempre, nostra Terra Promessa.

E là, nutriti da questo amore, consapevoli che siamo figli amati, rivestiti insomma dei medesimi sentimenti di Cristo (Fil 2, 5), possiamo oltrepassare la morte stessa, perché finalmente in grado di amare.

don Paolo Scquizzato

 

Preghiera dei “piccoli”

Caro Gesù,
il vangelo di Marco e quello di Giovanni iniziano tutti e due con la stessa parola: “inizio” o “principio”. Ma “Principio” è anche la prima parola della Bibbia e del racconto della creazione.
Tutte cose che non sapevo.
Quando mia zia Carla (che è catechista) mi ha fatto notare questi particolari, ho capito che Tu, Gesù, sei venuto sulla nostra terra per iniziare – per noi – una nuova creazione.
Abbiamo bisogno, Gesù, del Tuo aiuto per mandare via dalla nostra vita questo brutto virus.
Ri-crea, Gesù, per tutti noi, la vita normale fatta di scuola, catechismo, visite ai nonni e attività sportive senza mascherine e senza paure.
Rendici capaci, Gesù, di iniziare quel nuovo modo di vivere che tu ci hai donato: da fratelli che si vogliono bene.
Principio e inizio: grazie Gesù perché tutto ciò che sei lo regali a noi.

 

Benedizione:

"Signore, benedici questo popolo

che cerca il proprio volto sotto la maschera ed ha difficoltà a riconoscerlo.

Benedici questo popolo che spezza le sue catene

e con lui tutti i popoli dell'Europa, tutti i popoli dell'Asia,

tutti i popoli dell'Africa,

tutti i popoli delle Americhe,

che trasudano sangue e sofferenza. Ed in mezzo a questi milioni di onde,

guarda le teste ondeggianti del mio popolo.

Fai che le loro calde mani, possono cingere la terra con una cintura di mani fraterne e sororali

sotto l'arcobaleno della tua pace".

Léopold Sédor Senghor