Preghiere poesie

V DOMENICA ANNO C

V  DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Luca 5, 1-11

 

«1Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono
».

 

 

Si ha quasi l’impressione, leggendo la pagina di Vangelo che la chiesa ci propone in questa prima domenica di febbraio, che lo Spirito Santo abbia intercettato le nostre paure, insicurezze, chiusure e fragilità per curarle con una pagina di Vangelo ariosa, aperta alla speranza e capace di infondere coraggio.

Siamo all’inizio del capitolo quinto del Vangelo di san Luca. Dopo aver insegnato in riva al lago, Gesù dice a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”.

Parole che infondono coraggio (“Prendi il largo”), che spingono ad uscire, ad andare verso mete lontane sicuri del fatto che le aspettative non andranno tradite. Prestiamo però attenzione al fatto che Gesù non invita ad un andare generico e sinonimo di vagabondare a vuoto. Il Maestro chiede a Simone a ai suoi “colleghi” di andare lontano e di “gettare le vostre reti per la pesca”. Propone cioè di fidarsi del loro lavoro e di osare ancora una volta il gesto quotidiano della propria attività anche se le fatiche, fino a quel momento registrare, sembrerebbero dire il contrario (“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”). Ed eccoci alle prese con il nostro tempo.

Non siamo anche noi stanchi (persino sfiniti) a causa di una pandemia che da oltre due anni paralizza il mondo? Quanti lavoratori potrebbero dire, come Simone, “Maestro abbiamo aperto il nostro esercizio commerciale, abbiamo tenuta aperta l’azienda, abbiamo continuato a produrre., “ma non abbiamo preso niente”? E quanti sono coloro che, bloccati dalla paura, non riescono a decidere di ricevere il vaccino e rischiano malattie e gravosi ricoveri ospedalieri? Ma le paure non riguardano solo i contesti sanitari o legati alla pandemia. Si allargano anche alle realtà educative delle nostre famiglie. E così c’è paura a mettere al mondo figli (l’inverno demografico che vive il nostro Paese, così lo ha definito Papa Francesco, è oggettivamente preoccupante); si è impauriti del loro crescere e dei pericoli che possono “abbattersi” su loro futuro; si ha paura di lavorare, ma anche di non riuscire più ad andare in pensione. Paura del presente, paura del futuro, paura per sé e paura per i propri cari… . Paure continue che ci bloccano e che non ci aiutano a “prendere il largo”, ma che ci vedono costantemente alle prese con quel navigare lungo la costa e in quelle acque basse e conosciute che non ci permettono di vivere pienamente.

Profondo conoscitore del cuore umano, san Luca sa che solo Gesù è il Maestro capace di “vincere” le nostre (tante) paure che avvelenano i nostri giorni. Gesù, tra l’altro, sa molto bene che alle prese con le nostre fragilità e debolezze molte volte “non prendiamo nulla”. E proprio per questo cerca in modo speciale chi è finalmente riuscito a prendere coscienza dei suoi limiti e dei suoi fallimenti. Siamo noi che non sappiamo perdere e che consideriamo un fallimento la sconfitta. La logica di san Luca è diversa: solo chi prende coscienza dei suoi limiti, solo chi si riconcilia con la propria fragilità e solo chi accoglie la sua debolezza con libertà e leggerezza è in grado di fidarsi del Signore Gesù e della sua Parola.

Simone ha finalmente capito che il senso della vita non è dato dal contare solo sulle proprie forze, di fidarsi e di abbandonarsi alla Parola di Gesù (“Sulla tua parola getterò le reti”). E con il suo gruppo di colleghi (perché l’invito di Gesù è sempre aperto, arioso e coinvolgente la comunità) fa come gli è stato chiesto dal Maestro. E che cosa scopre? Non solo che le reti “quasi si rompevano”, ma quella Parola ha cambiato – per sempre – il suo modo di vivere e lo “ha aperto” a una nuova esistenza: quella di chi ha capito che vivere significa essere “pescatore di uomini”. Per la mentalità ebraica mare e acque erano il simbolo del “male”. Diventare “pescatore di uomini”, per Gesù, significa portare fuori dal male, dall’egoismo e dall’ingiustizia chi ci vive acanto. Anche perché solo quando la nostra vita si apre agli altri (ed esce dall’acquitrino a cui ci costringe l’egoismo e il pensare solo a se stessi) si intravede l’orizzonte ampio che rende sereni, beati e liberi.

Da non dimenticare: Gesù non chiede a chi segue il suo Vangelo di farsi prete o suora! Ma di prendere il largo e di vivere per gli altri. Premessa e promessa di libertà.

Buona domenica.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    “prendi il largo” è un’espressione che mi piace tanto. Soprattutto oggi che tutti ci dicono di non uscire, di non andare lontano o, come mi dice sempre mia mamma, “resta sotto casa e fatti vedere”.

Prendi il largo” fa venire voglia di crescere, di sognare, di partire e di provare a fare cose grandi.

Io non sono mai andata a pescare (anche perché non mi piace), ma la barca ho tanta voglia di prenderla. Per andare anch’io ad aiutare tutti quei migranti ammassati e disperati su barchette nella speranza di afferrare un salvagente.

Non mi dispiacerebbe – da grande – diventare una che “prende il largo” per aiutare chi scappa dalla disperazione, per portare aiuto dove c’è miseria e per far capire alle persone che solo con l’amore e con la giustizia si esce dalle invidie, delle gelosie e dall’odio che rovinano la vita.  Sei forte, Gesù.

IV DOMENICA ANNO C

IV DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

 Luca 4, 21-30

 «[Gesù in quel tempo cominciò a dire loro] “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. 23Ma egli rispose loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. 24Poi aggiunse: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”.28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino».

 

Arriviamo da una settimana delicatissima per la vita del nostro Paese: l’elezione del Capo dello Stato da parte dei cosiddetti “grandi elettori” riuniti in sessione plenaria alla Camera dei Deputati. Tutti (ma proprio tutti) dichiarano di lavorare per proporre una persona di “altissimo livello”, di fama indiscussa e, ovviamente, “super partes” affinché possa diventare “il candidato condiviso da tutti”. Allo stesso modo, però, tutti si spendono per proporre il “loro” candidato: quello più vicino alle sensibilità del loro partito, quello meno distante dalla propria visione della politica e quello in cui chi lo propone si può riconoscere. Se questo doppio binario (dichiarazioni teoriche altisonanti e operatività spesa per portare l’acqua al proprio mulino) blocca la politica, proviamo ad immaginare quando questo meccanismo entra nel mondo della fede.

A parole (ma anche nei fatti) siamo tutti legati al dato religioso e agganciati al “dio” che puntualmente preghiamo prima di un esame scolastico, quando una malattia entra nella nostra casa, per difficoltà sul lavoro e che alcuni invocano prima di una partita importante e altri persino prima di una puntata nel gioco d’azzardo. Sono forme di religiosità che conosciamo e che impastano i nostri bisogni (più o meno veri o urgenti) con la supplica alla divinità di riferimento a cui si chiede di sciogliere una matassa che sul piano storico sembra troppo ingarbugliata. Quando si entra in questa prospettiva, però, il “dio” che si prega non può ascoltare le nostre richieste per la semplice ragione che non esiste. O meglio: esiste solo nella nostra fantasia che ha generato un “dio-burattinaio” incaricato di risolvere i “miei” nodi e i “miei” problemi. Non c’è mai traccia, in questo invocare il “dio” della fantasia, degli altri e di quanti non appartengono al mio clan.

Quanto accade nella sinagoga di Nazaret tra Gesù e i suoi compaesani è esattamente questo: Gesù si presenta come il vero, il solo e l’unico volto di Dio che porta salvezza a quanti sono al fondo della fila, ai lontani. Loro – quanti lo ascoltano – non sono però assolutamente disponibili a smontare l’immagine di “dio” che si sono costruiti nella loro testa e, proprio per questo, lo respingono.

Gesù legge la Parola di Dio; la attua; la corregge; omette le parti relative alla vendetta di Dio contro i nemici di Israele e la loro riduzione in schiavitù e soprattutto svela – con il Suo dire e con il Suo fare – il vero Dio che si chiama Gesù e nel quale c’è solo amore, perdono, misericordia e presa in carico degli ultimi.

Per chi ascolta il compaesano questo linguaggio è inaccettabile. Perché non sono assolutamente disposti a permettere che Gesù “cambi” la loro idea di “dio”. Ma nel respingere Gesù, quanti sono presenti nella sinagoga lo provocano con la madre di tutte le tentazioni: “Non è il figlio di Giuseppe? Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. Come a dire che un Dio troppo immerso nel quotidiano, capace di costruire prossimità là dove siamo e soprattutto disposto a farsi uno di noi (in fila con noi!), esce dai nostri schemi. Non solo: chi si oppone Gesù gli chiede di salvare prima i suoi (quelli della sua patria) se vuole essere creduto e rendersi credibile. “Salvi se stesso, se è lui il Cristo di DIO, l’eletto” (Lc. 23,35) gli grideranno in croce quanti, per deriderlo, lo sfidano.

In Gesù, però, l’altro ha sempre la precedenza sul “mio” e sui nostri. Per il Dio di Gesù non esiste “prima i nostri”, ma sempre e solo “prima chi ha bisogno”.

Per la nostra spiritualità la provocazione è alta: siamo dalla parte di chi ascolta Gesù e lascia che i suoi schemi innovativi cambino il nostro modo di pensare, di agire, di pregare e di vivere oppure restiamo “fermi” nei nostri schemi religiosi, preghiamo “dio” quando ne abbiamo bisogno e imponiamo le nostre parole, le nostre richieste e i nostri schemi anche a Lui? Bella la conclusione del passo: “Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. Per dirci che Gesù è sempre in mezzo a noi (“Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!»” – Lc. 24,36): per aiutarci a camminare al Suo seguito e per trovare la libertà che si sperimenta quando si scommette la propria vita per metterla al servizio degli altri e in modo particolare dei più deboli.

Buona domenica.

Preghiera dei fanciulli

Caro Gesù,

                   appena ascoltato questo racconto non mi erano chiare le critiche dei tuoi paesani.

Poi ho capito: sono arrabbiati con Te perché non hai fatto il bene nella vostra “patria”. E ti chiedono di fare i miracoli per loro e davanti ai loro occhi, per potersi fidare di Te.

Per questo Ti vogliono prendere, catturare, cacciare e gettare giù dalla rupe: perché hai dato la precedenza a chi, anche se lontano, aveva bisogno del Tuo aiuto.

Per Te, però, non esistono i “vicini” e i “lontani”.

Il Tuo pensiero non è mai “prima i nostri”, ma sempre e solo “prima chi sta male”.

Bello anche il fatto che non riescono a prenderTi.

Tu passi in mezzo a tutti loro, ma nessuno riesce a catturare i tuoi insegnamenti per usarli contro i poveri. Grazie Gesù.

III DOMENICA ANNO C

III DOMENICA ANNO C con preghiera dei piccoli

Luca 1, 1-4; 4, 14-21

 «1Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, 2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, 3così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, 4in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. 14Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. 16Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 18Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19a proclamare l’anno di grazia del Signore. 20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

 

Se san Luca prende la decisione di scrivere “un resoconto ordinato” sulla vicenda Gesù di Nazaret è perché le comunità che incontra sono immerse nella disperazione causata dalla violenza dell’Impero Romano e dalla miseria più estrema. L’evangelista intuisce che il solo modo per riportare luce e speranza a chi è avvolto dalle tenebre è quello di educarlo a stare con un testo scritto incaricato di rendere presente il Signore Gesù in chi lo legge e lo ascolta.

Pochi decenni dopo l’opera di san Luca, il suo scritto (assieme a quelli di Matteo, Marco e Giovanni) verrà chiamato “Vangelo”, termine greco che significa “Buona Notizia” per ricordare che la sola fonte della gioia e della speranza è il Signore Gesù (e non le visite dell’Imperatore Romano”).

Significa, per essere concreti, che quando si è in mezzo alla tempesta, il solo modo per ritrovare serenità e voglia di vivere è quello di lasciarsi trovare dal Signore Gesù presente nella lettura, nella meditazione e nella preghiera del Suo Vangelo.

Nella Domenica della Parola fortemente voluta da Papa Francesco non dovremmo mai dimenticare questa fondamentale intuizione di san Luca. È vero: oggi le ragioni della speranza sono sempre meno. La pandemia non si ferma, l’inflazione sta rialzando la testa, i costi dell’energia sembrano impazziti, la metà delle classi scolastiche sono in didattica a distanza… . Per non parlare del Sud del mondo: non vaccinato e schiacciato tra guerre, cambiamenti climatici che causano siccità e fame bisogno di emigrare.

Che fare? È questa la domanda obbligata che affiora sulle nostre labbra. Per san Luca non ci sono dubbi: stare di più con il Signore Gesù presente nel Vangelo è il solo modo che ci aiuta a ritrovare le ragioni (vere) della speranza. Anche perché è questo il solo sentiero che ci rigenera: fermarsi per imparare ad ascoltare il Signore Gesù presente nel Vangelo con l’aiuto della comunità cristiana e con il supporto di libri, di commenti, di guide e di testi in grado di aiutarci ad entrare nella sola Parola che slava.

Si vedano gli otto versetti del capitolo quarto che la chiesa ci propone oggi. Gesù torna dove era cresciuto. Ormai, diremmo noi, è diventato famoso. Le folle lo cercano e lo inseguono non solo perché insegna e predica bene, ma anche perché si fa carico di chi è stanco, oppresso e senza speranza: sfama gli affamati, guarisce gli ammalati, perdona i peccati, etc. Ma cosa fa Gesù rientrato a Nazaret? Si reca nella sinagoga: dove la gente cerca Dio e parole vere di consolazione. Prima di iniziare a parlare, Gesù si fa dare il rotolo del profeta Isaia, la Parola di Dio. Lo apre (non lo tiene chiuso su un tavolo), legge il passo in cui viene promesso il lieto annuncio ai poveri, la liberazione dei prigionieri, la vista ai ciechi e la libertà per gli oppressi e poi lo richiude. Come a dire: per il pregare adulto, non partire mai da te, ma inizia sempre dall’ascolto della Parola di Dio.

Rientriamo però nel testo. Tutti fissano Gesù. Si aspettano il commento, la “predica” diremmo noi. Che non tarda ad arrivare. Composta però da sole dieci parole: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. La nostra salvezza – scrive san Luca – non proviene dal “passato” (con perenni nostalgie che ci rendono sempre fuori posto) e nemmeno dal “futuro” (lavorare giorno e notte per garantire un domani sereno ai miei figli!). La nostra salvezza si trova nel Vangelo del Signore Gesù accolto, “aperto”, letto, ascoltato e meditato “oggi”.

Oggi è nato per voi un Salvatore” dice l’angelo ai pastori che vegliavano il gregge.

Oggi per questa casa è venuta la salvezza” dice Gesù a Zaccheo che lo cerca e che si lascia trovare dal Signore (Lc. 19, 9). “Oggi sarai con me nel paradiso” assicura Gesù al ladrone che lo prega in croce.

San Luca sa molto bene che ieri e domani sono le trappole del nostro vivere che ci allontanano dalla verità, dalla libertà e dall’essere beati.

Il Vangelo non cancella con un colpo di spugna ciò che ci inquieta. Ma ci assicura che nonostante scenari cupi e pesanti anche nel nostro oggi è possibile ritrovare le ragioni della speranza. Con la forza e la bellezza del Vangelo che permette, anche a noi, di dire: “Oggi abbiamo visto cose prodigiose” (Lc. 5,26)

 Preghiera dei fanciulli

Caro Gesù,

                    mi hai messo in crisi. Io dico sempre “poi”, “dopo” o “domani”. Per spostare a chissà quando quello che dovrei fare adesso.

Tu, invece, dici “oggi”. Ed è una parolina che voglio farmi entrare nel cuore e nella mente.

Tu non hai detto “domani”, “dopodomani” o “tra qualche giorno”. Hai detto “oggi”.

E come dicono i miei genitori, “Oggi” vuole dire “adesso” “subito”, non “mai più”.

Gesù grazie perché Tu sei con noi “Oggi”, non domani.

Grazie Gesù perché ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi e agli oppressi non hai detto “Domani vi aiuterò”, ma hai ribadito con forza che Tu ti prendi cura di loro “oggi”.

Proprio come hai detto a chi moriva in croce con Te: “Oggi sarai con me in paradiso”.

P.S. Gesù, puoi chiedere alla Maestra di spiegarci il Giorno della Memoria senza farci vedere film che non mi fanno dormire?

II DOMENICA TEMPO ORDINARIO C

II DOMENICA TEMPO ORDINARIO C con preghiera dei fanciulli

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-12)

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

 

A Cana di Galilea è la mancanza di vino ciò che sta rovinando la festa nuziale.

In moltissime nostre “case” è la sovrabbondanza di vino e di alcol ciò che avvelena la vita di chi ne abusa e dei congiunti. I dati parlano chiaro: in Italia sono otto milioni e 700mila i consumatori a forte rischio di alcolismo cronico, 65mila le persone alcoldipendenti prese in carico dai servizi alcologici, e sono oltre 5.000 incidenti stradali rilevati soltanto da Polizia e Carabinieri causati dall’abuso di alcol. La fascia di popolazione più a rischio per entrambi i generi è quelle dei 16-17enni. Con circa 800.000 minorenni che abusano di alcol con gravi rischi per la loro salute e per il loro futuro.

Contesti e scenari opposti. Che confermano – però – come non sia il “vino” la sorgente della festa e nemmeno della gioia. Ed è ciò che si rende visibile a occhio nudo: sono tanti gli adulti che invece di acquisire saggezza si illudono di bere l’elisir dell’eterna giovinezza ritrovandosi – però – sempre più soli, delusi e amareggiati del vivere. Così come sono tanti (troppi) i ragazzi e giovani che non sanno più divertirsi e che, proprio per questo, si vedono costretti a stordirsi con un bere disordinato almeno quanto il loro vivere. Ma se nemmeno il “vino” ci immerge nella gioia, quali sono i sentieri che rendono la nostra vita leggera, libera e aperta alla felicità?

Il veloce ma inesauribile racconto di san Giovanni viene in nostro aiuto per fornirci la risposta. E come guida e modello per il nostro essere e fare l’evangelista ci addita Maria, la mamma di Gesù. La quale si accorge di quanto sta accadendo; coglie la privazione che sta rovinando il banchetto e non solo vede ciò che nessuno scorge, ma si adopera per porre rimedio chiedendo aiuto al Figlio suo Gesù.

Chi resta avvolto dalle nebbie dell’individualismo e dell’autoreferenzialità non ha occhi per vedere le privazioni altrui. Così facendo, però, lo sguardo di chi fissa solo e sempre se stesso non si apre alla possibilità di occuparsi di altri: la vera fonte della gioia. Nei pressi delle nostre case camminano persone senza dimora, immigrati disperati, detenuti in permesso premio obbligati a rientrare in carcere dopo pochi giorni di soggiorno in famiglia, persone sole, ammalati, famiglie segnate dalla divisione, giovani disoccupati che si caricano di depressione e di rabbia. Il primo passo per arrivare alla gioia è imparare a vedere queste fatiche che ci passano accanto e desiderare di adoperarsi per rendere meno amare quelle condizioni. Non si possono risolvere tutti i problemi del mondo, ma si può chiedere aiuto al Signore Gesù perché ci renda meno indifferenti, più solidali e più attivi verso i bisognosi.

Si noti il contrasto tra la mamma di Gesù e il direttore del banchetto. Maria è vigile, attenta, si impegna a trovare soluzioni per problemi che non sono i suoi e coinvolge Gesù perché la aiuti. Il direttore del banchetto non si accorge di nulla. È “straniero” sul suo posto di lavoro e diventa il simbolo di chi “si lascia vivere senza vivere”, di chi non si accorge di nulla nemmeno in casa sua. Una perfetta descrizione di chi oggi, nella nostra società, si muove in modo “stanco” e “svogliato” tra casa e lavoro senza accorgersi che nella sua vita e nella sua famiglia manca il vino della gioia. Purtroppo sono tante le coppie che, cessato l’innamoramento, rischiano la solitudine a due; sono tante le case con tante lampade e con vetrinette cariche di vino e di liquori che fanno esperienza di buio, di noia e di tristezza.

Per san Giovanni la buona notizia della gioia “a portata di mano” non è garantita dal vino, ma dalla presenza del Signore Gesù che, con la Sua Parola, ci insegna la Strada della felicità: accorgersi di chi, vicino a noi, è senza sorriso per aiutarlo a ritrovare dignità e libertà. Il senso della vita non è dato dall’organizzare il “mio” banchetto, ci dice san Giovanni, ma dall’adoperarsi perché chi è senza mensa, senza festa e solo si veda aiutato a ritrovare dignità e libertà. Come ha detto David Sassoli nel suo ultimo discorso: “La speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo contro tutte le ingiustizie.”. Al quale va la nostra profonda riconoscenza oltre a un ricordo costante nelle preghiere per lui e per la sua famiglia.

                  

Preghiera dei fanciulli                      

                           Caro Gesù,

                   a casa mia il vino ma manca mai, ma mio papà beve troppo. Si ubriaca e poi urla e tratta male tutti.

Spesso, Gesù, nelle mie preghiere ti chiedo di fare il miracolo al contrario e di trasformare tutto il vino cha papà si compra in acqua.

Poi però mi accorgo che non ha senso.

Anche perché ormai l’ho capito: con o senza vino, se Tu non ci aiuti, le nostre case non conoscono la gioia.

Ho letto sul giornale che in Italia sono circa 40.000 le persone che ogni anno muoiono perché bevono troppo alcol e che, solo nel nostro Paese, più di 8 milioni di persone sono a rischio di alcolismo grave.

Gesù aiutaci a non diventare come chi dirige il banchetto che è in mezzo a tutti, ma non si accorge di nulla.

E grazie, Gesù, anche per mamma Mariae e per la sua delicatezza.

BATTESIMO DEL SIGNORE anno C

BATTESIMO DEL SIGNORE  anno C   con preghiera dei piccoli

 

Vangelo di Luca  3,15-16.21-22
 In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

La voce dal cielo che accompagna lo Spirito Santo che scende su Gesù nel momento del battesimo, non testimonia solo che Lui è il “Figlio amato” da Dio, ma valorizza e conferma anche il processo di riconoscimento prima descritto. Per essere chiari. anche la risposta data da Giovanni Battista al popolo in attesa del Messia deve essere riconosciuta come profezia, come insegnamento prezioso e come stile di vita “pieno della saggezza dello Spirito”. Significa che lo Spirito che accompagna e che sostiene Gesù, illumina e guida anche Giovanni e lo ispira nell’affermare che “viene colui che è più forte di me”.

Con questa forte dichiarazione Giovanni esprime la sua profonda libertà che lo rende autentico, vero e profondamente umano. Anche perché quando il cuore si allontana da invidie, da logiche competitive, da gelosie sterili e dai deliri di onnipotenza che spingono a primeggiare ad ogni costo, si diventa umanamente “belli”.

Ed è proprio questa la “bellezza” di cui sentiamo tutti un gran bisogno. Non solo è sempre più raro trovare chi afferma che l’altro (“che viene dopo di me”) “è più forte di me”, ma in qualsiasi ambiente (sociale, politico, sportivo, culturale e persino ecclesiale) sono tanti coloro che aspirano ad una postazione apicale e sono disposti a tutto per sostenere che solo loro sono in grado di svolgere bene quell’incarico. Fin troppo facile fare un veloce richiamo alla faticosa ricerca del candidato per il seggio del Quirinale. Difficile trovare un aspirante a quella “poltrona” disposto ad affermare che esiste “uno” o “una” più competente, migliore, più giovane o “più forte di me”.

Senza questa saggezza, però, e nel rincorrere solo e sempre la propria bravura – ci dice lo Spirito Santo che ha illuminato Giovanni Battista – si diventa “vecchi” prima del tempo e aridi nel cuore. Non andrebbe mai dimenticato: vanità e ambizione si mangiano la freschezza del cuore (che si genera quando si impara a fare spazio ad altri) e si smarrisce la fiducia senza la quale qualsiasi convivenza è solo “gara” e mai incontro, festa e comunione.

Nel Battesimo di Gesù lo Spirito Santo ci guida perciò anche con la figura del suo battezzatore. E la pagina di Vangelo di Luca ci conferma che portarsi al servizio del Signore Gesù crea le condizioni perché il Suo Spirito inondi anche la nostra vita per trasfigurarla in una pienezza inattesa e carica di libertà.

Ancora un piccolo particolare. Giovanni Battista annuncia che chi viene dopo di lui “vi battezzerà in Spirito santo e fuoco”. Lo stesso evangelista, però, nel descrivere l’incontro tra Gesù risorto e i suoi discepoli a tavola, ci presenta un’affermazione del Signore che corregge la dichiarazione del Battista: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirto Santo.” (Atti 1,5). Non c’è più nessun cenno al “fuoco” – in previsione della Pentecoste – per la semplice ragione che il Dio di Gesù non conosce le logiche del castigo, della punizione eterna e della condanna (era questo il significato simbolo che veniva attribuito al “fuoco” nella letteratura religiosa).

Il messaggio è molto chiaro: la voce dal cielo conferma che Gesù il Messia da seguire. Colui che ci consegna il Suo Spirito e che ci libera dalla voglia di vincere ad ogni costo. Gesù è il Maestro che ci insegna a gioire per le competenze di una altro; che ci abilita a cedere il passo, a fidarsi del prossimo, a lasciare i propri incarichi sicuri che il bene fatto non verrà demolito e a sostenere chi è più forte di me, più bravo di me, più giovane di me e più adatto di me per questa o quella responsabilità.

Ma la voce dal cielo ci dice anche che questo Gesù – l’amato dal Padre – è anche il volto, la presenza e l’umanità di Dio che ci affianca per aiutarci ad uscire dalle nostre povertà, fragilità e schiavitù senza condannarci, senza punirci e senza bruciarci.

Da adesso in avanti il lettore vedrà – nei capitoli successivi del Vangelo di Luca – l’avanzare di Gesù sulle strade del mondo solo per “curare” e per portare misericordia senza limiti (a tutti, oltre qualsiasi confine: geografico, etnico, culturale, ideologico, etc.).

La voce dal cielo ci ricorda, perciò, che anche chi è “immerso” in Cristo e unito a Lui è amato da Dio. E in un momento in cui sembrano vincere confusione e paura (con cifre record di contagi e con numero di morti e rianimazioni quasi al collasso) che non è male lasciare che sul nostro cuore si depositi la buona notizia del Vangelo che ci conferma che siamo amati e liberati dalla tentazione del negare le qualità dell’altro.

Ancora una volta, buon anno.         

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

domani riaprono le scuole dopo le vacanze di Natale. Chissà per quanto tempo saremo “in presenza”. Bastano due contagiati in classe e si torna a fare lezione “a distanza”. E a me non piace proprio fare l’intervallo da solo.

Grazie Gesù per questo Vangelo.

Giovanni ha detto che Tu “sei più forte di lui e che Tu battezzerai in Spirito Santo e fuoco”. Tu però quando sei apparso da risorto ai tuoi discepoli hai detto loro che “tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo” (Atti 1,5).

Ho capito Gesù perché hai tolto la parola “fuoco”: perché Tu non sei venuto per punire, per distruggere o per eliminare i peccatori.

Tu correggi l’errore, ma non “bruci” (mai) chi sbaglia.

Con questi pensieri nel cuore è bello tornare a scuola.

Tra due settimane è l’undicesimo anniversario del mio battesimo.

Grazie Gesù per il dono del Tuo Spirito.

II DOMENICA DI NATALE ANNO C

II DOMENICA DI NATALE ANNO C con preghiera dei piccoli

«1 In principio era il Verbo,/e il Verbo era presso Dio/e il Verbo era Dio./2Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui/e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste./4In lui era la vita/e la vita era la luce degli uomini;/5la luce splende nelle tenebre/e le tenebre non l'hanno vinta./6Venne un uomo mandato da Dio:/il suo nome era Giovanni./7Egli venne come testimone/per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui./8Non era lui la luce,/ma doveva dare testimonianza alla /luce./9Veniva nel mondo la luce vera,/quella che illumina ogni uomo./10Era nel mondo/e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;/eppure il mondo non lo ha riconosciuto./11Venne fra i suoi,/e i suoi non lo hanno accolto./12A quanti però lo hanno accolto/ha dato potere di diventare figli di Dio:/a quelli che credono nel suo nome,/13i quali, non da sangue/né da volere di carne/né da volere di uomo,/ma da Dio sono stati /generati.14E il Verbo si fece carne/e venne ad abitare in mezzo a noi;/e noi abbiamo contemplato la sua gloria,/gloria come del Figlio unigenito/che viene dal Padre,/pieno di grazia e di verità… (Giovanni 1, 1...)

 

Inutile negarlo: ci eravamo illusi che il nuovo anno sarebbe stato più “leggero”, rispetto alla pandemia. Il numero dei “positivi” al covid che quotidianamente ci vengono comunicati (assieme ai tamponi, all’indice di contagio e ai morti) spengono, però, le nostre fragili illusioni e alimentano quel misto di paura, di rabbia e di sospetti che tutti – non solo in Italia – conosciamo.

Non c’è solo la pandemia, però, ad appesantire i nostri cuori. Le guerre sparse nel mondo (molte consumate con armi fabbricate anche in Italia) e i flussi di migranti che non accennano a fermarsi e che denunciano “l’inverno demografico” in cui siamo immersi (come ha detto Papa Francesco) sono gli ulteriori scenari che ci mangiano la speranza.

Nonostante questo avanzare di realtà negative siamo però ostinatamente desiderosi di bene e ancora capaci di formularci sinceri auguri di bene. Il perché di questa nostra insopprimibile spinta a cercare le parole della speranza ce lo spiega il Vangelo di questa domenica. Il cosiddetto prologo del quarto Vangelo. Scritto alla fine del primo secolo della nostra era per costruire, con un linguaggio poetico, un inno liturgico a Cristo per riconoscere in Lui la sola Parola che immette nella vita che non ha fine.

Il senso ed il perché di questa intensa preghiera (liturgica e comunitaria) è chiaro: lo scenario esterno è cupo (come il nostro?); fatiche, sofferenze e difficoltà stanno rubando, alla comunità dei discepoli di Gesù, le “parole” della speranza. Per permettere alla luce della Parola di diradare il buio della notte questa preghiera a Cristo ci ricorda che Dio è Parola e che, per consolare la nostra vita con parole credibile, per asciugare le nostre lacrime e per immergerci in una vita senza fine si è fatto carne.

Dio è Parola, ci dice san Giovanni. Ma prima di parlare con noi ha scelto di farsi bambino: debole e incapace di parlare come ogni neonato appena venuto al mondo. Solo un Dio che si immette nella storia della Parola passando per la lenta e paziente strada dell’ascolto è credibile. Sono stati Maria e Giuseppe i suoi primi maestri di Parole. I quali non hanno parlato solo con i suoni e con la voce, ma anche con il corpo, con le cure, con la tenerezza e con forza di un agire coerente con il dire e viceversa: con parole credibili perché saldate alla vita. È così, alla scuola di Nazaret, Gesù-Parola ha imparato prima ad ascoltare e poi a parlare.

Immersi in parole stanche, inutili, a volte false, gridate, offensive, aperte alle polemiche e lanciate contro il fratello per trascinarlo dalla propria parte, l’inno liturgico del quarto vangelo ci dice che lo stile di Dio è dall’altra parte. Significa che pregare su questo inno a Cristo siamo invitati a prendere coscienza che il Dio di Gesù è Parola che si fa silenzio, ascolto, delicatezza, tenerezza, carezza, bontà e prossimità. Gesù è la sola Parola che ci insegna a comunicare, a stare insieme, a vincere il male con il bene e, per restare al tema degli auguri, a scambiarci parole di speranza anche in momenti di crisi.

È questa la bellezza dell’essere comunità. Sentirsi accompagnati dalla saggezza che con costanza e delicatezza ci offre, ogni domenica, il passo del Vangelo di cui abbiamo bisogno. Ed è indubbio che in questi giorni caratterizzati da ombre di delusione ognuno di noi abbia bisogno di poesia, di bellezza, di parole vere e di incontrare chi ha Parole di vita eterna.

L’inno a Cristo posto all’inizio del Vangelo di Giovanni diventa la poesia con cui il Vangelo ci fa gli auguri per il nostro nuovo anno. Ma si propone anche come progetto e programma di vita. Per dirci che solo con la Parola di Gesù – il suo Vangelo – ognuno di noi riesce a intrecciare silenzio e parola per imparare ad incontrare chi ci cammina accanto senza perdersi nelle faticose paludi del giudizio, dell’ostilità o dell’inimicizia.

Diventare buoni, entrare con coraggio nei sentieri della coerenza, non giudicare, ritrovarsi capaci di perdono (per sé e per gli altri), aprirsi alla solidarietà camminando sui sentieri dell’onestà e uscire dall’egoismo e dall’indifferenza: non sono propositi da san Silvestro che durano una notte.

Settimana dopo settimana, con la guida del Vangelo incontrato in comunità, l’augurio diventa “carne” e la vita si apre ad orizzonti inattesi e intrisi della luce che spazza tutti i nostri pessimismi e i nostri più o meno fondati timori.

E il Verbo di fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria.”. Se gli auguri per il nuovo anno li affidiamo alla poesia che ci consegna il Vangelo e chiediamo a Maria Madre di Dio di aiutarci a camminare sui sentieri della nonviolenza, la pace che cerchiamo diventa realtà quotidiana.

Buon anno.

Preghiera dei piccoli                                       

Caro Gesù,

 è iniziato un nuovo anno, ma siamo ancora alle prese con la pandemia.

Tra due giorni devo fare il vaccino anch’io.

I miei genitori mi hanno prenotato e dicono che è importante proteggere anche me.

Io mi fido di loro.

E poi dicono che è il solo modo per provare a fermare questo virus e per aiutare i più deboli.

Grazie Gesù perché se, come dice il Vangelo, Tu sei Parola, vuole dire che in tutte le cose che diciamo Tu sei sempre con noi e in mezzo a noi.

Gesù oggi voglio pregarti per tutti quelli che ci hanno lasciati nello scorso anno. E in modo speciale per nonna.

Ma voglio anche ringraziarti per il dono di un nuovo anno.

Aiuta Tu i medici, gli infermieri, le badanti e quanti lavorano negli ospedali o alle prese con malati.

Gesù aiutaci a tornare come eravamo prima.

TEMPO

TEMPO

Come ogni anno, anche per questo Natale offro a voi, amici e parrocchiani, l’augurio sempre atteso, che faccio mio e che voi potete condividere con altri. Siamo nuovamente a Natale e a pochi passi dal un nuovo anno. Pare ci siano preparativi più sommessi senza la corsa frenetica degli anni passati. Per molti la pandemia e l’economia fanno da freno alle spese pazze. Non per tutti però.

*             *            

Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.

Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, non
solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti
e non soltanto per guardarlo sull’orologio.

Ti auguro tempo per toccare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo anche per perdonare.

Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita.
(Elli Michler)

 

Che Dio accordi a tutti noi la sua benedizione, ci fortifichi e ci dia la saggezza di conservare nel cuore tutte le buone cose dell’anno passato, con riconoscenza. E ci accompagni nel nuovo anno con la benevolenza che offriremo agli altri .

Natale 2021 -    don  Mario Marchiori

“Ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere ‘dio’. Solo Dio vuole essere bambino”.

IV DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

IV DOMENICA DI AVVENTO  ANNO  C con preghiera dei piccoli 

Luca 1, 39 – 45   

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

 

Con la descrizione della visita di Maria alla cugina Elisabetta, san Luca ci consegna non solo e non tanto il resoconto di un (coraggioso e faticoso) gesto di prossimità che la Maria mette in atto verso Elisabetta bisognosa di aiuto. Nel suo raccontare apparentemente semplice e lineare, l’evangelista ci presenta il meccanismo che attiva la discesa dello Spirito Santo sulla nostra vita.

I verbi sono scelti con cura. Non appena Maria apprende che Elisabetta deve essere aiutata (perché in difficoltà a gestire gravidanza e gestione della vita) la sua prima reazione è quella di “alzarsi” per “recarsi in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda”.

La ragazzina a cui l’angelo le ha assegnato la missione del diventare madre del Signore Gesù è determinata: sa ascoltare le difficoltà dell’altro; non tentenna e decide di alzarsi e – subito dopo – di partire “in fretta” per raggiungere chi ha bisogno del suo aiuto. Non si lascia spaventare dalle difficoltà del viaggio (Maria sceglie la strada più breve per raggiungere Elisabetta, anche se questa è la più pericolosa ed è lunga circa 140 chilometri).

Ma continuiamo nell’analisi. “Entra nella casa di Zaccaria e saluta Elisabetta” dice san Luca. Maria ha fatto tutta quella strada da sola solo per servire e per aiutare Elisabetta. Ed è esattamente questo movimento verso l’altro in atteggiamento di servizio il meccanismo che “muove” lo Spirito Santo che ricolma Elisabetta della Sua forza.

È una vera e propria Pentecoste (discesa dello Spirito Santo) quella che descrive l’evangelista. E la tesi è chiara: scegliere di alzarsi; decidere di partire in fretta per raggiungere chi ha bisogno di aiuto; entrare nella casa di chi necessita cure; salutare e porre se stessi al servizio dell’altro sono i movimenti che attivano la discesa dello Spirito Santo sulla nostra vita. E si noti il particolare: Maria non parla di sé e non comunica quanto le è accaduto. Non informa la cugina che anche lei – ragazzina che non ha ancora avviato la convivenza con il suo sposo – è incinta. Lei vuole semplicemente portarsi al servizio di Elisabetta. Ed è esattamente questo il movimento corretto della nostra fede: non tanto parlare di Gesù in modo astratto e sganciato dalla vita, illudersi di convertire l’altro con le nostre “prediche” o “contare” quanti vengono in chiesa. Il fratello che ci è accanto ci chiede di essere aiutato. Punto. E se anche io non gli parlo di Gesù, la bellezza del mio servizio, disinteressato e libero, lo aiuterà a cogliere – accanto a sé – la presenza di Gesù che consegna anche a Lui la forza del Suo Spirito.

Per la nostra attualità. Siamo tutti sempre di corsa. Siamo costantemente “di fretta”, ma non conosciamo più la bellezza della “fretta” del raggiunger l’altro per servirlo. Siamo continuamente “in piedi”, ma – sembra un paradosso – siamo incapaci di alzarci e di staccarci dalle nostre frenesie quotidiane. Percorriamo molto più di 140 chilometri (con le nostre auto!), ma ci spostiamo poco. Portiamo regali a tanti (soprattutto a quelli che per noi rappresentano debiti di riconoscenza), ma quasi mai entriamo nella casa di chi ha bisogno di aiuto. Nel nostro stanco, impaurito e litigioso Occidente, una ragazzina vergine e una donna sterile avanti negli anni, diventano il “nostro” modello di fecondità e di libertà. Il loro incontrarsi nella logica del servizio si presenta per noi come il prezioso modello da mettere in pratica se vogliamo trovare e essere abitati da quella gioia che troppo spesso cerchiamo tra luci e addobbi vari senza mai trovarla.

Pochi giorni prima del Natale 2021 san Luca ci dice che lo Spirito Santo è pronto a scendere anche su di noi non appena facciamo nostro lo stile di Maria che visita Elisabetta.

Una inesauribile lezione di speranza che distende i nostri animi scossi dall’avanzare della quarta ondata di pandemia, dai conflitti nel mondo, dai bambini che continuano a morire di freddo e di stenti perché anche a loro è negata accoglienza (proprio come 2000 anni fa!). Perdonatemi pertanto il gioco di parole – grazie alla Parola del Vangelo – e lasciate che vi dica, nella novena di Natale, Buona Pentecoste e che lo Spirito ci renda capaci di servizio e ci immerga nella gioia.                         

                                                                       

                                                        Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    da quando nonna abita a casa mia (perché non può più stare da sola), è sempre mio cugino che viene da noi.

Mi piace questo modo di fare, Gesù: chi è più forte va a trovare chi è più debole e ed è chi sta bene quello che si sposta.

Solo oggi però ho capito che questo è lo stile di Maria.

Lei non ha fatto grandi ragionamenti o grossi discorsi quando ha capito che sua cugina Elisabetta aveva bisogno del suo aiuto.

Si è alzata ed è andata in fretta, verso la regione montuosa, per raggiungere la città in cui abitava Elisabetta.

Ed è rimasta a casa sua tre mesi. Solo per aiutarla.

Gesù aiuta anche me ad andare in fretta verso chi ha bisogno del mio aiuto.

Senza troppe scuse e senza tanti ragionamenti.

Grazie Gesù per come mi aiuti a preparare il Natale.

III DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

III DOMENICA DI AVVENTO ANNO C con preghiera dei fanciulli

 

Vangelo secondo Luca 3,10 -18

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

 

Non lo metti? Mettilo in vendita.”, suggerisce la pubblicità del sito internet che permette la vendita dell’usato (“e quello che prendi è tutto tuo”). Alle folle che domandano a Giovanni “Che cosa dobbiamo fare?” il Battista consegna una risposta diversa: “Non lo metti? Condividi con i poveri quello che non usi!” (“Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto”).

Due modi diversi vivere. Il primo – quello a cui ci stiamo abituando senza neppure più cogliere la quota di veleno che inietta nel nostro cuore – ci spinge a vivere per noi stessi: a comperare prima l’inutile e a “vendere” poi il superfluo. La fede cristiana ci umanizza la vita e ci ricorda che per stare bene dobbiamo non solo riscoprire la libertà della sobrietà (ed acquistare ciò che serve per vivere e non per compensare depressioni, frustrazioni e/o delusioni affettive), ma anche imparare l’arte del condividere con i più poveri quanto non ci serve. Solo così si entra nella gioia generata dal “donare” e distante anni luce dal “piacere” di comperare o di vendere. Entriamo però nel testo. Chi si reca da Giovanni sono le folle, i pubblicani e “alcuni soldati”. Tre diverse tipologie di persone per rappresentare un po’ tutti che, oggi come ieri, siamo tentati:

  •  dal desiderio di accumulare anche quello che non ci serve;
  • dalla furbizia rappresentata dalle piccole/ grandi disonestà per guadagnare di più;
  • dalla scorciatoia della violenza.

Folle, pubblicani e soldati hanno voglia (come succede spesso anche a noi) di mettersi in gioco; cercano una spiritualità meno arida del solo “lavorare” e per questo si rivolgono ad un soggetto credibile perché oltre a predicare “ha fatto” scelte coraggiose, profetiche e radicali. Ed è a lui che pongono la madre di tutte le domande: “Che cosa dobbiamo fare?” per trovare Dio. Forse si aspettano un invito ad un pregare continuo e senza sosta; un invito a lasciare tutto per stare solo con Dio o un convertirsi dai toni straordinari, eccezionali e “mistici” (entrare in una grotta e provare a parlare con Dio).

La risposta li spiazza. Il Dio di Gesù – dice Giovanni – non chiede nulla per sé e ricorda a chi lo ascolta che chi si occupa solo di se stesso non cresce, non matura e non diventa libero.

Perché il Dio di Gesù ci incontri e per ritrovare noi stessi la “strada” è una sola – dice il Battista – imparare la bontà del condividere, la bellezza dell’onestà e la forza generata dal rifiutare (sempre) la violenza.

La domanda obbligata che segue a questa risposta è la seguente: ma come si fa a intraprendere e a restare su questa “Strada”? Ed ecco la chiarezza del messaggio: io, Giovanni Battista, esorto, predico e addito la via da percorrere. Ma dopo di me viene uno più forte di me e che non solo vi dirà cosa fare (e confermerà quanto io affermo e insegno), ma vi darà anche la forza del realizzare questo progetto di vita pieno di bontà e di libertà. Il battesimo di Giovanni è un gesto che sprona a cambiare moralmente. Il battesimo di Gesù è il dono dell’amore di Dio che con il Suo Spirito ci aiuta ad uscire dalla gabbia dell’egoismo per consegnarci la forza di fare il bene e di vivere e di abitare la fraternità nel segno della pace, della bontà e del perdono.

Dentro quella domanda “Che cosa dobbiamo fare?” abita la nostra libertà.

Per capire la differenza tra il vendere il superfluo e il condividere con chi ha freddo ed è povero! Per imparare a fermare il “chiacchiericcio” che uccide prima e più dei tribunali (come ha risposto il Papa a chi lo interrogava sul perché avesse accolto le dimissioni del Vescovo di Parigi). Per vivere i doni del tempo di Natale come una concreta pratica di generosità e di condivisione verso i più poveri (e non per fare bella figura o per ricambiare chi ha fatto un “presente” impegnativi). Per lasciarci avvolgere da quel “perdono” che ci ricorda che i nostri limiti e le nostre mancanze non sono ferite all’orgoglio, ma la crepa – liberante – dalla quale passa la grazia di Dio per farci sentire accolti, amati e pronti per ripartire. Sempre. Buon Avvento.

 

                                                                                       Preghiera dei piccoli  

Caro Gesù,

                      da piccolo pensavo che solo i bambini chiedono ai grandi “che cosa devo fare”.  Poi ho capito che questa domanda la fanno anche gli adulti. Proprio come le folle, i pubblicani e i soldati che interrogano Giovanni.

Sai però che cosa mi ha colpito?

La risposta del Battista. Ha chiesto a tutti di essere buoni (e di aiutare i poveri), di essere onesti e di non essere mai violenti con i deboli.

All’inizio mi sembrava troppo poco. Poi ho capito che questo è il tuo stile, Gesù: non domandare mai cose impossibili e invitarci sempre a essere buoni, corretti e nonviolenti.

Sei forte Gesù: non hai ancora iniziato le Tue attività, ma è già chiaro il Tuo programma: non vuoi nulla per Te, ma ci chiedi di prestare sempre molta attenzione agli altri.

Grazie a Te, Gesù, ho scritto in modo diverso la lettera a Babbo Natale.

A MARIA, DONNA DELL’ATTESA di don Tonino Bello

A MARIA, DONNA DELL’ATTESA  di don Tonino Bello

 

La vera tristezza non è quando, a sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita.

E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio.

Quando pensi, insomma, che per te la musica è finita. E ormai i giochi siano fatti. E nessun'anima viva verrà a bussare alla tua porta. E non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia, né trasalimenti di stupore per una improvvisata. E neppure fremiti di dolore per una tragedia umana: tanto non ti resta più nessuno per il quale tu debba temere.
La vita allora scorre piatta verso un epilogo che non arriva mai, come un nastro magnetico che ha finito troppo presto una canzone, e si srotola interminabile, senza dire più nulla, verso il suo ultimo stacco.
Attendere: ovvero sperimentare il gusto di vivere. Hanno detto addirittura che la santità di una persona si commisura dallo spessore delle sue attese. Forse è vero.
Se è così, bisogna concludere che Maria è la più santa delle creature proprio perché tutta la sua vita appare cadenzata dai ritmi gaudiosi di chi aspetta qualcuno.
Già il contrassegno iniziale con cui il pennello di Luca la identifica è carico di attese: «Promessa sposa di un uomo della casa di Davide».
Fidanzata, cioè.
A nessuno sfugge a quale messe di speranze e di batticuori faccia allusione quella parola che ogni donna sperimenta come preludio di misteriose tenerezze. Prima ancora che nel Vangelo venga pronunciato il suo nome, di Maria si dice che era fidanzata. Vergine in attesa. In attesa di Giuseppe. In ascolto del frusciare dei suoi sandali, sul far della sera, quando, profumato di legni e di vernici, egli sarebbe venuto a parlarle dei suoi sogni.
Ma anche nell'ultimo fotogramma con cui Maria si congeda dalle Scritture essa viene colta dall' obiettivo nell' atteggiamento dell'attesa.
Lì, nel cenacolo, al piano superiore, in compagnia dei discepoli, in attesa dello Spirito. In ascolto del frusciare della sua ala, sul fare del giorno, quando, profumato di unzioni e di santità, egli sarebbe disceso sulla Chiesa per additarle la sua missione di salvezza.
Vergine in attesa, all'inizio.
Madre in attesa, alla fine.
E nell'arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l'altra così divina, cento altre attese struggenti.
L'attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L'attesa di adempimenti legali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L'attesa del giorno, l'unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L'attesa dell'ora: l'unica per la quale non avrebbe saputo frenare l'impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L'attesa dell'ultimo rantolo dell'unigenito inchiodato sul legno. L'attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia.
Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all'infinito.
Santa Maria, Vergine dell'attesa, donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate. Non ci mandare ad altri venditori. Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia: l'arrivo di un amico lontano, il rosso di sera dopo un temporale, il crepitare del ceppo che d'inverno sorvegliava i rientri in casa, le campane a stormo nei giorni di festa, il sopraggiungere delle rondini in primavera, l'acre odore che si sprigionava dalla stretta dei frantoi, le cantilene autunnali che giungevano dai palmenti, l'incurvarsi tenero e misterioso del grembo materno, il profumo di spigo che irrompeva quando si preparava una culla.
Se oggi non sappiamo attendere più, è perché siamo a corto di speranza. Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo una profonda crisi di desiderio. E, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure da quelle promesse ultraterrene che sono state firmate col sangue dal Dio dell'alleanza.
Santa Maria, donna dell' attesa, conforta il dolore delle madri per i loro figli che, usciti un giorno di casa, non ci son tornati mai più, perché uccisi da un incidente stradale o perché sedotti dai richiami della giungla. Perché dispersi dalla furia della guerra o perché risucchiati dal turbine delle passioni. Perché travolti dalla tempesta del mare o perché travolti dalle tempeste della vita.
Riempi i silenzi di Antonella che non sa che farsene dei suoi giovani anni, dopo che lui se n'è andato con un' altra. Colma di pace il vuoto interiore di Massimo che nella vita le ha sbagliate tutte, e l'unica attesa che ora lo lusinga è quella della morte. Asciuga le lacrime di Patrizia che ha coltivato tanti sogni a occhi aperti, e per la cattiveria della gente se li è visti così svanire a uno a uno, che ormai teme anche di sognare a occhi chiusi.
Santa Maria, Vergine dell'attesa, donaci un'anima vigiliare. Giunti alle soglie del terzo millennio, ci sentiamo purtroppo più figli del crepuscolo che profeti dell'avvento. Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore la passione di giovani annunci da portare al mondo, che si sente già vecchio. Portaci, finalmente, arpa e cetra, perché con te mattiniera possiamo svegliare l'aurora.
Di fronte ai cambi che scuotono la storia, donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti. Facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere. Accogliere talvolta è segno di rassegnazione. Attendere è sempre segno di speranza. Rendici, perciò, ministri dell' attesa. E il Signore che viene, Vergine dell' avvento, ci sorprenda, anche per la tua materna complicità, con la lampada in mano.

Maria donna dei nostri giorni                                                                  + Tonino  Bello 

II DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

II DOMENICA DI AVVENTO  ANNO  C  con preghiera dei fanciulli

Luca 3, 1-6

 

«Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:

Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
5Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!»

 

Avevamo paura della quarta ondata, ma speravamo (tutti, nessuno escluso) di scamparla. Ci siamo affidati ai vaccini per fermare l’avanzare di questo odioso virus. La maggioranza degli italiani si è messa in fila per ricevere il vaccino e, con il passare dei mesi, chi è stato vaccinato (non certo per piacere!) ha provato anche un po’ di risentimento verso chi ha lanciato la “sua” libertà individuale contro il bene comune.

E oggi – prima domenica di Dicembre e seconda di Avvento – ci ritroviamo alle prese con contagi in crescita, malattie, ospedali e rianimazioni intasate e zone definite dai colori che – come sempre – ci generano angoscia. E mentre tutti temiamo il “nostro” lockdown non abbiamo nessuna paura ad imporre chiusure, muri e filo spinato ai disperati che bussano all’Europa passando dal mare o dalla terra. Per fare – anche alla vigilia di questo Natale – l’amara esperienza della fragilità, della debolezza della nostra natura umana e di quanto pervasivo e contagioso sia anche l’egoismo (non solo il covid).

Il Vangelo che la chiesa ci propone in questa domenica non ha dubbi: Dio “venne” (ieri), ma “viene” anche “oggi” proprio perché è cosciente dei nostri limiti, delle nostre fatiche e del male (fisico e morale) che ci avvolge e che ci ruba la voglia di vivere. San Luca insiste sui particolari storici della venuta di Dio (“Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare…”) per aiutarci a non scappare dal nostro tempo. Nei palazzi di ieri c’era Erode tetrarca di Galilea e altri “colleghi-parenti” che usavano la loro autorità come potere per dominare (non per servire) e per arricchire le loro famiglie sulle spalle dei sudditi. Oggi non è diverso. Governanti senza scrupoli che deforestano l’Amazzonia o che strangolano i Paesi e i popoli africani o dell’Asia non mancano. Ma si noti il particolare carico di speranza: il Dio di Gesù che viene sorvola i palazzi dei potenti di turno per “cercare” chi abita nel deserto. Il che significa che Dio sceglie – sempre – chi ha il coraggio, nel suo piccolo, di vivere la coerenza per rendersi credibile oltre la propaganda elettorale.

Giovanni Battista aveva la carriera spianata. Figlio d’arte poteva fare il sacerdote nel Tempio più ricco e blasonato del mondo allora conosciuto. Lui – però – scappa dal potere; si allontana dai fasti e dal lusso pagato dalle offerte dei poveri. E va a predicare …, nel deserto. Sembra un assurdo. In realtà è il “commovente” compromesso di chi ha il coraggio di allontanarsi dal male e dai contesti negativi, senza però isolarsi e abbandonare chi ha bisogno di aiuto. Giovanni sa molto bene che la sua scelta radicale spingerà chi ha nostalgia di bene e di giustizia a cercarlo. Sa che basta portarsi “fuori” dal rumoroso scorrere dell’egoismo per essere provocazione al cambiamento. E sa che anche senza parlare e senza predicare, il suo abitare la solitudine diventa Parola di Dio capace di suscitare voglia di conversione e di cambiare vita (questo voleva dire farsi battezzare dal Battista). Giovanni è la promessa di Dio fatta a due genitori avanti negli anni. E come promessa di Dio ha imparato sulla sua pelle che Dio è fedele e che non abbandona mai chi sta male.

Il messaggio per noi è fortissimo. Dio viene proprio perché siamo nei guai. Perché siamo immersi nel male e perché abbiamo bisogno che lui ci parli, ci curi, ci aiuti a spingere la libertà verso gli orizzonti della giustizia e dell’amore. Il Dio che viene oggi – nel 2021, mentre termina il suo mandato il Presidente Mattarella, direbbe san Luca – non ci chiede di andare lontano. Ognuno di noi ha – nei pressi di casa – il suo Giordano, il suo corso d’acqua, piccolo o grande che sia. Ciò che conta è decidere (senza se e senza ma) di uscire dal “rumore” dell’individualismo egoista e spingersi alla ricerca del profeta giusto, quello che è coerente tra il dire (poco) e il fare (molto) e soprattutto quello che è severo con se stesso, ma buono chi lo cerca. Quello che genera speranza proprio quando siamo “piegati” da indifferenza e da sofferenze di ogni tipo. Il “profeta” che ci invita a spianare la strada al Dio di Gesù che è ormai prossimo, che è il solo Dio che ci salva e che ognuno di può ascoltare se si ferma, se legge una pagina di Vangelo e se ferma la sua corsa per asciugare la lacrima di chi piange.

Buon Avvento.

 

 

Caro Gesù,

                      quando mia nonna ha visto le strade del suo Paese natale tutte allagate, è scoppiata a piangere. Lei è nata a Scordia, in Provincia di Catania. Si è trasferita al nord, nel 1959, perché mio nonno era senza lavoro nella sua bella isola.

Nel Vangelo di oggi san Luca dice che per preparare la Tua venuta i sentieri saranno raddrizzati e i burroni riempiti.

Gesù ti posso chiedere di pensare anche a tutte le strade allagate e piene di fango del Sud Italia distrutte dalle alluvioni di questi ultimi due mesi?

Grazie Gesù perché hai detto “Io sono la strada”.

Diventa Tu Gesù la mia strada. E insegnami a camminare dietro a Te. Non permettere che io – per curiosità o per pigrizia – scelga altre strade: quelle che mi chiudono in me stesso.

Grazie Gesù per il dono dell’Avvento.

È bello aspettare e preparare il Tuo natale.

I DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

I DOMENICA DI AVVENTO  ANNO  C  con preghiera dei piccoli

Luca 21, 25-28.34-36

 

«25Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. 34State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; 35come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. 36Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».

 

Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere…”. Sembra una fotografia del nostro tempo. Alluvioni, frane e fiumi “tombati” che si portano via pezzi di città siciliane sono scene quotidiane sui nostri teleschermi. Così come ci stiamo quasi abituando all’orrore dei muri, del filo spinato e dell’esercito armato e schierato contro poche migliaia di immigrati ammassati tra Polonia e Bielorussia (tra cui molte donne e bambini). Al punto che quando un bambino figlio di una giovane coppia di questi immigrati è morto di freddo nei boschi della Bielorussia, in molti hanno girato la testa dall’altra parte (di lui sappiano che aveva un anno, ma non conosciamo il nome e, a differenza del bimbo siriano trovato morto sulla spiaggia alcuni anni fa, non abbiamo nemmeno una foto). Per non parlare della grande paura che la quarta ondata della pandemia sta generando nella quasi totalità della popolazione italiana (chi rifiuta vaccini, confronto e modalità democratiche di discutere – per privilegiare forme violente di manifestazioni – è fuori da qualsiasi forma di democrazia).

In realtà, però, l’evangelista non sta annunciando castighi di Dio. Sta piuttosto spiegando ai suoi lettori che chi affida la sua vita a “idoli” incapaci di spiegare il senso della vita, fallisce l’intera esistenza. Ma soprattutto sarà importante, quando “accadranno queste cose”, non avere paura, ma “risollevarsi” (con la schiena diritta) e alzare il capo per prendere coscienza dell’avanzare della bontà di Dio verso di noi. Vuole dire non restare rannicchiati sui propri piccolo orizzonti; non vivere piegati sul proprio io e schiavi di un egoismo che mangia l’anima e la serenità. Per san Luca non ci sono dubbi: Gesù ci vuole “in piedi” perché questo è il segno per eccellenza della libertà e della dignità. Come ha fatto Maria che – ai piedi della croce e distrutta dal dolore – è rimasta in posizione eretta, con la “schiena diritta” e senza piegarsi. Disposta a reagire e pronta ad illuminare quanto la travolge con la luce della Parola di Dio e con la forza dell’amore.

A noi succede spesso il contrario. Per mille ragioni ci ritroviamo con la testa bassa e incapaci di guardare lontano: assorbiti dalle beghe quotidiane; risucchiati da un correre che ci rende “fermi” e non poche volte consumati dall’invidia verso chi – secondo logiche spesso false e infondate – “ha più di me”. Non è vero che “girare la testa dall’altra parte” ci fa stare meglio. Ci rende ripiegati su noi stessi e con il cuore appesantito da tutto ciò che ci ruba la bellezza di una convivenza nel segno della corresponsabilità.

L’invito di san Luca a “risollevarci”, ad “alzare il capo” e a prendere coscienza che “la salvezza è vicina” non riguarda solo il tempo dei suoi lettori. È rivolto in modo speciale a noi. Oggi, fine novembre 2021, in piena quarta ondata di covid e con tutte le nostre paure. Il senso dell’Avvento è proprio questo: la proposta di un tempo speciale per renderci capaci di alzare il capo e di guardare la nostra povera terra con la libertà e il coraggio di chi sa che il Signore Gesù ci è vicino, ci è accanto ed è con noi.

Tra poche settimane è Natale. I supermercati, le strade, le vetrine e l’immancabile pubblicità fanno di tutto per “chiudere” questa festa nei classici consumi che appesantiscano stomaco, testa e convivenza. La richiesta di “stare attenti a noi stessi” è – in questa corsa ai consumi inutili – una coccola che il Vangelo ci dona per aiutarci a preparare realmente il Natale del Signore Gesù che viene per noi e in noi.

Un invito (liberante) perché in queste settimane ci si sappia fermare per dare al pregare personale la consistenza dell’ascolto e della lettura della Parola di Dio. Per toccare con mano che il pregare che ci cambia dentro è quello che inizia dall’ascolto della Sua Parola, non dal chiedere, dal domandare grazie o dal lamentarsi dei vicini.

Solo questo “vegliare” fatto di ascolto del Vangelo ci rende in grado di “sfuggire” alle bruttezze che non vorremmo vedere e a diventare comunità cristiane che rendono visibile – con la loro profezia, carità e fraternità – che il Signore Gesù è vivo e presente in mezzo a noi.  Buon Avvento a tutti e a ciascuno.

 

                                                                                          

                                                   Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                   ne sono sempre più convinto: se Tu non vieni in mezzo a noi, non riusciamo a costruire un’Europa più bella.

La settimana scorsa i giornali hanno scritto che sul confine polacco, dove dietro al filo spinato ci sono circa 7000 persone, un bambino di un anno è morto di freddo. Abbandonato nel bosco perché mamma e papà erano rimasti feriti e arrestati.

Grazie Gesù per il dono dell’Avvento.

Continua a dirci “alzate il capo”. Anche perché non possiamo fare finta di non vedere o girare la testa dall’altra parte. E aiutaci Tu, Gesù, a “stare attenti a noi stessi” e a non fare “appesantire i nostri cuori”.

E se le brutte notizie sembrano vincere su quelle belle, Tu continua ad avanzare verso di noi per aiutarci ad uscire dal nostro egoismo e per ricordarci che Dio ci vuole bene e che solo l’amore ci salva.