Preghiere poesie

III DOMENICA DI QUAREISMA Luca 13, 1 - 9

III DOMENICA DI QUAREISMA  Luca 13, 1 - 9

 

Due disgrazie ieri, ai tempi di Gesù: Galilei uccisi gratuitamente nel Tempio di Gerusalemme su ordine di Pilato e diciotto persone schiacciate e uccise dal crollo della torre di Siloe. Cronaca nera. Tragedie ad alto impatto sociale. Anche Gesù ne è a conoscenza. E decide di commentare quanto scuote l’opinione pubblica. Per evitare che vengano lette o interpretate come un castigo di Dio per peccati commessi da chi è stato ucciso.

Mille disgrazie oggi, ai nostri tempi: guerre, massacri, aggressioni, incendi con 59 morti bruciati vivi (Macedonia), terremoti, ma anche malattie, incidenti stradali e lutti che aggrediscono le nostre case. La tentazione di attribuire a Dio queste disgrazie è sempre presente: “Ma dov’era Dio?”, “Perché permette queste disgrazie?”, etc. Dio, però, non è un burattinaio che a qualcuno dà il potere di spadroneggiare sulla vita degli altri; altri li punisce con disgrazie che si sono meritate; mentre altri ancora, invece, li “prova” con malattie che solo Lui può mandare e – ovviamente – solo Lui può togliere o curare.

Era così ieri ed è così ancora oggi. Non c’è potente della terra – da Trump a Putin passando per Netanyahu – che non dichiari di essere stato incaricato da Dio a svolgere quanto di bene (purtroppo poco) e di male (tanto!) sta facendo. Gesù ribadisce a caratteri cubitali, in questo passo del Vangelo, che il Dio che ha creato il cielo e la terra e che ci ha voluti a Sua immagine e somiglianza rispetta la nostra libertà. Sempre e per tutti. Non è Lui, dunque, che manda malattie a piccoli, grandi o anziani o che organizza incidenti sul lavoro, in discoteca o sulla strada. Il Dio di Gesù non si preoccupa di rendere uno Presidente per poi collocare un altro dalla parte della opposizione. E se qualcuno dice che è Dio che gli ha affidato quell’incarico amministrativo, dirigenziale o politico, è evidente che si tratta di un bugiardo e di un manipolatore del genere umano. Dio non “manda” malattie o guarigioni come punizioni o premi. E chi prima di entrare nel gioco d’azzardo invoca il nome di Dio per ottenere vincite strepitose, sappia che compie una doppia immoralità: la prima perché spera di vincere del denaro con il gioco anziché ottenerlo con il lavoro; la seconda perché “invoca il nome di Dio invano”.

Significa che Dio è assente dalla nostra vita? Assolutamente no. Ci è accanto. Ci è vicino. È chinato su di noi per aiutarci ad ascoltare la Sua Parola – il Vangelo – ed è costantemente con noi con il dono dello Spirito Santo che, giorno dopo giorno, ci guida per un’esistenza in direzione del bello, del vero, del buono e del giusto. D’altra parte il nome del Signore Gesù è “Emanuele”, il Dio-con-noi, ma non per assecondare i nostri deliri di onnipotenza (quante volte i potenti usano il nome di Dio per giustificare le loro nefandezze!) o per cambiare all’ultimo minuto l’evolversi della cronaca che dipende solo e sempre da noi. Dio è con noi con il Gesù risorto e il Suo Spirito per aiutarci a capire i tempi che viviamo da soli e per educarci a riconoscere la sua presenza in quanto ci accade. Pochissimi versetti prima di questo passo, Gesù così dice folle: “Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: "Arriva la pioggia", e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: "Farà caldo", e così accade. 6Ipocriti! Sapete valutare l'aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?” (Luca 12, 54-57).

Come a dire: non scomodate la fede in Dio per capire dove siete e quanto vi accade. Ma sappiate che nella storia di ogni giorno il Dio di Gesù ci lascia mille segni della Sua presenza affinché ognuno di noi sappia riconoscerlo, ascoltarlo e seguirlo. Ma per fare questo è necessario che ognuno di noi decida di “convertirsi” e decida di mettere al centro della sua vita non l’io che rincorre sé stesso, ma l’altro: che per noi è fratello e – allo stesso tempo – colui che ci fa incontrare l’Altro di cui abbiamo continua nostalgia.

Cambiare modo di pensare. Cambiare modo di vivere. Cambiare modo di giudicare la storia, la società e il fratello. Cambiare modo di amare per immettere in questa attività la forza liberante del perdono. Cambiare anche il modo di pregare e di credere: per non usare Dio per i nostri affanni quotidiani, ma anche per non estrometterlo dalla nostra vita così da perdere la speranza e la voglia di infinito. Significa educare il nostro cuore a pensare, a giudicare e ad agire come il Signore Gesù

Quanta speranza in questa pagina di Vangelo. E se non riesco, si domanda il lettore di san Luca? Nessuna paura. Quando il padrone della vigna si accorge che il suo albero di fichi non produce frutti, dà ordini al vignaiolo di tagliarlo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”.

Ma il vignaiolo – che fuor di metafora è il Signore Gesù – replica al padrone della vigna: “Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l'avvenire.”. Dio non decide per noi e non si sostituisce alla nostra libertà. Ma Suo Figlio, il Signore Gesù, ci è accanto per sostenere le nostre incertezze; per implorare presso il Padre un supplemento di pazienza per la nostra conversione; per donarci – finalmente – la forza di portare, là dove viviamo, frutti di bontà, di giustizia e di solidarietà. Il Signore Gesù non guida, non studia e non prende le medicine al nostro posto. Ma zappa attorno al nostro cuore affinché venga sradicata la cattiveria dell’egoismo, dell’avarizia o del rancore e ciascuno di noi diventi capace di assumersi – liberamente – le sue responsabilità per fare quel bene di cui abbiamo conoscenza e che a volte non riusciamo a realizzare.

Ecco il bello della Quaresima.

                                                                                 Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    anche oggi accadono disgrazie. In Macedonia, l’altro giorno, sono morti bruciati vivi 59 giovani. Israele ha messo fine alla tregua nella Tua terra e ha ripreso a bombardare i palestinesi. Ma è così in qualsiasi guerra nel mondo.

Ma le disgrazie avvengono anche nelle nostre case; dove viviamo. Il papà di un mio compagno è morto all’improvviso per un infarto fulminante.

Grazie Gesù perché oggi ci ricordi che non è Dio che ci manda le disgrazie e che la causa del male non è mai del Padre Tuo.

Tu sei sceso sulla nostra Terra, Gesù, per aiutarci ad uscire dal male, non per punire l’uno o l’altro con guerre, terremoti, malattie o incidenti stradali.

Grazie Gesù perché con noi non usi la “scure” che condanna e che uccide, ma la “zappa”: che pulisce il terreno per aiutarci a portare frutti di pace e di bontà.

II DOMENICA DI QUAREISMA

II DOMENICA DI QUAREISMA (Lc. 9,28b-36) - 16.III.2025

09 Marzo 2025

 

 

Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante

 

Sono in molti a giudicare il tempo presente come particolarmente “buio” e lontano da fonti di luce e di speranza. Ed è inutile negarlo: immigrazione, guerre che non si riescono a fermare, crisi delle democrazie occidentali, trasformazioni geopolitiche impensabili fino a qualche anno fa…, sono tutti segnali che rendono legittimo e giustificato il nostro pessimismo. Senza contare il ricorrente richiamo a scudi atomici e ad armi nucleari per illudersi di illuminare la notte che stiamo attraversando. Come se i tragici bombardamenti di Hiroshima e di Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945 non ci avessero insegnato nulla!

Il Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima ci indica un’altra strada per trovare la luce quando si è alle prese con prove straordinarie e con oppressioni, sconfitte e aggressioni che sembrano irrisolvibili. Perché è questo ciò di cui Gesù è pienamente consapevole e che annuncia ai suoi discepoli: “Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (Lc. 9,22). Giorno dopo giorno, Gesù prende sempre più coscienza che il suo modo di muoversi in questo mondo carico di ingiustizie, di violenza e di falsità è destinato ad infrangersi contro il potere religioso (e politico) che, insieme, lo condanneranno alla morte in croce. Gesù non cambia il suo essere, il suo dire o il suo fare per evitare una condanna sempre più certa. Non arma – però – nemmeno un esercito superiore a quello dei suoi avversari per sperare di vincerli sul piano militare, delle armi e della forza. Sei versetti dopo questo tragico e doloroso annuncio, Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni per recarsi “sul monte a pregare”. La tradizione collocherà poi la cosiddetta trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, ma per l’evangelista ciò che conta non è il luogo, ma il fatto di presentare al suo lettore la sola fonte di luce vera in grado di contrastare le tenebre della violenza, delle ingiustizie, della morte e dell’arroganza di ogni potere. Ma perché Gesù costruisce questa originalissima catechesi per alcuni dei suoi discepoli? Perché sa molto bene che il cuore umano è perennemente tentato di “fermare” la violenza con altra violenza. Perché sa che armi chiamano armi e perché è consapevole che solo dall’amore, dal perdono e dalla nonviolenza si ottiene quella luce vera che è realmente in grado di fermare il male di ogni ingiusta aggressione. Per convincere i suoi discepoli che la vera forza è data dalla scelta della nonviolenza, Gesù anticipa – per loro – il mattino di Pasqua. Rivediamo il testo.

Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Chi prende l’iniziativa, ancora una volta, è Gesù. È Lui che prende con sé chi vuole. E si noti il particolare: il Maestro non si fa accompagnare dalle folle. Individua un piccolo gruppo. Perché sa che solo nel piccolo gruppo si riesce realmente ad essere presenti, ad imparare e ad assimilare un insegnamento. Li invita a salire sul monte con Lui e chiede loro di essere testimoni al Suo pregare. Messaggio forte e chiaro: nel piccolo gruppo chiamato da Gesù ci siamo anche noi. Chiamati per nome, dice l’evangelista, per sottolineare la bellezza e l’intensità della pedagogia di Gesù. “Non capite la logica della giustizia che oppone all’avanzare del male e della violenza la grammatica dell’amore – dice Gesù – bene, salite con me sul monte. Seguitemi e familiarizzate con il mio pensiero e con la mia Parola”. Sarà questo camminare con Lui e questo pregare con Lui che renderà possibile la trasformazione interiore. Fino a quando, a poco a poco, chi segue Gesù e si fida della sua Parola, prende coscienza che in lui cambiano non solo gli schemi mentali, ma anche le relazioni e le proprie emozioni. All’inizio non si capisce la logica di Gesù. Sembra illogica. Si resiste e si è convinti che al buio della violenza si debba reagire con la debole luce delle armi.

San Luca descrive la resistenza dei tre a fidarsi della proposta di Gesù con la categoria del sonno (“Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno”). Non si fidano. Fino a quando Gesù mostra loro la luce sfolgorante del mattino di Pasqua: vittoria del bene e della vita sul male e sulla morte. È questo il cammino a cui siamo chiamati in questa quaresima: opporre alla luce falsa delle bombe atomiche (che tutto distruggono e che spengono l vita), la veste candida e sfolgorante di Gesù che educa il nostro cuore alla grammatica della vita, del perdono e della giustizia aperta all’amore.

Nessun esegeta riuscirà mai a dirci perché Gesù ha preso con Sé solo Pietro, Giacomo e Giovanni. Come mai nessuno ci spiegherà perché siamo stati battezzati, perché abbiamo risposto alla chiamata di Gesù e perché abbiamo provato a seguirlo. Tra mille dubbi e tante paure anche a noi, oggi, è chiesto di salire sul monte. Con Lui. Di pregare con lui. E di fissare quella luce sfolgorante che illumina cuore, vita, società e conflitti perché si fermi – una volta per tutte – il diffondersi dell’odio che prepara morte e guerre.

Buona quaresima a tutti.

 

 

 

Caro Gesù,

                   ma perché Pietro, Giovanni e Giacomo ogni volta che Tu preghi si addormentano?

Perché sono anziani o perché non accettano quello che Tu proponi loro?

Secondo me si sono addormentati per non sentire i Tuoi “discorsi”.

Tu hai detto loro che avresti dovuto soffrire, dare la vita, essere rifiutato, arrestato, ucciso e poi risorgere. E loro hanno chiuso i collegamenti perché cercavano un Messia vittorioso e forte, non uno che muore in croce come un bandito.

Quando “sentono” che Tu non comandi, ma che servi e quando “vedono” che Tu non dai posti speciali ai tuoi amici, ma che scegli l’ultimo posto per stare vicino a chi sta male, loro si rifiutano di sentire i Tuoi “discorsi”.

Chiudono gli occhi per non vedere, per non sentire e soprattutto per non cambiare. E dormono.

Tu però non molli.

Li aspetti. E hai pazienza con ciascuno di noi.

Grazie Gesù.

 

VIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO anno C (Luca. 6, 39 - 45)

VIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO anno C (Luca. 6, 39 - 45) 

“Può forse un cieco guidare un altro cieco...Perchè guardi la pagliuzza...l’albero e i frutti”

Fa parte della natura umana cercare aiuti e consigli quando si è alle prese con scelte difficili o desiderare, per il proprio procedere, una guida capace di illuminare tratti di cammino particolarmente bui. È esperienza di tutti. E oggi molto più di ieri. Forse perché le vecchie certezze si stanno sgretolando; certamente perché siamo all’interno di cambiamenti epocali, ma anche a causa del sistema sociale in cui siamo immersi che ci rende tutti – nessuno escluso – atomi vaganti alle prese con una solitudine mai sino ad oggi sperimentata.

Qualcuno, per uscire dall’isolamento dell’io, cerca aiuto nell’oroscopo o nelle carte. Altri si affidano a psicologi, a psicoanalisti o a psichiatri a cui confidano le proprie incertezze e i propri dubbi nella speranza che il professionista di turno illumini un cammino carico di ansie e di paure. Altri ancora si affidano a guide più spirituali e meno sanitarie. Tutti – però – sperano di essere affiancati e guidati quando, nella vita, si fa la complessa esperienza del non saper discernere “dove” andare, “con chi” o “perché”. È in questi casi che l’aiuto di una “guida” competente e autorevole diventa indispensabile. A patto che – come dice Gesù nel Vangelo di Luca – la guida a cui si affida la propria vita non sia “cieca” E, di conseguenza, incapace di guidare. L’immagine è efficace: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?”. San Luca raccoglie diversi detti di Gesù. Li unisce in un unico discorso al termine delle cosiddette beatitudini per consegnarci la buona notizia: la certezza che è possibile – con il Suo aiuto – trovare non solo una “guida”, ma diversi accompagnatori autorevoli e competenti per il nostro incerto procedere.

Ma a chi si riferiva Gesù con la parabola del cieco che guida un altro cieco? Certamente a tutti coloro che, con il pretesto di guidare gli altri, si impegnano solo per ampliare il proprio potere, il proprio consenso e la propria ricchezza. Era così ai tempi di Gesù. Era così ai tempi di san Luca (cinque decenni dopo la vicenda del Gesù storico) ed è così ancora oggi. Che senso hanno i partiti, per fare un esempio, che anziché raccogliersi attorno ad un’idea di sviluppo e di giustizia sociale “chiudono” la propria identità nel nome del leader predestinato (da chi?) a fare il Presidente del Consiglio? Ma non sono “guide cieche” anche quanti lavorano più per la guerra che non per la pace? Quanti intravedono nei poveri, negli stranieri e nei disperati una minaccia da cacciare anziché risorse che ci aiutano ad uscire dall’egoismo che ci avvelena la vita? Chissà quanti – mentre san Luca scrive – sono alle prese con la propria autocandidatura per diventare non “guide”, ma padroni di ingenui discepoli del Signore Gesù incapaci di evitare la trappola dei falsi maestri e delle guide cieche.

Esiste però un ulteriore pericolo che san Luca intende denunciare affinché quanti leggono e pregano il suo Vangelo non perdano la guida della Parola di Gesù. L’evangelista vuole impedire che ogni battezzato “cerchi – da solo – il “suo” esclusivo maestro, la “sua” personale guida spirituale e il “suo” terapeuta senza nessun riferimento alla dimensione comunitaria del vivere. Se questo accade – ed è esattamente quanto avviene oggi – il discepolo del Signore Gesù esce dalla dimensione comunitaria in cui è stato inserito ed entra in un mercato di guide (cieche!) che evidenzia la fine della vita comunitaria.

Il vero accompagnatore cristiano – dice Gesù per bocca di san Luca – è la comunità cristiana. È all’interno della comunità che celebra l’eucaristia che Gesù Risorto guida, con il Suo Spirito, i suoi discepoli e – di conseguenza – ciascuno di noi. Significa fare della comunità cristiana il luogo in cui ognuno di noi può trovare mille maestri e altrettanti aiuti e accompagnatori sapendo – però – che nessun guida avrà il monopolio assoluto della sua vita. Solo al Signore Gesù è bene affidare la propria esistenza, se si vuole costruir la propria casa sulla roccia. E con Lui e grazie a Lui, lasciamo che la comunità cristiana ci offra le sue (molteplici) guide e ci aiuti per sciogliere insicurezze e dubbi vari. 

Senza il filtro della comunità guidata da Gesù risorto e dalla Sua Parola, chi si presenta come “guida”, spesso e volentieri entra nella manipolazione del plagio, del consumare la libertà dell’altro e del plasmare chi ha bisogno di aiuto a proprio uso e consumo.

La guida solitaria (e lontana dal Vangelo) è “cieca”, anche se è convinta di possedere l’unica verità che esiste e, proprio per questo, si presenta – inevitabilmente – come arrogante, falsa e violenta pur di imporre le sue convinzioni per obbligare chi deve seguirlo ad una obbedienza cieca e assoluta. Lo abbiamo visto in queste ultime settimane alle prese con guerre che non finiscono mai: nascono ogni giorno nuove “guide” e improvvisati mediatori che si vendono come gli inviati da Dio per difendere – di fatto – solo i propri interessi.

Ancora una volta il Vangelo del Signore Gesù si presenta a noi come proposta di libertà. E ci conferma che Papa Francesco – al quale va tutto il nostro affetto e per il quale continuiamo a pregare – è guida autentica perché non si allontana mai dal Vangelo e perché ci ricorda che solo il Signore Gesù è la Strada che ci porta alla Pace vera e giusta che come profeta instancabile continua a chiedere e a proporre all’umanità tutta.

Buona domenica.

 

                                                                           Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    la maestra ci ha insegnato che le piante sono come le persone, ma non uguali alle persone.

Sono come noi perché sono esseri viventi che nascono, crescono e muoiono. Sono diverse da noi perché ogni pianta può fare solo un tipo di frutto, mentre noi umani possiamo compiere diversi tipi di azioni o, come dici Tu Gesù, siamo in grado di produrre frutti sia buoni che cattivi.

Mi piace tanto questa distinzione, Gesù.

Vuole dire che la persona che produce frutti cattivi non è cattivo, ma uno che ha fatto del male. Se però la persona cambia e decide di fare il bene, anche chi ha fatto del male può tornare ad essere una persona buona.

Grazie Gesù perché non ci chiudi mai nella cattiveria o nel male. E se anche ci comportiamo male Tu ti prendi cura di noi per aiutarci a fare frutti buoni.

Gesù ti prego per Papa Francesco. Aiutalo a guarire.

VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Lc. 6,27-38) - 23.II.2025

Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

 

Il passo che la chiesa ci propone questa domenica per la nostra preghiera segue le cosiddette beatitudini di Luca e con questa sintesi – Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso - Luca ci presenta il cuore di tutto il suo Vangelo. Ed il messaggio è molto forte: siamo amati da Dio non perché perfetti, ma perché autentici, limitati, forti e deboli allo stesso tempo, con voglia di bontà e capaci anche di fare il male. Il Padre di cui parla Gesù riversa su di noi il suo amore senza nessun calcolo dei nostri meriti ed è questo amore – senza limiti – che ci introduce nella misericordia di Dio di cui parla l’evangelista.

E vale la pena fermarsi su alcuni versetti di questo inesauribile passo del Vangelo.

A voi che ascoltate io dico”: Gesù non parla a pochi addetti ai lavori, agli specialisti o a ristrette cerchie di eletti. Parla a chi lo segue, ai suoi discepoli e aggancia l’essere beati all’ascolto della Sua Parola. Quante volte ce lo chiediamo: ma che cosa devo fare per essere più tranquillo, meno stressato o vicino alla felicità? San Luca lo sa: affidarsi e fidarsi della Parola di Gesù; ascoltarla, interiorizzarla, pregarla e metterla in pratica. Solo così il discorso di Gesù proclamato “da un luogo pianeggiante” (Lc. 6,24: e dunque rivolto a tutti e a ciascuno, nessuno escluso) riesce a cambiare il cuore del battezzato.

Amate i vostri nemici, … fate del bene a quelli che vi odiano…, benedite quelli che vi maledicono…, pregate per quelli che vi trattano male…”: chi è stato inondato dalla misericordia di Dio non può fare altro che “restare” in quell’onda d’amore partita da Dio e scoprire che quel movimento rende forte, buona e bella la vita di chi ascolta la sua Parola. Nessun accenno a difendersi o a comportamenti negativi. Alla scuola dell’amore di Dio si impara l’atteggiamento positivo di chi risponde al male con il bene. E quel “fare del bene” riportato nel testo è – in realtà – un invito a “fare del bello” (il termine tradotto con “bene” in greco rimanda al concetto di “bello”). Per dire che cosa? Che l’amore di Dio innesca un movimento di bontà e di bellezza che – se accolto e lasciato entrare nel nostro cuore – rende il mondo un giardino perché si ferma il “brutto” dell’egoismo, del rancore, dell’avarizia, della violenza e delle divisioni e si dà spazio alla bellezza del dare, del donare, del perdonare e della comunione che supera ogni rancore con la forza dell’amore.

Non giudicate…, non condannate …, perdonate.”. È la logica conseguenza della premessa. Ma sia chiaro: Gesù non ci chiede di annacquare la distinzione tra bene e male. Giudicare l’agire e l’azione del fratello è sano e doveroso. Sapendo, però, che non si riesce mai ad arrivare alle sue intenzioni più profonde e che cosa ha determinato quell’agire. Ciò che ci rende “brutti” e scontenti dentro è passare dal giudicare l’azione del fratello alla sentenza sulla persona che diventa non solo un giudizio contro di lui, ma una vera e propria presa di distanza da lui. Quando si giudica l’altro e non la sua azione, lo si condanna e lo si colloca tra i diversi, tra i pericoli e tra le minacce per il nostro stare bene (da soli e senza di lui). È l’inizio dell’inferno. Scompare il perdono. Sospetti e pregiudizi diventano puntualmente confermati da sguardi che fanno di tutto per tenere l’altro “oltre da me”, tra i nemici. Non ha importanza se un tempo si era vicini e intimi. Penso a tutte quelle coppie che passano dall’innamoramento folle a conflitti e litigi in cui ciascuno tira fuori il peggio di sé e che – spesso e volentieri – solo gli avvocati conoscono in profondità. Da amanti felici si diventa nemici carichi di odio e di infelicità.

Penso anche alle nostre “case” dove spesso e volentieri sono i calcoli precisi, le divisioni ritenute ingiuste per un’eredità divisa in modo non giusto (così pensa chi si sente offeso) che tolgono il sorriso, la serenità, la pace e l’armonia agli eredi! E quante volte nei condomini, sul lavoro, a scuola o nei contesti più diversi si è alle prese con il litigio, con la rottura di comunione e con l’invidia perché uno è convinto che l’altro prenda di più o paghi meno di quanto dovrebbe! Ma è così anche nelle guerre senza fine perché condotte da popoli e culture che non conoscono la parola perdono.

La misericordia di cui parla san Luca è la scelta di uscire dal calcolo degli equivalenti (tanto ricevo tanto dò) per imparare la logica dell’amore senza limiti e senza calcoli che Dio riversa – sempre – su di noi.

Siate misericordiosi” propone san Luca: nella vita di coppia, nella famiglia, sul lavoro, in politica, in comunità (laiche e cristiane) e dove si vive. Entrate nell’onda dell’amore di Dio e rilanciatela in avanti. Fate il bene, fate il bello. E la vostra vita – resa forte dall’amore di Dio, dal Suo dare e dal Suo perdono – diventa “beata”.

Buona domenica.

 

VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

 

Luca 6,27-38

 

 

Caro Gesù,

                     ho appena preso la pagella. È bella e mamma e papà mi hanno fatto i complimenti.

Il mister però ha detto ai miei genitori che devo lavorare su di me perché sono permaloso e vendicativo. E lui dice che con questi difetti non si cresce bene.

Non me lo aspettavo. Ero tutto concentrato sulla pagella e la “sgridata” è arrivata dal calcio.

Devo riconoscere, però, che l’allenatore ha ragione. Ad ogni spintone che ricevo ne restituisco due e se ricevo una parolaccia io passo subito alle mani.

Gesù, a volte mi sembra impossibile cambiare questo aspetto del mio carattere. Anche se so che dopo ogni vendetta non mi sento migliore.

Ti prego, Gesù, aiutami ad essere “misericordioso”. Rendimi capace di voler bene e di non condannare. E dammi la forza di dare, di donare e di perdonare come Tu hai fatto con noi e con me.

 

 

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Lc. 6,7.20-26) - 16.II.2025

Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.

 

I dati ISTAT 2024 sulla povertà in Italia sono discretamente inquietanti e vale la pena prendere coscienza del numero delle famiglie in povertà assoluta che, secondo questo rapporto, sono aumentate rispetto agli anni precedenti raggiungendo circa 2,2 milioni di nuclei familiari. Significa 6,2 milioni di individui “poveri”, pari al 10,3% della popolazione.

Il Report di Save the Children ci fotografa invece il mondo dei bambini e ci dice che il 13,4% delle bambine e dei bambini tra 0 e 3 anni è in povertà assoluta e circa 200mila di età compresa tra 0 e 5 anni (8,5% del totale) vivono – sempre in Italia – in povertà alimentare, ovvero in famiglie che non riescono a garantire almeno un pasto proteico ogni due giorni.

Numeri che si vorrebbe non conoscere, non vedere e non “incontrare” perché, da una parte, generano ansia e – dall’altra parte – ci ricordano che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Già ai tempi di Gesù povertà, fame e pianto erano strettamente collegate e facce diverse della stessa medaglia: quella della miseria.

Non siamo abituati a leggere le prime tre beatitudine di san Luca come un’unica sintesi. In realtà secondo l’evangelista il “povero” (letteralmente “pitocco”: participio passato del verbo “piegare” e dunque il “piegato” perché con la schiena curva nell’atto del mendicare per sfuggire ai morsi dello stomaco vuoto) è – di fatto – chi ha fame e chi, a causa di queste assolute privazioni, piange. Alla luce di questa premessa è più facile cogliere la continuità dell’unica beatitudine articolata in tre passaggi: "Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete.” (Lc. 6,20).

Ma non è l’unico particolare che merita di essere annotato di questo passo del Vangelo di Luca. È indispensabile anche capire se l’evangelista intenda, con questo suo messaggio, dire che i poveri, gli affamati e i piangenti sono “beati” in quanto tali. Se così fosse dovremmo salutare con gioia i dati sopra riportati e quasi benedire chi crea le condizioni affinché il numero dei poveri aumenti nel nostro Paese e nel mondo intero. Dovremmo persino “benedire” chi fa in modo che il numero dei poveri cresca!

 E che dire di Trump: ha chiuso l’Agenzia Umanitaria voluta da Kennedy che ha distribuito, nel 2023, medicinali a mezzo milione di bambini colpiti dall’HIV; che ha portato cibo ricco di nutrienti a “piccoli” in pericolo di morte e che – sempre nel 2023 – ha investito 20 miliardi di dollari per programmi sanitari finalizzati a combattere la malaria, la tubercolosi, l’HIV, l’AIDS e le epidemie di malattie infettive oltre ad investire risorse ed energie per dare assistenza umanitaria ai tanti (troppi!) popoli devastati dalle guerre?

No: san Luca non considera dei valori la povertà, la fame o la disperazione di chi piange a causa della sua miseria. Tra la parola “beati” e il vocabolo “poveri” l’evangelista inserisce quel piccolo pronome – “voi” – che serve per indirizzare il Suo discorso ai discepoli, non ai poveri. Ed il messaggio è chiaro: Voi che oggi mi seguite e che siete vittime di ingiustizia, di persecuzioni, di privazioni; “voi che ora avete fame”, “voi che ora piangete” (e si noti come “ora” ancora il discorso di Gesù all’oggi, al presente) sappiate che il Regno di Dio è ormai in mezzo a voi. Quello che il profeta Isaia aspettava (“Il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri…”, con Gesù si è avverato “oggi”, “ora”.

Voi discepoli”, dice Gesù. “Noi battezzati” dobbiamo leggere pregando in questa fredda domenica di febbraio. Noi siamo “beati” se siamo disponibili ad entrare nel Regno di Dio che Gesù ha inaugurato e che ci rende capaci di condividere il nostro troppo con chi ha niente; se ci accorgiamo di chi ha fame, di chi piange e di chi sta male per sorreggerlo e sostenerlo; se siamo disposti a perdonare, a dimenticare il male ricevuto e a fare il bene. Beati siete voi – dice Gesù – se sarete liberi da ogni potere che dimentica il servizio e la difesa del debole. Beati siamo noi se scegliamo di vivere seguendo Gesù e il suo Vangelo che ci cura dalla malattia dell’accumulare, dell’avarizia, dell’egoismo, delle inutili divisioni e della vendetta.

San Luca è l’evangelista della gioia al punto che l’intero racconto si apre e si chiude con il forte riferimento alla gioia (1,14 e 24,52). Non solo: sono 11 i brani di questo vangelo che sviluppano il tema della gioia. Segno e conferma che chi scrive non vuole esaltare povertà, fame e pianto, ma l’esatto contrario: vuole inculcare nel battezzato e nel discepolo di Gesù la certezza che vivere secondo lo stile del Maestro di Nazaret rende “beati” e immerge nella “gioia”. Ma vale anche il contrario: uscire dalla grammatica delle beatitudini proclamate da Gesù significa spingere la propria vita verso quei “guai” (da intendere come lamentazioni non come minacce) che oggi potremmo definire come stile di vita all’insegna delle continue lamentele (“sono tutti contro di me”), ansie perenni, depressioni e tristezze permanenti dalle quali non si riesce ad uscire.

Solo il Vangelo ci rende beati e con il cuore carico di gioia.

Buona domenica.

 

 

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

 

Luca 6,17-20.26

 

 

Caro Gesù,

                   papà ha ritagliato, da un giornale, una scheda sui poveri in Italia. Due milioni e duecentomila famiglie sono povere (che significa 6 milioni e duecentomila persone: il 10,3% della popolazione italiana).

Un altro dato mi ha impressionato: il 13% dei bambini sono poveri (sul giornale dicono “in povertà assoluta”) e 200.000 tra gli 0 e 5 anni soffrono la fame (povertà alimentare, hanno scritto).

Gesù vuole dire che tutte queste persone sono “beate” o “felici” perché sono poveri?

Gesù aiutaci a capire che Tu non ci vuoi poveri perché in miseria, ma perché capaci di aiutare chi ha nulla.

Quando zio Luca ha portato al centro immigrati sciarpe, cappelli di lana, guanti e maglioni che aveva nell’armadio gli ho chiesto perché lo ha fatto.

“Perché fa freddo – mi ha risposto –, perché non hanno nulla. E perché solo così si vince la povertà”.

Grazie Gesù per le beatitudini.

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Lc. 5,1-11) - 09.II.2025

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Lc. 5,1-11) - 09.II.2025

Disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”.

 

I primi discepoli chiamati da Gesù, nel Vangelo di Marco, sono coppie di fratelli (Mc. 1,16ss). Per ricordare a chi legge che la fraternità – pesantemente ferita dalla vicenda di Caino e Abele – è, grazie al Signore Gesù, nuovamente possibile.

San Luca imposta diversamente la chiamata di Gesù dei suoi primi discepoli. Ci presenta il falegname di Nazaret che chiama a sé Simone e i suoi “soci”, i suoi colleghi, quanti lavorano con lui nella stessa azienda. Sono, insieme, i titolari di un’impresa collettiva abituati a collaborare e a gestire insieme il lavoro della pesca per arrivare, diremmo oggi, “a fine mese”. Hanno volto scavato dal sole e mani segnate dal duro lavoro della pesca. Fa pensare, tra l’altro, che Gesù vada in cerca dei suoi primi collaboratori sulle sponde del lago: tra barche, reti e pescatori e non si sia recato, per questa delicata ricerca di collaboratori al Tempio o presso qualche scuola di scribi o di farisei. Gesù ha cercato “aiutanti” e discepoli tra chi aveva scelto e scommesso sul fare impresa: chi era competente della dura legge del lavorare molto e dei rischi del prendere poco o niente.

La loro reazione è diretta e sincera: “Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. Sono consapevoli dei loro imiti. Non li nascondono. Ma non hanno ancora capito che è proprio questa la ragione per cui Gesù li ha chiamati: perché hanno attraversato – senza scappare – la “notte” e il “nulla”.

Quante volte nella nostra vita dopo tanto lavoro dobbiamo fare nostre queste due parole: “notte” e “nulla”! Penso a tante nostre famiglie e a quanti si sono avventurati nella fatica di una piccola o media impresa. Penso a genitori che dopo sacrifici e sforzi si confrontano con figli che faticano a trovare il loro posto nella vita. Penso ad aziende in crisi che vedono crollare sogni e anni di storia! Ma constato anche progetti politici nazionali o internazionali che si immergono nella “notte” del fallimento perché guidati dalla voglia di risolvere i “propri” problemi economici (locali e nazionali) e non di costruire giustizia e pace nel mondo.

Il Vangelo di san Luca non ha dubbi: se la stella polare dell’impresa (di qualsiasi impresa!) è il profitto sganciato e separato dal rispetto delle persone e dunque dalla vera giustizia, prima o poi si arriva a quella “notte” in cui si prende “nulla”.

Penso a ciò che è stato chiamato lo “tsunami” Trump dopo il suo recente insediamento alla Casa Bianca: se l’obiettivo del nuovo Presidente è rendere sempre più “grande” il proprio Stato affinché possa dominare di più e meglio i Paesi più poveri e se per fare questo l’America è disposta “anche” a fermare il piano chiamato “Alleanza per il Progresso” fondato da J. Kennedy per aiutare i Paesi sottosviluppati ad alzare la testa, i faraonici progetti di chi si sente investito da mandati divini è destinato a fallire e a diffondere disperazione e ingiustizie in tantissimi Paesi meno sviluppati che hanno la sola colpa di cercare speranza e giustizia.

La proposta di Gesù è decisamente più bella, più giusta e più umana. Intanto prima di chiamare a sé condivide percorsi di amicizia e si fa conoscere da quanti saranno invitati a seguirlo. Se nel capitolo cinque del suo vangelo san Luca chiede a Simone e alla sua squadra di “fidarsi” di lui che li farà pescatori di uomini, al capitolo quattro Gesù decide di stare un po’ a Cafarnao: quasi sicuramente a casa di Simone. Il che significa che quando Gesù lo chiama, loro sono già “compagni”; si conoscono e si frequentano. Simone non decide di seguire uno sconosciuto, uno visto per la prima volta. Ma un “amico” che ha un qualcosa di speciale e al quale è possibile dare fiducia. Non aveva senso – dopo una pesca fallimentare – prendere il largo di giorno e nuovamente gettare le reti della pesca. Simone però sa che l’“Amico” che gli ha guarito la suocera è affidabile. Fa suo l’invito di Gesù e lui e “soci” “presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano”.

Ecco la bella notizia: il vuoto, il buio, la notte e il nulla che tante volte arrivano nella nostra vita possano scomparire se decidiamo di affidarci alla Parola di Gesù e se compiamo la scelta di estrarre dall’ingiustizia, dalla miseria e dalle acque del male chi è piegato dalla povertà e non sa come raggiungere l’ossigeno della speranza, della giustizia e della vita dignitosa.

Prendere il largo e diventare pescatore di uomini”: che bel programma.

In fondo è ciò che un tempo si chiamava “vocazione”. E che non riguardava solo preti e suore, ma qualsiasi giovane che – nel processo di crescita e alle prese con la formazione cristiana – sentiva dentro di sé il desiderio di non vivere “solo” per potersi acquistare la casa di proprietà, l’auto o la seconda abitazione al mare o in montagna. Era il sogno – generoso e bello – di chi voleva fare cose “grandi” per gli altri; per chi viveva nel Sud del mondo; per i poveri e per chi era meno fortunato. Come ha fatto Pier Giorgio Frassati che non è diventato né prete né monaco, ma chi si è speso (e spento!) per portare speranza a chi non aveva nulla.

Ed è di questo invito che hanno bisogno come il pane i nostri giovani (e noi con loro).

Buona domenica.

 

Commento al vangelo della III domenica anno C P. Alberto Maggi

     Commento al vangelo della III domenica anno C  P. Alberto Maggi

           

  Vangelo secondo Luca 1,1-4; 4,14-21

 

Quattro volte Gesù, secondo il Vangelo di Luca, entra in una sinagoga, e ogni volta è sempre in una situazione di grande conflitto. La prima volta, quella che la liturgia ci presenta oggi, addirittura cercheranno di ammazzarlo. Vediamo il perché. La liturgia ci presenta l’inizio del Vangelo di Luca, con l’intenzione dell’evangelista di descrivere accuratamente i fatti che altri hanno già narrato, e poi si salta subito, per quelle improvvise alchimie dei liturgisti, al capitolo 4. “Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito” - dopo le tentazioni del deserto - “e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe”. Ecco l’evangelista incomincia a prendere le distanze: le sinagoghe sono loro. Già la comunità cristiana si è distaccata da quella ebraica e quindi c’è questa differenza, sono le loro sinagoghe. “E gli rendevano lode” - gli rendevano lode ma a Nazareth, a quanto pare non accadde la stessa cosa. “Venne a Nazareth” – Nazareth è un borgo di trogloditi, cioè gente che viveva ancora nelle grotte, un borgo selvaggio, conosciuto per essere un covo di nazionalisti, cioè di persone attaccate a ideali religiosi di supremazia di Israele e di violenza contro i dominatori romani – “e, secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga” - è la prima delle quattro volte in cui Gesù entrerà nella sinagoga nel Vangelo di Luca, e ogni volta sarà occasione di conflitto - “e si alzò a leggere.” “Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia” - le letture liturgiche nella sinagoga seguivano un ciclo triennale, pertanto ogni sabato era ben prevista, ben prescritta, la lettura da fare. Ma Gesù, ecco che fa la prima infrazione: non legge il 3 testo previsto per la liturgia di quel giorno, il testo dice invece che - “aprì il rotolo e trovò”. Questo ‘trovare’ è frutto di ‘cercare’: il verbo greco adoperato dall’evangelista è ε?ρ?σκω. Quindi Gesù cerca non la lettura del giorno, ma qualcosa di diverso. E cerca il passo del profeta Isaia, al capitolo 61, dove c’è l’investitura del Messia. “«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione»”, l’unzione in ebraico si dice mashiáh, da cui il termine Messia, che poi tradotto in greco è Cristo, che significa “l’unto”. L’unto cos’è? L’unto è quell’uomo investito della forza, della potenza di Dio, che lo rende una persona divina, una rappresentanza di Dio e della sua forza. «E mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio»”. Il lieto annunzio che i poveri attendono quale può essere? La fine della loro povertà. “A proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista”. Qui non si tratta tanto di restituire la vista ai non vedenti; le prigioni erano tutte sotto terra e i prigionieri, i carcerati, stavano completamente al buio, quindi restituire ai ciechi la vista significa liberare i prigionieri, liberare gli oppressi, come continua “«a rimettere in libertà gli oppressi e a proclamare l’anno di grazia del Signore»”. Ecco perché è la buona notizia per i poveri, l’anno di grazia del Signore è il giubileo, dove, secondo la prescrizione del Libro del Levitico, avviene la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Quindi Gesù parla di questo periodo benevolo di liberazione per tutte le persone, ma, stranamente … il versetto continuava con “il giorno di vendetta del nostro Dio”. E Gesù invece non lo legge; Gesù non è d’accordo con il profeta Isaia. E’ d’accordo col proclamare l’anno di grazia del Signore, cioè il segno della liberazione, ma non è d’accordo con la vendetta sui dominatori. Quindi il versetto continuava con il giorno di vendetta del nostro Dio e Gesù, invece, lo censura, Gesù non lo legge. Allora Gesù già ha fatto una prima infrazione, ha cercato un testo che non era quello liturgico; adesso ne compie anche un’altra: omette la seconda parte di questo versetto. Poi “riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette”.

Il  ‘sedere’ (καθ?ζω) è la posizione del maestro, la posizione di colui che insegna; ebbene, l’atmosfera è carica di tensione.

“Nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui”. C’è grande tensione, queste due infrazioni, ma soprattutto il fatto che Gesù non ha parlato della vendetta, che è quello che gli abitanti di Nazareth, nazionalisti esacerbati, aspettavano.

“Allora incominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta quella scrittura che voi avete ascoltato»”. E qui non capisco perché nella traduzione il traduttore ha eliminato un elemento importante “con i vostri orecchi” (?ν το?ς ?σ?ν ?μ?ν). L’evangelista vuole abbinare gli occhi nella sinagoga (gli occhi di tutti erano fissi su di lui) con gli orecchi. Perché questo? Perché è un evidente allusione al profeta Ezechiele, cap. 12, vers. 2, dove il profeta scrive “Figlio dell’Uomo, tu abiti in mezzo a una genia di ribelli che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono perché sono una genia di ribelli”. Quindi questi occhi fissasti su Gesù non vedono veramente chi è, e le orecchie che ascoltano il suo messaggio non capiscono perché sono una genia di ribelli. Gesù ha annunziato la parola di Dio, del profeta Isaia, ma non ha parlato della vendetta contro i pagani e, aveva scritto l’evangelista, che “tutti gli occhi della sinagoga erano fissi su di lui”. Quindi c’è un’atmosfera di grande tensione. Ebbene, scrive l’evangelista, “Tutti gli davano testimonianza”. Ecco, il verbo ‘testimoniare’, in greco è μαρτυρ?ω, che significa ‘testimoniare, dare testimonianza’, a seconda dei contesti può significare una testimonianza a favore o una testimonianza contro. Ad esempio la stessa forma verbale la troviamo nel capitolo 23 del Vangelo di Matteo, al versetto 31, dove Gesù dice “Testimoniate contro voi stessi”, è rivolto a scribi e farisei. Allora qui questo ‘dare testimonianza’ non è una testimonianza a favore, ma dobbiamo tradurlo con “e tutti gli erano contro”. Erano contro perché Gesù non ha letto il brano del giorno e gli erano contro perché Gesù ha censurato il profeta Isaia laddove parla della vendetta contro i pagani. 5 Quindi tutti gli erano contro “ed erano meravigliati”, cioè scandalizzati, “delle parole di grazia”. Gesù continua a parlare della grazia, cioè della liberazione di Gesù che si rivolge a tutta l’umanità, non è esclusiva di un popolo, ma anche i pagani sono oggetto di questa liberazione. E’ quello che i nazaretani non accettano. Quindi, scandalizzati “delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Non mettono in dubbio la paternità di Gesù, che Giuseppe fosse suo padre, scrive l’evangelista che “era figlio come si credeva di Giuseppe”, ma ‘figlio’, nel mondo ebraico, è colui che assomiglia al padre per il comportamento, per le idee. Ebbene Gesù non ha nulla del padre. Quindi l’evangelista fa comprendere che anche Giuseppe condivideva gli ideali nazionalistici degli abitanti di Nazareth. Ebbene, Gesù, di fronte a questa reazione furibonda da parte di tutti i partecipanti nella sinagoga, non solo non cerca di rimediare, ma mette il dito nella piaga. Mette il dito nella piaga citando due episodi sui quali la tradizione di Israele preferiva sorvolare, cioè l’intervento di Dio a favore dei pagani. Questo era intollerabile. Allora continua e dice: “«Certamente voi mi citerete questo proverbio: ‘Medico, cura te stesso’»”. E qui c’è un’eco di quello che diranno a Gesù quando sarà sulla croce: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso!” “«’Quanto abbiamo udito che accade in quella Cafàrnao’»”, l’evangelista usa il termine dispregiativo perché Cafàrnao era una città di frontiera, di popolazione mista con i pagani, quindi era vista con disprezzo dai puri nazaretani, ”«’fallo anche qui, nella tua patria!’»” “Poi aggiunse: «In verità vi dico: nessun profeta è ben accetto nella sua patria.»” La patria qui rappresenta il luogo della tradizione, il luogo degli ideali religiosi e quando il profeta interpreta e annunzia la volontà di Dio, che riguarda il nuovo, che riguarda il presente, viene sempre rifiutato. E qui Gesù allora, come diceva, mette il dito nella piaga e cita due episodi. 6 Quello della famosa carestia di Israele al tempo di Elìa, ebbene Elìa, il profeta inviato da Dio, da chi andò? Da qualcuno in Israele? No, “andò da una vedova a Sarèpta di Sidòne”, l’attuale Libano. Quindi l’azione di Dio è anche per i pagani. Ugualmente la piaga della lebbra, Gesù cita “c’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”. Cioè quei popoli pagani, nemici storici di Israele, anche questi vengono beneficiati dl Signore, perché Dio non fa preferenze, il suo amore si rivolge a tutta l’umanità. Ebbene, dopo aver citato Elìa ed Eliseo, due profeti che hanno svolto la loro azione a favore dei pagani, la goccia che fa traboccare il vaso! “All’udire queste cose, tutti…” - sono gli stessi ‘tutti’ di sopra, al versetto 22, che gli erano contro - “si riempirono di sdegno” - letteralmente ‘ribollirono’ (?πλ?σθησαν π?ντες θυμο?). “Si alzarono e lo cacciarono fuori della città”. ‘Fuori della città’ è il luogo delle esecuzioni capitali, dove Gesù fu ucciso, fuori della città di Gerusalemme, Stefano, il primo martire, sarà ucciso fuori della città … “E lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale era costruita la città”. La città costruita nel monte era Gerusalemme, costruita sul monte Sion, allora l’evangelista qui unisce Nazareth e Gerusalemme, il primo tentativo di ammazzare Gesù e la città dove verrà eseguita la condanna a morte. “Per gettarlo giù”, quindi la prima volta che Gesù entra in una sinagoga, l’annuncio di questo amore universale di Dio, un amore che non riguarda un popolo privilegiato, ma riguarda tutta l’umanità, incontra resistenza, incontra rabbia, e incontra addirittura violenza. “Ma egli, passando in mezzo a loro” - immagine simbolica che raffigura la risurrezione di Gesù, lo uccideranno, ma lui continuerà la sua esistenza -” si mise in cammino”. Rifiutato da Israele, poi Gesù rivolgerà il suo messaggio d’amore anche ai popoli pagani.

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C (Gv. 2, 1-11)

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  ANNO C (Gv. 2, 1-11) 

Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”

 

Ai tempi di Gesù i simboli per eccellenza dell’abbondanza, della pienezza e della festa erano le “nozze”, il matrimonio e – strettamente collegato a questo evento – il banchetto che consacrava l’evento. Oggi non è più così. Ci si sposa molto meno di ieri. Le coppie si chiamano “di fatto” perché hanno intrapreso la convivenza senza nessun scambio pubblico di consenso ufficiale. E l’industria del divertimento si è così perfezionata che appare quasi preistorico associare la festa al pranzo di nozze.

Ciò che non cambia e che non può cambiare – però – è l’ingrediente della gioia all’interno di feste, divertimenti ed eventi straordinari incaricati di interrompere lo scorrere quotidiano del tempo per consegnare alle nostre esistenze il piacere di vivere.

Ed è esattamente questo ciò che è accaduto a Cana di Galilea: il banchetto imbandito per le nozze dei due sposi si sta svolgendo con tutto il suo carico di passaggi obbligati che devono essere attuati. Ciò che nota Maria – ecco l’attualità di questo passo – è che a quel gruppo di invitati “manca il vino della gioia”. Può succedere. Ancora oggi si può presenziare fisicamente ad una “festa”, ma con il cuore spento, poco motivati e abbastanza lontani dall’orizzonte della felicità. Crociere, viaggi, gite, escursioni, concerti, uscite, concerti, visite o tour enogastronomici…, quante volte si è immersi in questi eventi e la gioia resta il grande assente dell’esperienza consumata insieme.

Se nessuno lo fa notare, si finge che tutto vada bene. “Ci siamo divertiti – si dice. Abbiamo fatto foto e video.”. Le risate non sono mancate. Ma si aspetta il prossimo evento per sperare che si accenda la spia della gioia.

Maria non ha finto di non vedere. È andata da Gesù – suo figlio – e gli ha fatto presente la situazione. “Non hanno più vino”. Gesù sembra indispettito dalla segnalazione della mamma: “Donna che vuoi da me?”. Ma l’occhio attento della mamma ha colto che al di là dell’impreparazione del Figlio ad entrare in azione (“Non è ancora giunta la mia ora.”), la sua richiesta ha fatto breccia nel cuore di Gesù. Il resto è noto: Gesù fa riempire le anfore di acqua e ordina poi che queste vengano portate al banchetto: l’acqua si è trasformata in ottimo vino. La festa è salva. Torna non solo il divertimento, l’allegria e quel clima di sana baldoria senza la quale non c’è festa di nozze, ma si fa strada “anche” la gioia che riempie il cuore di chi partecipa alla felicità degli altri e che rende indimenticabile quell’evento.

Solo Dio sa quanto anche noi abbiamo bisogno che Maria dica a Gesù che in moltissime nostre case, comunità e “banchetti” è finito il vino della gioia. Per imparare che per trovare la felicità non ci è chiesto di cercarla da soli (!) consultando – per sé stessi – il ricco menu che ci viene fornito dall’industria del divertimento. La felicità autentica la trova solo chi è disposto a condividere la gioia di chi – vicino a noi – si accorge di aver nuove ragioni per vivere e per continuare a lavorare e a sperare.

Agli anziani della Chiesa di Efeso che, addolorati, si sono recati al porto per salutare per l’ultima volta San Paolo (certi che non lo avrebbero più rivisto) San Paolo non consegna solenni discorsi o grandi raccomandazioni. Affida a chi lo saluta con il nodo alla gola le parole di Gesù perché le imprimano nel loro cuore: “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (Atti degli apostoli 20,35). Il senso della vera festa attraversa la nostra vita non appena decidiamo di condividere con chi ci è vicino le ragioni della sua piccola e grande gioia. Nel cercare la festa per sé stessi, si spendono molti soldi; ci si stanca e si resta con il cuore carico di nostalgia della vera gioia. Occuparsi di chi ha meno; farsi carico di chi è più debole e creare le condizioni perché nessuno debba essere senza il necessario per vivere vuole dire praticare la grammatica della gioia che si declina con servizio, perdono, accoglienza e libertà dal giudicare.

Facciamo in modo che ai nostri giovani giunga all’orecchio (e al cuore) l’ansia di Maria per le troppe realtà comunitarie senza il vino della gioia. Diamo l’esempio a chi cresce che solo Gesù trasforma l’acqua della nostra quotidianità nel vino della gioia permanente che non delude. E facciamo in modo che non manchino, nei pressi dei nostri figli, le giare che al momento opportuno potranno, su ordine di Gesù, essere riempite di acqua per poi trasformarsi in gioia.

Quali sono queste giare? Il nostro esempio; la nostra testimonianza di servizio e di attenzione alla vita comunitaria; il partecipare alla ricerca del bene comune anche se non si è sempre retribuiti; la disponibilità a non giudicare e soprattutto a non condannare chi è più debole; l’ascolto del Vangelo come la sola Parola che insegna a vivere e che guarisce le nostre malinconie e lo sforzo per imparare a perdonare. Se queste sei giare sono presenti accanto a chi cresce, prima o poi Gesù – su invito di Maria – farà in modo che l’acqua del vivere si trasformi nel vino della gioia.

E preghiamo perché la tregua nella Terra di Gesù si consolidi per preparare quella Pace giusta che tutti attendiamo.

 

 

                                                                                        Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                   al matrimonio della zia a noi bambini ci hanno messo su un tavolo “riservato”.

E al posto del vino hanno messo, sulla tovaglia, aranciate e altre bibite.

Gli sposi ci hanno detto, per ridere, di non bere troppo e Mattia ha risposto: “Fate attenzione anche voi perché chi beve troppo vino poi litiga”.

E poi a noi ha aggiunto: “Il papà di Alessio quando beve troppo vino bisticcia con tutti e tratta male anche i figli. Per questo motivo lui spesso è triste.”.

A catechismo ci hanno detto che solo Tu, Gesù, ci aiuti ad essere felici.

Ti prego Gesù: porta il vino della Gioia in tutte le nostre case.

E porta il vino della Pace anche nella Tua terra: dove, forse, si riesce a “firmare” la tregua e a “fermare” quella brutta guerra che ha distrutto tutto e ucciso troppe persone.

 

P. S: Cana e Gaza sono distanti?

BATTESIMO DEL SIGNORE

BATTESIMO DEL SIGNORE (Lc. 3,15-16.21-22) - 12.I.2025

(Il cielo si aprì.)

 

Quando uno si immerge in un fiume, possono succedere due cose: o che si bagni (e si lavi) o che affoghi. Il battesimo di Giovanni voleva significare queste due cose:

  • chiedere a chi si “battezzava” di “lavare” il male, il peccato e l’egoismo che è in lui;
  • invitare chi si immergeva nelle acque del fiume Giordano ad “affogare” e “uccidere” il suo attaccamento all’io, al male e alla voglia di dominare gli altri.

Ma perché Gesù – che non aveva nessun bisogno di sradicare da sé stesso male, cattiveria e peccati vari – ha deciso di recarsi anche lui di farsi battezzare da Giovanni Battista? Perché vuole rispondere all’umanità che, angosciata, da millenni grida: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is. 63,19). Con il cielo “chiuso”, l’orizzonte della vita è cupo, buio, sbarrato e privo di speranza. Era così ai tempi di Gesù. Ed è così ancora oggi. Ed è per questo motivo che, appena battezzato, Gesù “stava in preghiera, il cielo si aprì e discese su di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba”.

Dicono gli esperti che non esiste posto, sulla terra, più basso del luogo in cui il fiume Giordano si getta nel mar Morto (397 metri sotto il livello del mare). Ed il cielo si apre nel preciso istante in cui Gesù “scende” verso di noi. Da sempre l’umanità rincorre il sogno di “salire” verso l’alto: per raggiungere successo, potere o gloria. E più l’uomo ha tentato questa scalata e più ha dovuto constatare un cielo sbarrato che assiste impotente alle sofferenze che si consumano su questa povera e drammatica terra. Con Gesù Dio decide di prendere l’iniziativa. Non siamo più noi che dobbiamo provare a salire verso il cielo. È Lui – il Dio di Gesù – che scende verso di noi. E che ci mostra il Cielo aperto e lo Spirito di Dio, che in modo corporeo, si posa su ciascuno di noi.

Seconda domanda: ma perché a pochi giorni dal Natale, la chiesa ci presenta Gesù adulto alle prese con il Suo battesimo? Perché non vuole che la celebrazione del Natale diventi una bella poesia o – peggio ancora – una favola al termine della quale si smonta il presepe e si torna alla vita di sempre. La chiesa – esperta di umanità – ci propone di passare da Betlemme al fiume Giordano perché ognuno di noi possa confrontarsi con quel Gesù Signore che ha aperto i cieli per noi e che ci ha “immersi” (nel nostro battesimo) nell’amore di Dio (siamo amati da Lui) che ci educa e ci insegna ad amare chi ci è accanto.

Non siamo abituati a celebrare la festa del nostro battesimo. Rischia di essere una data, un evento e un sacramento di ieri presente solo in qualche foto sbiadita. In realtà quel giorno ci è stato fatto un dono (grande) che – se accolto giorno dopo giorno – ci porta a vivere con il Signore Gesù che ci abilita a vincere, quotidianamente, il male con il bene.

Non solo. Quel giorno – quando siamo stati battezzati – siamo entrati in una comunità che, carica di imperfezione e di limiti, ha il grande pregio di impedire che ognuno di noi si ritrovi in quella dolorosa solitudine che le nostre società del consumismo conoscono molto bene. Inutile negarlo: siamo sempre connessi, ma sempre più soli. Un terzo delle famiglie italiane è composto da un solo elemento! Per moltissimi bambini (e loro famiglie!) la loro prima comunità è quella della scuola (dell’infanzia o primaria). Ma sono soli anche i nostri adolescenti. I quali, per sfuggire a questa avarizia di relazioni, si improvvisano “amanti” prima del tempo: alle prese con “fidanzatine” e “fidanzatini” che, in molti casi diventano la spia che denuncia che si sta crescendo senza la compagnia di una indispensabile vita comunitaria (fonte di gioia e di fatiche). Alle prese con queste solitudini a due, però, i nostri ragazzi non si accorgono che così facendo non riescono a impiantare, nella loro vita, i semi della solidarietà, della generosità e del coraggio per ideali alti e difficili da raggiungere.

Senza la comunità del Signore Gesù che ci consegna il Suo Vangelo e che spezza il pane con noi e per noi, ognuno di noi si illude di poter scegliere i suoi amici, di poterli selezionare, di fare solo ciò che vuole e – ennesima povertà – di sentirsi autorizzato a interrompere impegni di formazione e di servizio agli altri “quando voglio” oppure “quando non sento più nulla dentro” (“Perché io non mi faccio condizionare da nessuno!!!”).

Dopo il Suo battesimo Gesù non è più tornato indietro. Si è posto sulla soglia del cielo per aprirlo in modo definitivo (“squarciarlo”, dice il Vangelo di Marco) e per donarci – in modo definitivo – quella comunità (imperfetto e carica di limiti) senza la quale – però – non conosciamo la fraternità che rompe ogni solitudine, la libertà dell’accogliere l’altro come un dono, la forza rigenerante del perdono e la gioia che scaturisce dal vivere per gli altri.

Buona festa a tutti.

BATTESIMO DEL SIGNORE

 

 

Luca 3,15-16.21-22

 

 

 

Caro Gesù,

                   da piccolo mi sono bruciato davanti a camino. E ancora oggi il fuoco mi attira e mi fa paura.

Il fatto poi che in queste vacanze di Natale molto persone siano morte in casa a causa di stufe e camini difettosi, mi convince sempre più che con il fuoco non si scherza.

È vero che san Francesco lo chiamava “fratello fuoco”, ma io preferisco lasciare che stufe, fornelli e fiamme varie le gestiscano i grandi.

Per questo ho apprezzato quello che Tu, Risorto, hai detto ai tuoi apostoli: “sarete battezzati in Spirito Santo” (Atti 1,5) togliendo il riferimento al “fuoco” che faceva Giovanni Battista.

Grazie Gesù.

Tu non sei venuto per condannare o per gettare nel fuoco chi fa i peccati, ma per aiutare chi è caduto a rialzarsi.

Gesù Ti prego per Zio Giorgio che di lavoro fa il pompiere.

Proteggi lui e chi lavora con lui.

III DOMENICA DI AVVENTO

III DOMENICA DI AVVENTO (Lc. 3,10-18) - 15.XII.2024

(“Che cosa dobbiamo fare?”)

 

La terza domenica di Avvento viene chiamata, tradizionalmente, “domenica della gioia”. E non a caso l’antifona d’ingresso recita così: “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto. Rallegratevi.”. Ma è la seconda lettura, tratta dalla lettera di san Paolo ai Filippesi, a spiegare le ragioni di questo invito alla gioia: “Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!” (Fil. 4,4).

Domani inizia la novena al santo Natale. Mancano meno di dieci giorni alla santa notte che ci ricorda la nascita del Bambino Gesù, l’Emanuele, il Dio con noi. Ma c’è davvero bisogno che la chiesa – in questi giorni di vigilia – ci rivolga questo forte appello al gioire?

In teoria non dovremmo aver bisogno di “solleciti” per “gioire”. In pratica, però, e più in profondità, questo invito rischia di cadere nel vuoto, se prendiamo in considerazione la stanchezza, lo stress, il correre, gli affanni e le fatiche che caratterizzano il tempo che prepara il Natale. Per non parlare della rabbia per una condizione economica che non ci permette la serenità sperata; dell’invidia per chi ha molto di più facendo molto meno; della gelosia per i figli degli altri (l’erba del vicino sembra sempre più verde!); dello stress generato dalle feste con i loro riti obbligatori di doni, di pasti e di condivisioni spesso forzate. Se un bravo regista decidesse di documentare gli sguardi di chi corre tra le luci sfavillanti delle nostre città addobbate per annunciare l’arrivo del Natale, scopriremmo che la quasi totalità dei volti è tra il cupo e il triste, alle prese con una nostalgia di gioia natalizia che non c’è più (legata all’infanzia) e alle prese – da una parte – con le ansie personali di chi ha perso il lavoro, di chi è in cassa integrazione, di chi ha visto fermarsi il suo progetto d’amore o di chi è tra le file di malati seri e affidati a cure impegnative e – dall’altra parte – alle prese con quelle guerre che sono attorno a noi e che ci lasciano attoniti e senza parole a causa del fatto che nessuno sa come sarà possibile arrivare alla Pace.

Alla luce di queste analisi, la terza domenica di Avvento diventa perciò un grande aiuto per uscire dalla malinconia che appesantisce il nostro cuore e che non ci lascia intravedere che il Signore è vicino. Vicino a noi. E così vicino “a me”, da rendere la Sua nascita il grande dono che rene possibile la speranza e la gioia.

Ed un primo e interessante aiuto perché ognuno di noi incontri – finalmente – la gioia piena donata dal santo Natale, ci viene dal Vangelo. Prima ancora che Gesù inizi il suo ministero pubblico, le folle, i pubblicani e i soldati si recano da Giovanni Battista per chiedergli: “Che cosa dobbiamo fare?”. Il cuore umano è fatto così: tra una rabbia e l’altra impiega tonnellate di energie per costringere (senza mai riuscirci!) l’altro a cambiare. Chi si lascia illuminare dalla Parola di Gesù sperimenta – prima ancora di tante teorie – che le radici della gioia vera affondano nel terreno dell’accogliere l’altro e dal cambiare sé stesso. Tutte le volte che l’altro è oggetto del nostro giudizio di condanna e ci accaniamo perché lui cambi, ci allontaniamo dalla gioia per fare esperienza di rabbia e di sterilità.

E sul che cosa dobbiamo fare per cambiare noi stessi, san Luca è molto chiaro, semplice e profondo. Intanto ci ricorda che il Dio di Gesù non chiede nulla per sé stesso. Il Padre di Gesù non ci vuole fermi ad adorarlo, a servirlo o ad offrirgli costosi e corposi sacrifici. La gioia cristiana, ci ricorda il Vangelo di questa domenica, nasce da corrette relazioni con noi stessi e con il fratello.

“Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha”. Della serie: non vivere per te stesso; non accumulare tuniche nell’armadio che non sai di avere, che non metterai mai, che inquinano il mondo al momento dello smaltirle e che offendono chi non ha nulla per coprirsi. Se il tuo sguardo non incontra mai il bisogno dell’altro, del povero e del creato – non dimenticarlo – non sarai mai nella gioia.

Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Del tutto inatteso per la nostra mentalità che ha imparato a convivere con le tante corruzioni diffuse: la gioia è garantita dalla pratica dell’onestà. Anche perché corruzione, abuso di potere e ricchezze ottenute con l’aiuto della disonestà non solo rendono stanco il cuore, ma non hanno futuro. Prima o poi crollano e non garantiscano la serenità sperata.

Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentavi delle vostra paghe”. Disarmante. Non trattare male l’altro: mai, nemmeno se hai del potere sulla sua condizione E cerca di accontentarti di quello che hai. Anche perché spesso e volentieri l’inferno inizia proprio così: inseguendo “un di più solo per te” che non arriverà mai e per il quale ci si indebita con prestiti e mutui che rubano la serenità del cuore.

Accorgersi di chi ha meno; detestare ogni forma di corruzione; mai maltrattare l’altro e accontentarsi dei propri redditi (per non entrare nella dipendenza dal denaro): sono questi i piccoli-grandi sentieri che ci portano al Natale e alla gioia vera. E che ci rendono capaci di accorgersi che il Signore è vicino.

Buona Novena di Natale.

 

Preghiera dei “piccoli”

 

Caro Gesù,

                   ormai l’ho capito: quando i grandi gridano è perché vogliono fare cambiare idea a chi hanno davanti. Sempre.

Appena arrivi Tu, però, le cose cambiano. E tutti (le folle, i pubblicani, i soldati) vanno da Giovanni e chiedono “che cosa dobbiamo fare?”.

Non vogliono più trasformare gli altri, ma domandano a Tuo cugino come cambiare loro stessi.

Credo sia questo il senso del Natale: imparare a stare insieme e disposti ad accogliere l’altro per quello che è.

Sei forte, Gesù.

Non hai ancora iniziato a predicare e già si sente che la Tua presenza ha la forza di trasformare tutto e tutti.

Tu vieni tra le nostre case, Gesù, per rendere ciascuno di noi capace di cambiare dentro e per renderci più forti, in grado di voler bene a chi ci è vicino e soprattutto disposti ad accogliere l’altro così come lui è.

Grazie Gesù per questo Avvento

PER I GIORNI DELL'AVVENTO

PER I GIORNI DELL'AVVENTO

Inizio dell'avvento - periodo dell'anno liturgico che conduce al Natale di Gesù - sottolinea vigorosamente, mediante la voluta ripetizione del verbo vegliare- vigilare, l'esigenza di rimanere svegli, con l'occhio l'orecchio attenti a ciò che succede. Ma ogni giorno è tempo di vigilanza. Più e più volte i testi biblici ci hanno richiamato alle esigenze di non addormentarci, di non lasciarci cullare da chi vuole illuderci, di restare svegli come sentinelle.

Vigilate
 Vigiliamo

quando ci si cercano pretesti

per svuotare gli arsenali militari e per fabbricare nuove armi. 

Vigiliamo quando si preparano le guerre per difendere l'occidente e la "civiltà cristiana”.
 Vigiliamo quando si imprigionano i pacifisti e si nega il diritto di esprimere civilmente il proprio dissenso.

 Vigiliamo quando nei santuari della religione e della politica i poteri si applaudono si abbracciano e si baciano in spettacoli mediatici definiti storici.

Vigiliamo quando i parlamentari fanno i chierichetti e fanno a gara per comparire anche nei raduni di qualche ambigua santificazione di un illustre franchista.

Vigiliamo quando si fanno discorsi religiosi in cui si parla di tutto e di niente e si riduce l' Evangelo a qualche goccia di retorica buonista.

Vigiliamo quando non ci accorgiamo più che al mondo l'80% non ha il necessario per una vita dignitosa.

Vigiliamo quando nella nostra vita crescono i soldi e i consumi e diminuiscono la condivisione e la solidarietà.

Vigiliamo quando pensiamo sempre di più a noi stessi/e e alle nostre cose e sempre di meno agli altri e alle altre.

Vigiliamo quando nella società e nella chiesa si vuole mettere la museruola a chi dice parole scomode e solleva domande inquietanti.

Vigiliamo quando il codice di diritto canonico è più importante del Vangelo, quando si condanna l'amore in forza di una legge ecclesiastica.

 Vigiliamo quando nella nostra vita quotidiana cresce il tempo trascorso davanti al video e diminuiscono gli spazi dedicati al dialogo, allo studio, e al volontariato.
Vigiliamo quando nella nostra vita non troviamo più il tempo di pregare e di confrontarci con il messaggio delle Scritture.

Vigiliamo quando le feste ci addormentano e ci distraggono anziché ravvivare la nostra voglia di vivere e di lottare per un mondo più giusto.

 Vigiliamo quando la nostra vita si chiude nel cerchio dei garantiti e non c'è posto per chi è solo, straniero, disagiato.


E pregate… Signore, liberaci dalla tentazione di adattarci, di rassegnarci, di lasciarci incantare dalle luci fatue e commerciali e donaci un cuore di sentinella, la gioia della sobrietà, il gusto della semplicità, e tanta… tanta sete di libertà.. (Franco B.)

I Domenica di Avvento

I DOMENICA DI AVVENTO  anno C con preghiera dei piccoli

(“Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.)

 

È di nuovo Avvento. E tra poche settimane saremo nuovamente a Natale. “Chissà perché – mi confida Nicola, 71 anni – da ragazzi gli anni non passano mai e dopo una certa età il tempo corre ad una velocità che sembra eccessiva”. Essendo molto vicino alla sua età non ho subito risposto. Ma il suo ragionamento non mi ha convinto. Non capivo perché.

Poi mi sono accorto che non ho mai pensato al tempo come a una giostra che gira su stessa e che riproduce un movimento ciclico e circolare sempre uguale (per avvicinarmi alla morte). Una giostra dalla quale non posso scendere e che mi propone, ad ogni ciclo, il suo carico di fatiche, di ansie e di sofferenze che non posso evitare e che devo solo subire. È uno schema che non mi appartiene. Anche perché l’educazione cristiana che mi è stata impartita fin da bambino mi ha spinto a pensare al tempo come ad un mio avanzare negli anni e nella storia per incontrare il Signore Gesù che ci corre incontro per aiutarmi (e con tutta l’umanità!) a capire che la libertà, la giustizia e l’amore di Dio stanno camminando verso di noi.

La parola Avvento che le prime comunità hanno preso in prestito dall’Impero Romano rivisitandola in modo significativo, vuole dire proprio questo: che Dio è venuto nel mondo – con il Signore Gesù – 2000 anni fa, ma che continua ad occuparsi di noi e a camminare verso di noi per aiutarci a realizzare quel Regno di Pace e di libertà di cui abbiamo bisogno e che senza Lui non possiamo realizzare. Tutto questo significa che nel tempo dell’Avvento non ricordiamo “solo” la nascita di Gesù avvenuta 2000 anni fa, a Betlemme, in modo così anonimo e così poco rumoroso da rendersi inafferrabile (la vera data di nascita di Gesù è un particolare che nessuno conosce nel dettaglio!). Con l’Avvento siamo invitati a prendere coscienza che “anche” oggi – al termine di un 2024 che si è rivelato carico di conflitti e decisamente poco aperto alla speranza – il Dio di Gesù corre verso di noi per renderci capaci di amare, di perdonare, di servire e di fare della nostra vita un dono a chi è nel bisogno e nella sofferenza.

Come diceva il card. Anastasio Ballestrero: “L’anno liturgico, su cui tanto insiste l’insegnamento conciliare, è un autentico itinerario di conversione, di redenzione, di unione in Cristo, di crescita della comunità cristiana e di testimonianza al Signore (Sacrosantum Concilium, 102.103.107). L’anno liturgico non è un «calendario per le feste» ma è la realtà di Cristo Salvatore che viene scandita con ritmo continuato mediante la Parola di Dio, i gesti sacramentali, la preghiera, mediante l’incontro della comunità che vive insieme tutto questo. Si tratta insomma di un itinerario di santità, di conversione.”.

E l’invito del Signore Gesù presentato nel Vangelo di oggi, va esattamente in questa direzione: “State attenti a voi stessi., che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso”. Significa non entrare nel meccanismo disumano di chi pensa al tempo come ad una macchina che corre senza meta e che ci mangia gli anni migliori per poi lasciare il nostro cuore carico di nostalgia e di rimpianti. E quando il cuore è appesantito dalla malinconia per il tempo che è passato (e che non torna più), sulla nostra vita cala un velo di tristezza che spegna la speranza.

Da giovani si sogna la ricchezza, il successo, la gloria e un benessere definitivo per sé e per i propri figli. Con il passare degli anni si capisce che la ricchezza non scalda il cuore e che la ricerca di sempre più denaro è ciò che ci ha allontanati dalla serenità. Si capisce, a volte quando è tardi, che successo, gloria e benessere, sono “astri” effimeri e poco brillanti. Destinati a precipitare nel nulla e a sciogliersi come neve al sole. E l’immagine è molto forte: finti potenti che si credevano eterni come le potenze del cielo che sembrano eterne e immutabili (sole, luna e stelle), vengono spazzati via da una storia umana che non regge chi vuole dominare gli altri.

Ed ecco che Gesù ci consegna, in modo lapidario, la bella notizia: “vegliate in ogni momento”. Tradotto: Non lasciatevi vivere. Non siate sempre di corsa e dunque fermi e schiacciati tra ansia e depressione. Smettetela di parlare da soli, con il denaro, con le cose o contro chi vi è accanto. Riscoprite la bellezza del silenzio e allenatevi a “pregare” inteso come il lasciare che il Vangelo ci consegni la Parola di Gesù che ci insegna a parlare con Dio, con i fratelli, con il creato e anche con noi stessi. Alzate la testa. Mettetevi in piedi. Guardate dalla parte giusta. E tenetevi per mano con la delicatezza di chi sa perdonare e di chi sa cogliere – nell’altro – solo la parte bella, sana e positiva.

Un programma. Un invito. Ma anche un dono e una promessa di libertà perché chi – a qualunque età – cerca speranza, capisca la bellezza della parola Avvento e la gioia che è generata da questo forte e intenso invito di Gesù in chi lo accoglie.

                                                  

                                                                                                   Buon Avvento !

 

 

                                                       Preghiera dei “piccoli”

 

Caro Gesù,

                    la maestra lo ripete spesso: “State attenti”.

Lo dice quando facciamo il dettato, quando dobbiamo risolvere i problemi, quando siamo nell’intervallo (non vuol che giochiamo a palla in classe) e lo urla quando, durante gite e uscite, siamo in strada.

L’altro giorno Fabio ha sbuffato quando la maestra ci chiedeva, per la seconda volta, l’attenzione. E lei – con calma – gli ha spiegato che quando un grande invita un ragazzino a fare attenzione è perché gli vuole bene. E lo fa perché lo vuole aiutare, proteggere e perché non vuole che si faccia del male.

Anche Tu oggi ci dici: “State attenti”.

E anche Tu sei Maestro. Dunque ci vuoi bene, ci vuoi proteggere e non vuoi che ci facciamo del male.

Grazie Gesù perché ci dice “state attenti” e grazie anche perché vieni a vegliare e a pregare con noi.

Grazie per il dono dell’Avvento, Gesù.