Preghiere poesie

XVII DOMENICA ANNO C

                                    XVII DOMENICA ANNO C con preghiera dei piccoli

Luca 11, 1 -13

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:"Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione"».
 
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

La domanda che il discepolo pone a Gesù – “Signore, insegnaci a pregare” – è interrogativo che ci spiazza e che ci disorienta. Per una ragione molto semplice: perché il vivere tecnologico a cui ci siamo abituati (convinti o illusi che tutto si possa fare e realizzare) e la pratica del consumismo che ci ha addestrati nel comperare tutto e subito, ci hanno progressivamente allontanato da quella ricerca del senso che sorregge e alimenta il desiderio di pregare. È vero: in presenza di una malattia del figlio, prima di un esame o – nei casi più patologici – dopo aver tentato la fortuna con lotterie, schedine o gratta e vinci di ogni tipo, sono in molti che ripiegano su un pregare infantile e del tutto estranee al mondo della fede. Al di là però di questo parlare da soli alle prese con un bisogno da soddisfare subito, il nostro orizzonte di fede è abbastanza lontano dal domandare a Gesù: “Signore, insegnaci a pregare”.

Ma restiamo sul testo di san Luca. Perché quel discepolo pone quel preciso interrogativo al Suo Maestro? Quale spinta profonda lo guida in questa puntuale richiesta?

Di sicuro non cerca ricette e non chiede a Gesù un manuale dettagliato sul come, dove e quando pregare. Quasi sicuramente è stupito dall’osservare Gesù nel suo specialissimo rapporto con Dio e viceversa: dal rapporto che Dio ha con Lui, con Gesù.

È visibile ad occhio nudo, per chi vuole vederlo: Gesù si rivolge al Dio conosciuto in Israele come il tre volte santo (e dunque presentato sempre come inavvicinabile) in modo intimo, intenso e soprattutto capace di dare senso ad ogni momento del suo procedere.

Quel discepolo è testimone di un Gesù che non sta mai fermo, ma che sa fermarsi e che è capace di rientrare in se stesso senza mai lasciarsi prendere dall’ansia o dall’affanno; osserva un Gesù forte, esigente e severo, ma anche aperto (sempre) al perdono che solo Dio può concedere. La cosa però che più sconcerta il discepolo che interroga Gesù è la capacità del Suo Maestro di portare vita anche dove c’è sconfitta, fallimento o morte.

Quel discepolo – acuto osservatore – intuisce che la forza di Gesù proviene dal suo legame indissolubile con Dio e dal suo modo di pregare. Non gli chiede però di poter pregare come prega Gesù. Gli è abbastanza chiaro che si tratta di un registro unico e irripetibile. Ciò che il discepolo spera è di essere aiutato da Gesù a cambiare visione di Dio per imparare a guardare in modo nuovo il mondo, il fratello e se stesso.

Gesù raccoglie la provocazione. E conferma l’intuizione del suo discepolo: prima di esercitarsi nel pregare (con riti, formule, gesti e sacrifici vari) Gesù ci invita a cambiare immagine di Dio. Alcuni vedono Dio come un bancomat da usare in occasione di spese straordinarie o esigenze più o meno legittime (vacanze comprese); altri usano la preghiera per riportare a sé amori infranti o per invocare guarigioni da mali oggettivamente pesanti.

Gesù ricorda a chi lo interroga (e dunque a tutti noi) che il solo modo per imparare a pregare è quello di cambiare il nostro legame con Dio. E lasciare che il Suo amore si riversi sul nostro cuore per convincerci che il Dio di Gesù è Padre che ci ama, che ci perdona e che ci libera dall’individualismo. Dicendo “Padre” nel nostro pregare, non cambiamo solo modo di vivere (riconoscendo che siamo immersi in Lui e avvolti dal Suo amore), ma apprendiamo anche che il vero nome di Dio è “Emanuele, Dio-con-noi”.  Il che significa che solo quando si impara a stare “con” il fratello si fa esperienza di libertà, di amore e di perdono. Senza il fratello accanto, ci si illude di stare bene, ma in quella prigione dorata che si chiama individualismo, si smarriscono la libertà e il senso del vivere.

Signore, insegnaci a pregare” è perciò domanda profonda per imparare a vivere e ad amare. Anestetizzare questa domanda, ha voluto dire renderci soli, carichi di stress, ansiosi e stanchi persino in vacanza. Solo chi sintonizza il suo respiro sul soffio dello Spirito di Dio e della Sua Parola impara l’arte del vivere per gli altri e si ritrova immerso nella libertà.

Per finire. Il fatto che la domanda sia nata dopo la parabola del buon samaritano e dopo la vicenda di Marta e Maria, è il segno che il modo migliore per spingere la nostra vita verso l’infinito è questo: seguire il Maestro che ci chiede di farci prossimo di chi – per caso – ci avvicina e imparare a fermarci per restare seduti ad ascoltare, meditare e pregare la Sua Parola.

Stili di vacanza lontani dalle proposte patinate di crociere o di tanti luccicanti villaggi turistici, ma decisamente più rigeneratori di tante escursioni costose e poco riposanti.

Buona domenica a tutti e a ciascuno.

 

  Preghiera dei piccoli

                             Caro Gesù, oggi, dopo aver ascoltato il Tuo Vangelo, mi sono fatto questa domanda: ma la preghiera del Padre Nostro è più bella quando la recito da solo o quando la dico a voce alta e insieme agli altri?

A me piace tanto, quando sono da solo, dire con calma questa preghiera. La recito prima di andare a letto oppure quando decido di stare un po’ con Te. Ma poi trovo molto bello anche quando il don, a messa, ci fa salire attorno all’altare, quando ci fa prendere per mano e quando ci chiede di dire la Tua preghiera tutti insieme. Alla fine ho deciso: sono due bellezze diverse e non c’è un pregare più bello dell’altro.

Grazie Gesù perché con questa preghiera mi ricordi che qualunque persona che incontro è, per me, fratello e sorella. 

È un insegnamento bellissimo. Ancora una preghiera, Gesù.            Fa che tutti, in queste vacanze, possano fermarsi e riposarsi.

XVI DOMENICA ANNO C

            XVI DOMENICA ANNO C con preghiera dei piccoli

Vangelo secondo Luca  10, 38 - 42

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Da generazioni i credenti che pregano questo passo del vangelo di san Luca si sono posti il problema di provare a definire chi, oggi, può essere rappresentato dalle figure di Marta e Maria. Per dare al Vangelo la forza di entrare nelle pieghe della attualità e per impedire che la Parola di Dio esca dalla storia in cui siamo immersi.

Proviamo anche noi a interrogarci su quali aiuti ci consegna l’evangelista con questo racconto. Noi, che siamo alle prese – ogni giorno – con politici che si affannano, che si agitano e che dicono tutto e il contrario di tutto per dimostrare, al termine del loro perenne movimento, l’immobilità assoluta di chi non si sposta di un millimetro dalla sua postazione di potere. Perché il primo effetto (il più superficiale) dell’agitarsi continuo, è dato dal restare sempre allo stesso posto. Nessuno è fermo come chi corre sempre, senza fermarsi mai. Così come nessuno avanza, cresce, si sposta, cambia e “serve” gli altri come chi sa fermarsi, sa sedersi e sa ascoltare. Un secondo effetto visibile in chi si affanna di continuo e in chi si lascia sopraffare dall’ansia e quello di restare avvitato su se stesso.  Come a dire che il politico che non sta mai fermo, che parla sempre, che minaccia, che dice, non dice, nega e poi smentisce tutto e persino se stesso è – di fatto – un soggetto che si muove solo per se stesso e per di fendere la sua postazione. Come Marta, il politico esagitato e sempre alle prese con l’affanno, si illude di governare la casa comune; di fatto – però – è schiavo della sua immagine, dei consensi, dei sondaggi e degli opinionisti che stilano classifiche sulla sabbia delle apparenze. Come Marta, questo politico si vanta di essere schietto e considera un merito “dire ciò che pensa”. Ma non si accorge che non “pensare a ciò che si dice” è un errore, una caduta di stile e una grave mancanza di rispetto verso l’altro. Marta dà ordini al “suo” ospite che vorrebbe ricoprire di attenzioni e non si accorge che dare ordini e comandare sono verbi che non costruiscono affetto e che non curano il bene comune.

Per questo Gesù chiama Marta due volte per nome. Perché la vede fragile e vittima della sua ambizione, della sua invidia, della sua voglia di comandare e così autocentrata su se stessa da nemmeno accorgersi che sua sorella si è resa capace di fermarsi, di sedersi, di ascoltare e di non giudicare.  Gesù chiama due volte per nome Marta perché la vuole aiutare ad uscire dal labirinto che la tiene prigioniera e che le impedisce di cogliere la luce (bella e salutare) del servizio, della libertà e dell’amore.

Si tenga anche conto che Marta, in aramaico, significa “padrona di casa” e la sfumatura non è di poco conto. Rimanda al fatto che chi si interpreta come il “padrone” (di qualsiasi cosa: della casa, delle “cose”, del partito, della politica o delle istituzioni) di fatto è prigioniero del “suo” correre e delle “sue” ambizioni al punto da diventare schiavo del suo ruolo. Solo il servizio rende liberi, ci dice san Luca con questo magistrale insegnamento.

E perché ciascuno di noi interiorizzi questo insegnamento, l’evangelista ci presenta un Gesù che con autorevolezza e affetto prova a riprendere Marta perché da padrona-schiava, torni ad essere donna libera capace di fermarsi e di anteporre le relazioni al desiderio, delirante, di tenere tutto sotto controllo.

Un tempo si usava questo racconto per fondare la superiorità della vita contemplativa (la parte migliore!) sulla vita attiva. In realtà non è così. Molto più saggio rileggere Marta e Maria come le due parti che convivono in noi. Dove, da una parte, ritroviamo la Marta che non si ferma mai, che adora controllare tutto, dominare ogni evento ed essere ascoltata. Dall’altra parte, invece, ritroviamo quote consistenti di Maria: che ci invita a fermarci, a sederci, ad ascoltare e a fare quel sano silenzio che rende libero il cuore dal parlare inutile (contro gli altri). Due spinte diverse che ci attraversano. Quando in noi vince la condotta di Marta, lo Spirito di Gesù ci chiama per nome (due volte) e ci invita ad allontanarci da quel parlare da soli e da quell’affanno che ci avvelena l’esistenza. Ci propone la postura – riposante – dell’ascolto della Parola di Gesù per scoprire che “fermarsi” ad ascoltare l’altro libera il cuore e lo immerge nella logica del dono, del perdono e del servizio. I sentieri della vita libera e liberata dall’egoismo.

La parte migliore scelta da Maria è proprio questa: il coraggio di fermare la tentazione dell’inseguire il potere (e dunque se stessi) per scoprire che ascoltare rende liberi e vivi.

Buon riposo a tutti. Ai piedi del Signore Gesù e nell’ascolto della Sua Parola.

                                                         

                         

                                                                         Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,                        

                     mi chiamo Marta. Ho 10 anni e mio fratello si chiama Pier Giorgio. Oggi Pier (come lo chiamo io) mi ha detto che anche Gesù mi sgrida.

Io, gli ho risposto che però mi chiami due volte per nome.

Poi però ho pensato che a Te non interessa difendere Marta o Maria. Tu vuoi che tutte e due stiano bene e che tutte e due siano felici.

Noi diciamo: chi sceglie Gesù? Marta “o” Maria?

E Tu rispondi Marta “e” Maria.

Noi pensiamo spesso di dover scegliere tra Caino “o” Abele, ma Tu ci fai capire che Caino “e” Abele devono imparare a stare insieme, se non vogliono morire tutti e due. 

Sai questa sera cosa faccio?

Scrivo una grossa “E” su un cartoncino. La riempio di brillantini e poi la regalo a mio fratello.

Sarà il nostro segreto per non separarci mai e per superare ogni litigio.

XV DOMENICA ANNO C

XV DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Luca 10, 25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

La grande domanda che si fanno tutti coloro che si confrontano con questo indimenticabile racconto di Gesù, è la seguente: perché sacerdote e levita vedono un uomo mezzo morto sulla strada (aggredito e derubato da briganti) e “passano oltre” senza fermarsi?

Fino a qualche anno fa la risposta al quesito individuava nell’indifferenza la spiegazione al comportamento dei due uomini religiosi. Fretta, egoismo, autoreferenzialità e indisponibilità a farsi carico delle fatiche altrui sono le vere “cause” di quella pesante omissione di soccorso, si diceva (che per il nostro codice stradale è persino reato). E, all’interno di questa lettura, all’indifferenza del sacerdote e del levita si contrapponeva la solidarietà del smaritano (buono) capace di costruire prossimità e di coinvolgersi per è chi bisognoso di aiuto. Una seconda interpretazione del passo faceva emergere come l’atteggiamento del sacerdote e del levita non va definito un atto di pigrizia o di indifferenza, ma come un divieto religioso che proibiva, a uomini alle prese con il culto nel Tempio, di contaminarsi con uno straniero ferito (e dunque doppiamente impuro). Riflessione stimolante e ricca perché ricorda ad ogni credente che nemmeno l’appartenenza religiosa ci immunizza dalla diabolica tentazione del chiudersi ai bisogni del fratello e dalla scelta di “passare oltre” in presenza di persone ferie che dalla “strada” (o dal “mare”!) chiedono aiuto. Bello, in questo contesto, ricordare l’entusiasmo che suscitò il card. Carlo Maria Martini quando, commentando questo passo, spiegò a tutti che alla domanda posta a Gesù dal dottore della Legge su “Chi è il mio prossimo?”, il Maestro di Nazaret ribaltò l’interrogativo e invitò chi lo ascoltava a uscire dalla casistica di quesiti inutili e astratti, ma a camminare nella vita con la disponibilità generosa di chi sa “farsi prossimo” di chi si incontra. Un forte invito, dunque, a non usare mai il nome di Dio per giustificare il proprio egoismo, l’indisponibilità ad aprirsi ai bisogni del fratello. Esattamente come ha fatto il buon samaritano che – fuor di parabola – è la figura di Gesù stesso. Buon samaritano che, “passando” accanto al ferito, non si gira dall’altra parte, ma lo vide, ne ebbe compassione, si fece vicino per curare le sue ferite e, infine, lo portò con sé in un posto sicuro. A noi il particolare sfugge, ma quel richiamo alla “compassione” è un forte rimando alla realtà di Dio Padre. Solo Dio ha compassione. L’uomo può amare e avere misericordia. Ma solo il Dio di Gesù ha la compassione che cura e che rigenera la vita. L’atto del samaritano (buono) è la conferma che nell’occuparsi del prossimo ognuno di noi diventa come il Padre (“che ha compassione”) e dirige i suoi passi alla presenza di Dio.

Per noi oggi è difficile cogliere la novità di un testo letto e ascoltato mille volte. In noi le interpretazioni del passato si mescolano nella nostra mente con il forte rischio che non smuovano più il nostro cuore. In realtà, per quanto il buon samaritano ci risulti simpatico e per quanto ognuno di noi debba identificarsi con lui per stare bene, non possiamo dimenticare che anche noi spesso e volentieri siamo come il sacerdote e il levita che testardamente procedono per la loro strada senza nessuna disponibilità a confrontarsi con quanto – sotto i nostri occhi – sta cambiando. Pandemia, guerra e cambiamenti climatici confermati dalla tragedia della Marmolada, non sono piccoli eventi che possiamo fingere che non ci siano e “passare oltre” come se nulla fosse mai accaduto! Ma lo stesso va detto per le nostre comunità cristiane. Tra le giovani generazioni e il Vangelo si è creato uno steccato che è impossibile non vedere. La tradizionale pastorale che fino a ieri funzionava (sacramenti, catechismo, messa domenicale, oratorio e servizi educative e caritativi), oggi arranca, fa fatica e, in molti casi, è così fortemente segnata da abbandoni a da numeri esigui, da generare sfiducia e sconforto. Molte nostre case sono orfane di gioia, di amore e di quella compassione intesa come la presenza di Dio che cura e che rigenera vita.

Così illuminata la parabola del buon samaritano ci rinnova la vita. Ci sprona a cambiare strada per vivere meglio e a non avere paura dei cambiamenti. Ci invita a lasciarci curare da quel buon samaritano – Gesù – che fascia le nostre ferite fatte di depressione, di solitudini, di chiusure verso il nuovo, di apatia e di stanchezza interiore. E ci spinge verso quel rinnovamento sociale, spirituale ed ecclesiale che dovremmo osare e intraprendere, ma che – per mille ragioni – preferiamo non avviare perché il nuovo ci fa paura ed è faticoso da accogliere (e come il sacerdote e il levita preferiamo irrigidirci a camminare sulla vecchia strada che non conduce più alla mèta dell’essere beati).

Buona domenica e buon mese di luglio.

                                                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù, non mi aspettavo di trovare l’espressione “per caso” nel Tuo Vangelo. Mi sono sempre chiesto: “Ma perché sono finito in questa famiglia, in questa parte del mondo, con questi compagni, etc?”. Non ho scelto niente.

Tutto è arrivato “per caso”. Però in “quel caso” ci sei Tu, Gesù, che mi doni la possibilità di fare del bene e di prendermi cura di chi soffre. 

Non ho mai pensato al mio compagno disabile che “per caso” hanno messo nella mia classe come una occasione per imparare ad accogliere tutti.

Oggi mi hai cambiato punto di vista. Decidere di non fermarsi davanti al ferito incontrato “per caso”, rende brutta la vita di tutti. 

Grazie Gesù per questo nuovo insegnamento. Sono venuto a messa “per caso”, ma il Tuo Vangelo mi ha cambiato modo di pensare e di vivere.

P.S. Dona, Gesù, nel giorno di san Benedetto la Tua Pace alla nostra Europa.

XIV domenica Anno C

XIV domenica  Anno C  con preghiera dei piccoli

 

Luca 10, 1-12.17-20

«Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio". 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11"Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino". 12Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.17I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". 18Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli"».

La richiesta di Gesù, così come la riporta san Luca, non permette dubbi o ambiguità: Gesù vuole che si “cammini” insieme. Il richiamo al testo della Genesi in cui “il Signore Disse: «Non è bene che l’uomo sia solo»” (Gen. 2, 18) è evidente e immediato. Siamo fatti per vivere insieme, ci dice il Vangelo. E anche chi deve annunciare che il Dio di Gesù è con noi non deve allontanarsi da questo stile di vita che è, allo stesso tempo, “metodo” (andare insieme è il modo con cui ci si rende credibili) e “contenuto” (perché il senso della vita è dato dalla comunità e da quel “noi” che ha il non facile compito del frantumare tanto l’egoismo quanto quel pericoloso individualismo e che tutti conosciamo).

“A due a due” non è, perciò, semplice annotazione di come procedere su strade sconosciute per darsi reciproco aiuto. In quell’indicazione è racchiusa la sapienza della vita che ci ricorda che solo chi sceglie di abitare il “noi” riesce ad andare lontano (“Se vuoi andare veloce corri da solo, se vuoi andare lontano, vai insieme” recita un saggio proverbio africano”). Il che significa che la presenza di Dio in mezzo a noi (ciò che gli evangelisti chiamano il Regno di Dio) è reso visibile dal coraggio di praticare la comunione con gli altri, con l’aiuto anche del perdono reciproco. È vero: non sempre la convivenza è facile; non sempre si riescono ad evitare – all’interno della vita comunitaria – divisioni, invidie, gelosie, maldicenze o fatiche relazionali. Ma isolarsi da tutto e da tutti ed esaltare un individualismo estremo fatto di autoreferenzialità e di fragile narcisismo, è un rimedio peggiore del male. Quanta fatica c’è nel nostro “correre sempre da soli”! Quanta solitudine, quanta emarginazione e quanta depressione nascondono le nostre case quando queste sono sganciate da qualsiasi vita comunitaria.

Un dato concreto. Il 39,5% delle famiglie presenti nella città di Biella è composto da un solo componente. In cifre: su 20.488 famiglie che abitano a Biella, 8.113 sono “famiglie individuali”: formate, cioè, da una sola persona. Quasi quattro famiglie su dieci che, nella nostra città, non fanno esperienza di convivenza nella loro casa. Le cause possiamo immaginarle: lutti, separazioni, progetti di vita di coppia non ancora decollati o vere e proprie scelte. Segno di un occidente che sta invecchiando e di uno stile di vita che per molti aspetti riesce a fare a meno della vita comunitaria. Ieri non era così: la dimensione comunitaria era indispensabile per sopravvivere. Oggi chi può il pasto lo ordina al telefono (e operai poco pagati lo portano in bicicletta) altri, meno abbienti, sono aiutati da catering vari per impedire che la solitudine diventi abbandono. Resta il fatto che il mangiare sempre da soli non è sano. E forse anche per questo Papa Francesco ha scelto la vita comunitaria in Vaticano e ha rifiutato l’isolamento dorato riservato al Pontefice: per essere in grado di andare “lontano” con il cuore e con la mente.

Ultima riflessione. Non appena i settantadue discepoli tornano carichi di entusiasmo, Gesù dice loro: “Non rallegratevi però perché i demoni s sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nel cielo.”. Per dire che chi sceglie di vivere la comunità con lo spirito di servizio verso il fratello più debole (e dunque consegna al potere la forma del servizio che si allontana dal dominare!) fa profonda esperienza di gioia e scopre che il suo nome è scritto nel Cielo, nel cuore di Dio.

Quanti bambini, ragazzi e giovani sognano che il loro nome diventi famoso (nel mondo dello sport, dello spettacolo, degli influencer, etc.)! Sognare di diventare “buoni” per aiutare chi è più bisognoso, non è più di moda. Fama e notorietà, però, non sempre immergono nella gioia vera (quasi mai) e il nome lo scrivono sulla sabbia che sparisce al primo colpo di vento.

Spendere l’esistenza per gli altri – al contrario – “rallegra” il cuore e consegna così tanto senso alla vita da renderla non solo piena, riuscita e realizzata ma con il proprio “nome” scritto nel cuore di Dio. Il solo modo per avere un nome e una esistenza che non ha più fine. Buona domenica e buon mese di luglio.

 

                                           Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    a scuola quest’anno abbiamo imparato il proverbio africano che dice: “se vuoi andare veloce corri da solo, se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”.

E io sono così. Non mi piace andare a scuola, a calcio o in oratorio da solo.

Mia mamma mi critica perché non esco mai da solo, ma oggi mi sembra di aver capito che anche Tu ci dai ragione e che uscire “a due a due” non è sbagliato. 

Grazie Gesù anche perché hai scritto “nulla potrà danneggiarvi”.

Gesù aiuta i miei genitori ad avere meno paura. Del futuro, della strada, del lavoro o di non so quali pericoli.

Io so che con Te accanto le difficoltà si superano.

Gesù voglio essere anch’io uno dei 72.

Manda anche me nella tua messe.

E grazie ancora Gesù perché se scrivi il mio nome nel cielo, vuole dire che per Te io sono importante. 

 

XIII DOMENICA ANNO C

XIII DOMENICA  ANNO  C  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,51-62)

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Gesù ha già iniziato la sua missione. Da settimane, forse da mesi è “fuori casa” alle prese con quel “camminare” per le strade della Palestina finalizzato ad annunciare il Regno di Dio. San Luca però ci spiazza e al capitolo nono del suo Vangelo scrive: “Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”. Segno eloquente che la “decisione” che imposta la vita non la si prende una volta per tutte. Ma va continuamente alimentata, difesa e rinnovata per non ritrovarsi “stranieri” nel proprio procedere esistenziale. Gesù però oltre a rinnovare la sua scelta di incamminarsi verso il dono della sua vita che avverrà a Gerusalemme, invita anche i suoi discepoli a fare altrettanto. Gesù li ha già chiamati (mentre lavavano le reti – Lc. 5,1ss); loro hanno già aderito alla proposta di Gesù (“E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc. 5,11). Ma anche loro – come il Maestro – devono nuovamente domandarsi se è loro intenzione affidarsi al  Signore Gesù che non promette loro una crociera senza intoppi e tutta riposo e svago, ma che ricorda a chi lo segue che il cammino non è esente da fatiche e che può anche condurre al sacrificio estremo della propria vita. Detto con parole semplici: Gesù ribadisce ai suoi che non basta l’entusiasmo per “immergersi” nella Sua sequela e che, proprio perché si tratta di un cammino impegnativo, è bene chiarire le condizioni del seguirLo.

A parole e in teoria è tutto chiaro. Non appena però gli abitanti di villaggi samaritani “non vollero ricevere Gesù perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme” i discepoli tirano fuori il meglio delle loro ambizioni: “Signore vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. Gesù non giudica e non condanna chi lo rifiuta e nemmeno chi lo metterà in croce. I suoi discepoli – però – si comportano da “padroni” del Progetto di Gesù e non solo vogliono prendere il posto del Maestro, ma si ritengono anche autorizzati a giudicare e a condannare (“bruciare”!) chi non li riconosce come importanti.

Quante volte succede a anche a noi. Diamo per scontato le scelte fatte ieri. Non le difendiamo. Non le rinnoviamo. Non le aggiorniamo alla luce della Parola di Gesù. E – di conseguenza – non le comprendiamo più. Le difficoltà le intendiamo come congiure contro di noi. Chi non ci capisce e chi non ci asseconda subito, lo vorremmo “bruciare” con il fuoco della nostra rabbia. Ma così facendo ci ritroviamo sempre più soli e depressi. E solo Dio sa quanta solitudine abita nelle nostre città e nelle nostre comunità.

Il Vangelo di san Luca ci invita ad uscire da questa solitudine e a fidarci del camminare al seguito del Maestro scomodo che si chiama Gesù. Non possiamo sentirci sempre “a posto”, “dalla parte della ragione” e profondamente convinti di non dover cambiare nulla della nostra vita. Gesù ci propone di impastare la nostra esistenza con il Suo Vangelo e di renderci disponibili a confrontarci con i grandi ostacoli che ci paralizzano il vivere.

Il primo ostacolo san Luca lo individua nell’abuso del “futuro”, del “dopo”, del “poi” o del “non adesso” (“Ti seguirò ovunque tu vada”). Fare “dopo” o “domani” ciò che ci rende veri e completi, vuole dire non farlo mai. E questo vale tanto per ciò che va tolto dalla nostra vita (come le nocive dipendenze che tutti conosciamo), quanto per quelle azioni che ci rendono più distesi e meno stressati, ma che siamo convinti che non abbiamo tempo di realizzare (penso alla lettura, alla meditazione e al pregare il Vangelo). Il secondo ostacolo è simile al primo, ma è legato al “passato” (“Permettimi di andare prima a seppellire mio padre”). Nulla, da parte di Gesù, contro il dovere dei riti funebri. Ma attenzione, chiede il Maestro, ad usare il passato come alibi per non assumersi le proprie responsabilità nell’oggi o a restare prigionieri della nostalgia (“ai miei tempi si faceva così, …”)  per non accogliere i cambiamenti che inevitabilmente sono presenti nel tempo presente. Terzo ostacolo: affetti disordinati e gestiti con modalità possessive (“Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”). Quando “casa mia” diventa un assoluto che ha la precedenza su tutto e che autorizza a restare indifferenti al soffrire di chi non appartiene al proprio clan, si entra nell’aridità di chi non ha legami oltre l’uscio di casa e, proprio per questo, vive male anche le relazioni domestiche.

Gran bel programma per i mesi di luglio e di agosto che ci attendono per proporci riposo nel corpo e nello spirito. Buona domenica.

 

Preghiera dei piccoli

                  Caro Gesù,                                        

                  io assomiglio un po’ a quel tale che Ti ha detto: “Ti seguirò ovunque tu vada”. Anch’io tanto volte uso il futuro e faccio tutto … “domani”!

 “Poi”, “un altro giorno”, “più avanti”, “dopo”, sono queste le parole che usiamo spesso noi bambini. 

Grazie Gesù perché all’inizio dell’estate mi dai un forte scossone e mi ricordi che seguirTi al futuro non ci fa bene.

Tu mi chiedi di seguirTi “adesso”, “subito”, “oggi” e mi inviti a camminare con Te nel presente, non “domani”.

Gesù, oggi nel Vangelo di Luca, sembri severo e persino troppo esigente. Però hai ragione Tu: nel futuro molte volte si nasconde la pigrizia di chi rinvia a “dopo” ciò che quasi sicuramente non farà mai.

Ti prego Gesù: aiutami a vivere nel presente e a non scappare nel futuro.

P.S. Forse l’anno prossimo anch’io faccio, con i genitori, il viaggio in Terra Santa.

CORPUS DOMINI anno C

CORPUS DOMINI anno C  con preghiera dei piccoli

Dal vangelo secondo Luca (Lc 9,11-17)

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a compare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Guido Tallone:

Nel quarto libro della Bibbia – conosciuto come il Libro dei Numeri – si racconta che il popolo di Israele, stanco e sfinito nella traversata del deserto finalizzata a raggiungere la terra promessa, “cominciò a lamentarsi aspramente agli orecchi del Signore” (Numeri 11, 1). Mosè – la guida del popolo d’Israele – è sfinito. E anche con lui alza verso il Dio di Israele parole di protesta e di rimprovero: “Perché hai fatto del male al tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, al punto di impormi il peso di tutto questo popolo? … Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo? Essi infatti si lamentano dietro a me, dicendo: «Dacci da mangiare carne!»” (Nm. 11, 11s).

San Luca conosce molto bene questo testo ed è su questa base narrativa che costruisce il suo racconto. E come Dio dona a Mosè settanta “anziani” incaricati di non farlo sentire solo nel difficile compito dello sfamare l’intero popolo d’Israele, così Gesù coinvolge i Dodici nel compito di dare da mangiare a tutta quella folla. Il tema è sempre lo stesso: c’è una folla, un popolo, una grande quantità di persone che ha fame e che non riesce a sfamarsi.

E ieri come oggi chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena sta male, protesta, grida, impreca, scappa, emigra e tenta qualsiasi cosa pur di reperire cibo e sicurezza alimentare. Così è stato per il popolo nel deserto che teme di non saziare la fame, ma così è anche per la folla che segue Gesù: senza cibo e, dunque, alle prese, con lo stomaco vuoto. Alla fame fisica segue però, e puntualmente, la paura e, con questa, la logica del “si salvi chi può” e dell’“ognuno pensi a se stesso”.

La soluzione trovata dai Dodici è disumana. E loro non hanno nessun pudore a proporla a Gesù: manda via tutti; si aggiustino; noi non possiamo sfamare tutti. Gesù – ci dice san Luca – ha altre logiche e altri pensieri. Decisamente più umani. E fa capire a quanti sono stati scelti per stare con Lui che quando la gente ha fame anziché farsi dominare dalla paura e dall’egoismo (e dunque considerare la fame degli altri un problema che genera disagio a me|) è sempre bene fronteggiare quella ingiustizia “insieme”, in modo corale e comunitario. Per farsi carico del loro problema e per non doversi difendere dalla fame altrui!

La domanda è sempre la stessa: “Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo?”. Ma la risposta giusta è quella di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare”. Messaggio forte e chiaro. Quando l’altro ha fame e quando l’ingiustizia si manifesta ai tuoi occhi, non volgere lo sguardo dalla parte opposta e non delegare ad altri la soluzione a quel problema. Da solo nessuno può farsi carico della fame del popolo, ma nemmeno “congedando la folla perché si aggiusti” si risolve il loro problema. Semplicemente si decide di non vederlo e ci si illude che, così facendo, sia risolto.

Penso al nostro oggi. Penso al grano bloccato in silos, porti e su navi che non riesce a raggiungere chi ha fame per le oscure ragioni dell’orgoglio, della guerra, della violenza e del ricatto. Penso ai Popoli che sono a rischio di vedere peggiorare la loro miseria e che tra alcuni mesi si troveranno immersi, se le cose non si sbloccano, in quel deserto alimentare di chi non ha cibo per sé e per i suoi figli. Se a causa della logica assurda della guerra accadrà che milioni di persone si troveranno alle prese con la fame da quasi tutte le nostre comunità cristiane saliranno preghiere perché il Signore Gesù doni il cibo a chi soffre la fame. Ed è in quel momento che sarà utile ricorrere al Vangelo di san Luca per ricordare che il Signore Gesù desidera coinvolgerci nel Suo farsi carico dell’umanità ferita. Gesù Maestro chiede a noi di dare da mangiare a chi ha fame. Nessuno si spaventi. Gesù non dilata povertà e miserie. Gesù sa molto bene che quando pane e beni sono condivisi, non solo bastano per tutti, ma “tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.”. Proprio come dice la beatitudine: “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”.

Guerra e ingiustizia sono le due facce della stessa medaglia. Tocca anche a noi adoperarci per dare da mangiare a chi è senza cibo e fare il possibile perché mai il grano entri nelle trattative del potere esercitato da potenti interessati più a dominare che a servire l’umanità. Gesù che si è fatto pane per noi ci liberi dalla tentazione di usare il grano e la fame altrui per dominare e per imporre il nostro io sul fratello.

Buona festa del Corpus Domini a tutti.

                                                                                     Preghiera dei ragazzi

    Caro Gesù,

                      chissà quante volte mamma Maria ti avrà raccontato che quando Tu dovevi nascere tutti vi mandavano via perché per voi non c’era posto.

Per questo non hai accettato la richiesta dei tuoi apostoli di mandare via la folla che ti seguiva perché convinti che non toccasse loro occuparsi di sfamare tutta quella gente.

Gesù sei straordinario.

Tu chiedi a chi Ti segue di non allontanare mai chi sta male e chi non ha nulla per vivere.

Ti prego Gesù, fa in modo che il grano già raccolto e bloccato nei porti dell’Ucraina dall’esercito russo possa arrivare nei Paesi poveri.

Quanto mi piacerebbe andare dai potenti del mondo e dire loro quanto hai detto ai tuoi apostoli: “Voi stessi date loro da mangiare”.

Grazie Gesù perché sei buono come il pane e perché ci chiedi di farci pane per gli altri.

Grazie anche perché sta per iniziare l’estate.                                                                   

SANTISSIMA TRINITÀ anno C

SANTISSIMA TRINITÀ  anno C con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,12-15)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Siamo fatti per stare in relazione e per vivere insieme. In comunione. Nei fatti – però – facciamo fatica a convivere. È sotto gli occhi di tutti: molte coppie “saltano” e chi ieri si dichiarava amore eterno oggi litiga nelle stanze degli avvocati e nelle aule del tribunale. Cominciano a “saltare” anche le seconde coppie: quelle nate dopo la burrasca di un primo matrimonio obbligate ad assistere alle stesse fragilità, alle uguali tensioni e alle contraddizioni già vissute. Ma si aprono crepe anche nei cerchi della famiglia allargata e se vuoi sentire parlare male di qualcuno basta andare da chi – ieri – era il suo migliore amico.

La domanda è obbligata: ma se stiamo male da soli, perché poi, quando abbiamo la possibilità della cosiddetta vita in comune, continuiamo a sperimentare divisioni, incomprensioni e solitudini? Il Pastore protestante Bonhoeffer direbbe perché il grande assente della nostra vita comunitaria è il perdono. E senza questa capacità di accogliere con amore la propria fragilità e quella dell’altro, qualsiasi convivenza diventa un inferno.

Condivido e rilancio. La mancanza del perdono nei nostri contesti comunitari è il segnale eloquente che abbiamo perso il solido riferimento a chi trasforma l’acqua del vivere insieme nel vino simbolo di reciproca accoglienza. Perché è questo il significato profondo del miracolo che Gesù, su richiesta di Maria, compie a Cana di Galilea: rendere (finalmente!) possibile la con-vivenza e portarla nello spazio della festa, della gioia e del perdono reciproco.

Senza la presenza del Signore Gesù e della Sua Parola, la nostra vita in comune diventa, quasi sempre, una lacerante competizione che spinge prima a litigare e poi a liberare il conflitto nelle tante forme che conosciamo: denunce, ricorsi legali, amicizia infranta, confidenze tradite, saluti negati, etc.. E basta guardare gli effetti indesiderati (ma purtroppo molto presenti) della vita condominiale nelle nostre città per capire quanto abbiamo bisogno del vino della comunione che solo Gesù offre e consegna a chi lo accoglie.

La solennità della Santissima Trinità posta al termine del tempo pasquale ci ricorda che siamo stati creati ad immagine e somiglianza del Dio che è relazione e circolazione d’amore. Dio non ama la solitudine, ci dice questa festa. Dio – ci comunica questa solennità – è equilibrio tra silenzio e ascolto, tra Parola e obbedienza data sempre nello spazio dell’amore. Ancora: la festa della santissima Trinità ci conferma che la comunione nel nostro convivere quotidiano è tanto più possibile e riuscita quanto più ognuno di noi si lascia accogliere dalla presenza – nella sua vita – dell’amore di Dio Padre che ci dona il Suo Figlio Gesù e che resta accanto a noi per sempre nel dono dello Spirito Santo.

Sono consapevole che per la nostra società scristianizzata questo linguaggio è poco comprensibile e lontano dalla mentalità di chi corre tra un canale all’altro del televisore perché stanco tanto delle scene di violenza e di morte che provengono dall’Ucraina aggredita dalla Russia quanto delle tribune elettorali che provano a spiegarci quesiti referendari che restano, di fatto, poco chiari e per addetti ai lavori. Lo so che il Vangelo non è più la luce che guida, che indirizza e che forma la nostra vita. E è per questo che la frase di Gesù riportata da san Giovanni: “lo Spirito della verità vi guiderà a tutta la verità” ci passa sopra e non riusciamo a portarla nel cuore.

Ma è proprio questo ciò che dobbiamo ritrovare: il gusto, la passione e la bellezza del camminare sui sentieri della verità che il Signore Gesù ci ha indicato: vivere – sotto la guida dello Spirito Santo – per gli altri per scoprire che oltre la soglia del nostro egoismo abita la pace. Continuiamo a discutere e a litigare su chi vince o su chi ha la verità.

Il Vangelo di Gesù ci insegna che la verità non la si possiede (mai) ma che la si può incontrare solo andando incontro all’altro perché vinca l’amore. Case famiglie, condomini, contesti di lavoro e comunità: oggi siamo tutti raggiunti dalla bella notizia che la vita comune è possibile e che stare insieme è la sola verità che ci fa stare bene. A patto che sia intrisa di perdono, guidata dalla sua Parola e immersa nell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Il cosiddetto Gloria al Padre è la preghiera più breve, ma anche la più vera se facciamo diventare la nostra comunione la più bella lode data a Dio. Buona festa a tutti.

 

Caro Gesù,                                  Preghiera dei piccoli

                   sai cosa mi piace di Te? Che ci abbracci senza fare troppe prediche e al di là di come ci siamo comportati.  I grandi non fanno così. Loro ci abbracciano ma sempre con tante raccomandazioni a comportarci bene. E quando facciamo qualcosa che a loro non piace, la prima cosa che ci tolgono è l’abbraccio.   Tu non sei così. 

Ci abbracci sempre, ma soprattutto quando abbiamo sbagliato e quando abbiamo bisogno del Tuo perdono.

Quando faccio il segno della croce mi sento abbracciato da Te, Gesù, che mi consegni l’amore del Padre e la libertà del Tuo Spirito.

Grazie al segno della croce, Gesù, imparo ad abbracciare gli altri come Tu abbracci noi.

E capisco che Tu mi vuoi bene per quello che sono.   P.S. È finita la scuola Gesù, ma le guerre non finiscono mai. Ti  prego Gesù, fai finire il rumore delle armi.

DOMENICA DI PENTECOSTE

DOMENICA DI PENTECOSTE  con preghiera dei piccoli                         Giovanni 14,15-16. 23 -26

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli]: «Se mi amate, osserverete i miei

comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. […] Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

 

Marta (il nome è di fantasia) mi ha cercata perché anche nel nuovo condominio si stanno riproducendo le stesse logiche del suo precedente domicilio. “Non le parlo dell’indifferenza che caratterizza la vita condominiale, mi ha detto. Ciò che ritengo inaccettabile è lo spiarsi a vicenda, l’invidia che si tocca con mano tra un pianerottolo e l’altro, il litigare per ogni piccola scelta per arrivare poi al non parlarsi e al non salutarsi.”. Il marito di Marta vive la stessa condizione con la moglie di suo fratello. Da anni non si parlano e nei ritrovi obbligati della famiglia allargata, chi organizza deve inventare acrobazie infinite per evitare che le loro persone si incontrino.

Il cuore umano è fatto così: ha bisogno come il pane delle relazioni (senza le quali non si vive!). Una volta avviate, però, le “appoggia” sull’emotività, che – come è noto – non è base molto solida! Il risultato, quasi scontato, lo conosciamo: l’altro, su cui si era fatto affidamento, delude e si rivela una persona diversa da come si presentava (ambizioso, ipocrita, individualista, scorretto, etc.). Ed è a questo punto che si decide di depennare l’interessato dalla lista degli amici o dei parenti. Succede dappertutto: in famiglia come nel condominio; in comunità laiche e nei contesti ecclesiali; sui posti di lavoro e nei tanti gruppi che si frequentano. E chi si lamenta dell’altro – come Marta – è sempre profondamente convinto di aver ragione, di aver subito il torto e di non aver sbagliato nulla.

Non si capisce la solennità della Pentecoste senza questa (lunga) premessa.

Comunione e Pace tra parenti, amici, vicini di casa e Nazioni sorelle non sono mai frutto “solo” dell’impegno umano, di accordi internazionali e/o di convenzioni preparate da esperti. Se il Signore non costruisce la casa della comunione e dell’amicizia, invano ci sforziamo di stare bene con gli altri.

È Lui – il Signore Gesù – che prima ci educa alla Pace e al convivere nel segno dell’amore e poi ci consegna il Suo Spirito che ci rende capaci di superare non solo egoismi e rancori, ma anche quelle sterili convinzioni che ci costruiamo nella testa per non arrendersi alla bellezza del perdono. Quante volte il nostro “spirito” ci autoconvince che solo noi abbiamo ragione! Quante volte ci ripetiamo che chi ha torto è l’altro e che per nessun motivo al mondo siamo disposti a passare oltre l’offesa ricevuta.

Lo Spirito di Gesù parla altri linguaggi. Insegna logiche più umane e ricorda le sole Parole – quelle di Gesù – che ci rendono capaci di costruire la casa sulla roccia (“Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” – Gv. 14,269).

E per capire che cosa succede quando lo Spirito di Gesù entra nelle nostre case, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, facciamoci aiutare dalla Prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli. Lo Spirito di Gesù si abbatte impetuoso sulla casa dove i suoi discepoli si trovano alle prese con dubbi e paure. Si posa su ciascuno di loro e questi scoprono che grazie allo Spirito di Gesù riescono finalmente a capirsi. “Come mai – si domandano – ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio” (Atti 2,8-11).   Lo Spirito di Gesù non annulla le nostre diversità; non ci appiattisce in una uguaglianza da ciclostile e non ci condanna per le nostre quotidiane fragilità legate al convivere. Fa molto di più: ci insegna a stare insieme con la forza del perdono reciproco; ci educa al silenzio di chi, da una parte, sa ascoltare la Parola di Gesù e i bisogni dell’altro e – dall’altra parte – evita di parlare male degli assenti e alle loro spalle.

Lo Spirito di Gesù ci spinge a cambiare (per non diventare vecchi dentro) e a lasciare le nostre certezze quando queste sono infarcite di rancore, di odio e di ostilità.

Questo è il significato per la nostra vita della festa di Pentecoste: lo Spirito di Gesù si “abbatte” sulle nostre case per farle diventare dimore di Pace, di comunione, di gioia e di perdono. Buona festa a tutti.

                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,           

                     per spiegarci che la parola Pentecoste vuole dire “cinquanta giorni” (dopo Pasqua), la catechista ci ha chiesto di pensare al «pentagono»: il poligono dai cinque lati uguali. E al di là del numero dei giorni, Tu – in questa festa – ci doni il Tuo Spirito perché ci aiuti a “ricordare” non solo le cose di scuola, ma anche l’amore che Tu hai per noi e la forza della Tua Parola.

Non lo sapevo Gesù, ma oggi l’ho scoperto: è il cuore che “ricorda” e che trattiene per sempre i momenti belli della vita. Ti prego Gesù: con il Tuo Spirito entra nel mio cuore e fa che il Tuo Vangelo diventi la guida della mia vita.

Gesù, mercoledì finisce la scuola.

Grazie per le mie maestre, per i miei compagni, per Caterina (la bidella del piano che è bravissima) e per tutti quelli che lavorano per noi.                                      

ASCENSIONE DI GESU’ ANNO C con preghiera dei piccoli

     ASCENSIONE DI GESU’  ANNO C    con preghiera dei piccoli

 

Luca 24, 46-53

 «Gesù disse loro: Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto.50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio».

 

È interessante constatare come tanto gli osservatori esterni quanto i diretti interessati si esprimano – in riferimento all’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin – utilizzando la categoria della vittoria. Per la Presidente della Comunità Europea è l’Ucraina che deve “vincere” questo conflitto ingiustamente subito. Le autorità russe dichiarano però che “chi sostiene che la Russia potrebbe “non vincere” questa “guerra” dimostra che non conosce la storia”. Gli ucraini si difendono… “per vincere”. Il cuore umano è fatto così: la spinta a fare bene che si trova impressa in ognuno di noi si trasforma, se non si è vigili e attenti, in quella fame e sete di vittoria che stravolge letteralmente il senso del vivere.

Anche perché il senso della vita non è dalla vittoria ad ogni costo; non siamo venuti al mondo per “vincere”, ma per amare, per fare il bene e per realizzare quella giustizia che – sola – rende il mondo un giardino. Ecco perché nelle Sue beatitudini Gesù ci invita a plasmare la nostra forza interiore con “fame e sete di giustizia”: perché nell’accogliere il debole, del difendere l’oppresso, nello stare dalla parte di chi perde e nel decidere di non armare la propria mano contro l’altro, ognuno di noi trova il sentiero della sua libertà e la strada che lo porta da essere – con i fratelli – beato. Quando il vincere diventa l’imperativo assoluto del vivere, l’esistenza tutta entra in quella conflittualità che genera le guerre che rendono il pianeta un inferno, anziché un giardino.

Alla luce di questa premessa diventa liberante celebrare la solennità dell’Ascensione del Signore Gesù in Cielo. Anche perché in Cielo e presso Dio non viene “portato” il Re “vincente”, l’Imperatore che ha dominato più degli altri o il condottiero invincibile che ha sconfitto (e sottomesso) ogni nemico. Dio accoglie nel Suo Regno il suo Figlio Gesù perdente e sconfitto: crocifisso e deposto dalla croce come un malfattore.

Con la solennità dell’Ascensione siamo chiamati a prendere coscienza che le porte del Cielo si spalancano sulla nostra umanità per accogliere la logica dell’amare, del servire, del perdonare, del dare la vita e dello spendersi per gli altri senza mai fare uso della violenza.

È questa la “Buona Notizia” di questa festa dal nome un po’ strano e dal significato teologico non immediato: Terra e Cielo non sono separati e contrapposti. Non è vero che il mondo di Dio (il Cielo) è sordo alle nostre suppliche o indifferente ai drammi che si consumano sulla nostra Terra. “Ma perché Dio non interviene e non ferma la mano di chi arma il mondo e di chi aggredisce l’altro?”, ci domandiamo spesso nelle nostre preghiere.

Dio ha scelto di non coinvolgersi nella nostra storia come un burattinaio che cambia il corso degli eventi e – per amore – ha deciso di rispettare la nostra libertà. Ci ha donato però il Suo Figlio Gesù. Che ha toccato con mano l’aggressione della Sua terra da parte dell’Impero Romano. In molti gli hanno chiesto di essere il Messia che porta alla vittoria – contro l’aggressore – il popolo di Israele. Gesù ha optato per la strada dell’amore, del perdono e della nonviolenza. Con la sua vita e con la sua passione, morte e resurrezione ci ha testimoniato che ciò che genera pace e giustizia in terra è la nostra capacità di spostare la voglia di vincere sul crinale del fare il bene per far vivere l’altro. E si noti la finezza: per convincere i suoi discepoli che con la Sua resurrezione Gesù ha definitivamente aperto il Cielo alla Terra, il Risorto ha condotto i suoi discepoli a Betania e da lì ha aperto la strada della terra al Cielo di Dio. Betania è un piccolo villaggio collocato a poca distanza da Gerusalemme dove Gesù ha fatto la profonda esperienza dell’amicizia (a casa di Marta, Maria e Lazzaro), dove si recava spesso per riposarsi, per riprendere le forze, ma anche per piangere l’amico Lazzaro morto e dove ha vissuto la faticosa esperienza dell’arresto, dell’agonia e dell’abbandono.

A Betania Gesù risorto che sale al Cielo, consegna al Padre tutta la sua esistenza e, di conseguenza, tutto ciò che noi siamo e tutto ciò che noi viviamo. È tutta la nostra esistenza che con Gesù risorto sale presso Dio.

Gagarin ha affermato, osservando il “cielo” dalla sua navicella spaziale, che non ha visto Dio. Anche perché Dio ha scelto – con il dono del Suo Figlio Gesù all’umanità – di “abitare” la nostra Terra (non le vuote galassie) e di restare, con il Suo Spirito, per sempre con noi per aiutarci a stare dalla parte di chi perde, di chi è debole, di chi è oppresso e per fare avanzare la forza della giustizia lungo i sentieri della nostra esistenza.

Dio ci ha insegnato, con il Suo Figlio Gesù, la grammatica dell’amore che si rende vero solo se diventa capace di “staccarsi” dall’altro senza mai usarlo, dominarlo o desiderare di possederlo. Buona Festa dell’Ascensione a tutti.

 

Caro Gesù,

                     ho visto sulla cartina geografica della Palestina che Betania è vicina a Gerusalemme. E ho pensato a Te che andavi a piedi a casa di Marta, Maria e di Lazzaro.

Ti recavi da loro per riprendere forza per la Tua missione e per stare con i tuoi amici. A Betania però hai pianto quando è morto Lazzaro.

Secondo me è per questo che la Tua ultima benedizione l’hai data a Betania: per farci capire che Tu porti in Cielo, presso Dio, i momenti belli della nostra vita, ma anche quelli “brutti”, segnati da lacrime, dolore o errori.

Sei forte Gesù. Con la scelta di Betania hai unito Terra e Cielo per sempre.

Aiutami, Gesù, a trovare pezzi di Cielo quando cammino su questa Terra e soprattutto insegnami a non cercarti “in alto”, ma sempre accanto a noi.

 

P.S. Grazie Gesù anche per la Festa della Repubblica.

VI DOMENICA DI PASQUA ANNO C

VI DOMENICA DI PASQUA ANNO C con preghiera dei piccoli

Giovanni 14, 23-29

 

«23 [In quel tempo Gesù disse] «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

 

Sul fatto che ciascuno di noi abbia bisogno come il pane della “pace” non ci sono dubbi. La discussione inizia quando ci domandiamo “come” e “con quali strategie” cerchiamo di procurarci la pace.

Alcuni sono convinti che solo le armi, l’ordine militare e la repressione siano in grado di garantire la pace. L’esperienza ci dimostra che eserciti e armi sempre più potenti non costruiscono pace, ma alimentano guerre all’infinito.

Altri preferiscono puntare sul libero mercato perché sono profondamente convinti che ricchezza, soldi e benessere siano in grado – da soli – di garantire la mia e nostra “pace”. La storia ci insegna però che senza giustizia, senza libertà e senza solidarietà non ci sarà mai pace, ma solo scontro tra egoismi che difendono privilegi.

Altri ancora – nel piccolo come nel grande – si illudono di dare radici e forza alla pace appoggiandosi sulla bugia e sulla menzogna, per cui basta non dire, negare, nascondere o mentire per garantire alla coppia, in famiglia, sul lavoro o alla propria comunità un buon livello di armonia e di pace. Senza verità, però, non ci sarà mai pace, ma solo ipocrisia e falsità che ammalano, aggrediscono e corrodono qualsiasi convivenza.

C’è infine chi è persuaso che la pace sia un qualcosa che riguarda solo lui, la sua famiglia e il suo giardino. Ma è proprio perché sono in troppi che si chiudono nel “mio” che scoppiano le guerre. Siamo salvati dal “nostro”, non dal “mio”.

Esperto conoscitore del cuore umano, Gesù Maestro ci invita ad andare oltre le nostre concezioni di “pace” (con la “p” minuscola) per accogliere, in dono, la “sua” Pace (con la “P” maiuscola). L’evangelista non poteva essere più esplicito: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.”. La Pace che Gesù ci consegna è più ampia e più vera rispetto alla pace che ci costruiamo noi con i mattoni delle armi, dei soldi, delle bugie e dell’egoismo. La Pace che Gesù ci dona è la presenza stessa del Suo Spirito che dal di dentro ci muove per renderci capaci di perdonare, di abbracciare anche (soprattutto) i limiti dell’altro e che ci spinge a contrastare il male ricevuto con il bene. La Pace che Gesù ci consegna ci spinge ad uscire dal “mio” giardino per ricordarci che ciò che ci rende beati è impegnarsi per costruire quel “giardino” in cui c’è posto per tutti e per ciascuno e dove tutti possono stare, abitare e riposare in libertà e giustizia.

Ancora una riflessione. Impossibile, in questi giorni, non associare la parola Pace all’aggressione dell’Ucraina da parte di Putin. Non so se sui libri di storia verrà ricordata come “guerra” o, più giustamente, come “invasione dell’Ucraina da parte della Russia”, so però che armi, carri armati, bombardamenti, trincee, prigionieri e morti (tanti, tantissimi, troppi da tutte le parti) non devono farci dimenticare che dobbiamo diventare operatori di Pace non solo per contrastare l’avanzare dei conflitti armati e delle guerre (che sono, in questo momento, circa 150!), ma anche nei nostri contesti familiari, lavorativi, sociali e nelle nostre comunità di vita. Mutismi, rancori, dispetti o parole dette alle spalle dell’interessato, non facilitano l’avanzare della Pace. Ostinarsi ad aspettare che a fare il primo passo sia sempre l’altro, non distende gli animi. Tenere chiuso il Vangelo e ridurre il tempo del pregare per paura che prima o poi lo Spirito spinga il mio cuore a perdonare, a fare il primo passo e a cercare chi non vorrei più vedere, è solo un modo per “resistere” all’avanzare della gioia nel mio cuore. La Pace che Gesù ci consegna fuga ogni nostra paura di cambiare e di perdonare. Ci apre alla vita libera e beata. E ci rende capaci di cambiare sguardo persino nei confronti della “sorella morte”, come la chiamava san Francesco.

Il discepolo di Gesù ama la vita in ogni sua condizione e manifestazione. Sa però che vivere per gli altri è la sola vita che non avrà più fine. Sa che l’amore ci immette in quella vita eterna che la morte fisica non spegne. Con “sorella morte” si interrompono le forze vitali del corpo (cuore, respiro e vita cerebrale), ma l’amore continua a vivere e ad abitare in quella Pace che lo Spirito di Gesù ha preparato per noi.

Da ripetere ogni giorno: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, fino a quando questa preghiera non si impasta con il nostro respiro e con il nostro vivere e convivere.

Buona domenica.

 

                                                                          Preghiera dei piccoli

                     Caro Gesù,

                    quando ero piccolo pensavo che la Tu abitassi in Chiesa. Solo quest’anno ho capito che la Tua vera casa è in mezzo a noi.

E sai che cosa ho letto sul giornale di papà? Che in Italia sono più di 50.000 quelli che vivono sulla strada, senza casa. Il censimento italiano li chiama “popolazioni speciali”.

Quando piove, quando fa freddo o quando sono stanco penso sempre a chi non ha un tetto sulla testa.

Ti prego, Gesù, fa che nel mondo nessuno debba mai vivere senza casa.

Gesù, aiutaci ad ascoltare la Tua Parola e a metterla in pratica per fare del mondo una grande comunità dove tutti possono abitare la propria casa in pace con gli altri.

Grazie Gesù perché solo Tu hai la forza di trasformare qualsiasi “edificio” in una “casa” bella, calda e dove si sta bene.

Gesù donaci la Tua Pace.

V DOMENICA DI PASQUA anno C

V DOMENICA DI PASQUA  anno C con preghiera dei piccoli

Giovanni 13, 31-33a.34-35

 Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
«Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.

San Giovanni usa pochissime parole per descrivere la scelta di Giuda di “uscire” dalla comunione con Gesù e dal gruppo di cui faceva parte (“Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse”. E presenta Giuda che si alza da tavola per abbandonare la mensa sulla quale ha condiviso l’ultimo pasto terreno di Gesù. “Ed era notte” (Gv. 13,30), annota l’evangelista. Per ribadire che tutte le volte che ci si alza dalla tavola di Gesù per fare scelte alternative a quelle proposte dal Maestro a quella mensa, si entra nel “buio” esistenziale che rende amara la vita.

Come non vedere nella “notte” di cui parla san Giovanni il tempo in cui siamo immersi anche noi. Dopo una pandemia che ha ferito l’intera umanità (e dalla quale non siamo ancora usciti) l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin ha riportato in Europa orrori che credevamo superati per sempre. Non ha senso abbandonare l’Ucraina al suo destino (e se qualcuno chiedesse questo si pone contro i valori della solidarietà, della fraternità e del reciproco aiuto sui quali è fondata l’Europa), ma non è ragionevole nemmeno armare fino ai denti chi ha il diritto e il dovere di difendersi con il rischio di innescare un’escalation di scontri armati che prima o poi trasforma la terza guerra mondiale a pezzi in un nuovo (il terzo!) conflitto mondiale.

Ed è “notte” proprio per questo. Perché le armi non generano (mai) luce, promesse di pace o spiragli di accordi, ma solo e sempre odio, rancore e distruzione di vite umane, di civiltà e di speranza. È “notte” perché sembra non esistano modalità di fermare il conflitto e perché la strada intrapresa per fermare il conflitto è ancora troppo lastricata di armi, bombe e di eserciti contrapposti. Ha però ragione Papa Francesco quando dice che la guerra è una pazzia e che le armi non portano la pace. Aveva ragione Papa Giovanni XXIII quando ricordava al mondo intero che la Pace (quella vera) si appoggia su quattro precisi pilastri: libertà, giustizia, verità e amore. Al di là di queste solide fondamenta non si costruisce la pace. E la tragica realtà di armi sempre più potenti ricorda a tutti noi che nel caso di una escalation che spinga ad usare anche il nucleare, ci ritroviamo tutti perdenti.

Oggi il Vangelo di san Giovanni ci consegna pochi versetti. Che ci ricordano, però, la verità fondamentale della vita: uscire dal cenacolo e dalla logica profondamente umana proposta da Gesù e dalla Sua Parola è movimento a forte rischio di immetterci nella notte. Non appena Giuda ha deciso di privilegiare il suo profitto, di vendere il Suo Maestro per poco denaro, di rompere la comunione con i “suoi” amici e di “sposare” la causa delle armi e dell’aggressore è iniziata – per lui – la notte dalla quale non ha saputo uscire.

Giuda ha rinunciato ad amare e, così facendo, ha perso la sua libertà. Non solo: con il suo tradimento Giuda è uscito dal solco della giustizia e tutto ripiegato su sé stesso non ha saputo chiedere scusa e nemmeno aprirsi all’amore che tutto perdona. Così facendo, però, si è reso incapace di guardare con verità alla sua fragilità e alla sua debolezza.

Sono tanti i bambini che in questi giorni, in tutta Italia, ricevono la Prima Comunione. Guidati dai loro sacerdoti e catechisti, accompagnati dai genitori e accolti dalle comunità cristiane chiedono di avvicinarsi a quel tavolo dove Gesù si fa pane per noi. Sono bambini che ci chiedono di donare loro – con l’aiuto di Gesù – la forza di queste quattro gambe su cui è fondata la tavola di Gesù: giustizia, liberà, verità e amore.  Valori intrecciati tra loro e indivisibili. A Giuda che esce dal cenacolo in cui Gesù lo aveva invitato, mi piace contrapporre quel ragazzino che ha saputo condividere il suo poco (cinque pani d’orzo e due pesci) per premettere a Gesù il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Non abbiamo grandi strumenti per fermare una guerra assurda, folle e che genera solo distruzione e morte, ma possiamo offrire il nostro poco perché la prudenza, la cautela, il dialogo e la via diplomatica restino i sentieri privilegiati per sperare in un ragionevole cessate il fuoco a cui dovrà seguire quel compromesso che non permette a nessuna delle parti in causa di vincere, ma che non obbliga l’umanità perdere la speranza, la vita e la nostra civiltà. Buona domenica a tutti

 

                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                       ti faccio una confidenza: a volte chiudo gli occhi e mi vedo in uno stadio gremito di gente a correre a mani alzate dopo aver fatto goal. Altre volte mi immagino vincere in bici o con un microfono in mano, cantando.

Non so perché, ma questo tipo di “gloria” entra nella nostra testa prima della “Gloria” di cui parli Tu.

Tu però ci dici che la vera Gloria è data dal servire, dal donare, dal vivere per gli altri e dal perdonare.

E la guerra in Ucraina ci dice che hai ragione Tu: “vincere” ad ogni costo non crea nessuna gloria, ma costruisce solo distruzione e tanti morti.

Grazie Gesù. La tua Gloria non ci entra in testa. Ma se ci entra nel cuore ci fa vivere più sereni e in pace.

Grazie anche per il comandamento nuovo.

Voglio imparare ad amare come Tu ci ami.

IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C

IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C  con preghiera dei piccoli

 

Giovanni, 10, 27 -30

 In quel tempo, Gesù disse: 27 «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola.»

 

La ragione per cui abbiamo due orecchie e una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più e parlare di meno”, affermava il filosofo Zenone tre secoli prima della nascita di Gesù. Ma perché spesso accade il contrario e si parla molto di più di quanto si ascolti? Perché parlare (di sé!) oltre che meno faticoso e meno impegnativo dell’ascoltare, è anche, apparentemente, rassicurante perché illude di essere nel vero. Chi con il suo continuo parlare si mette in condizioni di non ascoltare gli altri, di fatto abusa della sua bocca per fissare, nel suo cuore e nella sua mente, fragili convinzioni che non vorrebbe più cambiare. Ed è il motivo per cui chi parla tanto e ascolta poco è – obbligatoriamente – rigido nelle idee, incapace di dialogare e così chiuso in sé stesso da utilizzare solo e sempre il suo “io” come unità di misura del mondo. E se chi parla troppo incontra un “chiacchierone” simile a lui e poco disposto ad ascoltare? In questo caso inizia a “gridare” e a “urlare” per entrare, con lui, nella sfera della violenza verbale a cui televisioni e dibattiti vari ci hanno, purtroppo, abituati.

Ascoltare è molto più faticoso. Impone l’arte del fare silenzio e del sospendere giudizi che spesso risultano affrettati, superficiali e sbagliati. Obbliga – prima o poi – ad apprendere la difficile arte dell’empatia (mettersi nei panni dell’altro) e dunque ad anteporre l’altro a quel’ “io” che, se non ridimensionato, diventa ingombrante, fastidioso e pericoloso per tutti. Sembra un paradosso, ma il solo modo per imparare a parlare (bene) è dato dal coraggio del fare silenzio, dell’ascoltare e del dichiararsi bisognosi di imparare. Solo così si riesce a “discernere” tra i tanti rumori e le tante “voci” (moltissime delle quali inutili) che si affollano sulla nostra vita.

Con soli tre versetti il Vangelo di Giovanni che la chiesa ci propone per questa quarta domenica di Pasqua ci ricorda che Gesù è il Pastore buono/bello (l’unico) che sa “parlare” al nostro cuore, che ci insegna ad ascoltare e che scioglie la nostra lingua per abilitarci a dire parole vere.

La similitudine utilizzata da Gesù è quasi imbarazzante. Il rabbì di Nazaret definisce l’intera umanità un gregge formato da pecore chiamate ad ascoltare la Sua voce. E considerato che dal punto di vista economico il gregge rappresentava, per la cultura dei pastori di un tempo, la sola ricchezza possibile, significa che Gesù si è reso povero nell’avere e nel possedere, ma non ha rinunciato alla “ricchezza” data dall’amare e dal prendersi cura dell’intera umanità.

 Ancora una riflessione: l’immagine della pecora non è la prima che affiora nella nostra mente quando ognuno di noi pensa a sé stesso. Nessun bambino si identifica con la pecora nel gioco dell’identificare sé stesso con un animale. Leone, tigre, aquila, cavallo o delfino sono animali che evocano immediatamente forza, eleganza e bellezza. Gesù però ha scelto di farsi Agnello per noi e proprio per questo non ha nessuna difficoltà a definirci “gregge e pecore”. Perché si è fatto come noi per aiutarci a diventare come Lui: forti nell’amore, liberi del dare e determinati nel perdonare. Non è offensivo essere pecore. È fonte di sofferenza essere pecore che seguono, che ascoltano e che si affidano alle “voci” false di “banditi e briganti” che sfruttano la vita degli altri anziché – come fa il Buon Pastore – dare la propria per sue pecore.

Gesù è maestro vero e credibile perché prima di definirci “pecore” si è fatto “agnello”; Forte di questa coerenza, il Signore si presenta a noi come Pastore per portarci fuori dalle parole che non generano vita. Ci invita – senza sosta – ad ascoltare la sua “voce” perché ognuno di noi impari la bellezza del silenzio e – guidato dalla Sua Paola – la forza della pace, della nonviolenza e del perdono.

Le logore e stanche parole di guerra che tutti siamo stanchi di ascoltare in questi mesi (dove il parlare è finalizzato solo a dimostrare le strategie per “vincere”) sono la conferma che abbiamo un bisogno urgente di questo Vangelo e di Gesù Buon Pastore. Chissà se domani – 9 maggio, Festa dell’Europa e Giornata nazionale in memoria delle vittime del terrorismo interno – dovremo nuovamente ascoltare parole di guerra, di vittoria, di rancore, di armi e di violenza da usare per annientare il nemico! Se questo accadrà, è bene che il nostro cuore si ripeta – con l’aiuto del silenzio interiore ed esteriore – che “le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”.

 

La preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    appena ho ascoltato il Tuo discorso, mi sono detto: “Io non sono una pecora”. Anche perché quando noi bambini dobbiamo, per gioco, paragonarci ad un animale, nessuno sceglie la pecora. Di solito vogliamo essere un lupo, un leone, un delfino o un’aquila: animali forti, belli e vincenti.

Perché Gesù ci hai paragonato a delle pecore? Forse perché la forza e la ricchezza di un pastore era data – ai tuoi tempi – dal suo gregge. E più pecore possedeva un pastore e più era ricco.

Che bello Gesù, sei povero, ma la tua sola ricchezza siamo tutti noi: persone da amare, da seguire e da servire.

Sapere che Tu sei il Buon Pastore che ci conosce per nome, che si prende cura di noi e che ci protegge da ogni male mi dà tanta sicurezza.

 

P.S. In classe di mio fratello è arrivata una ragazza dell’Ucraina. Che brutta la guerra.