Preghiere poesie

III DOMENICA ANNO A

III DOMENICA ANNO A  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 4, 12 – 23  

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

È stato Papa Francesco ha istituire la Domenica della Parola di Dio. Ha voluto questa ricorrenza nella terza domenica del tempo ordinario: all’inizio dell’anno. Per ricordare a ciascun battezzato e alle nostre comunità ecclesiali che è la Parola di Dio la bussola che orienta i nostri passi e che ci insegna a vivere bene: personalmente e insieme. Senza la luce della Parola di Dio e senza il nutrimento del Vangelo, diventiamo tutti – inutile negarlo – travolti dallo stress, affannati per questioni periferiche, ammalati a causa del rancore che spesso e volentieri tracima nell’odio e nella voglia di vendetta. Papa Francesco ha ragione: il Vangelo non deve mancare dalle nostre case, ma non deve restare nel chiuso di un cassetto o inserito in uno scaffale e lì dimenticato. La Parola di Dio deve essere letta, meditata, approfondita, “pregata” e ruminata domenica dopo domenica, se vogliamo imparare a servire, ad amare, a donare, a perdonare e a vivere per gli altri. Lo constatiamo settimana dopo settimana: il Vangelo della Domenica ci cambia modo di vedere, di pensare, di organizzare il nostro tempo ed è soprattutto la “cura” che ci tiene lontani tanto dall’indifferenza quanto da quel vivacchiare che non ci fa volare in alto.

Confrontiamoci con il Vangelo di san Matteo che la chiesa ci propone per questa Domenica. L’evangelista non solo ci comunica che Gesù inizia il suo ministero pubblico “quando seppe che Giovanni era stato arrestato”, ma – con questa annotazione – ci dice che  anche Giovanni Battista è il primo (in assoluto!) che “segue” Gesù fino a dare la sua stessa vita per Lui. Prospettive rovesciate. Giovanni Battista, chiamato il “precursore”, in realtà è il primo che “segue” Gesù per fare di Lui il solo e unico “centro” in grado di dare senso alla via. Ma vediamo anche quali sono le prime parole con cui Gesù dà il via alla Sua missione. Nel rivolgersi a chi è disposto ad ascoltarlo, ad accoglierlo e a seguirlo Gesù dice: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino”. Una sintesi perfetta di tutto il messaggio di Gesù. Nella seconda parte della frase (“il Regno dei cieli è vicino”), Gesù ci comunica che Dio ha scelto di entrare nella storia, di starci vicino e di ascoltare tanto le nostre fatiche e lacrime quanto i nostri desideri e speranze. E se Dio decide e sceglie di farsi nostro compagno di viaggio nella persona di Gesù – ecco il senso della prima parola che Lui ci rivolge – la nostra vita deve cambiare.

Giovanni Battista rivolgeva la stessa parola a chi voleva essere battezzato – convertitevi (Mt. 3,2) – ma il suo era invito che lasciava al singolo lo sforzo del cambiare stile di vita (per scoprire poi che ognuno di noi non riesce a “convertirsi” senza il Suo aiuto).

Con Gesù il messaggio è più profondo. La parola è la stessa – convertitevi – ma proprio perché chi parla è Parola che attua ciò che dice, con la richiesta di “convertirci” Gesù ci consegna anche la forza di cambiare vita con il dono del Suo Spirito. Il “convertitevi” di Gesù va oltre, perciò, la sola esortazione: ha – al suo interno - la forza che ci permette di cambiare vita e di essere nuovi, diversi e migliori.

Convertitevi” è “richiesta” che ci insegna a parlare e che ci dona la forza di tacere quando la parola offende o ferisce e per parlare quando possiamo e dobbiamo “curare” chi sta male.

Convertitevi” è parola che ci rende in grado di non più correre senza sapere dove andare per scoprire la bellezza del fermarsi e dello stare con Lui, il solo che ci spiega chi sono e che cosa voglio.

Convertitevi” è la sola Parola che ci abilita a scegliere la gioia e la libertà del lasciarsi amare e perdonare da Dio anziché restare schiacciati dal peso e dalla fatica dell’odiare, del volersi vendicare o del lasciar crescere il rancore nel proprio cuore.

Convertitevi” è pungolo, balsamo e cura che ci ricorda che i campi di concentramento (tra pochi giorni è il Giorno della Memoria), le guerre di aggressione (in Ucraina come in molte altre parti del mondo), le mafie, le criminalità organizzate, lo sfruttamento dei migranti, etc. non sono realtà distanti da noi, ma possibilità del cuore umano quando questo si chiude su sé stesso e decide di usare il proprio “io” per sfruttare, piegare e dominare il “tu” del fratello. Se però ci accorgiamo che la bontà di Dio si è chinata su di noi (questo vuol dire “il Regno di Dio è vicino”), allora non possiamo più vivere lontani dall’insegnamento di Gesù e dalla Sua Parola. Dobbiamo convertirci nel senso del “mangiare” le sue parole e le sue proposte perché il suo farsi pane spezzato per noi nutra la nostra vita e ci renda – finalmente – buoni e dunque liberi, beati e immersi nella gioia.

Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono i primi quattro che si sono fidati di Lui. Oggi tocca a noi prolungare quell’elenco e mettere i nostri nomi tra coloro che lasciano le proprie “reti” per entrare nel mare grande della vita “bella” e beata.

 

Caro Gesù,                                        Preghiera dei piccoli

           anche mio nonno ha lasciato il suo paese natale ed è emigrato in un’altra città per lavorare e mantenere la sua famiglia.  Prima è andato in Germania, poi in Belgio e alla fine si è trasferito nel nord Italia.

Anche Tu, come lui, hai lasciato il Tuo paese per iniziare una nuova vita. E ti sei sistemato in una cittadina di mare: dove il lavoro principale è la pesca. Gesù secondo me Tu hai scelto una cittadina di mare perché volevi diventare pescatore di uomini per togliere tutti noi dalle acque della cattiveria e dell’egoismo. Gesù, posso chiederti di fare diventare anche me un “pescatore di uomini”? Ho sempre più voglia di stare con Te e di aiutarti a fare cose belle e buone.

 

 

II DOMENICA ANNO A

II DOMENICA ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Giovanni  1, 29 – 34

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

La scena la conosciamo: Giovanni Battista è alle prese con una notevole folla che gli chiede di essere battezzata nelle acque del fiume Giordano. All’orizzonte scorge un uomo che avanza verso di lui e che si sta mettendo in fila in mezzo ad altri uomini. È presenza discreta, anonima e del tutto uguale agli altri.

Giovanni Battista, però, lo nota. Lo vede e resta – con gli occhi e con il cuore – attaccato a “questo” uomo. Ed ecco il primo insegnamento che questo breve racconto del Vangelo ci vuole consegnare: Giovanni Battista è grande perché ha saputo scorgere, vedere e accogliere un uomo del tutto uguale a noi e perché si è lasciato provocare e interrogare da quella fragile, umile, ma anche autorevole presenza. Giovanni Battista non “ha visto” – però – un Dio facilmente riconoscibile da segni straordinari; non ha intravisto un potente (l’Imperatore?) ricoperto dai vistosi simboli che lo accompagnano. Ha colto nell’umanità di Gesù del tutto uguale alla nostra i segni di una presenza da accogliere perché capace di cambiare sguardo, modo di vivere e di salvare.

Verrebbe da dire, per il nostro tempo, chi ci insegna a scorgere negli uomini fragili e al fondo della fila che vediamo tutti i giorni (sulle strade, sul televisore e sui media) la presenza che ci salva perché ci chiede di cambiare cuore e sguardo? Chi ci ricorda che l’uomo debole posto ai margini del convivere sociale va notato, fissato e anche accolto, se vogliamo che i nostri occhi imparino a conoscere il volto di Dio?

Vedere e credere, ci dice Giovanni Battista, sono le due facce della stessa medaglia. E se in molti ci dicono che prima bisogna “vedere” e solo dopo “credere”, il Vangelo ci presenta lo schema opposto e ci ricorda che per “vedere” il cuore dell’altro è necessario prima “credere” in lui. Una regola che vale per i nostri figli, per quanti vogliamo e dobbiamo educare, ma che guida anche le logiche dell’amore. Solo chi si fida dell’altro e crede in lui riesce ad amarlo al punto da vedere dopo (solo dopo essersi fidato di lui!) l’amore ricambiato. Chi per amare ha bisogno di “vedere” e di prove d’amore resta nell’anaffettività di chi non sa amare e, proprio per questo, chiuso in sé stesso.

Giovanni Battista, ci dice l’evangelista, ha imparato a vedere con gli occhi del cuore. Ed è per questo che riesce a vedere chi avanza verso di lui. Ma qui l’evangelista compie un vero capolavoro: dopo averci presentato Giovanni Battista come colui che sa vedere con gli occhi del cuore, gli fa esclamare – per ben due volte! – “io non lo conoscevo”. Quasi che l’evangelista voglia smontare il superficiale entusiasmo di chi è convinto di “conoscere” in modo esaustivo Gesù di Nazaret e, forse, anche di “possederlo”. Chissà se nella comunità dell’evangelista ci sono discepoli così devoti e pii da sentirsi più “cristiani” degli altri. Chissà se l’evangelista pensa a qualcuno in modo speciale che non ha mai dubbi e che ha una così certa conoscenza del Signore Gesù da non doverlo più cercare e nemmeno ascoltare. Giovanni Battista – ci dice chi scrive – “non lo conosceva”. Per una semplice ragione: perché quell’ “uomo” – Gesù – nessuno lo può “prendere”, “catturare”, “possedere” o “conoscere” una volta per tutte.

E se fosse questa la seconda grande lezione per il nostro tempo? Causa il covid abbiamo imparato a fare a meno anche della messa domenicale. Il Vangelo un po’ lo conosciamo e dunque possiamo anche non tenerlo in casa. E grazie al catechismo fatto nell’infanzia, i dieci comandamenti i meno giovani li conoscono a memoria. “Può bastare – pensano in molti – per dirsi cristiani”. Per l’evangelista non è così. Per avvicinarci alla “conoscenza” di Gesù ci vogliono continuità, costanza e comunità, ci spiega questo denso e inesauribile passo del Vangelo. Come a dire che almeno una volta alla settimana dobbiamo “fermarci” ad ascoltare il Vangelo insieme per imparare a ri-conoscere in Gesù il pane spezzato che nutre la nostra voglia di cose grandi e che ci rende capaci di perdonare e di amare.

Il senso della Domenica è proprio questo: educarci a quella sosta settimanale (necessaria, saggia e indispensabile) perché il Vangelo si impasti con la nostra vita e perché il nostro cuore apprenda le due preghiere che ci rendono beati: La prima: “io non lo conoscevo” (e dunque Gesù aiutami a conoscerti e non permettere che mi senta arrivato o che mi illuda di conoscerti e di sapere tutto di Te!) La seconda: “Resta con noi Signore, perché solo Tu, Gesù risorto, sei capace di far ardere il nostro cuore quando ci spieghi le scritture (Lc. 24,32); solo Tu, Signore, ci dai la forza di cambiare strada e di riconoscere nel fratello al fondo della fila la Tua presenza che ci parla e che ci salva.

Da duemila anni la chiesa propone questa “cura” per contrastare il male di vivere.

Un programma saggio di libertà per capire che per “conoscere” se stessi dobbiamo “conoscere” Gesù.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                  l’anno scorso con la mia classe siamo andati a visitare un allevamento di “piccioni viaggiatori”.

Il signore della cascina ci ha spiegato che piccioni e colombe sono viaggiatori perché sono fedeli al loro nido.

Una volta fatta la “casa” per i loro piccoli, non la cambiano più: imparano la strada e tornano sempre a quel nido.

Adesso ho capito, Gesù, perché su di Te lo Spirito è sceso “come una colomba dal cielo”: perché Tu, Gesù, sei come il nido per la colomba e chi trova Te trova anche il Tuo Spirito; e chi riceve il Tuo Spirito incontra Te.

Gesù, dona anche a me il Tuo Spirito e fa che il dono dello Spirito Santo diventi per me la forza che mi insegna a perdonare chi mi ha fatto dei dispetti e che mi doni la voglia di conoscerti sempre più. Proprio come ha fatto Giovanni.

BATTESIMO DEL SIGNORE ANNO A

BATTESIMO DEL SIGNORE ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 3, 13 – 17

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

 

Se Rino Gaetano fosse ancora con noi non canterebbe il Cielo è sempre più blu, ma il Cielo è sempre più chiuso. E non solo perché in questi giorni siamo stati tutti “protagonisti” e “spettatori” delle esequie del Papa emerito, ma anche perché accanto a questo lutto che ci sta facendo riscoprire la forza e la fragilità di questo raffinato Pastore, continuano ad avanzare segni negativi che calpestano la vita e la speranza:

  • i bombardamenti sull’Ucraina non si sono fermati nemmeno nel giorno di Natale e su quel pezzo di terra europea ormai distrutto, si continua a morire;
  • il Mare nostrum continua ad accogliere salme di disperati e nessuno li difende (ma perché la politica difende i confini del nostro Paese e non gli ultimi?);
  • carburanti, luce, gas e interessi sui mutui aumentano a vista d’occhio;
  • il Covid sembra rialzare la testa e si ha l’impressione di rivedere (a partire dalla Cina) lo stesso film che ha dato il via alla pandemia;
  • in Iran le ragazze vengono uccise se mostrano una ciocca di capelli;
  • in Afghanistan è proibito studiare, per le donne;
  • si continua a morire sul lavoro e sulle strade italiane (la prima causa di morte dei giovani italiani tra i 18 e 29 anni sono gli incidenti stradali).

Per non parlare dell’inflazione che erode la capacità di acquisto delle nostre famiglie o dei Pronto Soccorso che non hanno più la forza di accogliere tutti i malati. Un triste (e parziale) elenco di eventi che sembra convincerci del fatto che viviamo sotto un Cielo non solo chiuso, ma anche sbarrato a qualsiasi forma di speranza. Ed ecco perché il Vangelo di Matteo ci dice che. “Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire su di lui” (Mt. 3,16). Perché abbiamo bisogno come il pane che la Parola di Dio ci ricordi che il Cielo sopra di noi non è chiuso e non è sbarrato. Dio non è sordo alle nostre fatiche e disperazioni. E se “scende” sulla nostra povera Terra come Spirito è per ricordarci che il Suo Figlio Gesù è “con noi”, accanto “a noi” e “in mezzo a noi” perché ognuno di noi riesca a ri-alzare la testa e “a sperare contro ogni speranza” (Romani.4,18), come dice san Paolo a proposito di Abramo. Ma c’è un ulteriore elemento sul quale credo importante portare la nostra riflessione e preghiera. La voce che dal Cielo accompagna il battesimo di Gesù conferma che “questi è il Figlio mio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento” (Mt. 3,17). Come a dire: lui, questo Gesù che è appena uscito dall’acqua è il volto di Dio che vi deve guidare; solo Lui dovete seguire, se vorrete essere beati. E perché il suo lettore non dimentichi questo momento fondamentale della vita di Gesù e del suo discepolo, san Matteo ripropone quasi la stessa espressione nel momento della trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, ma aggiunge un forte invito ad ascoltare la Sua parola, il suo insegnamento e quanto Lui ha da dire sulla nostra vita: “Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo.

Dopo tredici capitoli l’evangelista ripropone lo stesso messaggio e ripresenta le stesse parole che provengono dal Cielo. Ma questa volta, sul Tabor, la voce indica anche il verbo che rende liberi: “ascoltare”. Inteso non solo come “udire” o come movimento degli occhi per la lettura del Vangelo di Gesù. L’ascoltare di cui parla l’evangelista indica la disponibilità del discepolo a “seguire” e a interiorizzare “questa” presenza fino a farla diventare carne nella sua vita.

Gesù, ci dice il Suo Spirito che apre il Cielo sopra di noi, deve educare il nostro modo di pensare, di agire, di “fare”, di essere, di perdonare e persino di guardare tanto la Terra sulla quale siamo quanto il Cielo nel quale saremo. Dobbiamo impastare – se vogliamo essere liberi – cuore, mente, azioni, passi e persino il respiro con la mentalità di Gesù. Solo così ognuno di noi ritrova le radici della speranza e non si lascia piegare da nessuna prova, fatica, difficoltà o negatività.

Ci resti, in questa seconda domenica del 2023, la granitica certezza che il Cielo sopra di noi è aperto, spalancato o – come direbbe san Marco – “squarciato” in modo così definitivo da non potersi mai più richiudere.

Un gran bel segnale di speranza e una forte, solida e bella ragione per poterci dire, ancora una volta, buon anno.

 

Caro Gesù,

                   mia cugina ha chiesto al Parroco, per sposarsi, il certificato di Battesimo.

Ho detto ai miei genitori che lo voglio anch’io. Quando mi hanno battezzato ero piccolo. Non potevo decidere. Altri hanno deciso per me.

Adesso però Ti conosco. Sto imparando a capire che sei un amico davvero speciale. E più ascolto il Tuo Vangelo, più mi viene voglia di restare “immerso” nel modo con cui parli, pensi e ami.

Ti faccio una promessa, Gesù: nel giorno del mio battesimo voglio fare, ogni anno, un po’ di festa: con Te, con la mia famiglia, con i miei amici e con madrina e padrino.

 

P.S. I cieli che si “aprono” nel momento del tuo battesimo per fare passare l’amore di Dio verso di noi, è un’immagine bellissima. Grazie, Gesù: sei Tu il vero ponte tra il Cielo e la Terra. E grazie anche per Papa Benedetto XVI.

Ringraziamento fine anno di don Tonino Bello

Ringraziamento fine anno  di don Tonino Bello

 

Eccoci, Signore, davanti a te.
Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato.

Ma se ci sentiamo sfiniti,
non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto,
o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei.

È perché, purtroppo, molti passi,
li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue:
seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera,
e non le indicazioni della tua Parola;
confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre,
e non sui moduli semplici dell'abbandono fiducioso in te.

Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno,
sentiamo nostre le parole di Pietro:
"Abbiamo faticato tutta la notte,
e non abbiamo preso nulla".

Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente.
Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto,
ci aiuti a capire che senza di te,
non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.

Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell'anno,
esigono il nostro rendimento di grazie.

Ti ringraziamo, Signore,
perché ci conservi nel tuo amore.
Perché continui ad avere fiducia in noi.

Grazie, perché non solo ci sopporti,
ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi.

Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi.
Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini.

Anzi, ci metti nell'anima un cosi vivo desiderio di ricupero,
che già vediamo il nuovo anno
come spazio della speranza e tempo propizio
per sanare i nostri dissesti.

Spogliaci, Signore, di ogni ombra di arroganza.
Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza.
Donaci un futuro gravido di grazia e di luce
e di incontenibile amore per la vita.

Aiutaci a spendere per te
tutto quello che abbiamo e che siamo.
E la Vergine tua Madre ci intenerisca il cuore.
Fino alle lacrime.

SANTO NATALE 2022

SANTO NATALE  2022 con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo secondo Luca 2, 15-20

Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

 

Abbiamo tutti l’impressione che le luci del Natale 2022 non abbiamo la forza di rischiarare le tenebre da cui proveniamo. E non soltanto perché la crisi energetica incide pesantemente sulle nostre economie domestiche, ma anche perché il male sembra davvero eccessivo. Dopo la pandemia che ha spento moltissime luci di speranza di affetti cari, siamo stati colpiti dalla siccità e dai cambiamenti climatici che ci hanno ricordato che abbiamo oltrepassato linee dalle quali è molto difficile tornare indietro. L’aggressione poi dell’Ucraina da parte della Russia di Putin ci ha portato la guerra in Europa. Nei nostri mari e sulle nostre montagne – da non dimenticare – si continua a morire di freddo o annegati per scappare da fame, da guerre e da campi di concentramento disumani. E – dulcis in fundo – l’emergere di una corruzione a livello gigantesco all’interno delle istituzioni europee ci ha – definitivamente per così dire – tagliate le gambe (“È una vicenda troppo grossa per parlarne” – mi ha detto Carla, 69 anni e nonna – siamo spiazzati. Disorientati”).

Qualcuno ha ipotizzato che si tratta di castighi divini “mandati” dal Cielo per scuoterci dai nostri peccati e dalla nostra incredulità. E a questo proposito voglio ribadire, con forza, che non appartiene allo stile di Dio “mandare” sulla terra calamità, guerre, corruzioni e violenze varie. Se queste tristi realtà ci vivono accanto è perché il cuore umano le ha fatte entrare nella nostra storia. Ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare che la sola realtà che il buon Dio “ha mandato” sulla Tera è il Suo Figlio.

In principio era il Verbo”. Ed il significato è tanto bello quanto solenne. Per dirci che prima ancora della creazione, nel cuore di Dio abitava il Verbo: il Suo Progetto di creare per amore l’uomo per immergerlo in quel giardino che era la Terra e per farlo diventare come Lui. Siamo stati pensati, amati e voluti da Dio prima ancora che il mondo fosse creato, ci dicono queste cinque parole. E quando Dio ha visto che l’uomo si è allontanato dalla strada dell’amore tracciata per lui, non ha scelto di “chiudere” con il Suo Progetto d’amore. Dio non si è pentito di aver fatto l’umo e non lo ha abbandonato al suo destino. Ha “mandato” sulla Terra il Suo Figlio Gesù – il Suo Progetto d’amore per noi – perché ognuno di noi possa trovare le luci sufficienti per diradare le nebbie della fatica di vivere.

Il Mistero del Natale è esattamente questo: Dio ci dona (e ci “manda”) la Sua Parola per contrastare e per fermare le tante parole inutili e nocive che ci mangiano la speranza. E mai come quest’anno abbiamo bisogno di parole vere, solide e soprattutto in grado di aiutarci a ritrovare i sentieri della libertà, dell’onestà, della pace e della fraternità.

Dobbiamo reimparare ad accogliere quella Parola che si chiama Gesù e che è la sola che ci sa guidare sulla strada della felicità (che il Vangelo chiama beatitudine).

Senza la Parola-Gesù siamo tutti stanchi, depressi e storditi da mille suoni che – di fatto – non hanno la forza di diventare voce, presenza, consolazione e “parole di libertà”

In principio era il Verbo” sono cinque parole che devono impastarsi con la nostra vita fino a diventare respiro, preghiera, prassi e movimento tanto del cuore quanto delle mani. Accogliere quella Parola significa prendere coscienza che “a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Significa che accogliere il Suo amore rende la nostra umanità come quella di Gesù: liberata dal peccato e disponibile a dare, a donare, a perdonare, ad amare e a servire. Come ha fatto Gesù. Ed eccoci agli auguri:

  • Il Signore Gesù accolto da ciascuno di noi ci renda capaci di opporre, alle parole negative che ci circondano, la bellezza della Sua presenza e della Sua bontà.
  • La Sua Parola renda le nostre case luoghi di fraternità e di perdono dove il noi vince l’io e ogni forma di egoismo.
  • Natale 2022 ci liberi dalla solitudine che diventa isolamento per un vivere troppo barricato su sé stessi. E a chi si sente solo, isolato e dimenticato chiedo, propongo e auguro di rovesciare le parti e iniziare a cercare chi è più solo di lui.
  • Le nostre comunità cristiane diventino spazi di profezia e progetti capaci di guardare avanti senza nostalgie e senza rimpianti. La società cristiana di ieri non c’è più. Ma non è assolutamente detto che la società di oggi sia meno bella o meno meritevole di impegno.
  • E a chi si sente sopraffatto dalle ombre del tempo presente, auguro di “ruminare” – giorno dopo giorno – quella Parola che non scioglie come una bacchetta magica i nodi del vivere, ma che impasta la nostra vita con la mentalità e la persona di Gesù che è il solo pane quotidiano che sazia la nostra voglia di infinito.

Un cordiale, intenso e vero augurio di Buon Natale. Immerso e impiantato nella fiducia che il Signore Gesù ci dona la possibilità di diventare Figli di Dio.

 

 Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

il don a catechismo ci ha detto che la preghiera chi si trova all’inizio del Vangelo di San Giovanni si chiama Prologo. E poi ha aggiunto: tante parole belle e difficili per dire a tutto il mondo che Tu sei Parola.

Subito non ho capito.

Poi mi sono detto che se Tu sei Parola io non sono mai solo perché Tu, Gesù-Parola, mi parli, mi ascolti, mi tieni sempre compagnia e mi insegni a “parlare” senza dire le bugie e senza mai offendere l’altro.

Grazie Gesù.

Sono giorni brutti questi che stiamo vivendo. Tantissimi bambini vivono in mezzo alle guerre e ai bombardamenti. I grandi per la politica litigano sempre. Per le strade nessuno sorride. E tutti parlano solo di corruzione.

Abbiamo bisogno di Te, Gesù, e del Tuo essere Parola vera. Parola di gioia e Parola di Pace.

Abbiamo bisogno del Tuo Natale, Gesù.

IV DOMENICA DI AVVENTO anno A

IV DOMENICA DI AVVENTO anno A

Dal Vangelo secondo Matteo 1, 18 - 24

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Non tutto ciò che si sogna è bene che si realizzi. Così come non ha senso realizzare un sogno a qualsiasi prezzo. Si pensi al “sogno” dei mondiali in Qatar, in quel piccolo stato monarchico della penisola araba che è costato, a livello economico, 220 miliardi di dollari mentre, in termini di vite umane, si parla di più di 10.000 morti per la realizzazione degli stadi. Tutti manovali e operati provenienti dal Nepal, dall’Afghanistan e messi a lavorare senza sicurezze sociali per un pezzo di pane, come documenta Matteo Pinci su La Repubblica del mese scorso: “A volte dovevamo lavorare per dodici ore...  E se eravamo malati, dovevamo andare lo stesso a lavorare. Ribellarsi? Pessima idea: in Qatar l'associazione sindacale è ancora vietata: "E poi i datori di lavoro non amano avere gente che protesta. Se avessimo protestato saremmo stati licenziati o la polizia ci avrebbe potuti arrestare”.

È ovvio che questi particolari non fanno onore al Sogno e nemmeno al Paese e perché il mondo intero senta parlare del Qatar come “di un Paese all’avanguardia nei diritti dei lavoratori” (quanto ha dichiarato la Vice Presidente Kaily in Parlamento Europeo), niente di meglio che corrompere altolocati politici dell’Unione Europea perché dichiarino il falso in cambio di generose ricompense. Il resto è cronaca. Valigie piene di soldi (1 milione e mezzo di euro in banconote) sequestrate dai magistrati in casa di parlamentari ora indagati e sospesi. Come a dire: alcuni sogni si trasformano in incubi. Soprattutto se si passa da vite lussuose alle fredde celle del carcere.

Il Sogno di Giuseppe è di tutt’altra natura. Intanto non nasce dall’ambizione. Ciò che l’angelo del Signore affida al giovane Giuseppe è un compito di cura perché si faccia carico di Maria che è diventata mamma del Figlio di Dio. Da adesso in poi mamma e Figlio sono affidati alle sue cure. Giuseppe deve perciò accogliere, proteggere e occuparsi del Figlio di Dio come se fosse suo Figlio (“ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù”) e – allo stesso tempo – accompagnare e affiancare Maria in questo straordinario compito di nuova a inimmaginabile genitorialità.

Senza la “spinta” dell’angelo, Giuseppe non era pronto a questa missione. Era persino offeso con Maria, ma per non condannarla a morte con una denuncia che l’avrebbe portata alla lapidazione, aveva deciso di “ripudiarla in segreto”.

Da adesso in poi tocca al lettore e a ciascuno di noi fare tesoro della grandezza di Giuseppe. A partire dal suo concetto di giustizia che è così alto da spingerlo a rinunciare ad un suo diritto pur di salvare la vita alla ragazza amata. E poi con il suo coraggioso stile intriso di silenzio. Sta per prendersi cura della Parola che si fa carne-bambino-figlio e come prima risposta: aderisce alla richiesta, si rende disponibile e tace.

Ma torniamo al sogno. San Matteo sembra che ci voglia comunicare che perché il sogno sia umano, liberante e fonte di serenità deve essere aperto al servizio e sorretto dalla giustizia e dalla capacità di fare silenzio, di tacere. Tutto ciò che esce da questi orizzonti, rischia di trasformarsi, prima o poi, in un incubo.

Penso ai nostri giovani. E mi domando chi ha ancora la forza di dire loro che il senso della vita è dato dal prendersi cura di chi il Signore ci mette accanto e non dall’inseguire successo, celebrità, vittorie e valigie piene di denaro frutto di corruzione?

Il senso del Natale è anche questo: lasciare che l’angelo del Signore ci affidi il Bambino Gesù perché ognuno di noi si prenda cura di Lui e di Sua mamma presenti in tutti i piccoli che, accanto alle loro mamme, ci chiedono aiuto, protezione, abbracci, giustizia e … meno parole e più accoglienza.

Bella la conclusione del passo: “Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Quel “prese” può essere tradotto anche con “accogliere”. Per dire che ogni “sogno” è vero solo se si misura con l’accoglienza del più debole.

Buona novena di Natale.      

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

secondo me esistono due tipi di sogni.

Uno riguarda se stessi: si sogna di diventare un campione o di fare successo nel mondo del cinema, della canzone, etc.

L’altro modo coinvolge gli altri. E allora si sogna di andare in Africa per aiutare chi muore di fame oppure si sogna di inventare la medicina che fa guarire i bambini ammalati (come Mirko, il mio compagno, che sta facendo scuola dove lo hanno ricoverato).  Gesù insegnami a sognare bene e per gli altri.

Ogni volta che sogno – nel sonno o ad occhi aperti – aiutami a fissare san Giuseppe che nel suo sogno impara a prendersi cura di Te bambino e di Tua mamma.  E grazie Gesù perché oggi mi hai insegnato a sognare e a pensare cose grandi. Non per me, ma per aiutare chi ha bisogno anche del mio servizio. 

       Aiutaci a fermare le guerre, Gesù.

papa Francesco, Angelus del 18-12-2022

«Fratelli, sorelle, che cosa dice Giuseppe oggi a noi? Noi pure abbiamo i nostri sogni, e forse a Natale ci pensiamo di più, ne parliamo insieme. Magari rimpiangiamo alcuni sogni infranti e vediamo che le migliori attese devono spesso confrontarsi con situazioni inattese, sconcertanti. E quando questo accade, Giuseppe ci indica la via: non bisogna cedere a sentimenti negativi, come la rabbia e la chiusura, questa è la via sbagliata! Occorre invece accogliere le sorprese, le sorprese della vita, anche le crisi, con un’attenzione: che quando si è in crisi non bisogna scegliere di fretta secondo l’istinto, ma lasciarsi passare al setaccio, come ha fatto Giuseppe, “considerare tutte le cose” (cf. v. 20) e fondarsi sul criterio di fondo: la misericordia di Dio. Quando si abita la crisi senza cedere alla chiusura, alla rabbia e alla paura, ma tenendo aperta la porta a Dio, Lui può intervenire. Lui è esperto nel trasformare le crisi in sogni: sì, Dio apre le crisi a prospettive nuove, che noi prima non immaginavamo, magari non come noi ci aspettiamo, ma come Lui sa. E questi sono, fratelli e sorelle, gli orizzonti di Dio: sorprendenti, ma infinitamente più ampi e belli dei nostri!»

papa Francesco, Angelus del 18 dicembre 2022

III DOMENICA DI AVVENTO ANNO A 

III DOMENICA DI AVVENTO ANNO A  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 11, 2 – 11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

 

Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?”. Non è soltanto una domanda. È anche un grido di dolore, uno sfogo e un rimprovero. Giovanni Battista è in carcere. Ed è stato portato in prigione non perché ha commesso dei reati o dei crimini, ma perché non ha fatto sconti ad Erode sul suo adulterio (e lui, il potente, non ha gradito la sua franchezza). Ancora oggi le prigioni rendono deboli e disperati (nei primi undici mesi del 2022 in Italia si sono suicidati 76 persone nelle carceri italiane). Figuriamoci ai tempi di Gesù. Giovanni Battista è privato della libertà, della luce, della dignità e da quell’inferno in cui è stato collocato sente parlare di Gesù che alcuni associano al Messia tanto atteso.

La domanda è obbligata: ma se Lui – mio cugino che non ho mai visto – è il Messia, perché non libera i prigionieri (!), perché non stermina i nemici del popolo di Israele (i romani) e perché non vendica il male che abbiamo subito? Il cuore umano è fatto così: ha sete di infinito, cerca Dio giorno e notte, ma poi piega queste sue aspettative ai suoi bisogni ultimi. È stato così per Giovanni Batista, ma è così anche per noi. Lui sta male, è in carcere e chiede al “suo” messia di portarlo fuori da una condizione disumana. Noi non siamo molto diversi da lui: quando siamo fragili e segnati dalla debolezza ci rivolgiamo al Dio dei nostri desideri a partire dai nostri bisogni (“Fa guarire mio figlio, aiutami a trovare lavoro convinci mia moglie o mio marito a tornare con me…”). E se le nostre richieste non vengono esaudite siamo tentati di cercar un altro “messia”, un altro “Dio”.

Il grido e il rimprovero di Giovanni Battista va in questa direzione: “Se sei il Messia portami fuori da questo carcere. Altrimenti aspetterò un altro Messia”.

Gesù – esperto di umanità – conosce molto bene questi meccanismi del cuore. E sa che nella debolezza ognuno di noi è più esposto al rischio della preghiera interessata e forse anche al ricatto rivolto a Dio. Gesù non condanna la domanda/rimprovero di Giovanni Battista. La prende sul serio. La ascolta. E manda dei suoi discepoli a riferirgli che quella fragilità Lui la prende sul serio. Al punto da aiutare chi sta male a trovare – con l’aiuto della Parola di Dio – un senso al suo soffrire. Gesù non è una bacchetta magica che soddisfa le nostre richieste all’istante. Gesù si muove diversamente: si rende vicino a chi sta male e con l’offerta della Parola di Dio lo aiuta a capire che anche in quella condizione negativa Dio è presente per portare sollievo e aiuto.

E beato è colui che non torva in me motivo di scandalo”, aggiunge Gesù. Per dire che un “dio” che stermina i nemici, che vendica chi ha ricevuto il torto o che toglie malattie e dolori a sua discrezione, non è un “dio” dal volto umano. Anche Gesù è stato arrestato, condannato e ingiustamente ucciso (Giovanni Battista è stato, senza nemmeno immaginarlo, precursore di Gesù anche nella sua condizione finale!). Il Dio di Gesù non è pero intervenuto per cambiare il senso della storia o per renderlo vittorioso sui nemici. Ha permesso al male di avanzare sul corpo del suo Figlio Gesù e ha chiesto a chi era “scandalizzato” dall’impotenza di Gesù di cogliere nella Sua debolezza la forza e la bellezza di un Dio che ha scelto di abitare nella debolezza.

Giovanni Battista è grande, ci dice san Matteo, perché ha saputo uscire dalla sua vecchia concezione di Dio ed è riuscito a guardare avanti: oltre le sue attese e i suoi schemi mentali. Giovanni Battista è grande perché ha capito che Dio non lo ha mai abbandonato (nemmeno in carcere) e perché con l’aiuto della Parola di Dio ha scoperto che Gesù era con lui: pronto a spiegargli il senso del suo vivere, delle sue scelte e persino del suo soffrire.

Natale significa prendere coscienza – con l’aiuto del Vangelo – che il Dio di Gesù è con noi. Vicino a noi. Accanto alla nostra forza, ma anche alle nostre fragilità. E quando ci accorgiamo che Lui è il Dio-con-noi, la vita si incammina sul sentiero della libertà e del servizio verso i ciechi, i poveri, gli zoppi, i sordi e tutti coloro che cercano aiuto.

E noi: quale domanda poniamo a Gesù? Quale rimprovero gli rivolgiamo? E dopo lo sfogo e la protesta perché abbiamo l’impressione che non ci consideri: siamo disposti ad ascoltare la Sua risposta e l’invito ad ascoltare la Sua Parola? Siamo consapevoli che il Do di Gesù si farà trovare nella debolezza di un bambino che ci chiede di prenderci cura di lui?

Natale sarà esattamente come lo abbiamo preparato. Buone domande a tutti.                             

 

                                                         Preghiera dei piccoli    

Caro Gesù,                         

            anche mio papà è in carcere. Giovanni Battista, però, non aveva figli. Il mio papà invece ne ha due. E con il suo arresto siamo stati puniti anche noi perché non possiamo crescere con papà vicino.

Forse a Natale verrà qualche giorno a casa con noi. In permesso. E io di questo sono molto contento anche perché non mi ricordo più cosa voglia dire avere papà in casa.

Grazie Gesù per l’immagine della “canna sbattuta dal vento”. Mi ha ricordato una favola letta in classe e scritta per insegnarci che nella vita dobbiamo certamente “chinarci” per aiutare i “poveri”, senza mai – però – “piegarci” per fare accordi disonesti. La maestra dice che dobbiamo tenere la schiena diritta.

Bello anche sapere che il Vangelo è annunciato ai poveri. Vuole dire che vieni per aiutare anche quelli poveri come noi.

Grazie Gesù perché ci sei vicino anche in questa brutta situazione.

Papa Francesco, Angelus del 4 dicembre

«Cari fratelli e sorelle, Giovanni, con le sue “reazioni allergiche”, ci fa riflettere. Non siamo anche noi a volte un po’ come quei farisei? Magari guardiamo gli altri dall’alto in basso, pensando di essere migliori di loro, di tenere in mano la nostra vita, di non aver bisogno ogni giorno di Dio, della Chiesa, dei fratelli. Dimentichiamo che soltanto in un caso è lecito guardare un altro dall’alto in basso: quando è necessario aiutarlo a sollevarsi; l’unico caso, gli altri non sono leciti. L’Avvento è un tempo di grazia per toglierci le nostre maschere – ognuno di noi ne ha – e metterci in coda con gli umili; per liberarci dalla presunzione di crederci autosufficienti, per andare a confessare i nostri peccati, quelli nascosti, e accogliere il perdono di Dio, per chiedere scusa a chi abbiamo offeso. Così comincia una vita nuova. E la via è una sola, quella dell’umiltà: purificarci dal senso di superiorità, dal formalismo e dall’ipocrisia, per vedere negli altri dei fratelli e delle sorelle, dei peccatori come noi, e in Gesù vedere il Salvatore che viene per noi – non per gli altri, per noi – così come siamo, con le nostre povertà, miserie e difetti, soprattutto con il nostro bisogno di essere rialzati, perdonati e salvati».

               papa Francesco, Angelus del 4 dicembre 2022

II DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

II DOMENICA DI AVVENTO  ANNO C  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 3, 1-12   

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

 

Come cristiani che abitano nel nord Italia siamo chiamati anche noi ad esprimere solidarietà ai fratelli di Ischia colpiti dalla tragedia che ha causato morti, distruzione del territorio e sfollati. Ma dobbiamo anche pregare il Dio di Gesù perché il Suo Spirito consoli chi si è visto cambiare la vita da questa vicenda e perché dia la forza alle Istituzioni pubbliche di porre dei rimedi a questo dramma e – allo stesso tempo – di impedire che simili eventi si ripetano. E al di là dei giudizi veri, falsi, frettolosi e inutili che in tanti e forse in troppi si sono affrettati a formulare sui fatti di Ischia, resta il fatto che questa tragedia ci ricorda che se la casa non è costruita sulla roccia prima o poi crolla e porta in rovina chi la abita. L’immagine della casa costruita sulla roccia è di Gesù (Matteo 7, 24-27) e nel suo insegnamento il Maestro non si riferisce a tecniche urbanistiche necessarie per impedire che le montagne crollino spazzando strade, case e vite umane. Gesù parla per immagini e la casa della metafora è un forte richiamo alla vita in sé, al progetto esistenziale a cui ognuno di noi affida il senso del suo procedere e degli obiettivi che ci siamo posti per essere beati o, come si dice oggi, realizzati e contenti di vivere.  Con il suo grido lanciato dal deserto, Giovanni Battista non fa altro che ricordare a chi lo ascolta che solo Gesù è la “roccia” su cui possiamo fondare con certezza di realizzazione la nostra vita: “preparate la via del Signore”. Come a dire: accogliete Gesù se volete vivere in modo pieno; fategli spazio; ascoltate il Suo Vangelo e assumete la Sua mentalità che libera dall’egoismo e dalla paura di amare.

In questa seconda domenica di Avvento il profeta e martire della Parola che siamo soliti conoscere con il nome di Giovanni Battista ci ricorda che per imparare a parlare ha dovuto recarsi nel deserto per apprendere l’arte dell’ascolto. Ed ecco la duplice lezione che ci viene impartita. La prima: per imparare a parlare dobbiamo esercitarsi e apprendere l’arte del tacere e dell’ascoltare. Seconda: non solo le difficoltà, le crisi, le fatiche o le oscurità della vita sono una tragedia senza senso. Quasi sempre sono il “deserto” nel quale possiamo crescere, cambiare stile di vita e rivedere gli obiettivi prefissati. Senza mai dimenticare che nel “deserto” delle nostre crisi e nel prendere le distanze dal rumore del facile e falso successo, ognuno di noi può affinare il suo orecchio per imparare ad ascoltare la Parola di Gesù che ci scuote, che ci rende veri e che ci libera dalle parole inutili e dalle parole intrise di veleno. È così per tutti, anche se molti provano a negare le difficoltà o a curarle con distrazioni di ogni tipo: soldi, feste, fughe, viaggi o accuse sempre e solo rivolte agli altri.

Giovanni Battista è severo, ma il suo tono forte e austero non è per incutere timore o per paralizzare. L’esatto contrario: ci vuole scuotere da un torpore che fa male e da quella indifferenza nella quale, spesso senza accorgercene, scivoliamo. La sua parola è schietta e diretta al cuore. Ai farisei e ai sadducei che lo cercano per mettersi a posto la coscienza, lo scomodo profeta ricorda che non sono le pratiche religiose che salvano e che non basta provenire da una famiglia religiosa per dirsi credenti (“Abbiamo Abramo per padre”).

Per costruire la casa sulla roccia è indispensabile cambiare strada, dice Giovanni Battista. E lasciare che la Parola di Gesù ci aiuti a prendere coscienza che il regno dei cieli è vicino. Ed ecco allora la buona notizia: il Vangelo di Matteo ci conferma e ci comunica che non siamo “lanciati” in un mondo dominato dal caso o, peggio ancora, dal caos. Non siamo in balia delle onde della storia che ci sballottano come relitti di una nave devastata e ormai distrutta. Siamo in cammino verso quel Regno di Pace, di giustizia e di libertà che inseguiamo ogni giorno e che non incontriamo lontani dal Vangelo che rende presente, in mezzo a noi, il Signore Gesù.

Il dono dell’Avvento ha proprio questo significato: prepararci a vivere il Natale come tempo dell’incontro con la Parola di Gesù senza la quale la nostra storia perde il suo sapore e il suo valore. E per sostenere questa preparazione, la chiesa ci dona – in questa domenica – la figura di Giovanni Battista che è credibile perché per primo ha abitato il deserto, perché imparato a comunicare grazie all’ascolto della Parola di Dio e perché ha parlato in modo forte, chiaro e senza mai fare sconti a nessuno.

Esattamente ciò di cui abbiamo tutti bisogno. Buona Avvento.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù

Giovanni Battista, tuo cugino, un po’ mi fa paura. Mi sembra troppo severo.

Anche Tu quando è necessario sgridi, ma lui usa parole e toni durissimi. Parla di una “scure” che taglia gli alberi che non danno frutto; parla del fuoco che brucia.

Tu invece all’albero che non fa frutti dai ancora una possibilità e quando i tuoi discepoli vogliono lanciare un “fuoco” che consumi chi non vuole riceverti, Tu li blocchi e li rimproveri. Grazie Gesù perché sei severo con il peccato, ma buono con chi sbaglia. E grazie perché non neghi mai la Tua misericordia a chi ha bisogno di essere perdonato.

Oggi tutti fanno a gara per chi è il più grande. Lui, invece, sa che sei Tu il più grande e che solo seguendo Te diventiamo buoni.  Sei forte Gesù. Anzi, come dice Giovanni: “sei il più forte”! E grazie per il dono dell’Avvento.

I DOMENICA DI AVVENTO ANNO A

I DOMENICA DI AVVENTO  ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 24, 37-44

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Un dato è certo: se la Chiesa italiana mettesse in atto le strategie proposte da alcuni partiti per porre un rimedio al calo di partecipazione alla vita sacramentale di cui siamo tutti testimoni, le nostre comunità cristiane si svuoterebbe nel giro di pochi mesi. Anche perché fede e sacramenti – per volontà del Signore Gesù e del suo Vangelo – non si acquistano. Illudersi che la partecipazione alla vita cristiana possa aumentare grazie ad incentivi economici, significa non sapere che il movimento della fede è – per sua natura – sganciato da incentivi monetari, da mance e da retribuzioni di qualsiasi tipo. Sposarsi in chiesa significa, per due battezzati che vogliono camminare insieme per il resto della vita, riconoscere che la loro sfida è possibile solo se restano immersi nella comunità di cui fanno parte e dalla quale ricevono il nutrimento del Vangelo e del pane eucaristico. Senza comunità cristiana, anche il matrimonio cristiano, con o senza 20.000 euro, è esposto al rischio di ritrovarsi in quella “solitudine a due” che ingenuamente quasi tutti pensano di curare con la separazione e la costruzione di una nuova vita di coppia.

Nella Prima Domenica di Avvento Matteo è molto chiaro: mangiare, bere, prendere moglie e prendere marito sono azioni che appartengono al vivere. Ciò che conta è non lasciare che il tran tran della vita – dice l’evangelista – ci travolga al punto da “non accorgersi di nulla”. Se questo accade, ci si ritrova chiusi in sé stessi e “sordi” alle fatiche di chi ci vive accanto. Si mangia, si beve, ci si sposa e si lavora (anche tanto), ma non si capisce il senso della vita e si è perennemente insoddisfatti. L’evangelista è molto chiaro: l’indifferenza verso gli altri (la “mia” casa, i “miei” figli, i “miei” soldi, il “mio” mutuo, le “mie” ferie, la “mia” carriera, la “mia” pensione, etc.) è – di fatto – il terreno sassoso sul quale non riesce attecchire la buona notizia del Vangelo. Anche perché “non accorgersi del fratello che ci vive accanto”, è sinonimo di non percepire la presenza del Signore Gesù che – vicino a noi – continua a cercarci, tanto nel campo come alla mola.

Come direbbe Pier Giorgio Frassati, non si fa il male. Ma non si fa nemmeno il bene. E in questo “vivacchiare” senza grosse colpe e senza attenzioni al prossimo, ci si ritrova stanchi dentro. Spenti. Delusi dalla vita anche se ci illudiamo di raggiungere un futuro che ci sembra a portata di mano e che – come nei peggiori sogni – non riusciamo mai ad agganciare e a fare nostro.

L’Avvento ci ricorda però che non stiamo correndo verso un futuro ignoto e inarrivabile, ma che siamo in cammino verso il Dio di Gesù che ci viene incontro (“Avvento” vuole dire che “viene verso di noi”) per renderci – finalmente – liberi, beati e capaci di dare un senso al nostro bere, mangiare, sposarsi e lavorare. Siamo tutti nel campo della vita. Tocca a noi accorgersi che Lui ci è accanto, ci parla e ci spinge a vivere per gli altri, per scoprire che è solo nel dare e nel servire che si realizza la nostra vita.

E quante riflessioni ci propone questo benedetto Avvento. Non ci eravamo accorti che eravamo fragili e che una pandemia ci avrebbe messo in ginocchio perché non preparati. Non ci siamo accorti che il Pianeta si è ammalato e che tra siccità e alluvioni siamo ad un passo dalla malattia irreparabile dell’unica Terra che abbiamo. Ma non ci siamo accorti nemmeno che la Pace, data per scontata, non è un bene assoluto, acquisito una vola per tutte. E ora che la guerra è vicino a noi siamo spaventati e disorientati. Così come non ci siamo accorti che l’Italia è diventato un Paese di anziani con una denatalità che pregiudica pesantemente la qualità dello sviluppo dei prossimi decenni.

L’Avvento è un dono perché si capisca che non si vive per mangiare, bere, prendere moglie e prendere marito, ma l’esatto opposto: siamo chiamati a mangiare, a bere e a prendere moglie e marito per vivere. E se ci accorgiamo che Lui ci chiama e ci chiede di aprirci al fratello, il nostro vivere diventa pieno, bello, intenso e ricco di grazia. Buona Avvento. A tutti e a ciascuno.             

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

         ho fatto il compito che ci ha dato il don (“Chiedete a parenti e amici che cosa stanno aspettando di importante)” ed ecco il risultato: mio nonno “aspetta” la pensione; mia zia “aspetta” un bambino; mio papà la Pace e mia mamma “aspetta” che la chiamino per un lavoro.

Hai ragione Tu, Gesù: non si può vivere senza aspettare qualcosa o qualcuno.

Gesù insegnami ad aspettare non solo cose per me (giocattoli, vacanze o feste) ma dammi un cuore grande capace di chiedere il bene soprattutto per gli altri.

E visto che la mia maestra dice che io mi distraggo troppo, ti prego Gesù: fa che mi “accorga” della Tua presenza nella mia vita di ogni giorno: a scuola, in oratorio, in strada e anche in casa.

Grazie Gesù perché Natale sarà come lo abbiamo atteso e come lo abbiamo preparato. E grazie per il dono dell’Avvento.

 

XXXIV DOMENICA ANNO C FESTA DI CRISTO RE

XXXIV DOMENICA  ANNO C  FESTA DI CRISTO RE  con preghiera dei piccoli                 

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23,35-43)

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

La solennità di Cristo Re è stata istituita da Pio XI l’11 dicembre 1925 con l’Enciclica Quas Primas, ma era da circa 25 anni che ampi segmenti della chiesa cattolica chiedevano al Papa di promuovere questa celebrazione annuale. Una solennità pensata e voluta per costruire un argine e una critica ai totalitarismi e ai regimi che, agli inizi del ‘900, chiedevano ai popoli un’adesione personale assoluta e che non lasciavano spazi al dissenso e alla vita democratica. Un modo per opporsi (con la debole arma della liturgia!) alla forte idolatria della Nazione che, in quel periodo, stava diventando l’altare sul quale sacrificare migliaia di vite umane con guerre, movimenti militari e repressioni varie per illudere un popolo di poter dominare sugli altri.

Nei primi decenni del secolo scorso le democrazie erano fragili. Gli arsenali erano strapieni di armi (e si sa: dopo averle fabbricate, le armi vanno usate!). La propaganda era in grado di convincere chi non aveva altre fonti di informazioni che guerre, occupazioni, invasioni o campagne militari per colonizzare ampi strati dell’Africa erano movimenti giusti e sacrosanti. Sono nate così, nel secolo scorso, due guerre mondiali che ci hanno fatto vivere in un’Europa frantumata da trincee, da scontri, da divisioni e da campagne di razzismo che hanno seminato odio, più di 80 milioni di morti (senza contare feriti, orfani e famiglie distrutte) e che hanno dimostrato l’assurdità del titolo di Nazione quando questo è pensato in contrapposizione ad altri Stati e usato per dominare un altro popolo.

Il senso della Solennità di Cristo Re era questo: ricordare a tutti i governanti del mondo che solo nonviolenza, amore, perdono e giustizia sono in grado di costruire Paesi che anziché difendersi l’uno dall’altro possono cooperare per un progetto comune e per un mondo senza guerre, liberato dai totalitarismi, dalle ingiustizie e dalle eccessive diseguaglianze che preparano le guerre.

Esaurito l’entusiasmo per i Re e per le monarchie (titoli e riferimenti più turistici e ornamentali che politici per il nostro tempo) questa Festa ha perso un po’ di smalto. Anche il titolo di “Nazione” negli anni immediatamente dopo il Concilio risultava stretto e inadatto a chi voleva dare spazio e voce a quel desiderio di fraternità universale che ci spingeva a pensare la Terra tutta come la nostra casa comune.

Decennio dopo decennio queste piccole-grandi “letture” sono state erose da istanze più piccine. Ci siamo lasciati prendere dalla paura. E ci siamo ritrovati all’interno di confini nazionali che abbiamo cominciato ad avvertire come insicuri e da rinforzare. Per difenderci da quanti – perché disperati – bussavano alle porte del nostro Paese per cercare speranza e dignità. Il titolo di Nazione è riapparso e – come era prevedibile – non si è proposto solo come sinonimo di Paese o di Italia, ma anche con quella accezione carica di orgoglio che spinge a primeggiare e a porsi sopra gli altri e, in alcuni casi, anche contro gli altri!

Cristo Re – come sempre – osserva e tace. Non ha parlato quando lo hanno arrestato e non ha proferito parole quando, inchiodato alla croce, veniva spiato e deriso dai pochi che, con cattivo gusto, si sono resi spettatori della sua crocifissione per vedere se era in grado di salvare sé stesso. Con il suo silenzio ha però reso evidente a tutti che la sola cosa che nessuno può fare è quella di salvarsi da solo e – se Dio -  si è assoggettato  anche Lui a questa legge umana per aiutare tutta l’umanità ad uscire dal delirio di onnipotenza sganciato dalla pratica dell’amore e del perdono. Perché è questo il grande dono di Cristo Re: convincerci che solo con il perdono e con il servizio il nostro amore diventa onnipotente e ci rende pienamente umani. Era imprevedibile quanto stiamo vivendo negli ultimi anni. Imprevedibile il covid e la siccità. Ma del tutto inattesa anche l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin e il suo scenario di distruzione, di morte e di migrazioni forzate. Imprevedibile anche un’Europa sempre più anziana che necessita di manodopera proveniente da altri Paesi e – allo stesso tempo – impegnata a difendere i suoi confini e a respingere chi vuole lavorare per noi.

Cristo Re non parla. Ma dall’alto della croce ci ricorda che solo il Suo Vangelo ci rende veri e che il sinonimo di amare non è dominare, ma accogliere, servire e perdonare.

Cristo Re ci ricorda che la Terra ha bisogno di ponti e non di muri; che i confini solo sicuri solo se sanno aprirsi e che ciò che la vita ci chiede è impegnarci per difendere l’ambiente e i poveri, non le nostre fragili sicurezze. "I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve” (Lc. 22, 25-26).

Buona festa di Cristo Re.

                                                                                        Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                       nemmeno in croce ti hanno lasciato in pace. Qualcuno Ti guarda solo per vedere come reagisci; altri Ti sfottono e Ti chiedono di dimostrare che hai dei super poteri e ti chiedono di usarli per salvare te stesso. Anche tra i condannati uno ti attacca. L’altro, invece, capisce chi sei realmente e Ti chiede di aiutarlo e di perdonarlo.

E anche in croce Tu pensi prima agli altri e poi a te stesso.

Grazie Gesù perché in questa pagina di Vangelo non fai molti discorsi, ma quello che insegni con la vita e con il silenzio è un qualcosa che resta per sempre nel nostro cuore.

È bello sapere che Tu, Gesù, non sei un “re” che comanda o che fa guerre, ma un Re che ama, che serve e che perdona. E grazie anche perché sei il Re Buon Pastore che ci aiuta oggi, non domani.