Preghiere poesie

DOMENICA DI PENTECOSTE

DOMENICA DI PENTECOSTE  con preghiera dei piccoli                         Giovanni 14,15-16. 23 -26

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli]: «Se mi amate, osserverete i miei

comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. […] Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

 

Marta (il nome è di fantasia) mi ha cercata perché anche nel nuovo condominio si stanno riproducendo le stesse logiche del suo precedente domicilio. “Non le parlo dell’indifferenza che caratterizza la vita condominiale, mi ha detto. Ciò che ritengo inaccettabile è lo spiarsi a vicenda, l’invidia che si tocca con mano tra un pianerottolo e l’altro, il litigare per ogni piccola scelta per arrivare poi al non parlarsi e al non salutarsi.”. Il marito di Marta vive la stessa condizione con la moglie di suo fratello. Da anni non si parlano e nei ritrovi obbligati della famiglia allargata, chi organizza deve inventare acrobazie infinite per evitare che le loro persone si incontrino.

Il cuore umano è fatto così: ha bisogno come il pane delle relazioni (senza le quali non si vive!). Una volta avviate, però, le “appoggia” sull’emotività, che – come è noto – non è base molto solida! Il risultato, quasi scontato, lo conosciamo: l’altro, su cui si era fatto affidamento, delude e si rivela una persona diversa da come si presentava (ambizioso, ipocrita, individualista, scorretto, etc.). Ed è a questo punto che si decide di depennare l’interessato dalla lista degli amici o dei parenti. Succede dappertutto: in famiglia come nel condominio; in comunità laiche e nei contesti ecclesiali; sui posti di lavoro e nei tanti gruppi che si frequentano. E chi si lamenta dell’altro – come Marta – è sempre profondamente convinto di aver ragione, di aver subito il torto e di non aver sbagliato nulla.

Non si capisce la solennità della Pentecoste senza questa (lunga) premessa.

Comunione e Pace tra parenti, amici, vicini di casa e Nazioni sorelle non sono mai frutto “solo” dell’impegno umano, di accordi internazionali e/o di convenzioni preparate da esperti. Se il Signore non costruisce la casa della comunione e dell’amicizia, invano ci sforziamo di stare bene con gli altri.

È Lui – il Signore Gesù – che prima ci educa alla Pace e al convivere nel segno dell’amore e poi ci consegna il Suo Spirito che ci rende capaci di superare non solo egoismi e rancori, ma anche quelle sterili convinzioni che ci costruiamo nella testa per non arrendersi alla bellezza del perdono. Quante volte il nostro “spirito” ci autoconvince che solo noi abbiamo ragione! Quante volte ci ripetiamo che chi ha torto è l’altro e che per nessun motivo al mondo siamo disposti a passare oltre l’offesa ricevuta.

Lo Spirito di Gesù parla altri linguaggi. Insegna logiche più umane e ricorda le sole Parole – quelle di Gesù – che ci rendono capaci di costruire la casa sulla roccia (“Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” – Gv. 14,269).

E per capire che cosa succede quando lo Spirito di Gesù entra nelle nostre case, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, facciamoci aiutare dalla Prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli. Lo Spirito di Gesù si abbatte impetuoso sulla casa dove i suoi discepoli si trovano alle prese con dubbi e paure. Si posa su ciascuno di loro e questi scoprono che grazie allo Spirito di Gesù riescono finalmente a capirsi. “Come mai – si domandano – ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio” (Atti 2,8-11).   Lo Spirito di Gesù non annulla le nostre diversità; non ci appiattisce in una uguaglianza da ciclostile e non ci condanna per le nostre quotidiane fragilità legate al convivere. Fa molto di più: ci insegna a stare insieme con la forza del perdono reciproco; ci educa al silenzio di chi, da una parte, sa ascoltare la Parola di Gesù e i bisogni dell’altro e – dall’altra parte – evita di parlare male degli assenti e alle loro spalle.

Lo Spirito di Gesù ci spinge a cambiare (per non diventare vecchi dentro) e a lasciare le nostre certezze quando queste sono infarcite di rancore, di odio e di ostilità.

Questo è il significato per la nostra vita della festa di Pentecoste: lo Spirito di Gesù si “abbatte” sulle nostre case per farle diventare dimore di Pace, di comunione, di gioia e di perdono. Buona festa a tutti.

                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,           

                     per spiegarci che la parola Pentecoste vuole dire “cinquanta giorni” (dopo Pasqua), la catechista ci ha chiesto di pensare al «pentagono»: il poligono dai cinque lati uguali. E al di là del numero dei giorni, Tu – in questa festa – ci doni il Tuo Spirito perché ci aiuti a “ricordare” non solo le cose di scuola, ma anche l’amore che Tu hai per noi e la forza della Tua Parola.

Non lo sapevo Gesù, ma oggi l’ho scoperto: è il cuore che “ricorda” e che trattiene per sempre i momenti belli della vita. Ti prego Gesù: con il Tuo Spirito entra nel mio cuore e fa che il Tuo Vangelo diventi la guida della mia vita.

Gesù, mercoledì finisce la scuola.

Grazie per le mie maestre, per i miei compagni, per Caterina (la bidella del piano che è bravissima) e per tutti quelli che lavorano per noi.                                      

ASCENSIONE DI GESU’ ANNO C con preghiera dei piccoli

     ASCENSIONE DI GESU’  ANNO C    con preghiera dei piccoli

 

Luca 24, 46-53

 «Gesù disse loro: Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto.50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio».

 

È interessante constatare come tanto gli osservatori esterni quanto i diretti interessati si esprimano – in riferimento all’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin – utilizzando la categoria della vittoria. Per la Presidente della Comunità Europea è l’Ucraina che deve “vincere” questo conflitto ingiustamente subito. Le autorità russe dichiarano però che “chi sostiene che la Russia potrebbe “non vincere” questa “guerra” dimostra che non conosce la storia”. Gli ucraini si difendono… “per vincere”. Il cuore umano è fatto così: la spinta a fare bene che si trova impressa in ognuno di noi si trasforma, se non si è vigili e attenti, in quella fame e sete di vittoria che stravolge letteralmente il senso del vivere.

Anche perché il senso della vita non è dalla vittoria ad ogni costo; non siamo venuti al mondo per “vincere”, ma per amare, per fare il bene e per realizzare quella giustizia che – sola – rende il mondo un giardino. Ecco perché nelle Sue beatitudini Gesù ci invita a plasmare la nostra forza interiore con “fame e sete di giustizia”: perché nell’accogliere il debole, del difendere l’oppresso, nello stare dalla parte di chi perde e nel decidere di non armare la propria mano contro l’altro, ognuno di noi trova il sentiero della sua libertà e la strada che lo porta da essere – con i fratelli – beato. Quando il vincere diventa l’imperativo assoluto del vivere, l’esistenza tutta entra in quella conflittualità che genera le guerre che rendono il pianeta un inferno, anziché un giardino.

Alla luce di questa premessa diventa liberante celebrare la solennità dell’Ascensione del Signore Gesù in Cielo. Anche perché in Cielo e presso Dio non viene “portato” il Re “vincente”, l’Imperatore che ha dominato più degli altri o il condottiero invincibile che ha sconfitto (e sottomesso) ogni nemico. Dio accoglie nel Suo Regno il suo Figlio Gesù perdente e sconfitto: crocifisso e deposto dalla croce come un malfattore.

Con la solennità dell’Ascensione siamo chiamati a prendere coscienza che le porte del Cielo si spalancano sulla nostra umanità per accogliere la logica dell’amare, del servire, del perdonare, del dare la vita e dello spendersi per gli altri senza mai fare uso della violenza.

È questa la “Buona Notizia” di questa festa dal nome un po’ strano e dal significato teologico non immediato: Terra e Cielo non sono separati e contrapposti. Non è vero che il mondo di Dio (il Cielo) è sordo alle nostre suppliche o indifferente ai drammi che si consumano sulla nostra Terra. “Ma perché Dio non interviene e non ferma la mano di chi arma il mondo e di chi aggredisce l’altro?”, ci domandiamo spesso nelle nostre preghiere.

Dio ha scelto di non coinvolgersi nella nostra storia come un burattinaio che cambia il corso degli eventi e – per amore – ha deciso di rispettare la nostra libertà. Ci ha donato però il Suo Figlio Gesù. Che ha toccato con mano l’aggressione della Sua terra da parte dell’Impero Romano. In molti gli hanno chiesto di essere il Messia che porta alla vittoria – contro l’aggressore – il popolo di Israele. Gesù ha optato per la strada dell’amore, del perdono e della nonviolenza. Con la sua vita e con la sua passione, morte e resurrezione ci ha testimoniato che ciò che genera pace e giustizia in terra è la nostra capacità di spostare la voglia di vincere sul crinale del fare il bene per far vivere l’altro. E si noti la finezza: per convincere i suoi discepoli che con la Sua resurrezione Gesù ha definitivamente aperto il Cielo alla Terra, il Risorto ha condotto i suoi discepoli a Betania e da lì ha aperto la strada della terra al Cielo di Dio. Betania è un piccolo villaggio collocato a poca distanza da Gerusalemme dove Gesù ha fatto la profonda esperienza dell’amicizia (a casa di Marta, Maria e Lazzaro), dove si recava spesso per riposarsi, per riprendere le forze, ma anche per piangere l’amico Lazzaro morto e dove ha vissuto la faticosa esperienza dell’arresto, dell’agonia e dell’abbandono.

A Betania Gesù risorto che sale al Cielo, consegna al Padre tutta la sua esistenza e, di conseguenza, tutto ciò che noi siamo e tutto ciò che noi viviamo. È tutta la nostra esistenza che con Gesù risorto sale presso Dio.

Gagarin ha affermato, osservando il “cielo” dalla sua navicella spaziale, che non ha visto Dio. Anche perché Dio ha scelto – con il dono del Suo Figlio Gesù all’umanità – di “abitare” la nostra Terra (non le vuote galassie) e di restare, con il Suo Spirito, per sempre con noi per aiutarci a stare dalla parte di chi perde, di chi è debole, di chi è oppresso e per fare avanzare la forza della giustizia lungo i sentieri della nostra esistenza.

Dio ci ha insegnato, con il Suo Figlio Gesù, la grammatica dell’amore che si rende vero solo se diventa capace di “staccarsi” dall’altro senza mai usarlo, dominarlo o desiderare di possederlo. Buona Festa dell’Ascensione a tutti.

 

Caro Gesù,

                     ho visto sulla cartina geografica della Palestina che Betania è vicina a Gerusalemme. E ho pensato a Te che andavi a piedi a casa di Marta, Maria e di Lazzaro.

Ti recavi da loro per riprendere forza per la Tua missione e per stare con i tuoi amici. A Betania però hai pianto quando è morto Lazzaro.

Secondo me è per questo che la Tua ultima benedizione l’hai data a Betania: per farci capire che Tu porti in Cielo, presso Dio, i momenti belli della nostra vita, ma anche quelli “brutti”, segnati da lacrime, dolore o errori.

Sei forte Gesù. Con la scelta di Betania hai unito Terra e Cielo per sempre.

Aiutami, Gesù, a trovare pezzi di Cielo quando cammino su questa Terra e soprattutto insegnami a non cercarti “in alto”, ma sempre accanto a noi.

 

P.S. Grazie Gesù anche per la Festa della Repubblica.

VI DOMENICA DI PASQUA ANNO C

VI DOMENICA DI PASQUA ANNO C con preghiera dei piccoli

Giovanni 14, 23-29

 

«23 [In quel tempo Gesù disse] «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

 

Sul fatto che ciascuno di noi abbia bisogno come il pane della “pace” non ci sono dubbi. La discussione inizia quando ci domandiamo “come” e “con quali strategie” cerchiamo di procurarci la pace.

Alcuni sono convinti che solo le armi, l’ordine militare e la repressione siano in grado di garantire la pace. L’esperienza ci dimostra che eserciti e armi sempre più potenti non costruiscono pace, ma alimentano guerre all’infinito.

Altri preferiscono puntare sul libero mercato perché sono profondamente convinti che ricchezza, soldi e benessere siano in grado – da soli – di garantire la mia e nostra “pace”. La storia ci insegna però che senza giustizia, senza libertà e senza solidarietà non ci sarà mai pace, ma solo scontro tra egoismi che difendono privilegi.

Altri ancora – nel piccolo come nel grande – si illudono di dare radici e forza alla pace appoggiandosi sulla bugia e sulla menzogna, per cui basta non dire, negare, nascondere o mentire per garantire alla coppia, in famiglia, sul lavoro o alla propria comunità un buon livello di armonia e di pace. Senza verità, però, non ci sarà mai pace, ma solo ipocrisia e falsità che ammalano, aggrediscono e corrodono qualsiasi convivenza.

C’è infine chi è persuaso che la pace sia un qualcosa che riguarda solo lui, la sua famiglia e il suo giardino. Ma è proprio perché sono in troppi che si chiudono nel “mio” che scoppiano le guerre. Siamo salvati dal “nostro”, non dal “mio”.

Esperto conoscitore del cuore umano, Gesù Maestro ci invita ad andare oltre le nostre concezioni di “pace” (con la “p” minuscola) per accogliere, in dono, la “sua” Pace (con la “P” maiuscola). L’evangelista non poteva essere più esplicito: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.”. La Pace che Gesù ci consegna è più ampia e più vera rispetto alla pace che ci costruiamo noi con i mattoni delle armi, dei soldi, delle bugie e dell’egoismo. La Pace che Gesù ci dona è la presenza stessa del Suo Spirito che dal di dentro ci muove per renderci capaci di perdonare, di abbracciare anche (soprattutto) i limiti dell’altro e che ci spinge a contrastare il male ricevuto con il bene. La Pace che Gesù ci consegna ci spinge ad uscire dal “mio” giardino per ricordarci che ciò che ci rende beati è impegnarsi per costruire quel “giardino” in cui c’è posto per tutti e per ciascuno e dove tutti possono stare, abitare e riposare in libertà e giustizia.

Ancora una riflessione. Impossibile, in questi giorni, non associare la parola Pace all’aggressione dell’Ucraina da parte di Putin. Non so se sui libri di storia verrà ricordata come “guerra” o, più giustamente, come “invasione dell’Ucraina da parte della Russia”, so però che armi, carri armati, bombardamenti, trincee, prigionieri e morti (tanti, tantissimi, troppi da tutte le parti) non devono farci dimenticare che dobbiamo diventare operatori di Pace non solo per contrastare l’avanzare dei conflitti armati e delle guerre (che sono, in questo momento, circa 150!), ma anche nei nostri contesti familiari, lavorativi, sociali e nelle nostre comunità di vita. Mutismi, rancori, dispetti o parole dette alle spalle dell’interessato, non facilitano l’avanzare della Pace. Ostinarsi ad aspettare che a fare il primo passo sia sempre l’altro, non distende gli animi. Tenere chiuso il Vangelo e ridurre il tempo del pregare per paura che prima o poi lo Spirito spinga il mio cuore a perdonare, a fare il primo passo e a cercare chi non vorrei più vedere, è solo un modo per “resistere” all’avanzare della gioia nel mio cuore. La Pace che Gesù ci consegna fuga ogni nostra paura di cambiare e di perdonare. Ci apre alla vita libera e beata. E ci rende capaci di cambiare sguardo persino nei confronti della “sorella morte”, come la chiamava san Francesco.

Il discepolo di Gesù ama la vita in ogni sua condizione e manifestazione. Sa però che vivere per gli altri è la sola vita che non avrà più fine. Sa che l’amore ci immette in quella vita eterna che la morte fisica non spegne. Con “sorella morte” si interrompono le forze vitali del corpo (cuore, respiro e vita cerebrale), ma l’amore continua a vivere e ad abitare in quella Pace che lo Spirito di Gesù ha preparato per noi.

Da ripetere ogni giorno: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, fino a quando questa preghiera non si impasta con il nostro respiro e con il nostro vivere e convivere.

Buona domenica.

 

                                                                          Preghiera dei piccoli

                     Caro Gesù,

                    quando ero piccolo pensavo che la Tu abitassi in Chiesa. Solo quest’anno ho capito che la Tua vera casa è in mezzo a noi.

E sai che cosa ho letto sul giornale di papà? Che in Italia sono più di 50.000 quelli che vivono sulla strada, senza casa. Il censimento italiano li chiama “popolazioni speciali”.

Quando piove, quando fa freddo o quando sono stanco penso sempre a chi non ha un tetto sulla testa.

Ti prego, Gesù, fa che nel mondo nessuno debba mai vivere senza casa.

Gesù, aiutaci ad ascoltare la Tua Parola e a metterla in pratica per fare del mondo una grande comunità dove tutti possono abitare la propria casa in pace con gli altri.

Grazie Gesù perché solo Tu hai la forza di trasformare qualsiasi “edificio” in una “casa” bella, calda e dove si sta bene.

Gesù donaci la Tua Pace.

V DOMENICA DI PASQUA anno C

V DOMENICA DI PASQUA  anno C con preghiera dei piccoli

Giovanni 13, 31-33a.34-35

 Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
«Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.

San Giovanni usa pochissime parole per descrivere la scelta di Giuda di “uscire” dalla comunione con Gesù e dal gruppo di cui faceva parte (“Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse”. E presenta Giuda che si alza da tavola per abbandonare la mensa sulla quale ha condiviso l’ultimo pasto terreno di Gesù. “Ed era notte” (Gv. 13,30), annota l’evangelista. Per ribadire che tutte le volte che ci si alza dalla tavola di Gesù per fare scelte alternative a quelle proposte dal Maestro a quella mensa, si entra nel “buio” esistenziale che rende amara la vita.

Come non vedere nella “notte” di cui parla san Giovanni il tempo in cui siamo immersi anche noi. Dopo una pandemia che ha ferito l’intera umanità (e dalla quale non siamo ancora usciti) l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin ha riportato in Europa orrori che credevamo superati per sempre. Non ha senso abbandonare l’Ucraina al suo destino (e se qualcuno chiedesse questo si pone contro i valori della solidarietà, della fraternità e del reciproco aiuto sui quali è fondata l’Europa), ma non è ragionevole nemmeno armare fino ai denti chi ha il diritto e il dovere di difendersi con il rischio di innescare un’escalation di scontri armati che prima o poi trasforma la terza guerra mondiale a pezzi in un nuovo (il terzo!) conflitto mondiale.

Ed è “notte” proprio per questo. Perché le armi non generano (mai) luce, promesse di pace o spiragli di accordi, ma solo e sempre odio, rancore e distruzione di vite umane, di civiltà e di speranza. È “notte” perché sembra non esistano modalità di fermare il conflitto e perché la strada intrapresa per fermare il conflitto è ancora troppo lastricata di armi, bombe e di eserciti contrapposti. Ha però ragione Papa Francesco quando dice che la guerra è una pazzia e che le armi non portano la pace. Aveva ragione Papa Giovanni XXIII quando ricordava al mondo intero che la Pace (quella vera) si appoggia su quattro precisi pilastri: libertà, giustizia, verità e amore. Al di là di queste solide fondamenta non si costruisce la pace. E la tragica realtà di armi sempre più potenti ricorda a tutti noi che nel caso di una escalation che spinga ad usare anche il nucleare, ci ritroviamo tutti perdenti.

Oggi il Vangelo di san Giovanni ci consegna pochi versetti. Che ci ricordano, però, la verità fondamentale della vita: uscire dal cenacolo e dalla logica profondamente umana proposta da Gesù e dalla Sua Parola è movimento a forte rischio di immetterci nella notte. Non appena Giuda ha deciso di privilegiare il suo profitto, di vendere il Suo Maestro per poco denaro, di rompere la comunione con i “suoi” amici e di “sposare” la causa delle armi e dell’aggressore è iniziata – per lui – la notte dalla quale non ha saputo uscire.

Giuda ha rinunciato ad amare e, così facendo, ha perso la sua libertà. Non solo: con il suo tradimento Giuda è uscito dal solco della giustizia e tutto ripiegato su sé stesso non ha saputo chiedere scusa e nemmeno aprirsi all’amore che tutto perdona. Così facendo, però, si è reso incapace di guardare con verità alla sua fragilità e alla sua debolezza.

Sono tanti i bambini che in questi giorni, in tutta Italia, ricevono la Prima Comunione. Guidati dai loro sacerdoti e catechisti, accompagnati dai genitori e accolti dalle comunità cristiane chiedono di avvicinarsi a quel tavolo dove Gesù si fa pane per noi. Sono bambini che ci chiedono di donare loro – con l’aiuto di Gesù – la forza di queste quattro gambe su cui è fondata la tavola di Gesù: giustizia, liberà, verità e amore.  Valori intrecciati tra loro e indivisibili. A Giuda che esce dal cenacolo in cui Gesù lo aveva invitato, mi piace contrapporre quel ragazzino che ha saputo condividere il suo poco (cinque pani d’orzo e due pesci) per premettere a Gesù il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Non abbiamo grandi strumenti per fermare una guerra assurda, folle e che genera solo distruzione e morte, ma possiamo offrire il nostro poco perché la prudenza, la cautela, il dialogo e la via diplomatica restino i sentieri privilegiati per sperare in un ragionevole cessate il fuoco a cui dovrà seguire quel compromesso che non permette a nessuna delle parti in causa di vincere, ma che non obbliga l’umanità perdere la speranza, la vita e la nostra civiltà. Buona domenica a tutti

 

                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                       ti faccio una confidenza: a volte chiudo gli occhi e mi vedo in uno stadio gremito di gente a correre a mani alzate dopo aver fatto goal. Altre volte mi immagino vincere in bici o con un microfono in mano, cantando.

Non so perché, ma questo tipo di “gloria” entra nella nostra testa prima della “Gloria” di cui parli Tu.

Tu però ci dici che la vera Gloria è data dal servire, dal donare, dal vivere per gli altri e dal perdonare.

E la guerra in Ucraina ci dice che hai ragione Tu: “vincere” ad ogni costo non crea nessuna gloria, ma costruisce solo distruzione e tanti morti.

Grazie Gesù. La tua Gloria non ci entra in testa. Ma se ci entra nel cuore ci fa vivere più sereni e in pace.

Grazie anche per il comandamento nuovo.

Voglio imparare ad amare come Tu ci ami.

IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C

IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C  con preghiera dei piccoli

 

Giovanni, 10, 27 -30

 In quel tempo, Gesù disse: 27 «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola.»

 

La ragione per cui abbiamo due orecchie e una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno”, affermava il filosofo Zenone tre secoli prima della nascita di Gesù. Ma perché spesso accade il contrario e si parla molto di più di quanto si ascolti? Perché parlare (di sé!) oltre che meno faticoso e meno impegnativo dell’ascoltare, è anche, apparentemente, rassicurante perché illude di essere nel vero. Chi con il suo continuo parlare si mette in condizioni di non ascoltare gli altri, di fatto abusa della sua bocca per fissare, nel suo cuore e nella sua mente, fragili convinzioni che non vorrebbe più cambiare. Ed è il motivo per cui chi parla tanto e ascolta poco è – obbligatoriamente – rigido nelle idee, incapace di dialogare e così chiuso in sé stesso da utilizzare solo e sempre il suo “io” come unità di misura del mondo. E se chi parla troppo incontra un “chiacchierone” simile a lui e poco disposto ad ascoltare? In questo caso inizia a “gridare” e a “urlare” per entrare, con lui, nella sfera della violenza verbale a cui televisioni e dibattiti vari ci hanno, purtroppo, abituati.

Ascoltare è molto più faticoso. Impone l’arte del fare silenzio e del sospendere giudizi che spesso risultano affrettati, superficiali e sbagliati. Obbliga – prima o poi – ad apprendere la difficile arte dell’empatia (mettersi nei panni dell’altro) e dunque ad anteporre l’altro a quel’ “io” che, se non ridimensionato, diventa ingombrante, fastidioso e pericoloso per tutti. Sembra un paradosso, ma il solo modo per imparare a parlare (bene) è dato dal coraggio del fare silenzio, dell’ascoltare e del dichiararsi bisognosi di imparare. Solo così si riesce a “discernere” tra i tanti rumori e le tante “voci” (moltissime delle quali inutili) che si affollano sulla nostra vita.

Con soli tre versetti il Vangelo di Giovanni che la chiesa ci propone per questa quarta domenica di Pasqua ci ricorda che Gesù è il Pastore buono/bello (l’unico) che sa “parlare” al nostro cuore, che ci insegna ad ascoltare e che scioglie la nostra lingua per abilitarci a dire parole vere.

La similitudine utilizzata da Gesù è quasi imbarazzante. Il rabbì di Nazaret definisce l’intera umanità un gregge formato da pecore chiamate ad ascoltare la Sua voce. E considerato che dal punto di vista economico il gregge rappresentava, per la cultura dei pastori di un tempo, la sola ricchezza possibile, significa che Gesù si è reso povero nell’avere e nel possedere, ma non ha rinunciato alla “ricchezza” data dall’amare e dal prendersi cura dell’intera umanità.

 Ancora una riflessione: l’immagine della pecora non è la prima che affiora nella nostra mente quando ognuno di noi pensa a sé stesso. Nessun bambino si identifica con la pecora nel gioco dell’identificare sé stesso con un animale. Leone, tigre, aquila, cavallo o delfino sono animali che evocano immediatamente forza, eleganza e bellezza. Gesù però ha scelto di farsi Agnello per noi e proprio per questo non ha nessuna difficoltà a definirci “gregge e pecore”. Perché si è fatto come noi per aiutarci a diventare come Lui: forti nell’amore, liberi del dare e determinati nel perdonare. Non è offensivo essere pecore. È fonte di sofferenza essere pecore che seguono, che ascoltano e che si affidano alle “voci” false di “banditi e briganti” che sfruttano la vita degli altri anziché – come fa il Buon Pastore – dare la propria per sue pecore.

Gesù è maestro vero e credibile perché prima di definirci “pecore” si è fatto “agnello”; Forte di questa coerenza, il Signore si presenta a noi come Pastore per portarci fuori dalle parole che non generano vita. Ci invita – senza sosta – ad ascoltare la sua “voce” perché ognuno di noi impari la bellezza del silenzio e – guidato dalla Sua Paola – la forza della pace, della nonviolenza e del perdono.

Le logore e stanche parole di guerra che tutti siamo stanchi di ascoltare in questi mesi (dove il parlare è finalizzato solo a dimostrare le strategie per “vincere”) sono la conferma che abbiamo un bisogno urgente di questo Vangelo e di Gesù Buon Pastore. Chissà se domani – 9 maggio, Festa dell’Europa e Giornata nazionale in memoria delle vittime del terrorismo interno – dovremo nuovamente ascoltare parole di guerra, di vittoria, di rancore, di armi e di violenza da usare per annientare il nemico! Se questo accadrà, è bene che il nostro cuore si ripeta – con l’aiuto del silenzio interiore ed esteriore – che “le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”.

 

La preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    appena ho ascoltato il Tuo discorso, mi sono detto: “Io non sono una pecora”. Anche perché quando noi bambini dobbiamo, per gioco, paragonarci ad un animale, nessuno sceglie la pecora. Di solito vogliamo essere un lupo, un leone, un delfino o un’aquila: animali forti, belli e vincenti.

Perché Gesù ci hai paragonato a delle pecore? Forse perché la forza e la ricchezza di un pastore era data – ai tuoi tempi – dal suo gregge. E più pecore possedeva un pastore e più era ricco.

Che bello Gesù, sei povero, ma la tua sola ricchezza siamo tutti noi: persone da amare, da seguire e da servire.

Sapere che Tu sei il Buon Pastore che ci conosce per nome, che si prende cura di noi e che ci protegge da ogni male mi dà tanta sicurezza.

 

P.S. In classe di mio fratello è arrivata una ragazza dell’Ucraina. Che brutta la guerra.

III DOMENICA DI PASQUA ANNO C

                III DOMENICA DI PASQUA  ANNO C  con preghiera dei piccoli

Giovanni 21, 1-19

«1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare.8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. 15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 1a quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

 

Secondo John Steinbeck “Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone” e l’espressione serve all’autore americano per ribadire che il viaggio non è mai solo spostamento fisico, ma – prima di tutto – disponibilità a cambiare punto di vista e a crescere dentro. Ed è forse questa la saggezza che ci manca oggi. È vero: si viaggia molto più di ieri e siamo discretamente convinti che “l’auto renda liberi”, come diceva Giovanni Agnelli. Più in profondità – però – ci muoviamo molto, ma si rischia di essere sempre allo stesso posto: alle prese con le nostre paure, incertezze e insoddisfazioni. Siamo tentati di andare dove vogliamo (convinti che solo così ci liberiamo dai doveri che ci legano e che ci imprigionano), ma dobbiamo poi recarci dove vorremmo, ma dove dobbiamo esserci per dovere. Anche per questo suona come intensa, profetica e saggia la distinzione che Gesù propone a Simon Pietro tra “l’andare dove volevi” (quando eri più giovane) e il trovarsi portato “dove tu non vuoi” (quando sarai vecchio).

Schemi opposti. Anche perché a livello superficiale l’andare dove si vuole è l’esatta definizione della libertà. Ed è il classico schema mentale che caratterizza la mente degli adolescenti, dei giovani e di tanti adulti cresciuti a livello anagrafico, ma non troppo a livello di maturità. Andare e fare quello che si vuole è il sogno di chi ha fatto di sé stesso il baricentro del mondo. E che obbligatoriamente conduce, chi si è avventurato per questa strada, sulle spiagge della solitudine e della tristezza.

Più in profondità – però – le cose si complicano. Da un lato perché non siamo fatti per inseguire capricci o per rincorrere un benessere che è solo “mio”. Dall’altro lato perché siamo impastati dal “noi” e andare – da soli – per ritrovarsi poi senza affetti, senza amici, senza figli, genitori e grandi amori, significa scoprirsi lontani anche da sé stessi in un isolamento che imprigiona e che fa male.

Per questo Gesù prova a spiegare a Simon Pietro – e a chi si confronta con questa pagina di Vangelo - che il senso vero e profondo della libertà è esattamente l’opposto dell’andare dove si vuole. Libero è chi ha capito che solo dirigendosi verso altro – colui che dona il senso alla mia vita – si trova la pienezza che cerchiamo. Andare e “portarsi” dove il fratello è in difficoltà, dove il piccolo, il debole, l’indifeso e la vittima di ingiustizie e di aggressioni chiede aiuto, è il segreto della vita riuscita e la fonte trasparente della libertà.

Ancora qualche riflessione. Chi parla con Simon Pietro non è il Gesù terreno, ma il Signore Gesù risorto che sceglie di manifestarsi ai suoi discepoli per confermare tutto quanto, in vita, ha predicato, insegnato e testimoniato. Gesù aveva già spiegato ai suoi discepoli che si è veramente beati solo nel servizio e nel dare. Tutta la sua vita è stata una “parola” chiara e inequivocabile sul fatto che l’amore vince l’odio e che l’ultima parola della storia non è il male, ma il bene. Con la sua morte in croce poteva essere tutto finito: la tragica constatazione che il grande sogno di un amore più forte del male era ormai distrutto e svanito per sempre. Il mattino di Pasqua ha però spezzato la paura e l’angoscia di aver perso tutto. Per questo Gesù risorto si manifesta ai suoi: per portarli fuori dal buio, oltre la paura di non prendere nulla e soprattutto per offrire loro qualcosa da mangiare che sfama per davvero e per sempre.

Gesù risorto si manifesta dopo il mattino di Pasqua per consegnare, a chi ha scelto di seguirlo, la certezza che la pace è possibile, che odio, rancore e ritorsioni sono parole e pratiche inutili e nocive.

Gesù risorto si manifesta ai suoi perché insieme ripercorrano la sua vita e scelgano di stare – sempre insieme – all’interno del cenacolo per decidere poi di sostare là dove lui è morto per noi. Per far vincere la vita, la pace, il perdono, la giustizia e la bellezza della comunione.

Gesù risorto si manifesta ai suoi per insegnare anche a noi ad andare (gioiosamente) verso il figlio che sta male, in direzione dell’ammalato, del debole, etc. e smetterla di voler andare solo dove ci piace (per scoprire poi che non si è felici!).

Non sono l’unico a pensarlo: spostare le tante parole sull’aggressione della Russia all’Ucraina dai talk- show ai luoghi santi di Gerusalemme dove Gesù ci ha insegnato “ad andare dove non si vuole”, è itinerario di pace più coerente, concreto ed efficacia di tante parole. Buon tempo Pasquale.

 

                                             Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    mia nonna è sempre allegra, ma – come dice mio nonno – non è mai in casa. È sempre in giro. Al martedì mattina distribuisce i vestiti a chi non ha nulla; al pomeriggio prima viene a prendermi a scuola, poi mi accompagna a casa e subito dopo va a preparare la cena per la mensa dei poveri. Ci accompagna a messa, fa la spesa per tutti (anche per mamma) e se c’è qualcuno che sta male, lei è sempre la prima ad arrivare.

Proprio come hai detto Tu a Simone: lei non va dove vuole, ma corre dove c’è qualcuno che sta male.

Grazie Gesù perché oggi mi hai insegnato che non è felice chi va dove vuole, ma solo chi va dove gli altri hanno bisogno di lui.

Grazie Gesù anche per la festa dei lavoratori.

E dona la Tua Pace a chi vive in Ucraina.

II DOMENICA DI PASQUA ANNO C

II DOMENICA DI PASQUA ANNO C con preghiera dei piccoli Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Guido Tallone:

È nel Capitolo35 dei Promessi Sposi che Renzo ritrova – in un lazzaretto e dopo tante peripezie – Cristoforo. Il giovane sta cercando Lucia; l’anziano padre svolge il suo servizio tra gli ultimi, tra i colpiti dalla peste. Ed è inevitabile che non appena ritrovati i due parlino di Lucia. Renzo spera ancora di incontrare la sua amata in quel contesto di desolazione e morte, ma se non la trova – così confida all’amico francescano – si metterà a cercare il signorotto che li ha separati e “se la peste non ha già fatto giustizia… la farò io giustizia.”.

La reazione del religioso è immediata: “Sciagurato” gli grida prendendolo per un braccio. Dovrei ascoltare “le tue voci di rabbia e i tuoi proponimenti di vendetta” mentre chi sta morendo vuole ascoltare parole sul perdono di Dio? E mentre il giovane farfuglia qualcosa per difendere le sue tesi, Fra Cristoforo sferra l’attacco finale: “Zitto – interruppe il frate – credi tu che se ci fosse una buona ragione (per uccidere), io non l’avrei trovata in trent’anni”, lui che in passato aveva ucciso. Il seguito è commovente. Non esistono ragioni per giustificare la vendetta, spiega il padre al focoso e iroso Renzo. E visto che Dio può bloccare la mano di un prepotente, non si dimentichi che Dio può anche fermar la mano d’un vendicativo.

Ecco il dramma del cuore umano: definire “giustizia” la sete di vendetta. La quale illude, chi la compie, che restituire il male ricevuto faccia stare bene. In realtà l’atto vendicativo rende uguali al carnefice, non spegne l’odio presente nel cuore di chi la attua e accende infiniti sensi di colpa. Solo il perdono impedisce alla vendetta di devastare il cuore di chi ha subito il male. E si tratta di una riflessione relativamente facile da capire quando si parla di altri, di terze persone.

Chi non capisce come solo il perdono da ambedue le parti sarà in grado di fermare – prima o poi – quel mare di odio, di violenza, di distruzione e di voglia di vendetta che oramai si è insediata tra Nazioni sorelle come la Russia e l’Ucraina.

Quando chi deve perdonare è l’altro siamo tutti d’accordo. Quando però tocca a me, al sottoscritto, agire il perdono e superare il torto subito con forme di bene, le cose cambiano.

 

Ci si chiude nelle proprie presunte ragioni; come leoni in gabbia si cerca in tutti i modi di fare in modo che l’altro paghi le sue colpe, le espii e capisca in modo chiaro e definitivo l’odio covato contro di lui. Rabbia e vendetta spingono l’astio e il rancore sul sentiero dell’dio, dell’orgoglio e della violenza cieca: che rende incapaci di sentire ragioni, di cercare altre strade e di anche solo pensare che si possa perdonare.

Ma ecco la bellezza del dono di Dio: lo Spirito di Gesù risorto ferma la mano del vendicativo e dona – a chi è prigioniero delle sue logiche vendicative – la capacità di slegare il nostro cuore dalle catene generate dall’odio grazie al dono del perdono. Lo Spirito di Gesù risorto ci rende capaci di oltrepassare il torto ricevuto con forme di bene per scoprire che solo così si resta sulla strada dell’amore: la sola che ci fa sperimentare l’essere amati da Dio e di entrare nella gioia profonda di chi ha – finalmente – imparato ad amare.

Lo sappiamo: la qualità della nostra vita è avvelenata dai piccoli o grandi conflitti che ci ingarbugliano il cuore. Spingere gli altri a perdonare è più facile. Iniziare a pregare per chi ci ha fatto del male; non sparlare degli avversari che la vita ci ha messo davanti; non permettere all’antipatia o alla diversità di vedute di trasformarsi in quell’odio che alimenta la vendetta, è la vera, grande sfida della Pasqua. Per noi, oggi come per i discepoli, ieri: barricati nel cenacolo alle prese con le loro paure e le loro divisioni.

Quando intuisce difficoltà, chiusure o resistenze a far avanzare la logica dell’amore e del perdono, Gesù non chiede permesso. Irrompe nelle nostre comunità certamente per fermare la mano del vendicativo, ma anche per guidare il cuore affinché le nostre mani vengano usate, per accogliere chi sta male, per sostenere chi è solo, per visitare chi piange, chi è malato, chi è immigrato, profugo o carcerato.

Non possiamo dimenticarlo: il segno della Pasqua è il perdono. Ed il perdono è la premessa della Pace tra le nazioni e della pace nelle nostre case, famiglie e comunità. Senza mai dimenticare che il perdono è anche la fonte della gioia.

Buon tempo Pasquale.

Caro Gesù,                                        Preghiera dei piccoli

Tommaso (che non crede ai suoi amici, che vuole “vedere” prima di “credere” e che non si fida dei suoi compagni) a me è simpatico.

Forse perché anch’io sono un po’ come lui. Prima di “credere” io voglio sempre “vedere”.

Tu però oggi mi cambi modo di pensare. E mi ricordi che per aiutare l’altro a crescere bisogna credere in lui.

Tutte le volte che un educatore non crede in me e vuole mettermi alla prova, io reagisco male. Faccio l’opposto di quello che mi chiede.

Grazie Gesù perché Tu ti fidi di me prima di qualunque risultato.

Grazie Gesù perché questo Tuo credere in me mi dà davvero tanta forza (e mi insegna a fidarmi della vita e dei miei amici!).

Gesù, voglio dirTi anch’io, come ha fato Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”.

 

P.S. : Aiutaci, Gesù, a credere nella nonviolenza e nella Pace.

DOMENICA DI PASQUA 2022

DOMENICA DI PASQUA  2022  con preghiera dei piccoli

 Giovanni  20, 1 - 9

1Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». 3Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, 7e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.

 

“Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio.”. Il “buio” di cui parla l’evangelista non descrive solo la distanza del cielo dall’aurora, ma “fotografa” molto bene la fatica, la sofferenza e la disperazione interiore di chi si muove in un sepolcro: dove mancano fiducia nell’umanità, pace e capacità di sperare.

Non è lo stesso “buio” che viviamo oggi? Penso agli Ucraini che da quasi due mesi sono costretti a convivere con l’indifendibile aggressione della Russia di Putin; a quanti sono stati uccisi, deportati, torturati e violentati o alle donne e ai bambini costretti a fuggire dal loro Paese per salvare la vita fisica. Penso agli immigrati che scappano da guerre meno vicine a noi e che dopo le “obbligate” torture subite nei campi di concentramento libici attraversano un mare che per molti diventa un sepolcro di acqua e senza pietre. Penso a quanti, tra noi, piangono per la rottura di un progetto d’amore; per la malattia o la morte di un figlio; per una disoccupazione che non finisce… .

Quanto buio e quante pietre che parlano solo di morte sono presenti anche oggi: duemila anni dopo al stesura di questa pagina.

Ed è per questo abbiamo bisogno (come il Pane!) di Pasqua e di speranza. Abbiamo bisogno di notizie positive (Vangelo significa “buona Notizia”) che ci aiutino a ritrovare le ragioni della speranza e la forza della vita capace di “fermare” tanto la morte quanto il male.

Nel mattino di Pasqua il Padre ha squarciato il buio e ha vinto la morte perché ognuno di noi possa avvertire la carezza del Dio di Gesù sulla sua vita.

Ma dove, come o con quali “passi” scorgere luce tra le fatiche di questi mesi? San Giovanni sembra indicarci un metodo che vale la pena “fissare” nel core e nella memoria.

  1. Continuare a cercare e a sperare nonostante tutto. Maria di Magdala è affranta. Ma mentre gli uomini sono ripiegati su se stessi, lei non smette di inseguire speranza e – sola contro tutti – va al sepolcro. Dove la morte sembra aver vinto.
  2. In presenza di segni difficili da comprendere (“la pietra era stata tolta dal sepolcro”), cerca aiuto ed esce dalla solitudine. Si rivolge a Pietro e a Giovanni.
  3. Insieme capiscono che la sola luce che disperde le tenebre è la Parola di Gesù: il suo Vangelo (“Non avevano ancora compreso la Scrittura”). Non stare lontani dal Vangelo. Non smettere di ascoltare il Vangelo, di leggere e di meditare questa Parola, di “pregare insieme” perché questa Parola si impasti con la nostra vita e ci cambi il modo di pensare e di vivere.
  4. Guardare al positivo. Riprendere il tanto di buono operato da Gesù e – finalmente – lasciare che la vita venga avvolta dalla voglia di bontà e non dalle spinte al male. Quante volte ci lasciamo quasi annegare da notizie solo negative e da sguardi inclinati vero il “buio”. Il metodo di Giovanni ci spinge a orientare il nostro punto di vista verso l’umanità di Gesù spesa solo per portare cure, compassione, speranza e perdono.
  5. Ritrovare la gioia della comunione intrisa anche di perdono. Anche perché senza il perdono degli uni su gli altri, la festa di Pasqua non inizia e non si avvera.
  6. Convincerci che la presenza del Dio di Gesù è vicino a noi: là dove siamo e dove molte volte non vorremmo essere o stare.

Dopo due anni di faticosa pandemia e dopo lo shock di un violentissimo conflitto armato alle porte di casa abbiamo bisogno di Pasqua. Abbiamo bisogno che sepolcro e buio lascino posto alla bontà, alla salute, alla nonviolenza e al nostro profondo desiderio di Pace.

San Giovanni ci conferma che è possibile e che Gesù risorto si fa trovare in un giardino per chiamarci per nome e per ricordarci che il senso della nostra vita è abitare – insieme – la terra perché questa diventi quel giardino che, purtroppo, troppe volte trasformiamo in un sepolcro.

Buona Pasqua a tutti, a ciascuno e in modo speciale a chi ha l’impressione che il “buio” della sua vita non riesca a diradarsi.

                                                                                             

                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                non è la prima volta che Simon Pietro è assieme ad un altro discepolo. Anche quando ti hanno arrestato erano in due: Pietro e l’altro discepolo (Gv. 18,15).

Adesso sono di nuovo loro due che, nel mattino di Pasqua, corrono verso il sepolcro. Pietro è più lento, ma l’altro discepolo si ferma e lo aspetta.

Gesù ti posso fare una domanda?

Considerato che chi scrive il Vangelo non ci ha detto come si chiama “l’altro discepolo”, posso mettere il mio nome quando leggo questi racconti?

Voglio diventare io quel discepolo. E sono sicuro che se imparo a fare, ad essere e a stare con Te come ha fatto quel discepolo senza nome, la mia vita sarà piena.

Abbiamo bisogno di Pace e di speranza.

Abbiamo bisogno che finisca l’aggressione dell’Ucraina; che gli immigrati trovino accoglienza là dove arrivano e che chi sta male guarisca.

Grazie, Gesù.

 

DOMENICA DELLE PALME ANNO C

DOMENICA DELLE PALME  ANNO C  con preghiera dei piccoli

 

Luca 19, 28-40

Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

[…] Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui.

Nei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) non c’è nessun accenno ai “rami di palma” per accogliere Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme. Matteo e Marco parlano semplicemente di alcuni che” tagliavano rami dagli alberi e li stendevano per terra” (Mt. 21, 8), Marco riferisce che alcuni stendevano “delle fronde, tagliate nei campi” (Mc. 11,8) mentre Luca – 19,35-36 – non fa nessun riferimento a piante, rami, fronde o palme. Solo il quarto Vangelo menziona i rami di palme: “la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui…” (Gv,12,12). Ed è grazie al Vangelo di Giovanni che è entrata, nelle nostre comunità, la tradizionale “domenica delle Palme”. A cui, inutile negarlo, siamo tutti fortemente affezionati. Forse per quel rito di benedizione del ramo d’ulivo che passa dalla chiesa alle nostre case; forse perché è parte dei ricordi della nostra infanzia; oppure perché la scena di Gesù che entra in città sul dorso di un asino ci ricorda che vince chi ama, non chi domina.

La pandemia e il divieto di assembramenti ci avevano privati di questo rito. Ma nessuno avrebbe creduto che nella Domenica delle Palme 2022 avremmo dovuto fermare la nostra attenzione sulla differenza tra la Palma, emblema di vittoria, e l’Ulivo, simbolo di pace e di non-violenza. In realtà la tragedia e l’orrore che si stanno consumando in Ucraina (e in tantissime guerre sparse nel mondo!) ci obbliga a queste riflessioni.

Nella cultura greca e dell'impero romano, il ramo di palma era segno di vittoria e di trionfo spesso riservato all’Imperatore e ai condottieri del suo esercito. Il ramoscello di Ulivo – al contrario – ci ricorda la colomba che rientra nell’Arca di Noé tenendo “nel becco una tenera foglia di ulivo” (Gen. 8,11). Ed è il “segno” dell’ulivo che prepara il linguaggio figurato dell’arcobaleno come simbolo di pace definitiva tra Dio e l’umanità (“Questo è il segno dell'alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell'alleanza tra me e la terra. - Gen. 9,12ss). D’ora in poi, dice la Parola di Dio, violenza e guerra potranno abitare la terra solo per responsabilità dell’uomo. Dio ha deposto per sempre il suo “arco” e non lo userà mai più per costruire violenza e morte contro l’uomo.

L’intenzione di Gesù con il suo disarmato ingresso in Gerusalemme è proprio questo: adoperarsi perché sulla Terra – una volta per tutte – cessino le parole del potere, del dominare, della violenza, della guerra, dell’odio e della morte. E si noti il particolare: Gesù non fa appelli, proclami o prediche. Vive in prima persona la scelta del servizio, del dono di sé e del perdono. Avanza contro il male che lo vuole uccidere sul dorso di un asino: puledro che nessun Imperatore assetato di potere e di gloria avrebbe mai cavalcato. Sceglie per sé la nonviolenza e permette alla morte di avanzare su di lui certo che il Padre Suo renderà il linguaggio della guerra parola perdente e penultima.

Sta iniziando la settimana santa. Per le nostre comunità si tratta di un tempo liturgico. Per i popoli martoriati dalla violenza e dalle guerre si tratta, però, di un tempo reale dove fame, ferite, lutti e morte attendono segni di speranza che spesso non arrivano.

Mai come quest’anno il prepararsi alla Pasqua diventa cammino perché:

  • il servizio proposto da Gesù nel Giovedì santo,
  • la nonviolenza ed il perdono praticati dal Signore nel Venerdì Santo
  • il silenzio del Sabato Santo

diventino la vera grammatica della nostra preghiera, del nostro stile di vita e della Pace che decidiamo di praticare nella quotidianità delle nostre scelte.

L’Ulivo benedetto che portiamo in casa diventi segno efficace della benedizione del Dio di Gesù che ci invita – per essere beati – a deporre ogni “arco” che innesca in noi logiche di odio, di ostilità e di rancore.

Gesù ci doni, in questa faticosa e necessaria settimana santa, di gustare la precarietà riposante che sperimenta chi cavalca l’asino e di prendere le distanze dalla drammatica tentazione del cavalcare il delirio del dominare e del comandare per essere serviti.

Buona settimana santa a tutti e auguri intensi di Pace a quanti sono segnati dalla guerra.

                                                    

 Preghiera dei piccoli                                            

               Caro Gesù,

                nella Domenica delle Palme la folla loda Dio con le stesse parole usate dagli angeli nella notte di Natale: “Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli”.

Abbiamo bisogno, Gesù, di queste parole. Nell’ultimo mese abbiamo sempre e solo parlato di guerra, di bombardamenti su case e ospedali e di donne e bambini che scappano.

Gesù fa che il dono della Tua Pace scenda dal Cielo e venga sulla nostra Terra. In modo speciale in Ucraina dove la vita sta diventando impossibile.

Che bella Gesù la tua attenzione per il puledro che fai slegare! Forse per questo san Francesco ha messo l’asinello nel presepe: per ricordare a tutti che Tu sei venuto per servire, non per vincere, comandare o dominare.

Sai cosa faccio oggi? Prendo l’asinello del presepe e me lo metto sulla scrivania con vicino il ramoscello di ulivo.

 

V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C

V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C  con preghiera dei piccoli     

 

 Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8,1-11)

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

 

Il quadro è composto da due parti. La prima riguarda scribi e farisei che conducono a Gesù una donna sorpresa in adulterio, la pongono in mezzo e gli domandano se questa donna debba essere lapidata come prescritto da Mosè. L’evangelista lo comunica al suo lettore che chi pone il quesito a Gesù voleva “metterlo alla prova per avere motivi di accusarlo”. Ma non sono necessari grandi strumenti per capire la malafede di questi accusatori. I quali prima spiano quella donna per coglierla in un “flagrante adulterio” (con un piano preparato ad arte e programmato per tendere il loro tranello) e poi portano a Gesù “solo” lei! E l’uomo? Perché lo lasciano andare? Perché non portano a Gesù anche l’uomo? Ma – ancor più in profondità – perché “usare” malamente una donna per accusare Gesù?

Per l’evangelista non ci sono dubbi: non basta parlare o ascoltare Gesù per pregare. Molte volte ci si rivolge a lui con domande precompilate e precostituite; lo si interpella perché confermi le nostre tesi; gli si chiede di adeguarsi ai nostri schemi mentali e, senza paura di abusare della Sua Parola si “usa” anche il Suo Vangelo per portare acqua al mulino del proprio modo di pensare e di agire (esattamente come ha fatto Putin per giustificare, allo stadio di Mosca, la sua aggressione dell’Ucraina).

Nella seconda parte del quadro troviamo Gesù. Il quale ascolta e impartisce subito una gran bella lezione di metodo nei confronti delle domande. Sempre, ma in modo speciale quando il quesito è posto in malafede, è saggio prendere del tempo prima di rispondere in modo frettoloso e emotivo. È inevitabile: quando si risponde “subito”, si resta sulla superficie della domanda. Il vero educatore non reagisce mai in modo impulsivo perché sa che quasi sicuramente non colpisce il bersaglio. Per guadagnare tempo e per saldare il dire all’agire, Gesù “si chinò e si mise a scrivere con il dito per terra”. La scena è solenne e sono stati usati fiumi di inchiostro per provare a interpretare questo curioso modo di fare di Gesù. Una possibile interpretazione è la seguente: Gesù comunica, con il suo gesto agli scribi e ai farisei che lo interrogano, che giudicare, calunniare e rovinare chi vive momenti di debolezza (con pratiche di spionaggio e senza farsi carico di aiutare chi sbaglia a riprendersi) è disumano. Certamente è un modo di fare facile e poco impegnativo. Proprio come scriver sulla terra. Basta un po’ di vento, due gocce di pioggia e tutto svanisce. Per chi riceve quelle calunnie – però – la scritta entra, in modo indelebile, nella sua carne. Al punto da “paralizzarlo” a terra con pochissime possibilità di rialzarsi. Per questo Gesù si china per terra: per rialzare chi, da quelle accuse, è stato schiacciato. E per ricordare che a volte le parole feriscono più delle pietre. Dopo aver spiegato tutto questo senza mai aprire bocca, Gesù invita chi è senza peccato a scagliare la prima pietra (“E chinatosi di nuovo scriveva per terra”). Messaggio ricevuto: nessuno lancia la pietra che forse si era portata da casa e “se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”. Come scriveva sant’Agostino, restano solo la misera e la misericordia. Ed è esattamente questo ciò che Gesù ci voleva comunicare: il Padre di cui Lui è il volto, è solo buono. Il Dio di Gesù frantuma i giudizi, le calunnie e/o le veloci sentenze formulate con leggerezza e con troppa facilità da chi ha imparato a giudicare gli altri senza mai guardare se stesso. Il Dio di Gesù è presenza che non condanna – mai – e che dona la forza di cambiare a chi si lascia aiutare dalla bontà del Padre Suo. Gran bella lezione di umanità. Soprattutto in un tempo in cui la tecnologia ci ha reso facile il giudizio sul mondo e sui fratelli, ma ci ha privato del coraggio di migliorare il mondo a partire da noi stessi. È vero: l’aggressione dell’Ucraina da parte di Putin è inaccettabile e indifendibile. Ma basta questo dato per autorizzare analisi facili e condanne altrettanto superficiali? Gesù chinato a scrivere con il dito sulla terra ci invita – a pochi giorni dalla Pasqua – a invocare con radicalità il dono della Pace, a praticare il silenzio perché nessuno debba cadere sotto i colpi delle nostre “parole facili” e disponibili a fare incontrare le nostre miserie con la Sua misericordia.

 

                                                                                            Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,                        

                 anche a me piace scrivere, con il dito, sulla spiaggia.

Mi immagino la scena: tutti si aspettano che Tu dica parole dure contro la donna e invece Tu, in silenzio, ti chini e scrivi per terra con la mano.

Forse volevi spiegare a chi ti interrogava che giudicare gli altri è come scrivere sulla sabbia. È facile da fare ed è persino comodo, anche perché quei segni spariscono in fretta. Tranne che per l’interessato. Per lui quelle parole sono scritte sulla pelle, sulla carne. Lo bloccano e gli impediscono di rialzarsi.

È bello sapere dal Vangelo che Tu, Gesù, non condanni mai. Nessuno. E che aiuti sempre chi ha sbagliato a rialzarsi e a ritrovare la forza di cambiare.

Grazie Gesù perché Tu non sei mai “contro di noi” ma sempre “con noi” (e “con me”).

Gesù abbiamo bisogno di Pasqua e di Pace.

 

 

IV DOMENICA DI QUARESIMA

IV DOMENICA DI QUARESIMA   con preghiera dei piccoli

Luca 15, 1-3. 11-32

 

«1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola: Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. 25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

 

La parabola del Padre misericordioso (conosciuta ieri come la vicenda del Figliol prodigo) è di inesauribile ricchezza. A partire dal fatto che Gesù parla, nel suo insegnamento, di due figli. I quali, lo sappiamo, sono molto diversi tra loro e con modalità opposte di intendere la vita. Entrambi, però, sono soli e alle prese con quella tristezza che inevitabilmente connota chi non sa aprirsi all’altro: al dono della fraternità.

È un testo di straordinaria bellezza costruito ad arte dall’evangelista per permettere, ad ogni generazione, di confrontarsi con la freschezza e con la saggezza dell’insegnamento di Gesù. Fermiamoci su questi due fratelli. Il più giovane si pensa non solo figlio unico, ma anche orfano. Ed è per questo che considera il padre già morto e gli chiede “la parte di patrimonio che mi spetta”. Con i “suoi” soldi, però, annega molto presto nella sua infantile concezione del divertimento inteso quest’ultimo come feste infinite, lusso, uso smodato di cibo, bevande, denaro e sessualità fino ad entrare nella patologia del vizio. Non ci impiega molto a capire che il divertimento fine a se stesso non immerge nella gioia. Molto presto (sperperato tutto il denaro) si ritrova solo, scaricato da tutti e costretto a fare i conti con un modo fallimentare di impostare la vita. Intuisce che la sua sola via di uscita è il tornare dal padre. Non pensa a suo fratello nel progettare un ritorno a casa. Così come non è interessato al dolore del padre per la sua partenza. La sola cosa che gli interessa è quella di sopravvivere senza dover lavorare come servo. E per questo obiettivo è anche intenzionato a fingere un pentimento pur di sedersi nuovamente ad una tavola imbandita da altri.

Anche il primogenito, però, si considera figlio unico. Sembra che non si sia mai accorto che nella sua casa sia entrato un fratello. Lui vive per se stesso, per gratificare il nome del casato, per lavorare. Molto presto anche lui deve però confrontarsi con il fatto che campi e denaro non sono in grado di dare all’esistenza l’ossigeno della gioia. Figli su postazioni opposte. Diversi nel mondo di pensare, di essere, di fare e di vivere. Uguali – però – nel chiudersi su se stessi e nel negare contro ogni evidenza il dono della fraternità.

Domanda: ma non è una perfetta fotografia della nostra società alle prese con l’opulenza? Chi se lo può permettere vive feste, festini e sprechi di ogni tipo ignorando quanti sono alle prese con restrizioni, povertà, miserie e palesi forme di ingiustizie. Vivono pensando solo a divertirsi, ma sono perennemente scontenti e senza gioia.

Altri sono più “barricati” sul lavoro, in casa, incollati a televisori con schermi sempre più grandi e tecnologicamente evoluti, ma anche questi – però – si confrontano con una vita stracarica di impegni lavorativi, ma avara nel distribuire la gioia.

Gesù non ha dubbi: la sola fonte della gioia è la fraternità vissuta con profonda riconoscenza verso il Padre buono di Gesù che ha allontanato da noi la fatica della solitudine. Non può essere contento chi uccide il padre sperando di poter usare l’eredità per divertirsi (e anche in queste settimane la cronaca ci conferma che questa follia esiste e dilata quote di morte per tutti). Ma non gioisce nemmeno chi si difende dagli altri e non sa riconoscere chi gli è accanto come “suo” fratello.

Il primogenito della parabola rimprovera il padre di accogliere il figlio sprecone chiamandolo “questo tuo figlio”. Con bontà e pazienza il Padre gli ricorda che tutti e due sono e saranno sempre figli, ma che l’altro che lui sente come estraneo, come un rivale e come un nemico, è “tuo fratello” (“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”). Come a dire: non basta sentire e sapere di essere figli di Dio per essere felici. La gioia abita nella coscienza, nella consapevolezza e nella pratica della fraternità. Un bellissimo programma per queste ultime settimane di quaresima.

                                                                                 Preghiera dei piccoli

 Caro Gesù,

                  secondo me il figlio più giovane ha deciso di andarsene da casa perché non sopportava più il fratello perfettino e sempre “primo” in tutto.

Era invidioso della sua bravura.

Non appena torna a casa pentito, però, scopre che anche suo fratello è invidioso di lui.

Non si parlano, ma passano il loro tempo a invidiarsi di nascosto! E quando uno è in casa l’altro è “fuori”.

Succede anche a me di invidiare mio fratello. Anche se lui dice sempre alla mamma che io sono il suo figlio preferito.

Anziché aiutarci a vicenda e a fare festa insieme, perdiamo molto del nostro tempo a spiarci e a invidiarci.

Ti prego Gesù: aiutaci ad uscire dall’invidia e a riscoprire la bellezza dell’essere fratelli senza fare confronti e senza gelosie.

Oggi voglio dire il “Padre nostro” in modo diverso.

 

P.S. Gesù aiuta i governanti dei Paesi in guerra a scegliere la Pace.

III DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C

III DOMENICA DI QUARESIMA  ANNO C  con preghiera dei piccoli

Lc 13, 1-9

 

«1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». 6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

 

I fatti sono i seguenti: Pilato, impaurito dalla presenza di Galilei in Gerusalemme (conosciuti come rivoltosi e ribelli nei confronti del potere romano), ordina ai suoi soldati di ucciderli anche se questi si trovano nel luogo più santo della città: nel Tempio. Impossibile non parlare di questo evento che sottolinea l’arroganza violenta del potere romano e evidenzia la dura legge dell’occupazione. Ma oggi la situazione non è molto diversa. Impossibile non confrontarsi con la dolorosa e violenta aggressione dell’Ucraina da parte della Russia militare comandata da Putin. E anche oggi sono tanti (a volte si ha l’impressione che siano persino troppi) coloro che spiegano, che interpretano, che discutono, che profetizzano, che giudicano, che condannano o che salvano l’uno o l’altro.

Il dramma della violenza – però – è proprio questo: ampliare, da una parte le parole inutili e, dall’altra parte, disorientare chi si vede costretto a fare lo spettatore della morte inflitta in modo ingiustificato e indifendibile. Non sempre si è in grado di valutare da soli quanto accade. Ed è per questo che “alcuni si presentarono a riferirgli il fatto di quei Galilei il cui sangue Pilato ha fatto scorrere”: per capire di più, meglio e in profondità.

Gesù non si sottrae al confronto. Ascolta la domanda, accoglie la fatica di chi gli pone il quesito, ma prende le distanze tanto da una risposta carica di emotività quanto dalla tentazione della logica vendicativa di chi vorrebbe lavare quel sangue con altro sangue. Una gran bella lezione di metodo. Per non “piegare” mai la cronaca alla propria campagna elettorale, alla ricerca di consenso o – peggio ancora – per non “usare” mai morte, violenze e guerre per imporre le proprie piccole (provinciali e sbagliate) visioni del mondo.

Gesù non cambia il nome alle cose. Il male resta male. Morte e violenza restano realtà inaccettabili e da condannare. Gesù non lancia crociate contro Pilato. Non invita alla vendetta. Entra in profondità e invita chi lo ascolta a “convertirsi” inteso come il difficile ma liberante servizio finalizzato a svuotare il proprio cuore da quelle quote di odio, di astio, di pregiudizi, di voglia di vendetta e di potere che preparano le guerre e che inevitabilmente generano morte. Troppo facile condannare gli errori degli altri (che restano tali e che non possono diventare azioni giuste in virtù dell’autorevolezza del relatore).

Gesù va oltre la facile condanna di chi sbaglia e invita chi lo ascolta a rileggere “i fatti” intrisi di violenza e di morte per prendere “personalmente” le distanze dal male e di decidere di restare fuori dai circuiti della violenza che tentano non solo chi la attua, ma anche chi la subisce. Quel forte “convertitevi” che Gesù consegna per due volte ai suoi interlocutori (e a tutti noi) è la buona notizia di questa domanda: scegliere, nel nostro cuore, di non fare il male, di sgretolare qualsiasi tentazione di vendetta, di vivere per gli altri e di imparare la faticosa bellezza del perdono per sciogliere quelle quote di odio e di astio presenti anche nei nostri cuori, vuole dire vivere e vincere le logiche di morte. Semi di male sono presenti anche in noi, ci ricorda Gesù. La quaresima è il tempo in più che ci viene dato perché ognuno di noi si alleni a pregare di più per allineare il suo cuore alla sola Parola che ci libera, che ci cura e che ci consegna la vera Pace. L’albero di fichi con cui Gesù conclude il suo magistrale insegnamento non è del tutto cattivo, non è “perso” e non è ancora da “tagliare”. È un albero “malato”, ma se viene curato, riprende a fare frutti. Quel tempo in più che il vignaiolo chiede al proprietario del terreno per permettere all’albero di “guarire” è la descrizione perfetta del Gesù che vuole donarci questa quaresima perché ognuno di noi “ritorni” a portare quei frutti di bontà, di perdono, di apertura all’altro e di giustizia che rendono migliore il mondo. Senza mai stancarsi di pregare per la Pace e di domandare – ciascuno al suo cuore – che cosa posso fare io per cambiare questa povera, drammatica, ma affascinante Terra. Ancora auguri a chi si chiama Giuseppe e a tutti i papà.

 

                                                                              Caro Gesù,

                mio nonno non vuole mai che, nell’orto, io usi la scure. “Se vuoi aiutarmi – dice sempre – prendi la zappa e pulisci i sentieri dell’orto. Con questa non puoi farti male”.

Non lo sapevo che anche Tu preferisci la zappa alla scure.

Ma la cosa bella di questo tuo insegnamento è che Tu non parli solo della zappa che aiuta le piante a crescere.

Con l’immagine del vignaiolo che vuole, ad ogni costo, salvare la pianta dall’essere sradicata, Tu parli anche di noi.

Sei Tu, Gesù, il vignaiolo che si prende cura di noi e che, con pazienza, ci liberi dalla nostra pigrizia e dall’egoismo che non ci fa andare verso gli altri.

Grazie Gesù. Non vedo l’ora di tornare nell’orto e di riprendere la zappa in mano.

Sarà un modo per stare con Te.

 

P.S. Gesù, aiuta i grandi a fermare la guerra in Ucraina.