Preghiere poesie

XI DOMENICA ANNO B con preghiera dei bambini

XI DOMENICA ANNO B  con preghiera dei bambini

[In quel tempo, Gesù] diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
  Marco  4, 26-34

Quando san Marco compone questo racconto sono passati tre o forse quattro decenni dal mattino di Pasqua. I discepoli che hanno deciso di seguire Gesù risorto sono stanchi e messi a dura prova dalle persecuzioni. Alcuni di loro si stanno scoraggiando. Altri hanno già deciso di tornare indietro, ma per tutti le oggettive difficoltà che vivono sono fonte e premessa di sfiducia (“Ma che senso ha resistere e perseverare nella fede? Ma perché vince sempre il male? Ci eravamo illusi che bene e vita potessero essere le ultime parole, in realtà non cambia mia nulla: violenza, soprusi e ingiustizie sembrano vincere sempre.”).

San Marco conosce molto bene questi loro stati d’animo. E per consegnare loro una forte promessa di speranza presenta il Regno di Dio (annunciato e inaugurato da Gesù) con l’immagine del seminatore che con il gesto largo e generoso del “gettare” il seme su qualsiasi terreno diffonde e “consegna” la Parola di Dio senza stancarsi mai.

Il messaggio è forte e intenso: seminare la Parola di Dio è impegno continuo e faticoso, ma il crescere di quel seme non è affidato al contadino che lo lancia. La Parola di Dio cresce con una sua forte e decisa autonomia. Al di là di qualsiasi sforzo del seminatore. È vero: dopo la semina tutto tace; non si vede nessun risultato ed in quel silenzio che sembra annunciare la morte del proprio lavoro, è normale scoraggiarsi.

In realtà, dice san Marco, si tratta di un inganno ottico. Al di là delle apparenze, il seme cresce, germoglia e si prepara a donare – a chi ha la forza di perseverare nell’attesa – raccolti abbondanti (“Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce”).

DOMANDE PER LA NOSTRA ATTUALITÀ. Ma non siamo anche noi in questo scenario? È vero: la pandemia sta rallentando e abbiamo ripreso quasi tutte le nostre precedenti libertà, ma le nostre comunità cristiane e le nostre famiglie restano scosse dai lutti, dalle fatiche, dalla perdita di lavoro di molti di noi e dalla difficoltà di arrivare a fine mese che, purtroppo, caratterizza molte nostre case. Incidenti sul lavoro, tragedie nei trasporti, violenze e disonestà continuano ad affiancare le nostre settimane e non poche volte abbiamo l’impressione che tanto nostro impegno sia inutile. Catechisti, animatori, educatori, laici impegnati nelle comunità cristiane, ma anche suore o noi preti: tanto impegno, tanta fatica, ma – di fatto – sono sempre meno coloro che si accorgono del nostro “seminare”. “Dove stiamo sbagliando?”, cominciano a domandarsi in molti. Perché non vediamo i risultati che vorremmo vedere?

Ma lo stesso lo potremmo dire anche per i non credenti o i non praticanti. Alla luce dei continui e troppi scandali che emergono giorno dopo giorno, ha ancora senso credere nell’onestà, nella giustizia, nel “pagare le tasse” o nella solidarietà generosa e gratuita per aiutare i più disperati? Se quasi tutti fanno i furbi e pensano solo al loro “profitto” – ecco la domanda insidiosa che serpeggia in noi – devo “salvarlo” io il mondo?

San Marco non ha dubbi. Il bene vince sul male. L’onestà, la giustizia e la solidarietà sono più forti di qualsiasi ingiustizia, violenza o egoismo. A noi non è chiesto di spingere il seme che cresce (“non tirare l’erba che cresce” recita un saggio proverbio). A noi il buon Dio domanda di ascoltare la Sua Parola e di “allargare le braccia” per lanciarla nel mondo (sul terreno) con la testimonianza di un vivere per gli altri. Tutto il resto lo fa Lui.

Buona domenica. E auguri cordiali di buon onomastico a chi porta il nome di sant’Antonio.

 Preghiera dei bambini

 CARO GESU'

             oggi a messa sono riuscito ad ascoltare anche la prima lettura.

Parlava di Dio che prende un ramoscello dalla cima di un cedro e che lo pianta sull’alto monte di Israele per farlo diventare un albero grandissimo e magnifico (dove tutti i passerotti trovano riposo, ombra e fresco).

Tutto è grande in questo racconto.  Tu, però, hai cambiato schema. E al posto del cedro magnifico e del grande monte, hai fatto riferimento all’orto di casa! Per dirci che Tu fai crescere il Tuo amore là dove noi viviamo.

Gesù Tu parli sempre in modo semplice e usi gli esempi e i luoghi della vita di tutti i giorni per farci capire che ci vuoi bene e che ci sei vicino.

Grazie Gesù per questo anno scolastico appena finito. E grazie perché la Tua Parola cresce dentro di noi (quando siamo svegli, ma anche quando dormiamo).

CORPUS DOMINI e preghiera dei fanciulli

CORPUS DOMINI  e preghiera dei fanciulli

 

Vangelo di Marco 14, 12-16.22-26

«Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?”. 13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. 14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi”. 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. […] E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”.23Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.24E disse loro: “Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. 25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”. 26Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi».

 

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Si noti il primo e prezioso particolare: i discepoli si esprimono al singolare (“perché Tu possa mangiare la Pasqua”), ma Gesù risponde con quel “Noi” (al plurale) per comunicare loro (e a chi legge!) che senza il “noi” del condividere non c’è “stanza” e non c’è “sala”. Esiste solo una prigione che rinchiude l’io nel suo egoismo.

Il messaggio è chiaro: è Gesù che si prende così cura di noi. È Lui che, per donarsi a noi come Pane che sazia la nostra voglia di amare, ci prepara anche la “stanza” che è “grande, arredata e già pronta”. Senza dimenticare che è “al piano superiore” per dirci che se non si “sale” oltre la piccineria dell’egoismo, del pettegolezzo, dell’avarizia e della sola voglia di “prendere”, non si impara ad amare e a vivere bene. Anche il fatto che la sala indicata da Gesù si presenti come grande, arredata e già pronta è importante: per educarci ad accogliere chi spesso e volentieri è escluso sulla sola base della diversità (e della povertà) e per portarci oltre la nostra solitudine, paure e chiusure. I discepoli sono convinti che tocchi loro organizzare dove mangiare la Pasqua. Ma chi fa tutto è Lu, Gesù. Perché chi Lo ascolta e chi Lo segue possa sedersi a tavola con Lui, con i compagni di mensa che non ha scelto e nutrirsi del Pane che tiene in piedi, che rende forti nel servire e capaci di perdonare.

Per provare ad attualizzare.

  1. La prima casa. Facciamo di tutto per acquistarla e per assicurarla ai nostri figli. E non è detto che sia un male. A patto di non dimenticare che pareti, edificio e arredo non bastano – da soli – a costruire una “casa” nel termine affettivo e profondo del termine. Se non permettiamo al Signore Gesù di preparare per noi la “stanza” in cui Lui ci aspetta per educarci – con l’ascolto della Sua Parola – a servire, ad amare e a donare, le nostre “abitazioni” si riducono ad essere dei “ripari” in cui ci si ritira (e dove a volte si litiga), ma non diventano “casa” che ci immerge nell’amore e nella libertà.
  2. E chi la casa non la possiede? Non penso solo ai “senza fissa dimora” (a quelli che ieri si chiamavano barboni). Penso al Sud del mondo (composto dall’80% della popolazione mondiale) dove sono milioni a vivere senza una casa e – in ogni caso – senza le nostre sicurezze. Non possiamo più vivere come se i poveri non esistessero e come se tutti avessero casa, acqua, luce, elettrodomestici e sicurezze come noi. Aiutare il Signore Gesù a preparare una stanza anche per i più poveri è il vero senso del nostro vivere e la sola attività che ci rende beati, felici.
  3. Ma non è questo ciò che cercano i nostri giovani? Le loro case sono dotate di ogni comfort. Ma moltissimi di loro, figli unici, vivono in stanze vuote. Sono ragazzi ricchi di tecnologia (smartphone, tablet, computer, etc.), ma orfani di relazioni vere e senza quelle guide – autorevoli e competenti – che aiutano chi cresce ad incamminarsi sui sentieri della saggezza, della bontà e della capacità di ascolto. Sono ragazzi e giovani che cercano “incontro”, presenze, conversazioni ed esempi capaci di illuminare la loro vita e che quasi sempre trovano adulti di corsa, distratti e lontani. 

All’inizio del mese che ci porta l’estate e al quale è stato chiesto di dare una spallata alla pandemia, il Vangelo di Marco ci invita a salire al piano superiore e ad accomodarci nella sala grande, già arredata e preparata per noi perché l’evangelista sa molto bene che senza la Sua Parola e lontani dal Suo farsi Pane per noi non riusciamo a diventare “buoni come il pane” e a farci “pane spezzato” per chi ha bisogno di noi.

Anche questa stanza in cui celebriamo la nostra eucaristia domenicale è uno spazio che abbiamo curato e attrezzato noi. Ma nessuno lo dimentichi è Lui che l’ha preparata. Per portarci al piano superiore (dove la vita viene vista in modo più profondo) e per offrirci quella preziosa opportunità di riposo di cui abbiamo sempre nostalgia.

Buona Festa a tutti e auguri a chi in queste settimane termina il suo impegno scolastico come studente e a chi opera nel mondo della scuola (come personale docente, amministrativo o come operatore scolastico).

                                              Preghiera dei fanciulli

Caro Gesù,  domenica scorsa ho fatto la Prima Comunione. E sai che cosa sento oggi? Che questo Vangelo sembra scritto per me. Ero convinto di aver organizzato tutto io (con mamma e papà). Anche gli inviti per la festa con tanto di foto e scritte, credevo di averli scelti io (con mamma e zia).  Adesso scopro che sei stato Tu ad organizzare tutto. Proprio come hai fatto con i tuoi discepoli. Pensavano di dover preparare tutto loro. Invece sei stato Tu che hai scelto il posto e che hai fatto trovare la sala arredata e già pronta.

Sei stato Tu, Gesù, a cercarmi, ad invitarmi al catechismo, a farmi capire il Tuo amore e a organizzare la nostra Prima Comunione. Gesù, aiutami a diventare buono come il pane. Ti prego Gesù per i bambini e per i grandi che  sono morti sulla funivia. Aiuta Tu i grandi a difendere la vita.

 

SANTISSIMA TRINITÀ B

                         SANTISSIMA TRINITÀ B  con preghiera dei ragazzi

 

«Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Matteo 28, 16-20)

 

Per il lettore attento del vangelo è evidente: i due diversi monti su cui sale il Gesù descritto da san Matteo, sono la rappresentazione simbolica dei due opposti modi di vivere. Il “monte” su cui il diavolo porta Gesù nelle famose tentazioni (Mt. 4,8) è il luogo che rappresenta quel vivere avvelenato dalla voglia di potere, di dominio, di gloria e di persone da sottomettere che tutti conosciamo. Il “monte” su cui sale Gesù per consegnarci le otto beatitudini (Mt. 5,1ss) che ci incamminano sul sentiero della “felicità” è – al contrario – la visibilità di un vivere reso umano dal “servire l’altro” (senza volerlo dominare) e dal prendersi cura di chi sta male, di chi piange e di chi è oppresso dall’ingiustizia.

Due monti. Proprio come ci sono due strade. E perché il battezzato non dimentichi questo insegnamento anche “figurato”, Gesù risorto “aspetta” e convoca i suoi “undici” discepoli sul “monte che aveva indicato”: quello delle “beatitudini”. San Matteo vuole spiegare a chi cerca Gesù risorto che il solo modo per vederlo e riconoscerlo è attivarsi con le indicazioni date su quel monte. Vivere per gli altri, accorgersi del povero e sostenere la sua indigenza, consolare chi piange, farsi carico di chi è senza terra e colpito dall’ingiustizia, non rende solo misericordiosi, puri di cuore e miti, ma “apre” gli occhi e permette di vedere il volto di Dio presente nel fratello che ci vive accanto.

Ed eccoci nel cuore della solennità che stiamo celebrando: la Santissima Trinità. Dio è relazione e comunione, ci dice san Matteo. Fuori dal “noi” e dallo stare insieme nel segno della comunione e del reciproco perdono, non c’è pace per la nostra vita. Quante volte ci roviniamo l’esistenza perché siamo scivolati sul “monte” sbagliato e decidiamo di non perdonare “perché io non sono capace a perdere!”. Quanto veleno entra nella nostra vita per litigi legati a chi ha più potere, a chi fa più carriere o per sterili e inutili competizioni su chi conta di più! Il monte delle beatitudini ci spiega che non appena si apre il cuore al fratello che ci è vicino, la nostra vita rinasce e genera nuova vita: più intensa e meno avara.

Gli episodi che la cronaca ci presenta quotidianamente non fanno altro che confermare il fatto che fuori da quel vivere in comunione tra noi (che ci immerge nella comunione della santissima Trinità che ci abilità all’amore vero e al reciproco perdono) non c’è pace.

Dalla pandemia non siamo ancora usciti. Ma una cosa ci è ormai chiara: nessuno può salvarsi da solo. Solo se attiviamo la corretta modalità di essere, fare e costruire comunione tra noi, siamo in grado di vedere la luce al fondo del tunnel! Il “mio” vaccino serve a poco se non mi attivo perché il nostro stare insieme sia rispettoso per tutti e soprattutto nei confronti dei più deboli.

Le foto di bambini morti sulle spiagge del “Mare nostrum”, “sono inaccettabili”, ha detto il Presidente Draghi. E ha ragione. Sono uno schiaffo alla nostra Europa fondata sul libro che leggono le tre confessioni religiose monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo). Ma sono anche il segno che la parte vecchia del pianeta si sta chiudendo al coraggio di accogliere e di costruire “ponti” verso la parte povera del mondo. Per san Matteo non si sono dubbi: il “noi” che ci propone la santissima Trinità coinvolge anche quei volti apparentemente lontani, ma spesso sull’uscio del nostro continente. E la nostra libertà e nostro salvezza sono date dal come li sappiamo sostenere, accogliere e aiutare.

La tragedia della funivia Stresa - Mottarone. Se la procura di Verbania confermerà le pesanti accuse che individuano in spregiudicate ragioni economiche la reale causa del disastro con i suoi 14 morti (per non perdere ulteriori corse e incassi nonostante il malfunzionamento del sistema), ci troveremo tutti sconvolti. Anche perché è l’ennesima conferma del fatto che quando il profitto ad ogni costo spegne persino il coraggio di schierarsi dalla parte della vita umana e della difesa della incolumità delle persone, è segno che stiamo camminando sul monte sbagliato.

Mai come in questo tempo abbiamo bisogno che l’abbraccio di Dio che è Padre, Figlio e Spirito ci avvolga e ci aiuti a uscire dall’io avaro e egoista per generare comunione, speranza, pace, giustizia e libertà per quel “Noi” senza il quale non si vive bene.

Buona Festa a tutti.

 

Preghiera dei piccoli

 

Caro Gesù,

                  sai che cosa ci ha detto la maestra a scuola? Che le prime parole del tema e le ultime sono le più importanti.

Oggi ci ho fatto caso e ho scoperto che anche nel Tuo Vangelo è così: agli inizi del Vangelo di san Matteo c’è scritto che il Tuo nome è “Emmanuele che significa Dio con noi” (Mt. 1,23) e adesso, alla fine del Vangelo, leggo che Tu hai detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.” (Mt. 28,20).

Gesù, mi piace questo Tuo spiegarci, domenica dopo domenica, i nomi di Dio (che sono anche i Tuoi).

E grazie perché Tu “sei con noi” tutti i giorni. Non solo quando è festa.

Più imparo i Tuoi nomi, Gesù, più mi accorgo di volerti bene. E capisco quanto tutti noi siamo importanti per Te.

 

P.S. Grazie Gesù perché forse stiamo uscendo dalla pandemia.

 

PENTECOSTE ANNO B

PENTECOSTE ANNO B con preghiera dei ragazzi

Gv 15, 26-27; 16, 12-15    Atti 2, 1-11

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:] «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio […]. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio

e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

Pentecoste, ormai lo sappiamo, deriva dal greco e ci ricorda che “cinquanta giorni” dopo Pasqua il Signore Gesù dona, ai suoi discepoli e a tutta l’umanità, il Suo Spirito che san Giovanni chiama Consolatore, Difensore (questo vuole dire “Paraclito”) e Spirito di Verità. Ma perché l’evangelista sente il bisogno di consegnare alla sua comunità (almeno cinque decenni dopo il mattino di Pasqua) questa intensa e dettagliata pagina su come lo Spirito di Gesù ci guiderà alla Verità tutta intera? Probabilmente perché le comunità che san Giovanni incontra sono stanche, sfiduciate e a corto di speranza. Gesù risorto non torna e i battezzati che si trovano alla fine del primo secolo hanno l’impressione di non avvertire la Sua presenza nel difficile procedere quotidiano; le persecuzioni dei cristiani sono sempre più numerose, efferate e crudeli; molti discepoli della prima ora hanno rinunciato a credere nel Signore Gesù e sono usciti dalle loro comunità. San Giovanni non racconta solo eventi ed episodi accaduti al Gesù storico. Per l’evangelista è di vitale importanza che il suo lettore capisca che il dono dello Spirito che Gesù consegna a chi è disposto ad accoglierlo, è per tutti, ma soprattutto per chi legge questo testo nel tempo presente. L’evangelista decide perciò di rivolgersi in modo speciale al lettore che è stanco, sfiduciato, segnato dalla fatica, con le lacrime agli occhi e bisognoso di amore e di ragioni per tornare a sperare.

Verrebbe da dire: si tratta di una Pagina di Vangelo scritta anche per noi, per il nostro tempo. Per aiutarci a comprendere che il dono dello Spirito di Verità è destinato non solo ai discepoli di ieri (!), ma anche a noi (nel nostro oggi) per aiutarci ad uscire dalle nostre paure e dagli effetti (bruttini) che la pandemia ha lasciato in e su tutti noi.

Significa scoprire, grazie a questa pagina di Vangelo, che lo Spirito di Gesù ci libera: dalla paura della Solitudine (il nostro grande e vero tabù). Anche per questo siamo sempre connessi: perché abbiamo timore del silenzio e perché non sappiamo più ritrovare la nostra vera autonomia quando siamo soli. Lo Spirito di Verità che ci dona Gesù ci rende capaci di ritrovare noi stessi soprattutto nella solitudine e ci ricorda che lontano dal rumore, dalla baraonda e nel silenzio, il nostro cuore si apre alla verità e alla libertà. Solo chi impara a stare anche da solo – ci dice lo Spirito di Verità – è capace di amare!

Dalla paura della “Diversità”. La grande e folle ambizione degli uomini che volevano costruire la Torre di Babele (Genesi 11) era questa: arrivare fino al cielo con una costruzione in muratura torre di mattoni e illudersi che parlare tutti la stessa lingua voleva dire capirsi e non litigare. Lo Spirito che ci dona Gesù ci ricorda che non tocca all’uomo salire al Cielo perché è Dio che, con il Figlio suo che si è fatto carne, è sceso verso di noi. Ma lo Spirito di Gesù ci insegna anche che non ha senso ridurre la diversità ad un frullato dove tutto e tutti sono omogeneizzati. Non basta parlare la stessa lingua per non litigare! Lo Spirito di Gesù ci rende capaci di parlare il linguaggio dell’amore, della comunione, del perdono e della Pace. E solo Dio sa quanto abbiano bisogno di questo vocabolario (noi e il mondo intero).

Dalla paura di Amare. Abbiamo tanta voglia di essere amati, ma abbiamo anche paura che l’amore ci chieda di amare “come Lui ha amato noi”. Facciamo fatica ad amare chi fa di tutto per farsi detestare, chi sbaglia, chi non chiede perdono o chi è diverso da noi e ostile verso di noi. Lo Spirito di Verità ci rende capace – finalmente – di amare in modo pieno, completo e meno superficiale. Permettendoci così non solo di entrare nel giardino dell’amore adulto (“Come Lui ha amato noi”), ma anche di ritrovarci liberi (dentro e fuori), beati e immersi in una comunità vera, liberata da ideali di perfezione.

Dalla tentazione di fermare la nostra capacità di sperare.   Ci sono dei momenti della vita di tutti noi in cui diventa difficile portare il cuore oltre le fatiche o al di là del lutto. Quante volte, in questi ultimi sedici mesi, abbiamo avuto l’impressione che il buio fosse più forte della luce. Lo Spirito di Verità ci consegna la certezza che le ultime parola della storia umana sono e saranno per sempre: luce, vita, amore, giustizia, bontà e bene. Diventare capaci di sperare quando il male (fisico e morale) sembra vincere, è il grande dono della nostra Pentecoste che ci rende uomini nuovi proprio perché in grado di stare anche da soli, di abitare le diversità in un Noi ampio come il mondo, di amare “come Lui ha amato noi” e di sperare di trovare la luce anche nell’infittirsi dell’imbrunire, come cantava Battiato.

Buona Pentecoste.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù, ormai l’ho imparato: Pentecoste vuole dire 50

giorni e ci ricorda che cinquanta giorni dopo la Tua resurrezione, il Tuo Spirito è sceso sui Tuoi discepoli per consolarli.

Domenica scorsa il Tuo Vangelo ci ha detto che il nome di Dio è “Io sono con voi”, per dirci che è sempre “con noi”.

Oggi il Tuo Vangelo ci dice che il nome di Dio è “il Consolatore”, per dirci che Dio ci cura e ci fa stare bene.

Gesù, Tu non solo ci stai vicino sempre, ma ci togli anche le sofferenze che ci rubano la voglia di sorridere.

Grazie Gesù per questa bella festa.

Donami il Tuo Spirito e donalo a tutti i miei parenti e amici. Gesù non è grave se parliamo lingue diverse.

Quello che è brutto è quando non ci capiamo o quando vogliamo obbligare gli altri a parlare e a pensare come noi.

A MARIA, DONNA VERA

A MARIA, DONNA VERA

 Santa Maria, donna vera, icona del mondo femminile umiliato in terra d’Egitto, sottomesso alle sevizie dei faraoni di ogni tempo, condannato al ruolo di abbrustolirsi la faccia dinanzi alle pentole di cipolle, e a cuocere i mattoni per la città dei prepotenti, noi ti imploriamo per tutte le donne della terra.

Da quando sul Calvario ti trafissero l’anima, non c’è pianto di madre che ti sia estraneo, non c’è solitudine di vedova che tu non abbia sperimentato, non c’è avvilimento di donna di cui non senta l’umiliazione.

Se i soldati spogliarono Gesù delle sue vesti, il dolore spogliò te dei tuoi prestigiosi aggettivi. E apparisti semplicemente donna, al punto che il tuo unigenito morente non seppe chiamarti con altro nome: «Donna, ecco tuo figlio».

Tu che rimanesti in piedi sotto la croce, statua vivente della libertà, fa’ che tutte le donne, ispirandosi alla tua fierezza femminile, sotto il diluvio delle sofferenze di ogni specie, al massimo pieghino il capo ma non curvino mai la schiena.

Santa Maria, donna vera, icona del mondo femminile che ha intrapreso finalmente le strade dell’ esodo, fa’ che le donne, in questa faticosa transumanza quasi da un’ èra antropologica all’ altra, non si disperdano come gli Ebrei «nel mare dei giunchi». Ma sappiano individuare i sentieri giusti che le portino lontano dalle egemonie dei nuovi filistei. E perché la tua immagine di donna veramente riuscita possa risplendere per tutte, come la nube luminosa nel deserto, aiuta anche la tua Chiesa a liberarti da quelle caparbie desinenze al maschile con cui ha declinato, talvolta, perfino la tua figura.

Santa Maria, donna vera, icona del mondo femminile approdato finalmente nella Terra Promessa, aiutaci a leggere la storia e a interpretare la vita, dopo tanto maschilismo imperante, con le categorie tenere e forti della femminilità.

In questo mondo così piatto, contrassegnato dall’intemperanza del raziocinio sulla intuizione, del calcolo sulla creatività, del potere sulla tenerezza, del vigore dei muscoli sulla morbida persuasione dello sguardo, tu sei l’immagine non solo della donna nuova, ma della nuova umanità preservata dai miraggi delle false liberazioni.

Aiutaci, almeno, a ringraziare Dio che, se per umanizzare la terra si serve dell’uomo senza molto riuscirei, per umanizzare l’uomo vuol servirsi della donna: nella certezza che stavolta non fallirà.

 don Tonino Bello

ASCENSIONE DEL SIGNORE GESÙ ANNO B

ASCENSIONE DEL SIGNORE GESÙ  ANNO B con preghiera dei piccoli

 

[In quel tempo, Gesù apparve agli Undici e] disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano. (Mc 16, 15-20)

 

Nel libro dell’Esodo si racconta che quando Mosè chiede a Dio di dirgli con quale nome presentarlo al suo popolo, “Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: “Così dirai agli Israeliti: «Io-Sono mi ha mandato a voi»”. Questo è il nome del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Gesù riparte da questo dato, ma lo completa e lo “piega” verso di noi fino presentarci il nuovo nome di Dio: “Dio-con-noi”.

È questo il senso ed il significato profondo della solennità che oggi celebriamo: l’Ascensione in Cielo del Signore Gesù non significa che Gesù risorto si è nascosto tra le nuvole! Il Cielo di cui parlano gli evangelisti è la realtà stessa di Dio che ha superato spazio e tempo per essere e per restare sempre (definitivamente) con noi.

Dire Ascensione al Cielo del Signore Gesù, perciò, significa dire che il Dio di Gesù è sempre con noi. Ed ecco i segni che manifestano e rendono riconoscibile il Sue essere con noi, vicino a noi e accanto alla nostra vita.

Nel mio nome scacceranno i demoni. Con il Dio-con-noi accanto, siamo – finalmente – in grado di allontanare dalla nostra vita tutto ciò che avvelena la nostra esistenza e ci fa vivere male. I “demoni” dell’egoismo, della cattiveria, del rancore, dell’avarizia o dell’indifferenza sono spazzati via dalla nostra volontà resa forte e determinata dalla presenza del Signore Gesù in noi e con noi. Fino a liberare il nostro cuore per renderlo definitivamente capace di amare “come Lui ha amato noi”.

Parleranno lingue nuove. Questo è il grande sogno dell’umanità: imparare a parlare la lingua (nuova!) dell’amore, del perdono e della gentilezza, della delicatezza, dell’attenzione all’altro e della pace. Per qualcuno si tratta di una lingua che di fatto non esiste perché profondamente convinto che vincano solo e sempre arroganza, furbizia e violenza. In realtà non è così. Al punto che chi impara a parlare bene la lingua nuova dell’amore, vive anche bene: aperto agli altri e immerso in quella beatitudine che sempre cerchiamo e che trova solo chi si apre al servizio verso il fratello.

Prenderanno in mano serpenti. I serpenti non piacciono quasi a nessuno e fanno paura a tutti. Si tratta però di un’immagine (forte) per dirci che stare con Gesù ci insegna anche ad affrontare difficoltà e problemi senza scappare. Quante volte spostiamo a “dopo” la soluzione di un problema sapendo che quel “dopo” non verrà mai; quante volte

 

decidiamo di non affrontare una difficoltà perché impauriti e convinti di non farcela a superarla! “Prendere in mano i serpenti” vuole dire che non siamo soli e che possiamo “prendere in mano le nostre difficoltà per affrontarle con successo”.

Se berranno qualche veleno, non recherà loro danno: impossibile non avere critiche o non avere persone che si schierano contro di noi. Soprattutto se si decide di fare il bene, di difendere i poveri e di stare dalla parte della giustizia. Non possiamo però permettere che queste difficoltà ci pieghino o ci tolgano la certezza di essere – con Gesù – dalla parte giusta. E per evitare che il suo discepolo si scoraggi, la risposta di Gesù è chiara e trasparente: chi ci vuole fare del male, sarà privato del suo veleno e non ci aggredirà in profondità. Grazie al Signore Gesù con noi, saremo sempre più forti delle critiche, delle calunnie e del male agito contro di noi.

Imporranno le mani e questi guariranno. Accanto a Gesù non si diventa medici e le mani dei suoi discepoli non hanno la forza di guarire in modo magico chi contrae le tante malattie che ancora ci sono in mezzo a noi. È vero però che quando il discepolo di Gesù si accorge di chi, accanto a lui, soffre e sta male, quest’ultimo riceve aiuto, conforto e consolazione da quella delicata presenza e prossimità. Quante volte medici e infermieri hanno sorretto, confortato e consolato ammalati ricoverati alle prese con il covid solo con uno sguardo, con una carezza, con un gesto o con la condivisione di un cellulare per permettere un saluto alle sue persone care. Usare le mani per fare il bene è la grande proposta di Gesù (non per generare violenza, assenze o cattiverie varie). E con l’aiuto del Dio-con-noi è possibile.

Festa che se non ci fosse andrebbe inventata. Buona domenica.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

nelle favole o nei cartoni, è sempre il più forte che “sale” in cielo. E lo fa solo dopo aver vinto tutti e dopo averli distrutti.

Oggi, nel Vangelo, abbiamo letto che Tu, dopo essere stato arrestato, picchiato, frustato e ucciso in croce, sei stato elevato in Cielo.

Il Tuo Vangelo mi fa sempre pensare: con Te vincono i deboli, chi è escluso, gli ultimi e soprattutto la bontà.

Grazie Gesù per questo messaggio.

Quando ero piccolo pensavo che “salire in cielo” voleva dire andare sopra le nubi (e quando si diceva “Ascensione” io capivo “ascensore”).

Oggi so che “salire in cielo” significa stare nella mano di Dio e sapere che Tu ci dai la forza di aiutare chi è debole, chi piange e chi è povero.

Grazie Gesù perché con Te il Cielo è sulla Terra.

E grazie anche perché tutti i miei nonni sono vaccinati.

 

 

VI DOMENICA DI PASQUA B

 VI DOMENICA DI PASQUA  B 

  Giovanni 15, 9 -17

 

In quel tempo Gesù disse ai suoi  discepoli: 9 Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

Per “rimanere” nell’alleanza con il Dio di Abramo, Mosè ha chiesto al popolo di Israele di osservare fedelmente i “dieci comandamenti” scritti sulla pietra e ricevuti sul monte Sinai. Gesù segue questo schema, ma la Sua richiesta è di osservare un solo comandamento, che Lui chiama “il mio comandamento” e lo definisce con dodici parole: “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.”. Ma come si fa – in concreto – a rimanere nel Suo amore osservando il Suo comandamento?

Proviamo, per rispondere a questa domanda, a farci guidare dall’evangelista che ha riportato la richiesta di Gesù. A partire da almeno tre precise piste di lavoro.

PRIMA PROPOSTA. Al capitolo secondo del Suo Vangelo, san Giovanni ci presenta la famosa scena del matrimonio di Cana con Gesù e Maria tra gli invitati. Non appena sua madre gli segnala la mancanza del vino (segno e simbolo della gioia e della festa), Gesù si adopera perché il banchetto non si fermi e perché “gioia e festa” possano ancora “scorrere” – senza interrompersi – in quella comunità.

Per rimanere nel Suo amore, ci è perciò chiesto di imparare a portare gioia là dove, purtroppo, vengono a mancare le ragioni della festa e della speranza. La pandemia non ha fatto sconti a nessuno. Nei migliori dei casi siamo rimasti chiusi in casa; molti però hanno perso la serenità economica data dal lavoro e altrettanti hanno perso la salute senza contare i troppi che – in solitudine – sono morti. Portare il vino della gioia là dove lacrime, sofferenze, divisioni e fatiche di ogni tipo hanno scavato solchi di dolore, vuole dire portare perdono dove ci sono odio e rancori; sorrisi dove le inimicizie e i litigi hanno spento la voglia di gioire insieme; presenza e vicinanza a chi è rimasto solo e ha paura di vivere.

SECONDA PROPOSTA. Al capitolo undici del Suo Vangelo, Gesù si commuove per la morte di Lazzaro, ma non rinuncia a recarsi al sepolcro dove lo hanno deposto. Il Suo ordine è perentorio: “Togliete la pietra!”. E dopo aver pronunciato il grazie al Padre che sempre Lo ascolta, Gesù chiama l’amico morto a gran voce: “Lazzaro viene fuori!”. E a quanti, attoniti, assistono alla scena, dice: “Liberatelo e lasciatelo andare”.

Il contrasto tra il cattivo odore che manda la salma di Lazzaro deposto già da quattro giorni è il profumo che Maria versa sui piedi di Gesù nel capitolo successivo, è forte e voluto. Per san Giovanni “rimanere nell’amore” di Gesù vuole dire proprio questo: diffondere il “buon” profumo dell’amore, del perdono, del servizio e del silenzio che zittisce calunnie e maldicenze. L’esatto opposto del cattivo odore generato dall’invida, dalla gelosia, dall’avarizia o dalla rincorsa, ad ogni costo, di potere e denaro. Rimanere nel Suo amore vuole dire, di conseguenza, slegare le mani e i piedi di chi è bloccato dalla povertà, dalla miseria e dalle ingiustizie per lasciarlo andare in condizioni di piena dignità.

TERZA PROPOSTA. Al capitolo 13, san Giovanni ci presenta Gesù che, deposte le vesti, si cinge un asciugamano attorno alla vita per lavare i piedi ai suoi collaboratori (compito riservato agli schiavi). Curioso annotare che terminata la lavanda dei piedi, san Giovanni descrive Gesù che riprende le vesti smesse per la lavanda (Gv. 13, 12), ma che non si toglie più il grembiule.

Il messaggio è chiaro: resta nell’amore di Gesù chi trasforma l’amore ricevuto in servizio per il fratello, non chi vuole dominare tutto e tutti o chi vuole possedere l’altro. Lo abbiamo visto in questi mesi: gioia e vita sono passate dai volti segnati dalle mascherine di medici e infermieri; dai mille servizi che sono rimasti “aperti” pur di non abbandonare far venire meno risposte ai mille bisogni di tanti (troppi) persone segnate dalla pandemia (tre numeri per tutti: 359 medici morti, in Italia, per covid; 83 infermieri e 269 sacerdoti).

Ha ragione l’evangelista: per rimanere sul Suo amore, dobbiamo impastare la nostra vita con la Sua Parola e con la Sua presenza per imparare a fare nostro il suo modo di pensare, di “guardare”, di vivere e di amare. Solo così facciamo esperienza della liberante gioia generata dall’amare “come Lui ha amato noi” (molto più impegnativo del solo amare il prossimo come noi stessi).

Buona domenica.

 

Preghiera dei ragazzi

Caro Gesù,

                   non so perché, ma in questi giorni ero triste. Non avevo nemmeno voglia di venire a messa.

Ascoltare il Tuo Vangelo, però, mi ha fatto bene. Era la parola “gioia” che cercavo, senza saperlo.

Solo che io cercavo la “mia” gioia e Tu mi hai offerto la Tua: quella che nasce nel cuore quando ci si lascia amare da Te e si impara ad amare come Tu hai amato noi.

Tu me lo avevi già detto, Gesù, ma io lo avevo dimenticato: tutto ciò che è solo “mio” non mi rende felice.

Non mi basta amare gli altri come me stesso.

Voglio provare ad amare gli altri come Tu hai amato noi.

Lo so che è più difficile, ma è anche più bello.

Grazie Gesù. Ero scontento. Ma dopo l’ascolto del Tuo Vangelo ho sentito il cuore pieno della “Tua” gioia.

Sei forte Gesù.

V DOMENICA DI PASQUA B

V DOMENICA DI PASQUA B  e preghiera dei ragazzi 

 

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla (…)».  (GV. 15, 1-8)

 

Un primo dato che colpisce, nel parlare e insegnare di Gesù, è il suo continuo attingere a scene di vita quotidiana per spiegare la realtà di Dio che si manifesta nella Sua persona. Sembra che Gesù non voglia fare torti a nessuno e che, per parlare del Regno di Dio, usi i diversi mestieri che compongono il convivere sociale del suo tempo: pastori, contadini, donne alle prese con i lavori di casa (“ho trovato la moneta che avevo perduto”), carpentieri (“Io son la porta”) e oggi vignaioli (Io sono la vite vera”). Segno che il suo intento è quello di immettere la storia di Dio là dove viviamo, e non nel chiuso di un sacro inaccessibile e poco raggiungibile. Ed è esattamente questo il primo messaggio che in questo anomalo tempo pasquale dobbiamo cogliere: il Dio di Gesù ci affianca là dove siamo, anche se segnati da stanchezza e dalle tante fatiche generate dalla pandemia.

Ed è per questo che la Parola di Gesù oggi ci chiede di resistere, di perseverare nella certezza che Lui è con noi e di continuare a “rimanere in me” perché io, prosegue Gesù, possa “rimanere in voi e con voi”. Il Signore Gesù – ci conferma questa straordinaria pagina del Vangelo di san Giovanni – è la vite su cui ciascuno di noi – come il tralcio – è innestato per vivere e per portare frutto. Ed è Lui che ci offre la linfa necessaria al nostro vivere, che ci tiene insieme (in comunità) e che ci rende capaci di portare frutto.

E a quanti sono tentati di leggere il silenzio di Dio come assenza e come una Sua grande indifferenza verso la nostra povera Terra, ecco che viene in soccorso questa pagina di Vangelo in cui Gesù non solo ci dice che Lui è la vite vera e noi i tralci, ma ci precisa anche che il solo e unico agricoltore è il “Padre mio”. La sfumatura non è periferica o secondaria. Significa che Lui – e solo Lui – è autorizzato a “potare” e/o a espellere qualcuno dalla comunità.

Forse quando compone questo passo san Giovanni è testimone di battezzati più radicali e intransigenti di altri che – all’interno della comunità – si arrogano il diritto di rilasciare patenti di idoneità alla vita cristiana (con tanto di promozioni e di bocciature). Per evitare questo rischio (sempre ricorrente), l’evangelista spiega, precisa e chiarisce che solo l’agricoltore (il Padre) è autorizzato a tagliare, a potare e a gettare via il tralcio secco. Nessun altro. Ed il messaggio è carico di saggezza. Perché ci ricorda – da un lato – che non è compito nostro giudicare la vita dei fratelli che ci sono accanto. E perché – dall’altro lato – ci aiuta a capire che le diverse difficoltà che inevitabilmente ci raggiungono nella vita, non sono sempre maledizioni mandate da Dio. Sono piuttosto potature dolorose e necessarie che appartengono al vivere, ma che il buon Dio usa per aiutarci a portare più frutti d’amore.

Forse è proprio questa la sapienza che ci manca: la capacità di rileggere gli incidenti di percorso, le ferite della vita, i segni della malattia, gli errori che inevitabilmente si commettono e i vari disagi che di fatto ci sono nel vivere, come autentiche “potature” in grado di renderci – se accolte per quello che sono – più umani.

Ha ragione Antonella quando dice: “Il bambino disabile dalla nascita che la vita mi ha donato mi ha fatto stare male fino a quando mi sono ribellata. Da quando l’ho accolto e ho smesso di protestare, ho scoperto che proprio quel bambino mi ha resa migliore. Come donna e come madre”. Non è il buon Dio che manda male e malattie nel mondo. Ma quelle dolorose ferite che sono entrate nella nostra storia, il Padre del Signore Gesù le utilizza per “potare” le nostre vite e per non farle allontanare dalla capacità di portare frutti di amore, di gioia e di libertà. Buona domenica.

 

P.S. Un ricordo speciale al Signore Gesù per la bella figura di Nadia De Munari, originaria di Schio, Vicenza, missionaria laica in Perù uccisa in circostanze ancora da chiarire nel centro di accoglienza ed educazione in cui operava con bambini della scuola materna. “Scoprire, e soprattutto scoprire con i giovani, con i bambini che hanno un cuore pulito, e vedere che la felicità viene dal dare, non dall'accumulare, viene dal regalare. Un sorriso, un gesto, questo arricchisce anche te”, questa una delle sue ultime interviste.

 

Caro Gesù,

                   il Signore di Scandicci è quello che buttava via le castagne e mangiava i ricci. Nel ritornello di questa canzone si dice che: “Tanta gente non lo sa, non ci pensa e non si cruccia. La vita la butta via e mangia soltanto la buccia”.

Gesù ormai l’ho capito: “rimanere” con Te è il solo modo per non seccare e per non gettare via la vita.

Sei Tu Gesù che mi dai la forza di pensare a nonna (che è così contenta quando le telefono) e non solo a me stesso. Sei Tu Gesù che mi convince che perdonare è forza (e non debolezza) e che donare è più bello che comprare o chiedere regali.

Gesù aiutami a “rimanere” attaccato a Te come un tralcio alla vite.

E grazie Gesù, perché “rimanere” con Te vuol anche dire incontrare la gioia che si trova solo nel dare.

PENSA AGLI ALTR

PENSA AGLI ALTRI
Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
 Mentre combatti le tue guerre, pensa agli altri, 
non dimenticare coloro che reclamano la pace.
 Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri, 
coloro che sorseggiano le nuvole.
 Mentre torni a casa, casa tua, pensa agli altri, 
non dimenticare il popolo delle tende.
 Mentre conti le stelle per addormentarti, pensa agli altri
che hanno perso il diritto di parlare.
Mentre pensi agli altri lontani, pensa a te stesso, dì:
magari fossi una candela nelle tenebre!

(Mahmud Darwish, la voce più nota della letteratura palestinese, da Qualevita 158)

IV DOMENICA DI PASQUA B

IV DOMENICA DI PASQUA  B  e  preghiera dei piccoli

 

Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. [12] Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; [13]egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. [14] Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, [15]come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. [16] E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. [17] Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. [18] Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».  ( Giovanni 10, 11-18)

 

Anche se non compare mai la parola “tenerezza” in questo breve, ma incisivo discorso di Gesù, i cristiani hanno sempre riletto nell’immagine di Gesù Buon Pastore, la tenerezza di Dio che, con il Suo Figlio Gesù, decide di curare, seguire, proteggere e prendersi cura del suo “gregge” e di ognuno di noi. Sin dai tempi delle catacombe, quando i cristiani erano costretti a vivere nella clandestinità per sfuggire alle dure persecuzioni dell’impero Romano, Gesù veniva raffigurato con l’immagine del Buon Pastore che ha ai piedi due pecore, mentre ne tiene un'altra sulle spalle. Era un’immagine del “dio” greco Ermete che guida e protegge il gregge (conosciuta sin dal VII secolo a.C.), non appena però i cristiani l’hanno vista e conosciuta, hanno usato proprio questa raffigurazione per farla diventare l’icona per eccellenza della tenerezza di Dio per tutti noi.

E così, con la forza di un’immagine più eloquente di tanti discorsi, i cristiani di ieri ci hanno comunicato che la fede cristiana non è un manuale di morale o un codice di comportamento che detta regole, premi e sanzioni in base al comportamento di ciascuno. Prima di guidarci sulla libertà dell’agire, il Dio di Gesù ci consegna la certezza che siamo amati, cercati, incontrati da Dio e da Lui accarezzati con tenerezza e abbracciati per ricevere quel perdono rigenerante che ci rende creature nuove. Solo se entriamo nella profondità teologica dell’icona del Buon Pastore nostra fede diventa – prima di tutto – consapevolezza che siamo amati dal Padre, guidati dal Figlio e condotti dallo Spirito Santo.

Ed il messaggio è tanto più bello e profondo quanto più, attorno a noi, sofferenza, fatica, lacrime e dolore sembrano “piegare” la nostra capacità di sperare e di guardare con ottimismo al domani. Siamo tutti stanchi e alcuni di noi sono anche depressi. Ma non possiamo permetterci il lusso di rinunciare alla “tenerezza” che il Signore Gesù riversa su ciascuno di noi per poi guidarci verso i nostri fratelli.

Dare una carezza a chi con gli occhi e con il corpo chiede vicinanza; asciugare una lacrima a chi sta male e non vuole essere giudicato; tacere quando l’altro grida la sua rabbia e la sua disperazione; dimenticare un torto subito e imparare a perdonare, visitare un ammalato e stare accanto a lui anche senza parlare, ridurre un prestito a chi non può restituire quanto ricevuto, condividere ciò che non serve con chi non ha nulla, sono scelte liberanti che abitano dalla parte opposta della debolezza e che rendono forti. Per dirla con le parole di Papa Francesco, sono la vera rivoluzione della tenerezza (Evangelii gaudium, numero 88) di cui abbiamo tutti bisogno per impedire che l’essere “forti” venga confuso con la “fragilità” di chi non sa entrare nei panni dell’altro e non sa commuoversi.

Gesù ha fatto tutto ciò che ha detto e ha vissuto in prima persona il suo discorso. Ha dato tutta la sua vita (fino alla morte di croce) e per tutti noi. Per questo è il buon Pastore: perché ci conosce, perché si occupa di ciascuno di noi e perché dà la vita per le “Sue” pecore. Si noti però la finezza introdotta dall’evangelista: nel presentarsi come il Pastore che dà la vita per le sue pecore, Gesù introduce la figura del mercenario: il falso pastore che non appena vede arrivare il lupo fugge e abbandona il gregge al pericolo e alla dispersione perché “non gli importa delle pecore”. Il confronto tra il Buon Pastore e il mercenario, sembra buttato lì per evidenziare in modo figurato la straordinaria forza dell’amore di Gesù per ciascuno di noi, ma sembra destinato a non essere ripreso dall’evangelista. In modo inatteso, però, al capitolo 18 san Giovanni ci presenta Pilato che, nel goffo tentativo di impedire che altri decidano per lui, sottopone alla folla il famoso quesito su chi liberare in occasione della Pasqua: Gesù o Barabba? Il seguito lo conosciamo: “Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui ma Barabba!»”. E a chi scrive non resta che annotare: “Barabba era un mercenario”. Tra Gesù Buon Pastore e Barabba “mercenario” (il termine “brigante” delle nostre traduzioni è lo stesso utilizzato al capitolo 10 per dire “mercenario”), la folla sceglie il falso pastore: colui al quale non gli importa delle pecore.

L’eucaristia domenicale e l’ascolto della sua Parola ci aiuti a essere, restare e diventare “pecore” che scelgono – sempre – il Buon Pastore che ci ama con la tenerezza che accende in noi la rivoluzione dell’amore. Buona domenica e buon 25 aprile.

 

                                   Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                  quando la maestra o gli amici mi dicono che sono una pecora, lo fanno solo per sgridarmi o per prendermi in giro (e per me è un rimprovero brutto o un ‘offesa).

Tu invece non hai paura di presentarti come il buon pastore e di ricordarci che noi siamo le “Tue” pecore.

Tu non ci “guardi” come qualcuno pagato per sorvegliarci.

Tu ti occupi di noi e dai la Tua vita per farci stare bene e per proteggerci.

Gesù, oggi ho capito una cosa: è impossibile non essere “pecora”.

Però possiamo sbagliare “pastore” e farci guidare da chi non si occupa di noi.

E sai perché mi fido di Te come Pastore?

Perché Ti sei fatto agnello (come noi) per capirci meglio.

Gesù se vedi che seguo altri pastori, fammi sentire la Tua voce e fa che la Tua Parola mi riporti a Te.

Grazie Gesù.

Padre nostro in aramaico

 Padre nostro in aramaico

Padre nostro che sei nei fiori, nel canto degli uccelli, nel cuore che batte; che sei nell’amore, nella compassione, nella pazienza e nel gesto del perdono.

Padre nostro, che sei in me, nella mia famiglia, nei miei amici, che sei in colui che amo, in colui che mi fa male, in colui che cerca la verità...

Sia santificato il tuo nome, adorato e glorificato, per tutto ciò che è bello buono, giusto, retto, onesto, di buon nome e misericordioso.

Il tuo regno di pace e giustizia, fede, luce e amore, venga a noi. Sii il centro della mia vita, della mia casa, della mia famiglia, del mio lavoro, del mio studio. ….

Sia fatta la tua volontà, anche se le mie preghiere a volte riproducono più il mio orgoglio, il mio ego, che i miei veri bisogni.

Perdonami tutte le mie offese, i miei errori, le mie colpe, i miei peccati e le mie offese contro di te, contro me stesso, e contro coloro che mi circondano, perdonami quando il mio cuore diventa freddo;

Perdonami come quando io con il tuo aiuto perdono coloro che mi offendono, anche se il mio cuore è ferito.

Non indurmi nelle tentazioni degli errori, dei vizi, della critica, del giudizio, del pettegolezzo, dell’invidia, dell’orgoglio, della distruzione, dell’egoismo e dell’egocentrismo.

E liberami da ogni male, da ogni violenza, da ogni disgrazia, da ogni malattia. Liberami da ogni dolore, da ogni pena, da ogni afflizione, da ogni angoscia e da ogni delusione.

Ma anche se vedi queste difficoltà necessarie nelle mia vita, che io abbia la forza e il coraggio di dire:

“Grazie, Padre, Signore Re dell’universo, per questa lezione!

Che così sia!

 

Comunità cristiana di base di Via città di Gap - Pinerolo

Ines Rosso,  domenica 18 aprile 2021

 

III DOMENICA DI PASQUA ANNO B

III DOMENICA DI PASQUA  ANNO B

 

«Ed essi [i discepoli di Emmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

36Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38Ma egli disse loro: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: “Avete qui qualche cosa da mangiare?”. 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.44Poi disse: “Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture  46e disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni”».  Lc 24, 35-48

 

In un simpatico racconto pubblicato dall’inserto La lettura del Corriere della Sera di domenica scorsa, Jumoke Verissimo, poetessa e scrittrice nigeriana, scrive così a proposito della morte della levatrice che ha fatto nascere il protagonista della storia: “Preferì morire piuttosto che vedere giorno dopo giorno bambini uccisi dai loro genitori. Se vi chiedete perché il governo o nessun altro abbia fatto qualcosa al riguardo, potrei anche dirvi che né il governo né nessun altro si preoccupa di persona come noi. I poveri sono sempre davanti agli occhi dei ricchi, ma questi non li vedono mai finché non diventano un mezzo per risolvere i loro problemi.”. Sono certo che chi ha scritto questo testo non prevedeva l’utilizzo del suo racconto per commentare il Vangelo di san Luca nella III Domenica dopo Pasqua, ma è difficile spiegare meglio la drammatica contraddizione della vista umana: tutto è sotto i nostri occhi, ma vediamo “solo” ciò che ci interessa, che ci serve e che siamo tentati di sfruttare. I discepoli di Emmaus e gli Undici sono alla presenza del Risorto che si pone “in mezzo a loro”. Lo vedono, ma sono convinti di vedere un “fantasma” e non riescono ancora a credere che quella concreta presenza (che si lascia vedere, toccare e che mostra i segni della crocifissione su mani e piedi) sia proprio Lui: il Gesù che si è lasciato condannare a morte e che ha vinto la morte e che ora, vincendo la morte, è il Signore.

Neppure il mangiare “una porzione di pesce arrostito davanti a loro” scioglie i loro dubbi. Perché cambi in loro il modo di vedere e di usare gli occhi, è necessario che Gesù Risorto “apra loro la mente per comprendere le scritture”. Il che significa che se il Vangelo non corrette il nostro modo di “vedere”, siamo come dice Jumoke Verissimo: con i poveri sempre sotto gli occhi, ma incapaci di vederli (fino a quando non possono servire per risolvere i nostri problemi!).

Il Sud del mondo – lo sappiamo – non lo vede nessuno, tranne chi commercia con i Paesi poveri per “vendere” loro servizi, tecnologie, macchinari e armi che – da soli – non sono in grado di procurarsi. Anche chi ha bisogno dei loro prodotti (da rivendere a prezzi maggiorati) e della loro manodopera (sottopagata) vede e conosce i Paesi poveri. Conclusi però gli affari commerciali, tutte queste persone lontane da noi, diventano “fantasmi” e invisibili. Ma non sono solo i Paesi poveri che non vediamo.

Sotto i nostri occhi passano – ogni giorno – scene di persone “piegate” dalla disoccupazione che, puntualmente non vediamo. Lo stesso dicasi per gli “invisibili” che abitano vicino a noi e che sono appesantiti (ma dovremmo dire quasi “abbandonanti”) dalla presa in carico di disabili e anziani non autosufficienti. Anche i nostri bambini crescono e studiano vicino ad amici e compagni di banco senza accorgersi che non possono accedere alla DAD (Didattica A Distanza) perché sono senza computer, senza connessione e perché le loro famiglie (che sembrano dei “fantasmi”) si vergognano a chiedere aiuto. Ma i nostri occhi non “vedono” nemmeno i tanti che – quotidianamente – si fanno carico di tutto ciò che questa pandemia ha scatenato e che spendono tutte le loro forze, energie e risorse come infermieri, medici, volontari, operatori della protezione civile e in quei mille servizi senza i quali saremmo tutti decisamente più poveri. Sono questi, però, i “segni” di bontà, di giustizia e di attenzione al fratello debole con cui Gesù risorto si lascia incontrare e trovare. Sono loro – i nostri fratelli che si prendono cura del prossimo, del creato e della Pace – che ci fanno incontrare (e riconoscere) il Risorto. L’esperienza ce lo ha ormai confermato: girarsi dall’altra parte quando povertà, male e ingiustizie bussano alla nostra porta, non ci rende felici. Ci immerge in quella indifferenza che ci fa morire di noia e di egoismo. Per essere “beati” dobbiamo imparare a stare con il Vangelo affinché il Signore risorto presente nella Scrittura ci apra la mente (e il cuore) e ci abiliti a riconoscerLo nei tanti crocefissi – con mani e piedi segnati da visibili ferite – che ci camminano accanto e che ci aiutano a ritrovare il senso della vita, della vista, della comunità e della bontà intrisa di giustizia.

Buona domenica.

 

Preghiera dei ragazzi

Caro Gesù,

dimmi se ho capito giusto: vai a trovare i tuoi discepoli. Mostri loro i segni delle ferite su mani e piedi, chiedi del cibo da mangiare e – nonostante questo – loro hanno paura e non riescono ancora a credere in Te?

Sai che cosa mi ha detto mia nonna quando le ho chiesto perché la sua piccola bibbia è tutta consumata? “Perché sono vecchia – mi ha risposto – è perché l’ho tenuta sempre con me. Tutta la vita. L’ho letta e ri-letta tante volte. E giorno dopo giorno, si è consumata. Ma sono contenta. Perché leggendo il Vangelo sono stata con Gesù”.

Gesù hai ragione Tu: senza leggere il Tuo Vangelo, Tu ci passi vicino e noi non ti vediamo e non ti riconosciamo. Come se Tu fossi un fantasma.

Anch’io, da vecchio, vorrei avere la copia del mio Vangelo consumata.

Ho voglia di stare con Te, Gesù.