Preghiere poesie

Preghiera dei figli di Abramo

Preghiera dei figli di Abramo   (7 Marzo 2021 )

Durante il viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq, al termine dell’incontro interreligioso svoltosi nella Piana di Ur – il luogo dove visse Abramo, patriarca comune a ebrei, cristiani e musulmani – è stata pronunciata in arabo la Preghiera dei figli di Abramo. Eccola:

 

Dio Onnipotente, Creatore nostro che ami la famiglia umana e tutto ciò che le tue mani hanno compiuto, noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, insieme agli altri credenti e a tutte le persone di buona volontà, ti ringraziamo per averci donato come padre comune nella fede Abramo, figlio insigne di questa nobile e cara terra.

Ti ringraziamo per il suo esempio di uomo di fede che ti ha obbedito fino in fondo, lasciando la sua famiglia, la sua tribù e la sua patria per andare verso una terra che non conosceva.

Ti ringraziamo anche per l’esempio di coraggio, di resilienza e di forza d’animo, di generosità e di ospitalità che il nostro comune padre nella fede ci ha donato.

Ti ringraziamo, in particolare, per la sua fede eroica, dimostrata dalla disponibilità a sacrificare suo figlio per obbedire al tuo comando. Sappiamo che era una prova difficilissima, dalla quale tuttavia è uscito vincitore, perché senza riserve si è fidato di Te, che sei misericordioso e apri sempre possibilità nuove per ricominciare.

Ti ringraziamo perché, benedicendo il nostro padre Abramo, hai fatto di lui una benedizione per tutti i popoli.

Ti chiediamo, Dio del nostro padre Abramo e Dio nostro, di concederci una fede forte, operosa nel bene, una fede che apra i nostri cuori a Te e a tutti i nostri fratelli e sorelle; e una speranza insopprimibile, capace di scorgere ovunque la fedeltà delle tue promesse.

Fai di ognuno di noi un testimone della tua cura amorevole per tutti, in particolare per i rifugiati e gli sfollati, le vedove e gli orfani, i poveri e gli ammalati.

Apri i nostri cuori al perdono reciproco e rendici strumenti di riconciliazione, costruttori di una società più giusta e fraterna.

Accogli nella tua dimora di pace e di luce tutti i defunti, in particolare le vittime della violenza e delle guerre.

Assisti le autorità civili nel cercare e trovare le persone rapite, e nel proteggere in modo speciale le donne e i bambini.

Aiutaci ad avere cura del pianeta, casa comune che, nella tua bontà e generosità, hai dato a tutti noi.

Sostieni le nostre mani nella ricostruzione di questo Paese, e dacci la forza necessaria per aiutare quanti hanno dovuto lasciare le loro case e loro terre a rientrare in sicurezza e con dignità, e a iniziare una vita nuova, serena e prospera. Amen.

 

III DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

Dal Vangelo secondo Giovanni 2, 13-25

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cor- dicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordaro- no che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.

Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tut- ti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo.

 

Propongo, all’inizio di questa riflessione un breve stralcio della Lettera che il patriar- ca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, inviò, all’inizio della Quaresima 2001, ai cattoli - ci della Sua Diocesi e agli israeliani coinvolti in continui e incessanti bombardamenti:

Ho visitato in questi giorni alcune parrocchie in Palestina ed ho ascoltato i fedeli, ho ascoltato anche le autorità civili: il loro linguaggio è quello di tutte le parrocchie e le loro preoccupazioni sono le preoccupazioni di tutti noi. La prima preoccupazione, che comprende tutto il resto, concerne la situazione politica difficile in questi giorni: le strade bloccate, l'assedio imposto alle città ed ai villaggi, la mancanza di lavoro, il bombarda- mento israeliano continuo, la distruzione delle case e in più le difficoltà all'interno della società palestinese e infine l'idea dell'emigrazione (questo concerne i cristiani della Pale- stina). Per ciò che riguarda le case che non cessano di subire i bombardamenti israeliani, noi diciamo agli israeliani: “Distruggete le nostre chiese, ma risparmiate le case dei no- stri fedeli”. Se avete bisogno ad ogni costo di una punizione collettiva e se vi serve un ri - scatto per dare tranquillità ai nostri figli innocenti ed alle nostre famiglie noi vi offriamo le nostre chiese: distruggetele. Troveremo altri luoghi per pregare e continueremo a pre- gare per noi e per voi. …. Noi consentiamo ad offrire le nostre chiese come riscatto per ogni casa che volete demolire ma non possiamo consentire al fatto che delle case di perso- ne innocenti siano demolite e che siano obbligati ad emigrare dalla loro terra.

 

Non c’è commento migliore a questa pagina di Vangelo. Anche perché ha ragione l’evangelista: non c’è bisogno del Tempio in muratura per incontrare il Dio di Gesù e so- prattutto non ha senso portare in quel Tempio la logica del mercato dove può ottenere l’amore di Dio solo chi ha il denaro sufficiente per acquistarlo. Per questo Gesù usa la frusta e caccia “tutti fuori dal Tempio”: per “portare fuori” l’intera umanità (noi compresi) dalla lo- gica sbagliata del voler costruire una casa a Dio (dimenticandoci di dare una casa a chi è al freddo, senza dimora, senza patria e senza speranza!) e dalla tentazione di fare un Tempio retto dalle logiche del Mercato: dove può incontrare Dio solo chi ha i meriti e i soldi per ac- quistare il Suo amore. L’amore di Dio -vuole spiegarci san Giovanni – non è in vendita per la semplice che il Dio di Gesù si dona a tutti gratuitamente. Il denaro è uno strumento che

 

aiuta a vivere bene insieme. Quando però il denaro si piazza nel nostro cuore e diventa un idolo e un assoluto, rovina la vita tanto dei ricchi (che passano l’esistenza ad accumulare una ricchezza che non genera gioia) quanto quella dei poveri perché invidiano e sognano di diventare anch’essi tristi come i ricchi.

Si noti la finezza: come il Dio di Mosè ha liberato il popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto, così Gesù ci “conduce fuori” dalle catene che ci mangiano l’anima e ci rendono schiavi. E dopo aver donato l’acqua trasformata in vino (simbolo di gioia di festa che non fi- nisce – Gv. 2,1-12), ora Gesù ci chiede di incontrare Dio grazie al suo Suo corpo dato per noi che ci sfama e che ci nutre per aiutarci a reggere il cammino della libertà (Gv. 2,13-25). Con Gesù – ci dice san Giovanni – non c’è più Tempio, sacrifici da compiere o offerte da versare per poter stare vicino a Dio. Gesù si consegna a noi come il solo Pane in grado di sfamarci e di incamminarci sui sentieri della libertà. Per questo i primi animali che Gesù spinge fuori dal Tempio sono le pecore (“scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi”): perché Gesù è il Buon Pastore che ci “conduce fuori” dall’idolatria del denaro e dal deserto dell’avarizia e dell’egoismo.

A volte anche noi siamo tentati di pensare che Dio abita nelle nostre chiese. Non pos- siamo dimenticare – però – che le nostre belle e care chiese, sono luoghi dedicati al culto e al servizio della preghiera comunitaria (e per questo sono importanti). Ma non sono la “casa di Dio”. Il Padre di Gesù abita nel tempio sacro del nostro cuore, Dio abita dove si prega in- sieme e dove si ama; Dio è nelle baracche di chi è senza cibo, senza cure e senza speranza. L’uomo calpestato e offeso dalle ingiustizie è il vero Tempio di Dio. E tutto questo per ricor - darci – sempre – che Dio “abita” nelle case dove si sorride, dove ci si perdona e dove si pas- sa del tempo per servire chi ha meno.

Buona Quaresima di liberazione.

 

Preghiera dei “piccoli”

 

Caro Gesù,

aiutami a capire: a me il mercato piace. C’è chi

grida, chi chiacchiera, chi compra, chi guarda, … insomma: è un posto bello e pieno di vita.

Secondo me anche a Te piace il mercato. E chissà quante volte ci sei andato anche Tu al mercato in riva al mare.

Perciò se hai preso la frusta e cacciato tutti i mercanti dal Tempio, non è perché hanno fatto il mercato nel Tempio, ma perché volevano “vendere” l’amore di Tuo Padre a tutti, an- che ai poveri.

Per questo Ti sei arrabbiato: perché Tu hai dato la Tua vita per spiegarci che Dio ci ama sempre, gratuitamente e che il Tuo amore è solo donato. Mai venduto.

Al mercato chi non ha i soldi non può comperare nulla.

Grazie a Te, Gesù, chi non ha nulla è accolto, amato e servito da Dio prima degli altri.

Sei forte Gesù.

I DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

 Vangelo  secondo Marco 1,12 -15

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

 

Inutile girarci attorno: per riuscire a reggere e a sopravvivere in tempi così duri e difficili, serve un “tempo forte”. E la Quaresima è proprio questo: un tempo forte (e speciale) che ci permette di ritrovare speranza nonostante l’ambiente esterno ci ricordi che la pandemia non è ancora debellata.

E vediamo come il Vangelo di questa domenica ci aiuta ad entrare in questo “tempo forte”. Con una annotazione tanto intensa quanto dirompente. Prima di intraprendere la “Sua” vita pubblica, Gesù viene spinto dallo Spirito Santo nel deserto. Non è una annotazione periferica. Lo Spirito Santo prepara Gesù al dono di tutto sé stesso proponendogli una robusta “sosta” nel deserto. Non si tratta, di conseguenza, di un ambiente “negativo”. Lo Spirito Santo “sospinge” e conduce Gesù là dove la formazione diventa concreta, vera, solida e completa. Nel paradiso terrestre Adamo ed Eva non hanno vinto la sfida. Egoismo, delirio di onnipotenza, ambizione e divisioni, hanno prevaricato sulla loro vita e si sono ritrovati “nudi” (il segno per eccellenza della loro povertà, lontani tra loro, da Dio a anche da sé stessi). Lo Spirito “sospinge” Gesù nel deserto perché vuole comunicare a tutta l’umanità che con Gesù inizia l’uomo nuovo. Grazie a questa straordinaria scuola dello Spirito (che usa il deserto come cattedra e come palestra), Gesù è pronto per andare dalla parte giusta: in direzione della solidarietà, della tenerezza, della complicità con chi sta male e dell’umiltà. Nel deserto, Gesù-nuovo Adamo non ritrova solo sé stesso, ma scopre anche la bellezza della fraternità e la gioiosa armonia con il Dio della vita.

Ecco perché si chiama “tempo forte”: perché lo Spirito Santo ci conduce dalla parte opposta a quella a cui solitamente vorremmo andare. Senza la guida dello Spirito Santo, ognuno di noi è tentato di andare nei ritrovi soliti: dove si pensa solo a sé stessi, dove non si vedono le miserie altrui, dove non ci si deve commuovere per gli altri, pagare di persona, mettersi al servizio di chi ha bisogno o denunciare le ingiustizie subite da terzi. Senza la guida dello Spirito Santo, ognuno di noi si reca là dove il suo rancore può crescere, dove ci dà a ragione a vicenda e dove si può alimentare l’odio per un nemico da abbattere e mai da perdonare. E per aiutarci ad entrare nei territori della bontà, della generosità, della solidarietà e del perdono, ci vuole forza e – senza tanti giri di parole – una piccola grande spinta data dall’amore di Dio che si chiama Spirito Santo.

Ma quali sono le tentazioni di satana di cui parla san Marco? Il secondo evangelista non entra (come san Matteo) nel dettaglio. A lui basta annotare che nel deserto Gesù era “tentato da Satana”. Ma le spinte di Satana che Gesù vince le conosciamo: la prima riguarda il vivere pe se stessi e l’anteporre il mio bisogno a quello degli altri (che in italiano si chiama egoismo); la seconda è data dal credere a Dio solo “dopo” che Lui mi ha fatto la grazia o il miracolo che gli ho chiesto (della serie fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio!); la terza, infine, è definita dalla logica del potere ed è rappresentata dalla voglia di vivere per avere fama, per contare, per conquistare prestigio e essere servito anziché servire. Ed è esattamente questa la buona notizia che l’evangelista ci consegna con pochissime parole: Gesù non si lascia vincere dalle “belve selvatiche” che di solito distruggono la vita di tutti. Queste “bestie selvatiche” si sottomettono a Gesù perché è Lui è più forte del male. Ma con altre quattro parole, san Marco ci informa che Gesù non è, nel deserto, da solo: con Lui ci sono “gli angeli” che lo servivano. L’espressione è molto bella perché ci segnala non solo che con Gesù il servizio vince sulle disumane logiche del potere, ma ci dice anche che chi segue Gesù in questa scomoda ma liberante scuola, diventa anche lui capace di servire e dunque di stare bene.

Dall’inferno della cattiveria, dell’avarizia, della solitudine e di tutto ciò che nega l’amore – ci comunica questo “tempo forte” – si può uscire.

Il Regno di Dio è vicino, ci comunica Gesù. E “vicino” vuole dire “accanto”, “alla nostra portata”, “in mezzo a noi”, “prossimo”. La bontà di Dio bussa alle nostre porte. E lo Spirito ci “sospinge” dove ognuno di noi può trovare la libertà data dal servire, dal perdonare e dal donarsi agli altri. Questo vuole dire “convertirsi”: lasciarsi accompagnare dalla parte opposta a quella in cui vorremmo andare quando siamo arrabbiati, pigri o delusi.

E questo significa “vivere la Quaresima”: prendere coscienza che questo “tempo forte” può passarci addosso senza che nessuno se ne accorga. Il vecchio e sempre attuale “ritiro” di cui una volta si parlava, è esattamente questo: un aiuto per stare con la sola Parola che ci salva; per fare del “pregare” un’azione vera e non soltanto un’intenzione; per dare all’amore un po’ di concretezza (e chi sta male ha bisogno di aiuti tangibili, non tanto di buone preghiere), per imparare a perdere, a perdonare e a dimenticare i torti subiti. Per diventare beati. Un gran bel programma. Buona Quaresima.

 

Preghiera dei piccoli

 

 Caro Gesù,

          non mi ero mai accorto di questo particolare, ma chi Ti ha “spinto” ad entrare nel deserto è lo Spirito.

Io pensavo che il deserto fosse un posto brutto dove si vive male e dove ci viene proposto di fare il male.

Se è lo Spirito che Ti ha aiutato ad entrare in quel luogo, vuole dire che il deserto è un posto bello.

Come una palestra: in cui ti alleni per diventare più forte.

Gesù quest’anno anch’io vado in palestra. Dove va mia mamma.

Ti prego Gesù: chiedi al Tuo Spirito di spingere anche me nel “deserto”: dove ci si allena per diventare buoni, forti e dove si impara a vivere per gli altri e non per se stessi.

Gesù grazie per questo tempo di Quaresima.

Fino a Pasqua voglio allenarmi, ogni domenica, con l’aiuto del Tuo Vangelo.

Ciao Gesù, sei Tu il mio Mister.

II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

  Vangelo secondo  Mc. 9, 2-10

«Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!”. 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. 9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti».

 

All’inizio del suo Vangelo, san Marco ci presenta Gesù che lascia la “Sua” Galilea per “scendere” verso la valle del fiume Giordano e ricevere il battesimo: “Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.” – Mc. 1,9). Gesù, come Abramo, “lascia” la sua casa, i suoi famigliari e la sua terra per raggiungere il posto, geograficamente parlando, più basso della terra (il fiume Giordano sfocia nel mar Morto a 397 sotto il livello del mare). Ma perché Gesù sceglie un posto collocato sotto il livello del mare? Per ricordarci che la vita umana è piena, completa e liberata solo se si decide di guardare verso chi sta peggio di noi e di “scendere” verso loro per contrastare – con amore, perdono, servizio e impegno – le ingiustizie subite.

Bello da dirsi e forse anche romantico da scrivere. Più in profondità – però – la logica di Gesù va in direzione opposta del nostro cosiddetto “buon senso”. Per noi e per i nostri figli cerchiamo – quasi istintivamente – la “vetta” per arrivare, il più spediti possibili, al successo, all’apice di una carriera prestigiosa e remunerativa, alla “riuscita” della vita intesa come essere famosi, importanti, ai posti di comando, etc. Il nostro “buon senso” ci spinge ad impegnarsi per “salire”, sempre e comunque, per vincere, dominare, comandare, etc.

Le logiche di Gesù sembrano quanto di più distante possa esistere rispetto ai nostri schemi mentali. E sia chiaro: vale per tutti. Quante volte Papa Francesco ha chiesto anche a Cardinali, Vescovi, Monsignori e preti (non solo a loro, ma a tutti, nessuno escluso) di stare lontano dalle logiche mondane del potere e del voler essere, a tutti i costi, i primi!

Ma torniamo al Vangelo di Marco (dal quale è sempre bene non allontanarsi troppo). Con questo passo siamo al capitolo 9. A metà dell’opera perciò. E l’evangelista vuole fare capire al suo lettore che le lezioni impartite da Gesù non sono (ancora) riuscite a “bucare” le dure pareti mentali del “buon senso”. Il Maestro parla di amore per tutti, di dare la vita, di perderla e di servire. Ma loro – come accade anche a noi – non riescono proprio ad entrare in quella mentalità. Non la capiscono perché è distante anni luce dal loro modo di vivere.

Gesù Maestro non si scoraggia. Sa molto bene che se i suoi alunni non capiscono la sua lezione, non basta sgridare o insultare chi non riesce ad entrare nell’insegnamento impartito: è necessario cambiare il modo di fare la lezione. Per questo li prende con sé e li porta su un monte, in alto e in disparte: per dimostrare loro – oltre la sole parole – che il Suo scendere inaugurato nel momento del battesimo (capitolo 1), non è movimento fine a sé stesso, ma la vera grande premessa per incontrare la libertà, la giustizia e per essere beati.

Il senso della Trasfigurazione di Gesù sul monte, con Pietro, Giacomo e Giovanni, è proprio questo: una specie di doposcuola (un momento di rinforzo scolastico) consegnato da un Maestro speciale a chi ha ascoltato i “suoi” insegnamenti, ma non le ha ancora interiorizzate. “Rabbì, è bello per noi essere qui” dice Pietro. Non ha ancora capito che quella bellezza, quella leggerezza e quella libertà che sperimenta chi si lascia portare da Gesù “in alto”, è il frutto e la conseguenza dello “scendere” verso i sentieri dell’amore, del servizio e del contrasto all’ingiustizia. Pietro non ha ancora capito che il fiume Giordano (sotto il livello del mare) e il monte Tabor sono le due facce della stessa medaglia, come il venerdì santo svela il mattino di Pasqua (e viceversa).  Ma non ha importanza: alla scuola di Gesù Maestro e camminando al Suo seguito, lo capiranno.

Resta una domanda: come possiamo salire anche noi su quel monte con Gesù come hanno fatto Pietro, Giacomo e Giovanni? La risposta ci proviene dalla voce che avvolse la nube: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo”. Seguire Gesù, ascoltare la Sua Parola, nutrirsi, leggere e meditare il Vangelo, restare insieme e nella comunità: è questo ciò che ci aiuta a capire che con il nostro “buon senso” e con la nostra voglia di “salire” verso il potere e il successo non arriviamo lontano mentre – con la proposta di Gesù – imbocchiamo la Strada della beatitudine.  Buona domenica.                                                                                  

 

                                                                               Preghiera dei “piccoli”

                  Caro Gesù,

             il don ci ha detto che hai portato Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte perché volevi fare – con loro – un po’ di doposcuola.

Visto che non capivano il Tuo insegnamento, te li sei portati “in disparte” e hai spiegato loro, con calma, che Tu non vuoi vincere contro tutti ed essere il Messia solo di pochi. Tu vuoi donare la Tua vita per tutti, nessuno escluso.

Gesù, adesso tocca a me ricevere un po’ di ripetizioni. Mamma mi ha iscritto, dopo la pagella, al doposcuola sotto casa.

Adesso capisco perché tutti ti chiamano Maestro: perché prima dai l’esempio e insegni. Poi, se vedi che qualcuno non capisce (o non vuole capire!), Tu non ti arrendi. Attivi il Tuo doposcuola e spieghi di nuovo. Finché chi Ti segue è in grado di aprire il suo cuore alle Tue Parole. 

Gesù “prendi” anche me, per il tuo doposcuola.

IL CIELO È DI TUTTI

IL CIELO È DI TUTTI

Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi
di ogni occhio è il cielo intero.

È mio, quando lo guardo.
È del vecchio, del bambino,
del re, dell'ortolano,
del poeta, dello spazzino.

Non c'è povero tanto povero
che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito
ne ha quanto il leone.

Il cielo è di tutti gli occhi,
ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera,
le stelle comete, il sole.

Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.

Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.     (Gianni Rodari)                                                                                                            

 

 

"Clandestine sono.
Vengono dall'Africa
senza bagaglio
e senza permesso.
Se la ridono
di confini e divieti.
Clandestine sono.
E libere.
Le rondini".              ( Vittorio Merlini )

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B 14 febbraio 2021

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  B  14 febbraio 2021

«Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”. 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: “Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”. 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte».  (Mc 1, 40-45)

   

Il primo elemento di questo Vangelo che aiuta la nostra preghiera è il movimento del lebbroso verso Gesù. Molte volte è Gesù che prende l’iniziativa. In questo racconto, ci dice san Marco, è il lebbroso che si muove per primo. “Venne da Gesù un lebbroso”: è il malato che decide di partire e di cercare il rabbì di Nazaret di cui ha sentito parlare. E una volta trovato non sta in disparte per osservarlo in attesa che qualcuno glielo presenti. L’evangelista scrive che “lo supplicava in ginocchio”: nella classica postura di chi si sente disperato, con nulla da perdere e – proprio per questo – estremamente libero nell’implorare aiuto, purificazione e guarigione. Non sono particolari periferici. Con pochissime parole san Marco ci dice che prendere coscienza del proprio stare male, muoversi e cercare aiuto è – per certi aspetti – l’inizio della cura. La vera tragedia si consuma in chi non è disposto a riconoscere che da anni convive con l’inquietudine e con la mancanza di gioia interiore (sempre così di corsa e talmente ovattati nel proprio “grigiore” da non essere capaci di chiedere aiuto e sempre con addosso la maschera della finzione).

Profondo conoscitore del cuore umano, san Marco ci dice che contro la libertà del singolo nemmeno Gesù può intervenire. Ma l’evangelista ci dice anche che la vera proverà in cui siamo immersi è quella del non riuscire a verbalizzare il nostro malessere. Rassegnati e sfiduciati, siamo – quasi sempre – convinti che ormai i giochi sono fatti; che la vita, ormai, è andata così e che nulla può cambiare (ci sentiamo, insomma, come quel lebbroso per il quale nulla si poteva più fare!). Se questo stato d’animo ci assale interiormente, si resta passivi. Rigidi e incapaci di inginocchiarci per cercare l’aiuto che smuove, che cambia e che libera la nostra esistenza. Forse è anche questo il compito delle nostre comunità cristiane: diventare il luogo che ci facilita il prendere coscienza del “chi siamo” e che ci offre la possibilità di inginocchiarci per supplicare Gesù – presente nei fratelli e nel Vangelo – perché  liberi e guarisca il nostro cuore.

E quale è la reazione di Gesù? “Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio sii purificato!». Quattro verbi uno più bello dell’altro. “Ne ebbe compassione”: Gesù non giudica e non condanna. Non è distratto e non si gira dall’altra parte. Si coinvolge. Si “muove” dentro per andare verso chi sta male (“com-muove”). “Tese la mano”: è la mano di Dio offerta a chi è in difficoltà per portarlo fuori dalle acque del male. “Lo toccò”: su questo verbo dobbiamo fermarci un istante. Dal punto di vista della morale del tempo “toccare un lebbroso” è gesto proibito, vietato e “folle”. Il rischio per chi “tocca” un lebbroso è di ritrovarsi malato come lui e la certezza è quella di entrare in quella impurità che esclude chi ha commesso il gesto proibito da qualsiasi vita sociale. Sul fatto che Gesù poteva guarire quel disgraziato anche senza “toccarlo”, non ci sono dubbi (anche perché subito dopo il lettore scopre che è la Sua Parola che cura, che guarisce e che toglie ogni forma di impurità!). Domanda: perché allora san Marco sente il bisogno di annotare che Gesù “lo toccò”? Per darci l’esempio. Per ricordarci che se il fratello che ci vive accanto sta male, non basta parlare, discutere, dissertare o pregare per lui. Dobbiamo anche coinvolgerci per “toccare” la sua carne e aiutarlo a stare meglio. Gesù tocca quel lebbroso per dimostraci che Dio non ha paura della nostra carne malata e ferita e che come Lui anche noi dobbiamo diventare capaci di portarci verso l’umanità che soffre: senza paura di sporcarci le mani nei confronti di chi è ai margini della nostra società.

Non si tratta di una istigazione alla disobbedienza civile in un’epoca di doverosi distanziamenti sociali imposti dalla pandemia. Il “toccare” trasgressivo del rabbì di Nazaret è la vera buona notizia che cerchiamo perché ci ricorda che Gesù non è un’idea che prova a convincerci e non è nemmeno un’opinione o un concetto prezioso e valido. Gesù è la carne” di Dio che guarisce le nostre ferite e ci rende liberi di coinvolgerci verso l’umanità ferita di chi – vicino a noi – è piegato dalla miseria. Gesù è buona notizia anche perché ci ricorda che fasciare le ferite dei poveri (insieme e come comunità, mai da soli!) è la sola strada che ci porta alla giustizia. E chi calpesta questo sentiero, in un attimo si ritrova capace di amare e così libero da lasciarsi amare.

Prima di concludere un veloce, ma cordiale e intenso augurio a chi si sente coinvolto dalla festa degli innamorati. E dunque a tutti noi se partiamo dal fatto che il Dio di Gesù è innamorato della nostra condizione e fa di tutto per coinvolgersi per noi e per consegnarci quella Parola capace di parlare al nostro cuore e di metterlo in pace.

Buona domenica e buona festa a tutti.

 

 

Preghiera dei piccoli                 

                       Caro Gesù,

           l’anno scorso, con mio papà, ho visto un film che parlava dei lebbrosi. Erano vestiti di stracci, con il campanellino appeso al collo e obbligati a gridare – se incontravano qualcuno – “Impuro, impuro” per fare sentire che stavano arrivando.

Tu non stai lontano dal lebbroso che Ti cerca. Ti lasci avvicinare da lui. Ti commuovi; gli tendi la mano, lo tocchi (ben sapendo che era contagioso e che era proibito toccarlo) e gli parli.

Gesù, secondo me Tu potevi guarirlo anche senza “toccarlo”. Se lo hai fatto è perché volevi darci l’esempio e ricordarci che per aiutare i poveri non basta parlare di loro: dobbiamo muoverci verso di loro e non aver paura di “toccarli” e di stare con loro.

Gesù visto che a Torino i vigili urbani hanno gettato nell’immondizia le coperte dei poveri, con mia mamma ne abbiamo portata una delle nostre alla Caritas.

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  B  - 7 gennaio 2021

 Dal Vangelo di Marco  1, 29 -39

 Bello constatare che Gesù non va in casa di Simone e Andrea perché c’è una persona ammalata, ma l’esatto contrario: dopo essere entrato in quella abitazione gli “parlano” della suocera di Simone ammalata e Lui decide di avvicinarsi a lei, di prenderla per mano e di guarirla. Pochissimi versetti di densità inesauribile tanto dal punto d vista teologico quanto per le nostre relazioni domestiche e persino per il nostro essere chiesa. Partiamo da questo ultimo aspetto. Gesù non dispone di cattedrali, di basiliche o di chiese parrocchiali per stare con i “suoi”. I suoi incontri Gesù li consuma quasi sempre in strada, in riva al lago, su un prato o seduto su una barca. Il particolare di oggi, però, è molto bello. I professionisti ricevono nello studio i loro clienti/pazienti. Gesù non è un professionista che riceve su prenotazione. Lui cerca ciascuno di noi e non ha nessuna paura ad entrare nelle case di chi insegue per fare di ogni abitazione un autentico contesto di comunione, di pace e di concordia. Significa che solo Gesù rende “case”, cariche di comunione, le nostre abitazioni. Senza di Lui i nostri ripari domestici restano edifici, muri, pareti (di mattone e/o di cartongesso). Solo se in queste strutture entra Lui – Gesù – le relazioni si dilatano, chi occupa quelle stanze diventa capace di uscire da sé stesso, di accorgersi dell’altro e di accogliere chi convive con lui sotto lo stesso tetto. Gesù rende possibile l’amore che deve caratterizzare ogni casa perché ci rende in grado di perdonare le inevitabili imperfezione di ogni altro, di gioire per la diversità di chi ci è accanto e perché ci abilita ad amare l’altro – finalmente – senza volerlo consumare e senza sforzarsi di cambiarlo.

Senza Gesù e la sua Parola, le nostre “belle” case rischiano di diventare piccole grandi prigioni che nascondono litigi, incomprensioni, fatiche, sofferenze non escluse violenze.

I dati relativi al forzato lock down che ci ha chiusi tutti in “casa-edificio”, parlano chiaro: “Nell'ultimo anno i procedimenti per maltrattamenti in famiglia sono cresciuti del 20%”, ha dichiarato senza fare sconti Ignazio De Francisci, procuratore generale della Corte d'Appello di Bologna. E così come sono diminuiti i femminicidi della criminalità, sono aumentati quelli consumati tra le pareti domestiche! Avremmo fatto volentieri a meno della dimostrazione scientifica, generata dalla pandemia, del fatto che le nostre “case” hanno la capacità distruggere e di negare l’amore mai nato al loro interno e di attivare ripetute violenze sui minori, sulle donne e sui più deboli.

Mentre però i giornali ci confermano questo triste dato, all’inizio di febbraio la chiesa ci offre la pagina del Vangelo di Gesù che, recandosi da Simone e Andrea, è pronto ad entrare – se siamo disponibili ad aprirgli la porta – nelle case di tutti noi.  E lo fa perché sa molto bene che al di là delle dichiarazioni di principio di chi abita la sua famiglia, la malapianta della divisione, della discordia, del litigio e della incomprensione è sempre pronta a crescere e a rovinarci la vita.

Ma che cosa fa Gesù in casa? Facilità il parlare tra chi abita quelle pareti e con Lui (“Subito gli parlarono di lei”). Che significa zittire e impedire lo sparlare (male!) degli assenti. Ma Gesù porta il Suo sguardo (e quello di chi è con Lui) verso chi sta peggio di noi e si prodiga per sostenere la parte più debole della dimora (e il fatto che la malata sia una donna, è una bella provocazione considerato che in Italia nel 2020 è stata uccisa – in casa sua e da un suo stretto congiunto – una donna ogni tre giorni!). Il rischio, per tutti noi, è di fare l’opposto: guardare, dalle “finestre sul mondo delle nostre case”, chi sta meglio, invidiarlo e poi parlare male di lui. Se questo meccanismo si attiva, però, si avvia l’invidia che tutto corrode e che – per inseguire il proprio personale potere – sfascia ogni possibilità di bene comune, di verità e di libertà. E poi quel (bellissimo) verbo che rimanda all’uomo nuovo e al mattino di Pasqua: La fece alzare prendendola per mano. La mano di Gesù che ci prende ci rimette in piedi. In posizione verticale. Con la schiena diritta.

(“la febbre la lasciò ed ella li serviva”) e non dalla isteria del rincorrere un solitario star bene che si chiama egoismo.

Sembra proprio che lo Spirito Santo abbia colto la stanchezza delle nostre case (troppo chiuse e persino caratterizzate dal coprifuoco) e – fedele come la colomba al suo nido (che è il Figlio di Dio) – ci voglia ricordare, con l’aiuto del Vangelo, che senza il Signore Gesù le nostre abitazioni non diventano luoghi di riposo, ma stanze in cui si prova a sopravvivere senza grandi risultati.

Ma la celebrazione eucaristica domenicale non è questo? Il ritrovarsi insieme come persone e come famiglie perché ogni nostra “casa” diventi luogo di pace, di comunione e di perdono che accoglie persone: capaci di parlare bene, di aprirsi agli altri, di stare in piedi (con la schiena diritta e nella postura dell’umanità nuova che ci ha consegnato il Signore Gesù ne mattino di Pasqua) e di servire senza sempre voler essere serviti.

Buona domenica.

 

             Preghiera dei “piccoli”              Caro Gesù,

la nonna (che mio papà chiama “suocera”) vive in casa con noi. Io spero tanto che non si ammali mai, ma oggi ho capito che Tu e le malattie non siete amici.

Tu non mandi le malattie a nessuno e quando queste arrivano, Tu fai di tutto per toglierle e per fare guarire chi è ammalato.

È molto bello, Gesù, leggere che appena hai preso per mano la suocera di Simone, la febbre se ne è andata e lei si è messa a servire.

Gesù prendi anche me per mano. Tienila stretta, la mia mano. Accompagnami sempre e dammi la forza – ogni giorno – di fare quello che ho già capito: che c’è più gioia nel servire che nel farsi servire.

E grazie, Gesù, per tutti i medici, gli infermieri e per quanti, in ospedale, si mettono al servizio dei nostri malati e li tengono per mano.

ANTICA BENEDIZIONE IRLANDESE

ANTICA BENEDIZIONE IRLANDESE

 

Ti auguro
Che tu possa scorgere la luce di Dio
lungo la strada da percorrere
anche quando sei nel buio.
Che tu possa sempre sentire il dolce canto dell'allodola
anche nelle ore delle preoccupazioni.
Che il tuo cuore non diventi una pietra
quando i tempi sono duri.
Che tu non dimentichi mai,
nonostante le ombre che ti circondano,
che non sei solo sulla strada!

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B 31 gennaio 2021

 IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  B   31 gennaio 2021

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!» (Marco 1, 21 - 28)

Domenica scorsa abbiamo fissato l’attenzione sulle prime parole dette da Gesù secondo il Vangelo di Marco. Oggi con la guida dello stesso testo siamo invitati a pregare confrontandoci con il primo intervento pubblico di Gesù. E se l’evangelista apre la sua opera con questa apertura è perché queste parole e questo gesto hanno una rilevanza forte, grande e significativa. Anche perché se è “il tempo è compiuto”, come si diceva domenica scorsa, è l’irrompere di Dio è finalmente e definitivamente con noi, tutto ciò che si pone di traverso alla nostra umanità ha le ore contate (se abbiamo il coraggio di lasciare che Gesù il Signore lo frantumi e ci liberi!).

L’incontro con “l’uomo posseduto da uno spirito impuro” serve a san Marco a presentarci in modo figurato la buona notizia costituita dalla presenza di Gesù. Il quale con la sola presenza prima disturba lo spirito impuro presente in quell’uomo, ma lo sconfigge, lo domina, lo vince e lo spazza via. Si noti però come lo spirito impuro si esprime. intreccia la voce “io” con il “noi” (“Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!”) consegnando così l’impressione di essere diviso in sé stesso.  Non è una svista di chi scrive e nemmeno un errore di traduzione. Con questo piccolo gioco grammaticale, l’evangelista ci descrive molto bene la forza devastante del male e del peccato. Lo spirito impuro diventa perciò la personificazione simbolica di tutto ciò che ci possiede, che ci domina, che ci fa del male e che ci frantuma interiormente. Perché è questa la funzione del male: dividerci dentro, fare a pezzi il nostro io lacerandolo in tante parti che fanno fatica a ritrovare unità). Aiutarci a cacciare da noi chi ci possiede e chi ci frantuma dentro è il grande servizio che Gesù consegna a ciascuno di noi.

Fermiamoci al nostro tempo. Il primo grande spirito impuro che ci possiede (tutti, nessuno escluso) è la paura alimentata da questa imprevedibile e inattesa pandemia che ha immerso tutti noi in un mondo irreale. Abbiamo paura del contagio, della malattia, di perdere le persone care, ma siamo terrorizzati anche dal fatto che, per molti, si sta interrompendo il lavoro, il reddito e il pane per la propria casa. Siamo sconvolti e piegati da questi interminabili mesi di lockdown, di lavoro a distanza, di saracinesche e scuole chiuse, di mascherine, di giardini inagibili, di cinema e teatri sbarrati….  La “paura” è il grande spirito impuro che – oggi – ci possiede e che ci paralizza. Impauriti e impreparati a questi scenari ci affidiamo alla scienza e poniamo fiducia nei vaccini. Anche la scienza, però, balbetta, è confusa, si affida a scienziati con visioni diverse della realtà e nonostante tante luci e altrettante ombre (compreso il fatto che i vaccini tardano ad arrivare), la scienza non ci consegna quelle parole di salvezza che cerchiamo e che vorremmo ascoltare.

Visti i limiti della scienza ci illudiamo che a salvarci possa essere la tecnica (la quale, negli ultimi due decenni, sta tentando di sostituirsi alla fede per provare a “vendere” ipotesi di salvezza). Anche la tecnica però non possiede quella “Parola” in grado di scaldare il nostro cuore, di liberarlo dalla paura per immergerlo nello spazio del perdono e dell’amore.

Per Marco la tesi è forte e chiara: solo Gesù presente nel Vangelo è la Parola che fa unità in noi, che ci insegna a costruire il vero “noi” e che ci salva. E perché il lettore non abbia dubbi, l’evangelista ci presenta un Gesù apparentemente severo e decisamente duro nel suo esprimersi: “Taci! Esci da lui!”. Quel preciso ordine è una forte promessa di libertà.

Taci” è invito a fermare la paura, a zittire i fantasmi che ci rubano la serenità, ma è anche preciso invito a non cercare parole di salvezza in altri contesti (scienza e tecnica) che sono utili al vivere e necessarie per la nostra esistenza, ma che non possono rispondere alle domande profonde della nostra vita. Come diceva Wittgenstein, un grande filosofo: “Molte domande scientifiche hanno avuto una risposta, ma i nostri problemi vitali non sono ancora neppure stati toccati.”. Solo Gesù, ci conferma san Marco, ci libera da tutto ciò che ci possiede e ci permette di vivere immersi nella comunione vera e nella bontà. Solo Lui ci “tocca” il cuore per guarirci e per riportarci all’originale bellezza a cui siamo chiamati. 

In concreto? Il “Taci!” detto da Gesù è perciò rivolto anche a noi: per portare a silenzio tutto ciò che ci porta lontano dal vivere per gli altri. Quel “Taci!” è anche un forte dono e un grande invito per imparare ad ascoltare quel Vangelo che sta sempre più venendo via dalla nostra vita (e senza il quale – inutile insistere – si vive male). Anche perché solo il Vangelo ci aiuta ad avvertire la presenza del fratello che, accanto a noi, ci chiede delicatezza e tenerezza cosi come solo il Vangelo ci rende capaci di ascoltare il Tu di Dio che ci cammina accanto, ma che non siamo più capaci di vedere, di riconoscere e di ascoltare.

Prima di essere ordine, “Taci!” è buona notizia. Dieci minuti al giorno di silenzio per meditare il Vangelo che ci insegna ad ascoltare il fratello ed il Tu di Dio che sussurra senza mai stancarsi di cercarci, sono ore di libertà ritrovata.

Buona domenica.

 

Preghiera dei “piccoli”                             

Caro Gesù,

la scena un po’ mi ha impressionato.
Quell’uomo che grida contro di Te fa paura, ma è davvero
bello vedere che Tu, con solo quattro parole, lo hai zittito.
Quel “Taci! Esci da lui” è bellissimo.
Gesù, hai ragione Tu: senza tacere e senza fare silenzio,
non si riesce ad ascoltare la Tua Parola e ad accogliere la Tua
bontà.
Gesù, aiutaci a vincere la paura del silenzio e ogni volta
che mi vedi parlare troppo, criticare gli altri, sprecare parole
o discutere su chi è il primo o il più forte, dillo anche a me:
Taci!” e fai uscire quei pensieri e quelle parole inutili dalla
mia vita, dalla mia testa e dal mio cuore.  Grazie Gesù.

                             

P.S. Gesù, grazie per don Bosco. I miei genitori si sono conosciuti in un oratorio salesiano e mi ricordano sempre che io mi chiamo Giovanni in suo onore.

III Domenica del tempo ordinario B

III Domenica del tempo ordinario B  (24 gennaio 2021)

Vi riporto le letture che ascolteremo durante la celebrazione che sarà bene leggere in anticipo e che ci faciliterà la comprensione dell’omelia che il celebrante proporrà all’assemblea: 

Dal libro del profeta Giona (Gn 3,1-5.10)

Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore. Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 7,29-31)

Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1, 14-20)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.  

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Da sempre l’umanità impreca contro il tempo quando desidera lamentarsi per le l’eccessivo carico di sofferenze, di morte e di ingiustizie presenti sulla terra. Ai tempi di Gesù circolava un’immagine molto forte per descrivere la disperazione di chi, sulla terra, si sentiva solo e senza aiuti dall’alto: quella di un cielo – sopra la terra – chiuso, blindato e sbarrato allo sguardo di chi, girone infernale in cui si trova, soffre, impreca e muore. 

Niente di nuovo sotto il sole direbbe un osservatore acuto del tempo presente! La pandemia che sta piegando il mondo, non rallenta (si sono superati i 2 milioni di morti e quasi 100 milioni di contagi!). La situazione dei migranti al campo di Lipa, nel nord-ovest della Bosnia e Erzegovina, è disumana (circa 1000 persone sono abbandonate al ghiaccio e al gelo in accampamenti senza nemmeno una tenda come riapro e costrette a sopravvivere senza servizi igienici, acqua potabile ed elettricità. I migranti che dall’Honduras cercano di arrivare negli Stai Uniti sono presi a bastonate in Guatemala. I vaccini acquistati tardano ad arrivare; il nostro Governo – appena entrato in crisi – è sospeso tra veti, discussioni, polemiche e ricerche di maggioranze! “Tempo scaduto”, dice qualcuno; “tempi infelici” replicano altri; “tempo di crisi, di mancanza di valori, di sprechi, di immoralità, di pandemia…”. Oggi come ieri molto nostro tempo è fonte di disperazione e di paura.

Ma torniamo all’immagine del cielo chiuso. Gesù la conosceva molto bene. Anche perché era scritta persino nel libro del Profeta Isaia che, rivolgendosi a Dio, così pregava: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Ecco perché al battesimo di Gesù san Marco scrive che il Messia, “vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui”: perché – finalmente – il cielo inteso come un Dio lontano, assente e e sordo alle fatiche del mondo, si è aperto. Dio è sceso sulla Terra; si è reso vicino agli uomini; si è portato presso di noi per farci sentire il suo amore e il suo perdono. Con questa premessa è più facile capire perché le prima parole di Gesù – nel Vangelo di Marco – sono quelle che siamo invitati a pregare oggi: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo”. Perché per l’evangelista è di assoluta urgenza e importanza ricordarci che il “tempo” in cui viviamo non è il magazzino del male e del soffrire. Iltempo è compiuto” significa che Dio ha reso il nostro presente definitivamente aperto alla Sua presenza. La bontà di Dio è ormai con noi per sempre – questo vuole dire il “tempo è compiuto” – e significa che nessuna realtà negativa (pandemia compresa!) potrà mai separarci dall’amore di Dio. Questa è la buona notizia che deve risuonare in queste prime domeniche dell’anno. Per ricordarci che accogliere questa nuova realtà che è con noi, rende la nostra vita vera, buona, nuova e definitivamente liberata. In concreto? Come tutto questo si impasta con la nostra quotidianità?

Intanto ci dice che prima di “fare” chissà che cosa, il convertirci che ci propone Gesù è dato dall’accogliere l’amore di Dio che vuole stare con noi nella persona del Signore Gesù e con l’aiuto del Suo Vangelo. E chi accoglie Gesù nella sua vita (e si confronta con il Vangelo), trova in sé le forze per cambiare modo di vivere e scopre che uscire dall’individualismo che ci rende egoisti e tristi è possibile perché siamo chiamati a ritrovarci in un “noi” certamente imperfetto (come le nostre comunità), ma sempre migliore della solitudine depressa a cui condanna l’avarizia. Il “tempo è compiuto” vuole dire che la nuova umanità che cerchiamo è iniziata. “Convertirsi” vuole dire guardare dall’altra parte. Portare lo sguardo non più sul successo, sui soldi o sul benessere mio e solo dei miei figli, ma sulla generosità, sui bisogni di chi sta male, su quel Vangelo che non è un libro scritto, ma una presenza vera, viva e accanto a noi.

Un particolare curioso: in questi sei versetti ricorre per ben due volte la parolina “subito” (che troviamo 10 volte solo nel primo capitolo). Prima sono i discepoli che, appena chiamati, “subito lasciarono le reti e lo seguirono”. Nel secondo caso l’avverbio è riferito a Gesù: “E subito li chiamò”. Come per dire: Il Dio di Gesù ha fretta di cercarci, di incontrarci e di portarci all’umanità nuova che ci rende migliori. E noi? Cosa facciamo per accorgerci che il “cielo sopra di noi è aperto” e per accogliere questo “tempo che è compiuto”? Siamo disposti “a guardare dall’altra parte” (questo vuole dire convertirci|): dalla parte del Vangelo, della comunità, della bontà, del servizio e di chi ha bisogno di noi oppure restiamo ancorati ai nostri schermi e fissiamo ciò che non ci fa volare e nemmeno ci spinge sul terreno dell’amore?

Un piccolo merito questa pandemia forse lo ha: ci ha ricordato che non possiamo sempre dire, “poi”, “domani”, “vedremo” o “lo farò”.

Il nostro essere beati è attaccato a corda doppia alla parola “subito”. Perché il Dio di Gesù non rinvia e non rimanda. Non posticipa e non affida a dopo. Subito ci vuole aiutare. Adesso. Ora. Ed è per questo che si chiama buona notizia.

Buona domenica.

 

Preghiera dei “piccoli”      

Caro Gesù,

la parola “subito” io la uso quasi mai. Quando mamma o papà mi chiamano di solito rispondo dicendo: “tra un attimo”, “sto arrivando” oppure dico: “poi”, “domani”, “dopo”.

Nel Tuo vangelo invece la parola “subito” viene detta due volte in pochissime righe. Prima sono Simone e Andrea che, appena chiamati, “subito lasciarono le reti”.

Poi sei Tu, Gesù, che appena incroci con lo sguardo Giacomo e Giovanni (suo fratello), subito li chiami.

Hai ragione Tu, Gesù, il segreto della vita è dentro la parolina “subito” e vive bene solo chi la dice e la mette in pratica.

Anche diventare “pescatore di uomini” è una bella immagine! Come i pesci muoiono quando escono dall’acqua, così noi viviamo solo se qualcuno ci aiuta ad uscire dal mare della cattiveria e della pigrizia.

Gesù aiuta anche me a diventare un pescatore di uomini.

E grazie per la Domenica della Parola.

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  B

 

«Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro».    Gv 1, 35-42

 

Non si parla solo con la bocca. Spesso e volentieri ognuno di noi parla anche con gli occhi. Proprio come fa Giovanni Battista quando – così dice il testo – “fissando lo sguardo su Gesù” scorge in Lui l’agnello di Dio. “Fissare lo sguardo” è molto di più del solo vedere o osservare. Significa guardare con gli occhi del cuore, in profondità – oltre le apparenze – e scorgere nell’altro la sua verità. Con gli occhi del cuore Giovanni Battista addita Gesù a quanti hanno l’animo inquieto perché alla ricerca della guida che non tradisce. Bello anche il dialogo che sgorga, grazie a questa intensità di sguardi, tra il Maestro e quanti lo seguono. Gesù “si volta” ed in questa descrizione è tutto detto: si accorge di quanti lo cercano; si ferma; prende l’iniziativa di rivolgersi loro; pone loro una precisa domanda – “Che cosa cercate?” – per aiutare chi lo incontra ad entrare in sé stesso e a capire il suo cuore.

“Che cosa cercate?” è il grande invito che Gesù rivolge a ciascuno di noi per aiutarci a rientrare in noi stessi e per spingerci nella direzione della libertà vera. Siamo tutti alla ricerca di qualcosa. Sempre. Siamo tante volte stanchi di cercare, di correre, di ritrovarci sempre allo stesso punto di partenza, ma siamo anche – allo stesso tempo – indisponibili a cambiare stili di vita. Forse abbiamo anche smesso di cercare, ma non di inseguire ciò che, molte volte, ci avvelena l’esistenza. Si è tutti – però – alle prese con un cuore che cerca risposte capaci di saziare la nostra voglia di infinito.

Il Vangelo di oggi ci dice che la risposta a questa continua ricerca di senso e di verità è Gesù presente nella Sua Parola e nel fratello bisognoso di aiuto. Sia chiaro: non stiamo cercando – ci dice san Giovanni – una buona idea, una teoria o una ideologia convincente.

E si noti la finezza suggerita dall’evangelista: la ricerca è sempre personale, ma va condotta insieme, a livello comunitario. Per la semplice ragione che è rimasta, in ciascuno di noi, la nostalgia per quella fraternità infrante (come testimonia bene la vicenda di Caino e Abele) che, da soli e senza l’aiuto di Gesù, non riusciamo a ricostruire. Il particolare rischia di non essere colto, ma le prime chiamate di Gesù coinvolgono sempre coppie di fratelli: affinché nasca quel “noi” che libera l’io dalle catene della solitudine, dell’egoismo, ma anche delle divisioni, delle lacerazioni, dei litigi, dei pettegolezzi e delle discordi.

Prima è Giovanni Battista che fissa lo sguardo su Gesù. Ora è Lui che porta i suoi occhi su Simone (“Fissando lo sguardo su di lui”). Occhi che parlano e che raccontano una storia d’amore e di libertà che cura e che guarisce il nostro vivere.

Simone non sa che cosa sta cercando. Ha fame e sete di vita piena, vera e con senso. Cerca una comunità capace di vivere tanto l’amore quanto il perdono. Vorrebbe vivere per gli altri (intuisce che l’essere beati passa per il dare e non per il prendere), ma no sa di chi fidarsi e soprattutto non riesce a mollare barca, reti, garzoni, padre e pesca che gli consegnano quella falsa sicurezza che lo rende inquieto.

Simone è ognuno di noi. Inquieto, irrequieto e con tanta bontà depositata sul fondo del cuore. Nessuno di noi ama la solitudine, ma a forza

 

 di cercare i compagni perfetti rischiamo di restare soli e sempre arrabbiati con la vita da solo. Simone – come ognuno di noi – aspetta qualcuno che gli cambi il nome non per il gusto di rinnegare il passato, ma per imparare che la vera libertà inizia quando si capisce che anziché “pescare” per sé stessi si diventa capaci di “pescare per gli altri”. Non solo: Simone – come ognuno di noi – deve anche intuire che liberare i fratelli dalle acque del male (questo vuol dire diventare “pescatori di uomini”) immerge la vita nella bontà e fa stare bene.

Ecco che cosa cerchiamo: Chi sa asciugare le nostre lacrime; Chi ci cambia nome e modo di vivere; Chi ci dona senso e nuova libertà perché ci insegna a vivere per gli altri; Chi si accorge di noi e delle nostre mute domande nel cuore; Chi si ferma per noi; chi si volta per noi; chi ci parla con parole di vita eterna.

Stiamo cercando una comunità che ci aiuti a leggere, a pregare, a vivere e a mettere in pratica il Vangelo. Con la certezza che chi trova questa presenza che si chiama Gesù non si sente soltanto fissato nel cuore dal suo sguardo, ma fissa anche – nella sua memoria – l’ora di quell’incontro.

Erano circa le quattro del pomeriggio” annota l’evangelista.

Sono passati decenni da quell’incontro che ha cambiato, salvato e liberato la vita.

Chi scrive – però – ricorda ancora l’ora precisa in cui gli sguardi si sono incontrati e la Parola ha iniziato a guidare la vita nuova di chi lo ha seguito.

L’augurio che per ciascuno di noi scatti quell’ora: le quattro del pomeriggio.

Buona domenica.

 

Preghiera dei “piccoli”

Caro Gesù,

è bello che Andrea – dopo la Tua chiamata – conduca da Te suo fratello Simone e insieme Ti seguano.

Ho notato questo particolare perché la maestra ci ha insegnato un proverbio africano che dice: “se vuoi andare veloce, corri da solo, ma se vuoi andare lontano vai insieme a qualcuno”.

Tu Gesù non ci chiedi di fare una gara su chi arriva prima. Per Te le cose che contano sono chiare: seguire Te, camminare insieme, non restare bisticciati dopo aver litigato e imparare a chiedere scusa o a perdonare l’altro quando serve. Solo così arriviamo lontano: nel paese dove il Noi vince sull’Io (dove Caino e Abele non sono mai arrivati).

Grazie Gesù perché con Te diventa possibile essere, fare e diventare fratelli. Con tutti, come dice Papa Francesco. E sempre.

Piccola domanda, Gesù. Perché a Simone non gli hai detto “Seguimi”? Quando glielo dirai?

BATTESIMO DEL SIGNORE (Mc. 1, 7-11)

BATTESIMO DEL SIGNORE (Mc. 1, 7-11)  

 

«[In quel tempo Giovanni Battista] proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. 9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento”»

 

Con un bellissimo esercizio di scrittura, san Marco cuce e tiene insieme l’inizio del ministero pubblico di Gesù con la morte in croce. Nel momento del Sua battesimo – dice il testo – i cieli si squarciano, lo Spirito discende verso di lui come una colomba e una voce dal cielo proclama “Tu sei il figlio mio, l’amato”. Il messaggio è intenso e forte. Con l’irrompere di Gesù nella storia, il Cielo si squarcia e resta definitivamente aperto per permettere a Dio di coinvolgersi con la nostra faticosa e affascinante Terra. E dal Cielo scende la stessa voce di Dio – la Sua Parola – per dirci che Gesù è il Figlio di Dio. È Dio stesso che pronuncia questa frase in modo solenne che ostenta la gioia e persino il sano orgoglio del Padre per il Figlio alla presenza dello Spirito. Nel momento dell’avvio del ministero di Gesù Dio ha non solo la forza, ma anche l’entusiasmo per “parlare” di Lui e con l’umanità.

Non è più così sul Calvario. Quando Gesù muore in croce, san Marco richiama volutamente la scena del battesimo con l’utilizzo del verbo “squarciare” (“Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo”). Come a dire: se con l’inizio del ministero di Gesù si è squarciato il Cielo – segno che la Terra mai più sarà lontana dall’amore di Dio – ora, al momento della Sua morte – si squarcia il Tempio per dirci che nessun luogo di culto può impossessarsi dell’amore universale di Dio. Ma san Marco fa di più. Nel momento in cui muore Gesù ci presenta Dio incapace di parlare – Lui è che Parola – perché bloccato dal dolore per la morte del Figlio. Nel battesimo è Dio stesso che parla. Ora, al momento della morte, è il centurione che assiste alla morte in croce di Gesù che parla e che esclama: “Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!”. Come Gesù è stato aiutato da Simone di Cirene a portare la croce, ora è il Padre che si fa aiutare e chiede in prestito la voce al centurione per comunicare al mondo il Figlio Suo è morto (“avendolo visto spirare in quel modo disse)”.

Ma si noti la finezza: il Padre non riesce a parlare perché scosso dal dolore per la morte di Gesù, ma non tace. Semplicemente si fa prestare la voce dal centurione romano (un pagano!) e fa dire a lui ciò che non riesce a pronunciare perché con il cuore in gola.

E vale la pena farla nostra questa bella riflessione che ci propone l’evangelista. Succede anche a noi: quando ci viene a mancare una persona cara, abbiamo la voce strozzata in gola e non riusciamo a parlare. Quell’impossibilità a parlare perché con le lacrime agli occhi – però – è diversa dal silenzio che la nostra cultura vorrebbe imporre sulla morte rendendolo il vero tabù del nostro secolo.

Ci vorrebbero convincere a vivere come se la morte non ci fosse; educarci a fingere che la morte non esiste e anche quando – purtroppo – arriva deve essere considerata, per molti, “solo” colpa di sanitari negligenti che non l’anno fermata. Lo sappiamo che non è così. Anche perché vivere come se la morte non ci fosse (per paura), vuole dire non vivere. Il solo modo per impedire alla morte di possederci, di rubarci la serenità e di dominare i nostri pensieri è riconoscerla, con saggezza, come parte della vita che ci insegna a vivere bene per entrare – definitivamente – nella vita che non finisce più. E se noi – oggi – riusciamo a trovare parole di speranza e di vita anche in questi tristi e duri mesi, è perché Dio scrive diritto anche sulle righe storte e perché ha scelto di non fermare mai la Sua Parola. E per chi – visitato dal dolore – non trova più le parole per piangere e per sfogarsi, ognuno di noi diventi come il centurione: prestiamo la voce a Dio e invitiamo chi cammina con noi a fissare Gesù morto in croce per riconoscere, in quella Parola che momentaneamente non parla più, la fonte della speranza e l’inizio della vita che non ha più fine.

Non diventiamo migliori fingendo che la morte non ci sia. Ciò che ci rende buoni, liberi, veri e beati è l’esatto opposto: vivere sapendo che ci aspetta quella nuova nascita che raccoglierà tutto il buono che abbiamo costruito per portarlo dove c’è solo vita e vita eterna.

Buona domenica a tutti.

                                                                                  

Preghiera dei “piccoli”                                        BATTESIMO DEL SIGNORE

 

 

Caro Gesù,

               quando ho detto a mia nonna che mi sono messo in camera, appeso al muro, il certificato di battesimo incorniciato, lei si è commossa.

E poi ha aggiunto che piacerebbe anche a lei avere il suo certificato di battesimo.

Mi sono fatto dire da mamma dove nonna è stata battezzata. Ho telefonato alla sua vecchia Parrocchia; me lo sono fatto mandare via internet e dopo averlo stampato l’ho fatto inquadrare. Oggi chiedo a mamma di portarle questo regalo (non possiamo ancora mangiare tutti insieme, come una volta). 

E Ti ringrazio Gesù perché non appena sei stato battezzato, i Cieli sopra di Te si sono “squarciati”: segno che non si possono più chiudere sopra di noi e che il Tuo Spirito non ci lascia soli.

E Tu sai quanto è bello sentircelo ricordare in questo periodo.

Sei unico Gesù. E grazie ancora.