Preghiere poesie

II DOMENICA DI PASQUA B

II DOMENICA DI PASQUA B  

 «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. 22Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. 24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”.26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”. 27Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. 28Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. 29Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. 30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome».      ( Giovanni 20, 19 -32)

 

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Forse è questo ciò che l’evangelista vuole comunicarci: l’unanimità non è mai una bella parola e nemmeno un buon risultato. Solo la dittatura si illude di avere il consenso di tutti, ma sempre e soltanto con l’uso della forza e della violenza.

La comunità cristiana che segue Gesù è chiamata a seguire Lui: il Maestro che rispetta il passo di tutti e che non ha paura di tornare due volte nello stesso ambiente per incontrare anche chi non era presente alla sua prima visita. Ma Gesù torna dai “Suoi” anche perché ha intuito che sono divisi, lacerati e alle prese con reciproche accuse. L’assente viene considerato da chi è “dentro” come un “imprudente” e un “esaltato” mentre quanti erano “a porte chiuse” sono giudicati – da chi è “fuori” come paurosi e poco fedeli al Signore Gesù che ha dato la vita per noi.

Gesù risorto vede, intuisce, capisce, coglie, collega tutto, ma non giudica e soprattutto non condanna mai. Il suo obiettivo è impedire che le diversità di vedute, di modi di fare e di stili di vita – presenti nelle Sue comunità – diventino “steccati” che autorizzano a giudicare l’altro e a condannare chi non si adegua alla visione della maggioranza. Se questo avviene non c’è più “comunione”, ma “unanimità” che necessita di controlli, di spionaggio, di scomuniche e di violenza. Gesù mira al regalarci comunione nella diversità. (che è il vero dono di Pasqua che il Suo Spirito ci consegna).

Gesù risorto non è spaventato se in apparenza ci sono “due parrocchie”: quella di chi partecipa al rito della domenica e quella di chi cerca la Sua presenza nelle strade della carità e della giustizia. E nel rito eucaristico come nel fratello da servire, è lo stesso Signore che ci viene incontro. Il Risorto che si lascia trovare anche nel fratello che soffre e che si è chiamati a servire in ospedale, in casa o in una RSA è lo stesso Signore Gesù che si rende presente nel Vangelo, nel pane spezzato, nel fratello che prega con me.

Abbiamo – è vero – due parrocchie, ma il Signore Gesù è unico e non ha paura di fare due volte la stessa strada per cercare gli uni e gli altri. Trova ciascuno di noi perché nessuno sia tentato dal giudicare l’altro o – peggio ancora – dallo scomunicare chi non si allinea con la maggioranza. E si noti la finezza: senza un gruppo di prudenti e timidi (ritenuti quasi sicuramente da Tommaso come paurosi e incoerenti), Tommaso non avrebbe mai avuto la possibilità di essere trovato dal Signore Gesù. Ma vale anche l’opposto: senza la “forza” di Tommaso che non si nasconde nel pieno di una persecuzione cristiana (considerato oggettivamente un incosciente dal gruppo dei “prudenti”!), noi non avremmo la più bella professione di fede di tutti i tempi: “Mio Signore e mio Dio”. La tavola eucaristica ci dona la forza di essere “chiesa in uscita”, ma il calpestare le strade del mondo ci impone la sosta rigenerante dello spezzare il pane eucaristico insieme.

Oggi come ieri. Sono le nostre “due parrocchie” che formano la grande chiesa del Signore Gesù il quale non ha paura della diversità e del pluralismo.

Due parrocchie che dovranno, prima o poi, incontrarsi e ritrovarsi. Sapendo che l’iniziativa di avvicinare queste diversità è del Signore Gesù (non dei preti e nemmeno dei più devoti!) e che la sola cosa che ci è chiesta è quella di non giudicare, di non scomunicare chi non è fisicamente con noi e di mettere le nostre mani nelle tante ferite dei crocefissi di oggi (malati, immigrati, detenuti, disoccupati, etc.) Solo questo modo di essere, di vivere e di credere nel Signore Gesù che ama le nostre belle diversità, ci rende “beati”.

Buona seconda domenica Pasqua a tutti.

 

 

                                              Preghiera dei ragazzi

Caro Gesù,

        anche noi siamo “a porte chiuse”, ma per timore del corona virus, per paura del contagio e perché siamo in zona rossa (e non possiamo uscire).

Oggi mi piace pensare che “venne Gesù” vuole dire che Tu vieni nelle nostre case anche se siamo nel pieno del lock down.

Anche perché se Tu non vieni a trovarci, non siamo solo “chiusi in casa” ma diventiamo anche sempre più “chiusi in noi stessi”.

Grazie Gesù perché Tu ci cerchi anche se siamo a “porte chiuse”.

È bello leggere che otto giorni dopo sei tornato per incontrare anche Tommaso. Secondo me volevi aiutare quelli chiusi in casa a non litigare con chi “non era con loro quando sei arrivato”.

Grazie Gesù. Sei davvero Maestro. Non giudichi nessuno e fai due volte la stessa strada per insegnarci a stare insieme anche se diversi e per incontrare ciascuno di noi.

don Michele Do

 CREDO DI ST. JACQUES (don Michele Do)

Credo in un solo Dio che è Padre
fonte sorgiva di ogni vita, di ogni bellezza, di ogni bontà.
Da Lui vengono e a Lui ascendono tutte le cose.
Credo in Gesù Cristo, figlio di Dio e figlio dell’uomo,
immagine visibile e trasparente dell’invisibile volto di Dio,
immagine alta e pura del volto dell’uomo
così come lo ha sognato il cuore di Dio.

Credo nello Spirito Santo,
che vive ed opera nelle profondità del nostro cuore
e di ogni creatura,
per trasformarci tutti ad immagine di Cristo.
Credo che da questa fede fluiscono
le realtà più essenziali e irrinunciabili della nostra vita:
la comunione dei santi e delle cose sante, che è la vera chiesa,
la buona novella del perdono dei peccati,
la fede nella Risurrezione, che ci dona la speranza
che nulla va perduto della nostra vita:
nessun frammento di bontà e di bellezza,
nessun sacrificio per quanto nascosto ed ignorato,
nessuna lacrima e nessuna amicizia. Amen!

AL SEGNO DELLA PACE

Donaci o Signore non la pace facile dei giorni sereni e felici, 
di quando le cose vanno bene, ma quell'altra difficile,
costosa e stigmatizzata pace, di chi in ogni ora della sua vita,
davanti all'impossibile ed all'incomprensibile, 
trova in sè il coraggio e la forza di posare il capo sulle ginocchia di Dio.

 

DOMENICA DI PASQUA

 DOMENICA DI PASQUA   (Gv. 20,1-9)

Non avevano ancora compreso la Scrittura che cioè egli doveva risorgere dai morti”. 

L’inizio del racconto è interessante: tutti gli uomini (inteso come i “maschi” coraggiosi che litigavano per il potere da “spartire”), sono “scappati”. Siamo all’inizio del giorno (“quando era ancora buio”) ed è una donna la sola che si reca al sepolcro di Gesù per onorare la sua salma. Tutto ciò che vede è “che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. E all’interno della tomba vuota, sperimenta una grandissima paura. E proprio per questo scappa, corre e va a cercare Simon Pietro e l’altro discepolo (“quello che Gesù amava”).

La domanda è obbligata: perché la resurrezione di Gesù non ha la forza di spazzare via – una volta per tutte – i segni di morte che ci avvelenano la vita? Buio, sepolcro, paura, solitudine, assenza… , sono realtà ancora presenti “in mezzo a noi” e facilissimi da vedere e da incontrare. A differenza di Gesù risorto che, come ci dice san Giovanni, è anche Lui vicino e “in mezzo a noi”, ma non ci è dato di “vederlo” in modo immediato e diretto.

Il perché san Giovanni costruisca così questo racconto è chiaro: per impedire che il lettore del Vangelo cerchi Gesù Risorto come un’“idea” di felicità e non capisca che Gesù è il solo Maestro che va cercato e seguito per ascoltare la Sua Parola, il suo insegnamento (e esempio) e per entrare con Lui nel terreno del servizio, del dono, del perdono e dell’amore fino alla fine. Questo è il grande rischio che corre chi usa il vangelo come un ricettario della felicità: sognare una bacchetta magica che spazzi via dolore, lacrime, sofferenza e morte per immergerci in un mondo (finto) dove lo stare bene è “immaginato” sempre in termini individuali (al massimo con i pochi intimi) e rappresentato da vacanze eterne.

Il Vangelo non è questo. È Parola che cambia il nostro modo di vivere e che ci rende visibile la speranza anche nei momenti più bui della nostra storia (personale e collettiva). Il Vangelo è Parola che convive con i segni di morte (buio, lacrime, paura e morte) che affiancano la nostra vita per dirci che grazie al mattino di Pasqua, queste sono diventate parole penultime per lasciare spazio alle vere e definitive parole dell’esistenza: bontà, gioia, perdono, comunione e vita che non ha più fine.

Ma non è di queste parole che abbiamo bisogno nel mezzo della pandemia che ci ha tagliato la strada? I segni di morte che ci circondano li conosciamo: nel solo mese di marzo 2021 sono stati quasi 12.000 i morti nel nostro Paese (3 milioni i morti nel mondo dall’inizio della pandemia!). Ma dietro ad ogni morte c’è una famiglia che piange, una comunità in lutto, un amore spezzato, figli e nipoti che restano orfani. Per non parlare di chi lavora per “fermare” il male, ma non vede arrivare la fine ed è sfinito; di chi sta perdendo il lavoro, di chi – chiuso in casa – non regge più perché più fragile di altri, etc.

San Giovanni ci offre un prezioso aiuto per insegnarci a reagire al male e per educarci a scorgere i segni di Pasqua in mezzo a noi:

  1. Il primo – forse il più bello – è quello di non stancarsi di cercare la vita sapendo, però, che non siamo noi a trovare Gesù, ma che siamo e che saremo, sempre, trovati da Lui. A noi è chiesto di cercare vita, bontà, giustizie e speranza. A Lui il compito di trovarci e di guidarci sulla strada della gioia.
  2. Cercare, camminare e correre…, “insieme”. Mai da soli. Maria di Magda, Simon Pietro, l’altro discepolo, sono il segno eloquente di una comunità chiamata a sostenersi all’interno di quella corresponsabilità senza la quale non si cresce e non si vive.
  3. Fare della vista una funzione che intreccia insieme occhi, cuore e ragione. Solo con gli occhi si rischia di restare sopraffatti dal buio; solo con il cuore si diventa ingenui e ci si espone all’avanzare del male che può travolgerci; solo con la ragione non si intravedono i segni lasciati dalla Scrittura che “illuminano” la nostra vita e la cambiano in meglio. 
  4. Imparare a leggere, a pregare e a “stare” con il Vangelo. Domanda: ma il lock down forzato, ci ha aiutato a fare qualche sana lettura spirituale?
  5. Occuparsi degli altri. Dedicare un po’ del nostro tempo a chi è più debole (e Maria di Magdala si è recata al sepolcro per prestare le sue dare cure a chi era ormai immerso nel massimo della debolezza). È l’affascinante legge dell’amore di Dio: siamo trovati da Lui non appena ci portiamo alla ricerca di chi è al fondo della fila, di chi sta peggio di noi, di chi è senza cibo, coperte, casa, lavoro e salute

Ultimo particolare: nel giorno di Pasqua la chiesa – facendo suo l’insegnamento di san Giovanni – non ci offre l’incontro con Gesù risorto. Per ricordarci che non saremo noi a trovare il Risorto, ma che se ci portiamo alla ricerca di chi è più debole e se ci lasciamo trovare da Lui, per noi Pasqua non sarà solo una festa di primavera (senza mancare di rispetto alla bellezza di una natura che libera la voglia di vivere!), ma la “buona notizia” che ci cambia la vita, che ci fa sentire amati da Dio e trovati dal Suo Figlio Gesù che, con il Suo Spirito, ci rende capaci di ricambiare l’amore ricevuto.

Buona Pasqua a tutti, a ciascuno e in modo speciale a chi ne ha più bisogno.

 

 

                                          Preghiera dei bambini

Caro Gesù,

                     Maria di Magdala mi piace tantissimo perché è lei che prende l’iniziativa di recarsi al tuo sepolcro di buon mattino, quando era ancora buio. Mamma ha ragione: le donne sono più coraggiose degli uomini!

Anche Pietro però è simpatico: è il primo ad entrare dove ti avevano deposto. Vede tutto. Ma da solo non riesce a capire.

L’altro discepolo è quello che corre veloce (come me); entra dopo Pietro, ma è il primo a collegare tutto e a credere che Tu hai vinto la morte e che sei vivo.

Gesù, non so dirti a chi assomiglio. Credo che in ognuno di noi ci sia un po’ di Maria di Magdala, ma anche un po’ di Pietro e  un po’ dell’altro discepolo.

Grazie Gesù, perché solo se restiamo uniti e capaci di aspettarci l’un l’altro, Tu ci trovi.

Gesù, benedici tutti i malati e chi li cura.

V DOMENICA DI QUARESIMA B

V DOMENICA DI QUARESIMA   B

«Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: “È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. 24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà.27Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! 28Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!”.29La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. 30Disse Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. 33Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire».   (Gv. 12, 20 -23)

 

Il fatto che alcuni greci “vogliono vedere” Gesù è abbastanza normale. È appena entrato in Gerusalemme acclamato come un Re, ma seduto su un asinello, dice il testo del Vangelo (Gv. 12, 14) e non sul dorso di un cavallo di razza o trasportato da una prestigiosa carrozza! Di lui si dice che scappi non appena sente che qualcuno lo cerca per farlo Re; si racconta anche che non “si piega” alle richieste delle autorità religiose disturbate dal suo modo di comportarsi e che – nonostante le dure critiche che gli vengono mosse – non abbia nessuna intenzione di “fermare” il suo frequentare e stare con lontani, peccatori, impuri, malati e stranieri. Cercare di vedere un soggetto così insolito è normale, ci fa capire l’evangelista. Non solo per i greci, ma anche per i giudei che hanno saputo della resurrezione di Lazzaro da parte di Gesù e vogliono vederli insieme (Gv. 12,8-9).

Sembra proprio che l’evangelista voglia presentare al suo lettore tanto la ricchezza e le sfumature del verbo vedere quanto i suoi limiti. Anche perché c’è chi “vuole vedere” per capire, chi è mosso, nel “voler vedere”, da una sana curiosità e chi – al contrario – non “vuole vedere”, ma solo spiare e controllare l’altro per difendere se stesso. Chi scrive arricchisce la sua riflessione con un particolare che rischia di non essere notato. I greci che vogliono vedere Gesù (per verificare se fama e immagine si avvicinano e se la prima giustifica la seconda), non hanno la forza di avvicinarsi a Lui “da soli”. Hanno bisogno della mediazione di un discepolo di Gesù, Filippo, (nome greco) per arrivare il più vicino possibile là dove Lui passa e si rende visibile.

Il messaggio che l’evangelista invia al suo lettore è forte: il verbo vedere non è azione individuale, ma attività che giunge alla sua vera pienezza solo se esercitata in modo comunitario, con l’aiuto di altre persone. Non è sfumatura debole o periferica. Quando si guarda da soli, è forte il rischio di vedere solo ciò che si riesce a scorgere e quanto si è disposti a vedere. Chi ha il cuore carico di odio, per fare un esempio, vede l’altro solo con il filtro del suo rancore; ne intravede solo i difetti e non riesce a “fissare” altro se non il modo per fargli del male. Ma si pensi al tema e alla realtà della paura. Quando si è terrorizzati da un imminente fonte di pericolo (e il rischio del contrarre il covid 19 è l’esempio più immediato che tutti conosciamo), “vede” solo l’urgenza e la necessità dell’evitare il contagio e di difendersi da tutto e da tutti: a volte in modo corretto, altre volte con modalità eccessive (a costo di chiudersi in sé e di negare l’aiuto al fratello nel bisogno).

Perché il “vedere” diventi umano, fonte di libertà e in grado di generare liberazione e sguardi d’amore – ci fa capire san Giovanni – deve entrare in una logica comunitaria. Fissare il mondo dalla parte del “noi” e non solo come “io”, vuole dire integrare lo sguardo con la logica del cuore. Ed eccoci all’interno di questo passo di vangelo: chi impara a vedere con la logica del cuore, passa dallo sguardo superficiale di chi “non vede” perché troppo centrato su di sé, al guardare di chi, grazie all’apertura del suo cuore e alla vita comunitaria, sta imparando ad amare e a coinvolgersi per il debole sul quale si è posata la sua vista.

La risposta del Maestro di Nazaret ai greci che vogliono “vederlo” è, apparentemente, senza senso. Con la Sua risposta, però, Gesù porta chi lo interroga a spostare il suo sguardo verso il solo aspetto visibile dell’amore: il dono di sé. Anche perché l’amore non si vede. Ciò che possono cogliere i nostri occhi è il dono della vita che l’altro ci consegna. L’ora di cui parla Gesù – “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato” – è il momento in cui Gesù muore in croce per noi. Solo chi capisce (senza vederlo) che il chicco di grano sotto terra “muore” per darci il “frutto” del pane, vede e vedrà avanzare l’amore nella sua vita.

Imparare a “vedere” l’amore: questa la bella lezione che ci proviene dal Vangelo di oggi. Ed è scuola e cattedra di cui abbiamo profondamente bisogno: per puntare gli occhi non solo su chi vince San Remo, su chi si arricchisce con vincite milionarie o su tutti gli effetti negativi (che restano negativi!) delle tante chiusure a cui siamo sottoposti a causa del covid. Se non si fissa lo sguardo sull’ora in cui Gesù muore in croce per noi e ci consegna la (vera) grammatica dell’amore, ognuno di noi “vede” solo il limite (individuale) di quanto ci viene imposto e non “vede” che il dono di sé è necessario perché l’altro viva e perché avanzi la liberazione generata dall’amore.

Tra due settimane è Pasqua. Il Signore Gesù rinnovi in noi il “vedere” per renderlo capace di scorgere la bellezza della vita anche in momenti di fatica e di dolore come questi.

Buona settimana.

                                                    Preghiera dei “piccoli”

Caro Gesù,

                     appena ho ascoltato dal Tuo Vangelo che i “greci Ti volevano vedere”, ho pensato a san Tommaso. Anche lui voleva “vedere” i segni delle tue ferite prima di credere in Te.

 E sai che cosa mi spiazza di Te? Che Tu u non mi chiedi di fare questa o quella opera buona prima di consegnarmi il Tuo amore.

Tu non mi vuoi bene solo se “vedi” che io mi comporto bene. Tu credi in me, Ti fidi di me e mi vuoi bene senza nulla chiedermi in cambio.

Gesù voglio imparare questo tuo modo di fare.

Insegnami a fidarmi di Te e di chi vive con me senza mai chiedere segni o chissà quale prova.

Gesù voglio fare come il chicco di grano: vivere per gli altri e dare molti frutti.

  

P.S Gesù aiutaci ad uscire da questa pandemia. Siamo di nuovo tutti in  zona rossa.

IV DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

IV DOMENICA DI QUARESIMA  ANNO B     14 marzo 2021

 

Dal Vangelo di Giovanni ( Gv 3, 14-21)

«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15  perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non  vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21 Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 

Nel vangelo di Giovanni la figura di Nicodemo compare solo tre volte. La prima al capitolo 3 in cui si dice che era “uno dei capi dei Giudei” (Gv. 3,1) e che si reca da Gesù “di notte”. La seconda quando prova timidamente a difendere Gesù (“La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?” – Gv. 7,50). E, infine, dopo la morte di Gesù in cui si dice che porta, per la Sua sepoltura, “circa 30 chili di una mistura di mirra e di aloe” (Gv. 19, 39).

Tre distinti momenti che possono interpretare molto bene quanto stiamo vivendo.

  1. Da oltre un anno siamo immersi nella notte della pandemia senza vedere i segni dell’alba. Solo in Italia le cifre parlano di oltre tre milioni di contagiati e più di 100.000 morti (quasi 3 milioni i morti nel mondo). Siamo stanchi e persino sfiduciati.
  2. L’8 marzo celebrato all’inizio della settimana ci ha ricordato che sono ancora troppe le donne vittime di compagni che confondono il possesso con l’amore (12 donne uccise solo dall’inizio di quest’anno!).
  3. Il profetico e coraggioso viaggio di Papa Francesco in Iraq ci ha obbligato a vedere anche ciò che preferiremmo ignorare: gli orrori delle guerre, gli scandali delle armi vendute per fare profitto, la distruzione della vita e dell’habitat generato dall’odio e dalla violenza, il doppio diritto ad emigrare di ogni essere umano, etc.

Domanda: non siamo un po’ tutti come Nicodemo? Alla ricerca della verità e – allo stesso tempo – così “timorosi” delle conseguenze del nostro muoverci, da agire con il favore delle tenebre e con tutte le nostre ansie e insicurezze. Cerchiamo la vita, ma siamo anche un po' complici con chi la nega e la calpesta! Non possiamo sentirci in colpa per il fatto di vivere nella parte del mondo più garantita, ma non possiamo sentirci autorizzati a girarci dall’altra parte quando veniamo a conoscenza delle ingiustizie del pianeta. Vorremmo reagire, cambiare qualcosa, seminare speranza e costruire contesti in cui non si debba obbligatoriamente parlare di paura, di morte, di malattia e di ingiustizie. Non sappiamo però da che parte andare. In che direzione muoverci e come portare luce e speranza là dove sembrano vincere buio, notte e disperazione.

       Il colloquio tra Gesù e Nicodemo ci offre una gran bella pagina di metodo, di speranza e di sostegno anche spirituale. Intanto ci conferma sul fatto che la Sua Parola non è mai inoperosa. Una volta entrata in noi e ascoltata con libertà e fiducia, scava nel nostro cuore, lo abita e fa crescere in noi la gioia di chi si sente amato e la forza di chi sa adoperarsi per fermare l’avanzare della morte. Quel timido cenno al capitolo 7 del suo vangelo in cui l’evangelista ci presenta Nicodemo come desideroso di maggior giustizia per Gesù, è, il primo frutto di quella Parola ascoltata “di notte” e che comincia a trasformare il vivere. Nicodemo non si muove più dando la priorità a quelli del suo clan (“prima i nostri!”), ma si sente interpellato dall’ingiustizia e prova a schierarsi dalla parte della libertà e della verità (riconoscendo che in Gesù non ci sono colpe). La frase di Gesù - “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.” – sta ormai facendosi spazio nel suo cuore per convincerlo che l’amore è più forte dell’odio proprio come la vita vince la morte. Nicodemo non ha ancora capito che cosa vuole dire che “il figlio dell’uomo deve essere innalzato come Mosè innalzò il serpente nel deserto”, ma non appena vedrà Gesù sulla croce che muore per noi e che perdona i suoi carnefici (oltre ad accogliere anche chi gli muore accanto), capisce che quell’essere “innalzato” sulla croce è il segno dell’amore con cui Gesù ci ha amato. Nicodemo – reso “adulto” e “solido” dalla Parola di Gesù – ha ora la forza di portare, nel “giardino” in cui viene deposta la salma di Gesù, 30 chili di profumo: perché la fragranza della vita fermi – una volta per tutte – l’avanzare della morte. Là dove la pandemia ci vorrebbe mangiare la speranza, nei contesti di guerra e di devastazione creati da troppe armi e nelle case in cui si piange la morte di una donna a causa della violenza di chi l’avrebbe dovuto proteggerla, avanzi il profumo della vita e dell’amore con la stessa delicatezza, speranza e forza con cui Nicodemo ha fatto il “suo” gesto. Buona Quaresima.

                                                                                                    

Preghiera dei piccoli

                                        

                         Caro Gesù,

                   vero che Nicodemo è quello che ha portato 30 chili di profumo per la tua sepoltura?

Proprio lui che era pieno di dubbi, di paure e che non voleva farsi vedere parlare con Te (quello che ti cercava “di notte”), non appena ha saputo che Tu sei morto in croce, è l’unico che si prende cura del tuo corpo dopo la Tua morte in croce

Quel profumo, secondo me, è il suo modo per ringraziarti di tutto quello che gli hai insegnato e per dirti che ha capito: Tu non sei venuto per condannare il mondo, ma per portare a tutti noi il profumo dell’amore di Dio.

Gesù anch’io sono un po’ come Nicodemo. A volte ho paura a farmi vedere con Te; altre volte vorrei cercati “di notte” per chiederti di aiutarmi a vivere bene.

Grazie Gesù perché Tu non ci condanni mai e perché porti nella mia vita il profumo dell’amore di Dio.

 

Preghiera dei figli di Abramo

Preghiera dei figli di Abramo   (7 Marzo 2021 )

Durante il viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq, al termine dell’incontro interreligioso svoltosi nella Piana di Ur – il luogo dove visse Abramo, patriarca comune a ebrei, cristiani e musulmani – è stata pronunciata in arabo la Preghiera dei figli di Abramo. Eccola:

 

Dio Onnipotente, Creatore nostro che ami la famiglia umana e tutto ciò che le tue mani hanno compiuto, noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, insieme agli altri credenti e a tutte le persone di buona volontà, ti ringraziamo per averci donato come padre comune nella fede Abramo, figlio insigne di questa nobile e cara terra.

Ti ringraziamo per il suo esempio di uomo di fede che ti ha obbedito fino in fondo, lasciando la sua famiglia, la sua tribù e la sua patria per andare verso una terra che non conosceva.

Ti ringraziamo anche per l’esempio di coraggio, di resilienza e di forza d’animo, di generosità e di ospitalità che il nostro comune padre nella fede ci ha donato.

Ti ringraziamo, in particolare, per la sua fede eroica, dimostrata dalla disponibilità a sacrificare suo figlio per obbedire al tuo comando. Sappiamo che era una prova difficilissima, dalla quale tuttavia è uscito vincitore, perché senza riserve si è fidato di Te, che sei misericordioso e apri sempre possibilità nuove per ricominciare.

Ti ringraziamo perché, benedicendo il nostro padre Abramo, hai fatto di lui una benedizione per tutti i popoli.

Ti chiediamo, Dio del nostro padre Abramo e Dio nostro, di concederci una fede forte, operosa nel bene, una fede che apra i nostri cuori a Te e a tutti i nostri fratelli e sorelle; e una speranza insopprimibile, capace di scorgere ovunque la fedeltà delle tue promesse.

Fai di ognuno di noi un testimone della tua cura amorevole per tutti, in particolare per i rifugiati e gli sfollati, le vedove e gli orfani, i poveri e gli ammalati.

Apri i nostri cuori al perdono reciproco e rendici strumenti di riconciliazione, costruttori di una società più giusta e fraterna.

Accogli nella tua dimora di pace e di luce tutti i defunti, in particolare le vittime della violenza e delle guerre.

Assisti le autorità civili nel cercare e trovare le persone rapite, e nel proteggere in modo speciale le donne e i bambini.

Aiutaci ad avere cura del pianeta, casa comune che, nella tua bontà e generosità, hai dato a tutti noi.

Sostieni le nostre mani nella ricostruzione di questo Paese, e dacci la forza necessaria per aiutare quanti hanno dovuto lasciare le loro case e loro terre a rientrare in sicurezza e con dignità, e a iniziare una vita nuova, serena e prospera. Amen.

 

III DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

Dal Vangelo secondo Giovanni 2, 13-25

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cor- dicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordaro- no che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.

Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tut- ti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo.

 

Propongo, all’inizio di questa riflessione un breve stralcio della Lettera che il patriar- ca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, inviò, all’inizio della Quaresima 2001, ai cattoli - ci della Sua Diocesi e agli israeliani coinvolti in continui e incessanti bombardamenti:

Ho visitato in questi giorni alcune parrocchie in Palestina ed ho ascoltato i fedeli, ho ascoltato anche le autorità civili: il loro linguaggio è quello di tutte le parrocchie e le loro preoccupazioni sono le preoccupazioni di tutti noi. La prima preoccupazione, che comprende tutto il resto, concerne la situazione politica difficile in questi giorni: le strade bloccate, l'assedio imposto alle città ed ai villaggi, la mancanza di lavoro, il bombarda- mento israeliano continuo, la distruzione delle case e in più le difficoltà all'interno della società palestinese e infine l'idea dell'emigrazione (questo concerne i cristiani della Pale- stina). Per ciò che riguarda le case che non cessano di subire i bombardamenti israeliani, noi diciamo agli israeliani: “Distruggete le nostre chiese, ma risparmiate le case dei no- stri fedeli”. Se avete bisogno ad ogni costo di una punizione collettiva e se vi serve un ri - scatto per dare tranquillità ai nostri figli innocenti ed alle nostre famiglie noi vi offriamo le nostre chiese: distruggetele. Troveremo altri luoghi per pregare e continueremo a pre- gare per noi e per voi. …. Noi consentiamo ad offrire le nostre chiese come riscatto per ogni casa che volete demolire ma non possiamo consentire al fatto che delle case di perso- ne innocenti siano demolite e che siano obbligati ad emigrare dalla loro terra.

 

Non c’è commento migliore a questa pagina di Vangelo. Anche perché ha ragione l’evangelista: non c’è bisogno del Tempio in muratura per incontrare il Dio di Gesù e so- prattutto non ha senso portare in quel Tempio la logica del mercato dove può ottenere l’amore di Dio solo chi ha il denaro sufficiente per acquistarlo. Per questo Gesù usa la frusta e caccia “tutti fuori dal Tempio”: per “portare fuori” l’intera umanità (noi compresi) dalla lo- gica sbagliata del voler costruire una casa a Dio (dimenticandoci di dare una casa a chi è al freddo, senza dimora, senza patria e senza speranza!) e dalla tentazione di fare un Tempio retto dalle logiche del Mercato: dove può incontrare Dio solo chi ha i meriti e i soldi per ac- quistare il Suo amore. L’amore di Dio -vuole spiegarci san Giovanni – non è in vendita per la semplice che il Dio di Gesù si dona a tutti gratuitamente. Il denaro è uno strumento che

 

aiuta a vivere bene insieme. Quando però il denaro si piazza nel nostro cuore e diventa un idolo e un assoluto, rovina la vita tanto dei ricchi (che passano l’esistenza ad accumulare una ricchezza che non genera gioia) quanto quella dei poveri perché invidiano e sognano di diventare anch’essi tristi come i ricchi.

Si noti la finezza: come il Dio di Mosè ha liberato il popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto, così Gesù ci “conduce fuori” dalle catene che ci mangiano l’anima e ci rendono schiavi. E dopo aver donato l’acqua trasformata in vino (simbolo di gioia di festa che non fi- nisce – Gv. 2,1-12), ora Gesù ci chiede di incontrare Dio grazie al suo Suo corpo dato per noi che ci sfama e che ci nutre per aiutarci a reggere il cammino della libertà (Gv. 2,13-25). Con Gesù – ci dice san Giovanni – non c’è più Tempio, sacrifici da compiere o offerte da versare per poter stare vicino a Dio. Gesù si consegna a noi come il solo Pane in grado di sfamarci e di incamminarci sui sentieri della libertà. Per questo i primi animali che Gesù spinge fuori dal Tempio sono le pecore (“scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi”): perché Gesù è il Buon Pastore che ci “conduce fuori” dall’idolatria del denaro e dal deserto dell’avarizia e dell’egoismo.

A volte anche noi siamo tentati di pensare che Dio abita nelle nostre chiese. Non pos- siamo dimenticare – però – che le nostre belle e care chiese, sono luoghi dedicati al culto e al servizio della preghiera comunitaria (e per questo sono importanti). Ma non sono la “casa di Dio”. Il Padre di Gesù abita nel tempio sacro del nostro cuore, Dio abita dove si prega in- sieme e dove si ama; Dio è nelle baracche di chi è senza cibo, senza cure e senza speranza. L’uomo calpestato e offeso dalle ingiustizie è il vero Tempio di Dio. E tutto questo per ricor - darci – sempre – che Dio “abita” nelle case dove si sorride, dove ci si perdona e dove si pas- sa del tempo per servire chi ha meno.

Buona Quaresima di liberazione.

 

Preghiera dei “piccoli”

 

Caro Gesù,

aiutami a capire: a me il mercato piace. C’è chi

grida, chi chiacchiera, chi compra, chi guarda, … insomma: è un posto bello e pieno di vita.

Secondo me anche a Te piace il mercato. E chissà quante volte ci sei andato anche Tu al mercato in riva al mare.

Perciò se hai preso la frusta e cacciato tutti i mercanti dal Tempio, non è perché hanno fatto il mercato nel Tempio, ma perché volevano “vendere” l’amore di Tuo Padre a tutti, an- che ai poveri.

Per questo Ti sei arrabbiato: perché Tu hai dato la Tua vita per spiegarci che Dio ci ama sempre, gratuitamente e che il Tuo amore è solo donato. Mai venduto.

Al mercato chi non ha i soldi non può comperare nulla.

Grazie a Te, Gesù, chi non ha nulla è accolto, amato e servito da Dio prima degli altri.

Sei forte Gesù.

I DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

 Vangelo  secondo Marco 1,12 -15

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

 

Inutile girarci attorno: per riuscire a reggere e a sopravvivere in tempi così duri e difficili, serve un “tempo forte”. E la Quaresima è proprio questo: un tempo forte (e speciale) che ci permette di ritrovare speranza nonostante l’ambiente esterno ci ricordi che la pandemia non è ancora debellata.

E vediamo come il Vangelo di questa domenica ci aiuta ad entrare in questo “tempo forte”. Con una annotazione tanto intensa quanto dirompente. Prima di intraprendere la “Sua” vita pubblica, Gesù viene spinto dallo Spirito Santo nel deserto. Non è una annotazione periferica. Lo Spirito Santo prepara Gesù al dono di tutto sé stesso proponendogli una robusta “sosta” nel deserto. Non si tratta, di conseguenza, di un ambiente “negativo”. Lo Spirito Santo “sospinge” e conduce Gesù là dove la formazione diventa concreta, vera, solida e completa. Nel paradiso terrestre Adamo ed Eva non hanno vinto la sfida. Egoismo, delirio di onnipotenza, ambizione e divisioni, hanno prevaricato sulla loro vita e si sono ritrovati “nudi” (il segno per eccellenza della loro povertà, lontani tra loro, da Dio a anche da sé stessi). Lo Spirito “sospinge” Gesù nel deserto perché vuole comunicare a tutta l’umanità che con Gesù inizia l’uomo nuovo. Grazie a questa straordinaria scuola dello Spirito (che usa il deserto come cattedra e come palestra), Gesù è pronto per andare dalla parte giusta: in direzione della solidarietà, della tenerezza, della complicità con chi sta male e dell’umiltà. Nel deserto, Gesù-nuovo Adamo non ritrova solo sé stesso, ma scopre anche la bellezza della fraternità e la gioiosa armonia con il Dio della vita.

Ecco perché si chiama “tempo forte”: perché lo Spirito Santo ci conduce dalla parte opposta a quella a cui solitamente vorremmo andare. Senza la guida dello Spirito Santo, ognuno di noi è tentato di andare nei ritrovi soliti: dove si pensa solo a sé stessi, dove non si vedono le miserie altrui, dove non ci si deve commuovere per gli altri, pagare di persona, mettersi al servizio di chi ha bisogno o denunciare le ingiustizie subite da terzi. Senza la guida dello Spirito Santo, ognuno di noi si reca là dove il suo rancore può crescere, dove ci dà a ragione a vicenda e dove si può alimentare l’odio per un nemico da abbattere e mai da perdonare. E per aiutarci ad entrare nei territori della bontà, della generosità, della solidarietà e del perdono, ci vuole forza e – senza tanti giri di parole – una piccola grande spinta data dall’amore di Dio che si chiama Spirito Santo.

Ma quali sono le tentazioni di satana di cui parla san Marco? Il secondo evangelista non entra (come san Matteo) nel dettaglio. A lui basta annotare che nel deserto Gesù era “tentato da Satana”. Ma le spinte di Satana che Gesù vince le conosciamo: la prima riguarda il vivere pe se stessi e l’anteporre il mio bisogno a quello degli altri (che in italiano si chiama egoismo); la seconda è data dal credere a Dio solo “dopo” che Lui mi ha fatto la grazia o il miracolo che gli ho chiesto (della serie fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio!); la terza, infine, è definita dalla logica del potere ed è rappresentata dalla voglia di vivere per avere fama, per contare, per conquistare prestigio e essere servito anziché servire. Ed è esattamente questa la buona notizia che l’evangelista ci consegna con pochissime parole: Gesù non si lascia vincere dalle “belve selvatiche” che di solito distruggono la vita di tutti. Queste “bestie selvatiche” si sottomettono a Gesù perché è Lui è più forte del male. Ma con altre quattro parole, san Marco ci informa che Gesù non è, nel deserto, da solo: con Lui ci sono “gli angeli” che lo servivano. L’espressione è molto bella perché ci segnala non solo che con Gesù il servizio vince sulle disumane logiche del potere, ma ci dice anche che chi segue Gesù in questa scomoda ma liberante scuola, diventa anche lui capace di servire e dunque di stare bene.

Dall’inferno della cattiveria, dell’avarizia, della solitudine e di tutto ciò che nega l’amore – ci comunica questo “tempo forte” – si può uscire.

Il Regno di Dio è vicino, ci comunica Gesù. E “vicino” vuole dire “accanto”, “alla nostra portata”, “in mezzo a noi”, “prossimo”. La bontà di Dio bussa alle nostre porte. E lo Spirito ci “sospinge” dove ognuno di noi può trovare la libertà data dal servire, dal perdonare e dal donarsi agli altri. Questo vuole dire “convertirsi”: lasciarsi accompagnare dalla parte opposta a quella in cui vorremmo andare quando siamo arrabbiati, pigri o delusi.

E questo significa “vivere la Quaresima”: prendere coscienza che questo “tempo forte” può passarci addosso senza che nessuno se ne accorga. Il vecchio e sempre attuale “ritiro” di cui una volta si parlava, è esattamente questo: un aiuto per stare con la sola Parola che ci salva; per fare del “pregare” un’azione vera e non soltanto un’intenzione; per dare all’amore un po’ di concretezza (e chi sta male ha bisogno di aiuti tangibili, non tanto di buone preghiere), per imparare a perdere, a perdonare e a dimenticare i torti subiti. Per diventare beati. Un gran bel programma. Buona Quaresima.

 

Preghiera dei piccoli

 

 Caro Gesù,

          non mi ero mai accorto di questo particolare, ma chi Ti ha “spinto” ad entrare nel deserto è lo Spirito.

Io pensavo che il deserto fosse un posto brutto dove si vive male e dove ci viene proposto di fare il male.

Se è lo Spirito che Ti ha aiutato ad entrare in quel luogo, vuole dire che il deserto è un posto bello.

Come una palestra: in cui ti alleni per diventare più forte.

Gesù quest’anno anch’io vado in palestra. Dove va mia mamma.

Ti prego Gesù: chiedi al Tuo Spirito di spingere anche me nel “deserto”: dove ci si allena per diventare buoni, forti e dove si impara a vivere per gli altri e non per se stessi.

Gesù grazie per questo tempo di Quaresima.

Fino a Pasqua voglio allenarmi, ogni domenica, con l’aiuto del Tuo Vangelo.

Ciao Gesù, sei Tu il mio Mister.

II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

  Vangelo secondo  Mc. 9, 2-10

«Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!”. 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. 9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti».

 

All’inizio del suo Vangelo, san Marco ci presenta Gesù che lascia la “Sua” Galilea per “scendere” verso la valle del fiume Giordano e ricevere il battesimo: “Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.” – Mc. 1,9). Gesù, come Abramo, “lascia” la sua casa, i suoi famigliari e la sua terra per raggiungere il posto, geograficamente parlando, più basso della terra (il fiume Giordano sfocia nel mar Morto a 397 sotto il livello del mare). Ma perché Gesù sceglie un posto collocato sotto il livello del mare? Per ricordarci che la vita umana è piena, completa e liberata solo se si decide di guardare verso chi sta peggio di noi e di “scendere” verso loro per contrastare – con amore, perdono, servizio e impegno – le ingiustizie subite.

Bello da dirsi e forse anche romantico da scrivere. Più in profondità – però – la logica di Gesù va in direzione opposta del nostro cosiddetto “buon senso”. Per noi e per i nostri figli cerchiamo – quasi istintivamente – la “vetta” per arrivare, il più spediti possibili, al successo, all’apice di una carriera prestigiosa e remunerativa, alla “riuscita” della vita intesa come essere famosi, importanti, ai posti di comando, etc. Il nostro “buon senso” ci spinge ad impegnarsi per “salire”, sempre e comunque, per vincere, dominare, comandare, etc.

Le logiche di Gesù sembrano quanto di più distante possa esistere rispetto ai nostri schemi mentali. E sia chiaro: vale per tutti. Quante volte Papa Francesco ha chiesto anche a Cardinali, Vescovi, Monsignori e preti (non solo a loro, ma a tutti, nessuno escluso) di stare lontano dalle logiche mondane del potere e del voler essere, a tutti i costi, i primi!

Ma torniamo al Vangelo di Marco (dal quale è sempre bene non allontanarsi troppo). Con questo passo siamo al capitolo 9. A metà dell’opera perciò. E l’evangelista vuole fare capire al suo lettore che le lezioni impartite da Gesù non sono (ancora) riuscite a “bucare” le dure pareti mentali del “buon senso”. Il Maestro parla di amore per tutti, di dare la vita, di perderla e di servire. Ma loro – come accade anche a noi – non riescono proprio ad entrare in quella mentalità. Non la capiscono perché è distante anni luce dal loro modo di vivere.

Gesù Maestro non si scoraggia. Sa molto bene che se i suoi alunni non capiscono la sua lezione, non basta sgridare o insultare chi non riesce ad entrare nell’insegnamento impartito: è necessario cambiare il modo di fare la lezione. Per questo li prende con sé e li porta su un monte, in alto e in disparte: per dimostrare loro – oltre la sole parole – che il Suo scendere inaugurato nel momento del battesimo (capitolo 1), non è movimento fine a sé stesso, ma la vera grande premessa per incontrare la libertà, la giustizia e per essere beati.

Il senso della Trasfigurazione di Gesù sul monte, con Pietro, Giacomo e Giovanni, è proprio questo: una specie di doposcuola (un momento di rinforzo scolastico) consegnato da un Maestro speciale a chi ha ascoltato i “suoi” insegnamenti, ma non le ha ancora interiorizzate. “Rabbì, è bello per noi essere qui” dice Pietro. Non ha ancora capito che quella bellezza, quella leggerezza e quella libertà che sperimenta chi si lascia portare da Gesù “in alto”, è il frutto e la conseguenza dello “scendere” verso i sentieri dell’amore, del servizio e del contrasto all’ingiustizia. Pietro non ha ancora capito che il fiume Giordano (sotto il livello del mare) e il monte Tabor sono le due facce della stessa medaglia, come il venerdì santo svela il mattino di Pasqua (e viceversa).  Ma non ha importanza: alla scuola di Gesù Maestro e camminando al Suo seguito, lo capiranno.

Resta una domanda: come possiamo salire anche noi su quel monte con Gesù come hanno fatto Pietro, Giacomo e Giovanni? La risposta ci proviene dalla voce che avvolse la nube: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo”. Seguire Gesù, ascoltare la Sua Parola, nutrirsi, leggere e meditare il Vangelo, restare insieme e nella comunità: è questo ciò che ci aiuta a capire che con il nostro “buon senso” e con la nostra voglia di “salire” verso il potere e il successo non arriviamo lontano mentre – con la proposta di Gesù – imbocchiamo la Strada della beatitudine.  Buona domenica.                                                                                  

 

                                                                               Preghiera dei “piccoli”

                  Caro Gesù,

             il don ci ha detto che hai portato Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte perché volevi fare – con loro – un po’ di doposcuola.

Visto che non capivano il Tuo insegnamento, te li sei portati “in disparte” e hai spiegato loro, con calma, che Tu non vuoi vincere contro tutti ed essere il Messia solo di pochi. Tu vuoi donare la Tua vita per tutti, nessuno escluso.

Gesù, adesso tocca a me ricevere un po’ di ripetizioni. Mamma mi ha iscritto, dopo la pagella, al doposcuola sotto casa.

Adesso capisco perché tutti ti chiamano Maestro: perché prima dai l’esempio e insegni. Poi, se vedi che qualcuno non capisce (o non vuole capire!), Tu non ti arrendi. Attivi il Tuo doposcuola e spieghi di nuovo. Finché chi Ti segue è in grado di aprire il suo cuore alle Tue Parole. 

Gesù “prendi” anche me, per il tuo doposcuola.

IL CIELO È DI TUTTI

IL CIELO È DI TUTTI

Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi
di ogni occhio è il cielo intero.

È mio, quando lo guardo.
È del vecchio, del bambino,
del re, dell'ortolano,
del poeta, dello spazzino.

Non c'è povero tanto povero
che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito
ne ha quanto il leone.

Il cielo è di tutti gli occhi,
ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera,
le stelle comete, il sole.

Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.

Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.     (Gianni Rodari)                                                                                                            

 

 

"Clandestine sono.
Vengono dall'Africa
senza bagaglio
e senza permesso.
Se la ridono
di confini e divieti.
Clandestine sono.
E libere.
Le rondini".              ( Vittorio Merlini )

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B 14 febbraio 2021

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  B  14 febbraio 2021

«Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”. 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: “Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”. 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte».  (Mc 1, 40-45)

   

Il primo elemento di questo Vangelo che aiuta la nostra preghiera è il movimento del lebbroso verso Gesù. Molte volte è Gesù che prende l’iniziativa. In questo racconto, ci dice san Marco, è il lebbroso che si muove per primo. “Venne da Gesù un lebbroso”: è il malato che decide di partire e di cercare il rabbì di Nazaret di cui ha sentito parlare. E una volta trovato non sta in disparte per osservarlo in attesa che qualcuno glielo presenti. L’evangelista scrive che “lo supplicava in ginocchio”: nella classica postura di chi si sente disperato, con nulla da perdere e – proprio per questo – estremamente libero nell’implorare aiuto, purificazione e guarigione. Non sono particolari periferici. Con pochissime parole san Marco ci dice che prendere coscienza del proprio stare male, muoversi e cercare aiuto è – per certi aspetti – l’inizio della cura. La vera tragedia si consuma in chi non è disposto a riconoscere che da anni convive con l’inquietudine e con la mancanza di gioia interiore (sempre così di corsa e talmente ovattati nel proprio “grigiore” da non essere capaci di chiedere aiuto e sempre con addosso la maschera della finzione).

Profondo conoscitore del cuore umano, san Marco ci dice che contro la libertà del singolo nemmeno Gesù può intervenire. Ma l’evangelista ci dice anche che la vera proverà in cui siamo immersi è quella del non riuscire a verbalizzare il nostro malessere. Rassegnati e sfiduciati, siamo – quasi sempre – convinti che ormai i giochi sono fatti; che la vita, ormai, è andata così e che nulla può cambiare (ci sentiamo, insomma, come quel lebbroso per il quale nulla si poteva più fare!). Se questo stato d’animo ci assale interiormente, si resta passivi. Rigidi e incapaci di inginocchiarci per cercare l’aiuto che smuove, che cambia e che libera la nostra esistenza. Forse è anche questo il compito delle nostre comunità cristiane: diventare il luogo che ci facilita il prendere coscienza del “chi siamo” e che ci offre la possibilità di inginocchiarci per supplicare Gesù – presente nei fratelli e nel Vangelo – perché  liberi e guarisca il nostro cuore.

E quale è la reazione di Gesù? “Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio sii purificato!». Quattro verbi uno più bello dell’altro. “Ne ebbe compassione”: Gesù non giudica e non condanna. Non è distratto e non si gira dall’altra parte. Si coinvolge. Si “muove” dentro per andare verso chi sta male (“com-muove”). “Tese la mano”: è la mano di Dio offerta a chi è in difficoltà per portarlo fuori dalle acque del male. “Lo toccò”: su questo verbo dobbiamo fermarci un istante. Dal punto di vista della morale del tempo “toccare un lebbroso” è gesto proibito, vietato e “folle”. Il rischio per chi “tocca” un lebbroso è di ritrovarsi malato come lui e la certezza è quella di entrare in quella impurità che esclude chi ha commesso il gesto proibito da qualsiasi vita sociale. Sul fatto che Gesù poteva guarire quel disgraziato anche senza “toccarlo”, non ci sono dubbi (anche perché subito dopo il lettore scopre che è la Sua Parola che cura, che guarisce e che toglie ogni forma di impurità!). Domanda: perché allora san Marco sente il bisogno di annotare che Gesù “lo toccò”? Per darci l’esempio. Per ricordarci che se il fratello che ci vive accanto sta male, non basta parlare, discutere, dissertare o pregare per lui. Dobbiamo anche coinvolgerci per “toccare” la sua carne e aiutarlo a stare meglio. Gesù tocca quel lebbroso per dimostraci che Dio non ha paura della nostra carne malata e ferita e che come Lui anche noi dobbiamo diventare capaci di portarci verso l’umanità che soffre: senza paura di sporcarci le mani nei confronti di chi è ai margini della nostra società.

Non si tratta di una istigazione alla disobbedienza civile in un’epoca di doverosi distanziamenti sociali imposti dalla pandemia. Il “toccare” trasgressivo del rabbì di Nazaret è la vera buona notizia che cerchiamo perché ci ricorda che Gesù non è un’idea che prova a convincerci e non è nemmeno un’opinione o un concetto prezioso e valido. Gesù è la carne” di Dio che guarisce le nostre ferite e ci rende liberi di coinvolgerci verso l’umanità ferita di chi – vicino a noi – è piegato dalla miseria. Gesù è buona notizia anche perché ci ricorda che fasciare le ferite dei poveri (insieme e come comunità, mai da soli!) è la sola strada che ci porta alla giustizia. E chi calpesta questo sentiero, in un attimo si ritrova capace di amare e così libero da lasciarsi amare.

Prima di concludere un veloce, ma cordiale e intenso augurio a chi si sente coinvolto dalla festa degli innamorati. E dunque a tutti noi se partiamo dal fatto che il Dio di Gesù è innamorato della nostra condizione e fa di tutto per coinvolgersi per noi e per consegnarci quella Parola capace di parlare al nostro cuore e di metterlo in pace.

Buona domenica e buona festa a tutti.

 

 

Preghiera dei piccoli                 

                       Caro Gesù,

           l’anno scorso, con mio papà, ho visto un film che parlava dei lebbrosi. Erano vestiti di stracci, con il campanellino appeso al collo e obbligati a gridare – se incontravano qualcuno – “Impuro, impuro” per fare sentire che stavano arrivando.

Tu non stai lontano dal lebbroso che Ti cerca. Ti lasci avvicinare da lui. Ti commuovi; gli tendi la mano, lo tocchi (ben sapendo che era contagioso e che era proibito toccarlo) e gli parli.

Gesù, secondo me Tu potevi guarirlo anche senza “toccarlo”. Se lo hai fatto è perché volevi darci l’esempio e ricordarci che per aiutare i poveri non basta parlare di loro: dobbiamo muoverci verso di loro e non aver paura di “toccarli” e di stare con loro.

Gesù visto che a Torino i vigili urbani hanno gettato nell’immondizia le coperte dei poveri, con mia mamma ne abbiamo portata una delle nostre alla Caritas.

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  B  - 7 gennaio 2021

 Dal Vangelo di Marco  1, 29 -39

 Bello constatare che Gesù non va in casa di Simone e Andrea perché c’è una persona ammalata, ma l’esatto contrario: dopo essere entrato in quella abitazione gli “parlano” della suocera di Simone ammalata e Lui decide di avvicinarsi a lei, di prenderla per mano e di guarirla. Pochissimi versetti di densità inesauribile tanto dal punto d vista teologico quanto per le nostre relazioni domestiche e persino per il nostro essere chiesa. Partiamo da questo ultimo aspetto. Gesù non dispone di cattedrali, di basiliche o di chiese parrocchiali per stare con i “suoi”. I suoi incontri Gesù li consuma quasi sempre in strada, in riva al lago, su un prato o seduto su una barca. Il particolare di oggi, però, è molto bello. I professionisti ricevono nello studio i loro clienti/pazienti. Gesù non è un professionista che riceve su prenotazione. Lui cerca ciascuno di noi e non ha nessuna paura ad entrare nelle case di chi insegue per fare di ogni abitazione un autentico contesto di comunione, di pace e di concordia. Significa che solo Gesù rende “case”, cariche di comunione, le nostre abitazioni. Senza di Lui i nostri ripari domestici restano edifici, muri, pareti (di mattone e/o di cartongesso). Solo se in queste strutture entra Lui – Gesù – le relazioni si dilatano, chi occupa quelle stanze diventa capace di uscire da sé stesso, di accorgersi dell’altro e di accogliere chi convive con lui sotto lo stesso tetto. Gesù rende possibile l’amore che deve caratterizzare ogni casa perché ci rende in grado di perdonare le inevitabili imperfezione di ogni altro, di gioire per la diversità di chi ci è accanto e perché ci abilita ad amare l’altro – finalmente – senza volerlo consumare e senza sforzarsi di cambiarlo.

Senza Gesù e la sua Parola, le nostre “belle” case rischiano di diventare piccole grandi prigioni che nascondono litigi, incomprensioni, fatiche, sofferenze non escluse violenze.

I dati relativi al forzato lock down che ci ha chiusi tutti in “casa-edificio”, parlano chiaro: “Nell'ultimo anno i procedimenti per maltrattamenti in famiglia sono cresciuti del 20%”, ha dichiarato senza fare sconti Ignazio De Francisci, procuratore generale della Corte d'Appello di Bologna. E così come sono diminuiti i femminicidi della criminalità, sono aumentati quelli consumati tra le pareti domestiche! Avremmo fatto volentieri a meno della dimostrazione scientifica, generata dalla pandemia, del fatto che le nostre “case” hanno la capacità distruggere e di negare l’amore mai nato al loro interno e di attivare ripetute violenze sui minori, sulle donne e sui più deboli.

Mentre però i giornali ci confermano questo triste dato, all’inizio di febbraio la chiesa ci offre la pagina del Vangelo di Gesù che, recandosi da Simone e Andrea, è pronto ad entrare – se siamo disponibili ad aprirgli la porta – nelle case di tutti noi.  E lo fa perché sa molto bene che al di là delle dichiarazioni di principio di chi abita la sua famiglia, la malapianta della divisione, della discordia, del litigio e della incomprensione è sempre pronta a crescere e a rovinarci la vita.

Ma che cosa fa Gesù in casa? Facilità il parlare tra chi abita quelle pareti e con Lui (“Subito gli parlarono di lei”). Che significa zittire e impedire lo sparlare (male!) degli assenti. Ma Gesù porta il Suo sguardo (e quello di chi è con Lui) verso chi sta peggio di noi e si prodiga per sostenere la parte più debole della dimora (e il fatto che la malata sia una donna, è una bella provocazione considerato che in Italia nel 2020 è stata uccisa – in casa sua e da un suo stretto congiunto – una donna ogni tre giorni!). Il rischio, per tutti noi, è di fare l’opposto: guardare, dalle “finestre sul mondo delle nostre case”, chi sta meglio, invidiarlo e poi parlare male di lui. Se questo meccanismo si attiva, però, si avvia l’invidia che tutto corrode e che – per inseguire il proprio personale potere – sfascia ogni possibilità di bene comune, di verità e di libertà. E poi quel (bellissimo) verbo che rimanda all’uomo nuovo e al mattino di Pasqua: La fece alzare prendendola per mano. La mano di Gesù che ci prende ci rimette in piedi. In posizione verticale. Con la schiena diritta.

(“la febbre la lasciò ed ella li serviva”) e non dalla isteria del rincorrere un solitario star bene che si chiama egoismo.

Sembra proprio che lo Spirito Santo abbia colto la stanchezza delle nostre case (troppo chiuse e persino caratterizzate dal coprifuoco) e – fedele come la colomba al suo nido (che è il Figlio di Dio) – ci voglia ricordare, con l’aiuto del Vangelo, che senza il Signore Gesù le nostre abitazioni non diventano luoghi di riposo, ma stanze in cui si prova a sopravvivere senza grandi risultati.

Ma la celebrazione eucaristica domenicale non è questo? Il ritrovarsi insieme come persone e come famiglie perché ogni nostra “casa” diventi luogo di pace, di comunione e di perdono che accoglie persone: capaci di parlare bene, di aprirsi agli altri, di stare in piedi (con la schiena diritta e nella postura dell’umanità nuova che ci ha consegnato il Signore Gesù ne mattino di Pasqua) e di servire senza sempre voler essere serviti.

Buona domenica.

 

             Preghiera dei “piccoli”              Caro Gesù,

la nonna (che mio papà chiama “suocera”) vive in casa con noi. Io spero tanto che non si ammali mai, ma oggi ho capito che Tu e le malattie non siete amici.

Tu non mandi le malattie a nessuno e quando queste arrivano, Tu fai di tutto per toglierle e per fare guarire chi è ammalato.

È molto bello, Gesù, leggere che appena hai preso per mano la suocera di Simone, la febbre se ne è andata e lei si è messa a servire.

Gesù prendi anche me per mano. Tienila stretta, la mia mano. Accompagnami sempre e dammi la forza – ogni giorno – di fare quello che ho già capito: che c’è più gioia nel servire che nel farsi servire.

E grazie, Gesù, per tutti i medici, gli infermieri e per quanti, in ospedale, si mettono al servizio dei nostri malati e li tengono per mano.