Preghiere poesie

IV DOMENICA DI QUARESIMA anno A

IV DOMENICA DI QUARESIMA  anno A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Giovanni  9, 1 - 41

 (In quel tempo, Gesù) passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?". 3Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo".  6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe" - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

Domenica scorsa il Vangelo di Giovanni ci ha comunicato in modo forte e chiaro che l’acqua vera che disseta la nostra voglia di infinito si chiama Gesù. Oggi lo stesso evangelista utilizza un simbolo diverso e ci dice che Gesù è la luce che rende possibile – per ciascuno di noi – il vedere. E sul fatto che oggi siamo un po’ tutti ciechi nei confronti di quanto ci circonda, non ci sono dubbi. I cambiamenti climatici sono visibili (siccità compresa), ma non vogliamo vedere le cause che hanno stravolto le nostre stagioni per non cambiare stili di vita. Per quanto riguarda l’aggressione in Ucraina della Russia, idem come sopra: gli effetti dei bombardamenti li vediamo, ma i nostri occhi non riescono a scorgere vie di uscite in grado di costruire negoziati e di arrivare alla Pace (quest’ultima ormai barattata da tutte le parti in causa con la parola “vittoria”). Ma siamo ciechi anche davanti alla questione migranti che riempie le pagine dei nostri giornali e i dibattiti televisivi. Quando possiamo facciamo finta di non vederli, altre volte li guardiamo con un po’ di fastidio e in molti li vedono solo come stranieri, come nemici, come invasori o come una minaccia per la nostra sicurezza. La Coldiretti, la Confindustria e quanti operano nel settore della cura delle persone ci dicono che senza immigrati (almeno un milione all’anno per sostenere la nostra denatalità) il nostro Paese muore. Nonostante tutto questo, però, i nostri occhi non riescono a vederli come fratelli che cercano accoglienza e le nostre politiche sull’immigrazione guardano il migrante solo ed esclusivamente per difendersi da chi chiede accoglienza mentre in realtà è presenza che ci aiuta a diventare un Paese migliore.

Si noti però la bellezza di questa pagina di vangelo. Chi vede il cieco (seduto lungo il ciglio della strada a mendicare?) è Gesù. L’iniziativa, ci dice l’evangelista, è sempre Sua. Ed il fatto che la figura del cieco non abbia nome è per permettere a ciascuno di noi di identificarci con lui e scoprire che è sempre il Signore Gesù che ci vede per primo, che ci cerca e che ci viene incontro. Gli altri (i discepoli, i vicini, i genitori, i giudei e i farisei) vedono in lui solo un poveraccio che ha peccato e che è responsabile dei suoi guai. Perché questo vuole dire essere ciechi: ridurre l’altro – ogni altro – al suo problema e considerarlo colpevole anche se in realtà è solo una vittima. Andiamo però avanti. Dopo essersi presentato come la luce del mondo, Gesù costruisce un gesto altamente simbolico: “sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco…”. Il richiamo alla creazione dell’uomo di Genesi 2,7 è immediato e trasparente. E serve a chi scrive per dire a ciascuno di noi che quando Gesù ci vede e ci incontra ci rinnova in modo così profondo da renderci creature nuove liberate dalla paura di amare. Da adesso in poi chi legge è invitato a non farsi distrarre dal rumore generato da chi non vuole “vedere” questo scomodo Gesù perché ha paura di perdere il suo potere o perché non si sente pronto ad una libertà così grande. Il lettore deve camminare al seguito del cieco a cui Gesù ha ridato la vista. A cominciare dal dire – con lui e come lui – “sono io”.

Io sono” è il nome di Dio (così si è presentato Jahvè a Mosè quando gli ha chiesto quale è il Tuo nome). Ed è il modo con cui Gesù si presenta ai Suoi (“Io sono la strada, io sono il buon pastore, etc.”). Toccato da Gesù, il cieco prende coscienza che quell’incontro lo introduce nella vita stessa di Dio (al punto di poter dire “sono io”) e che “quell’uomo che si chiama Gesù” (9,11) è “un profeta” (9,17), che certamente viene da Dio (9,33) e che è il solo Signore che salva e a cui ha senso affidare la propria vita (“Credo, Signore!” - 9,38).

Tutto il racconto è costruito perché nel pregare domenicale come comunità e personalmente si dica in modo nuovo – con il cuore, con la mente e con le labbra – “Credo, Signore!”. Esattamente come qualcuno ha detto – al nostro posto – quando, bambini, siamo stati battezzati. Con molta saggezza la chiesa ci chiede – con questa pagina di Vangelo – di rinnovare, da adulti, le nostre promesse battesimali perché quel “Credo, Signore!” diventi la nostra preghiera, la nostra litania che – con l’aiuto del Vangelo – ci apre gli occhi e ci rende consapevoli – da un lato – che le ginocchia vanno piegate solo davanti al Signore Gesù e – dall’altro lato – che il principio della libertà è dato dal non ridurre mai l’altro ad un problema per riconoscerlo sempre e solo come il fratello che mi è stato donato da Dio per rendere migliore la mia vita. Ritrovare il nostro battesimo e riscoprire la forza generata dall’inginocchiarsi solo davanti al Signore Gesù: che bella la quaresima.

 

                                                  Preghiera dei piccoli                                                   

Caro Gesù,

                     sai che cosa mi colpisce di questo racconto? Che quel povero cieco “è visto” da tutti, tutti lo conoscono, tutti parlano di lui, ma nessuno parla “con” lui e nessuno fa qualcosa per lui.

Anche oggi è così.

Anche davanti alla nostra chiesa ci sono spesso dei poveri che chiedono l’elemosina.

Tutti li vediamo, ma solo pochi parlano con loro.

Sai che cosa mi piace di Te, Gesù?

Che al povero Tu non fai una piccola offerta per evitare di fermarti a parlare con lui.

Tu decidi di incontrarlo. Ti fermi. Prendi l’iniziativa, vuoi capire, parli con Lui e lo ascolti.

E non lo giudichi. Mai.

Quel cieco dopo aver parlato con Te è l’unico che ti vede e che ti riconosce.

Gesù ti posso chiedere di aprire anche i miei occhi e di insegnarmi a guardare il mondo come lo vedi Tu?

Grazie Gesù.

III DOMENICA ANNO A

III DOMENICA ANNO A con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo secondo Giovanni 4, 5 -42

 

In quel tempo, Gesù giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: "Dammi da bere". 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: "Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?".

 

Quando il nostro Paese godeva di abbondanza d’acqua (prima dei cambiamenti climatici che abbiamo causato), i due personaggi attorno al pozzo presenti nel Vangelo di oggi (la donna che vuole attingere acqua e Gesù che le chiede da bere), sono sempre stati interpretati così: la donna come il simbolo dell’umanità disidratata dalla mancanza di valori e assettata di affetto, di amore e di accoglienza (è una donna, dice il testo, che ha avuto cinque mariti e che vive con un ennesimo compagno); mentre Gesù veniva presentato, a livello simbolico, come la vera e unica sorgente d’acqua viva che sazia la voglia di infinito che abita nel cuore di ogni donna e di ogni uomo.

La siccità di cui siamo tutti testimoni (e che spaventa perché una seconda estate senza acqua non crea solo disagi, ma innesca danni) ci aiuta a leggere il testo in modo meno figurativo. E ci obbliga a fissare anche la “sete” dei terreni, dei fiumi, dei laghi e dei campi che ci dovrebbero nutrire. È lo stesso evangelista che ha voluto intrecciare, nello stesso racconto, tanto la dimensione simbolica e figurativa quanto il piano concreto, reale di chi deve bere per sopravvivere (anche perché con la sete non si scherza!). Ed è vero che la samaritana ha sete di amore e di relazioni liberate dalla povertà del reciproco consumarsi, ma è altrettanto vero che Gesù ha fisicamente bisogno di acqua al punto che è disposto a chiedere “da bere” ad una donna straniera (della serie: due volte impura e perciò inavvicinabile per un rabbì rispettoso delle norme!).

 

Per il nostro tempo. Nessuno di noi è pronto a rinunciare al consumo di duecentoventi litri di acqua al giorno (questo è il fabbisogno quotidiano pro-capire, in Europa) e per quanto la siccità “svuoti” le nostre fonti di acqua, non siamo ancora entrati nell’ordine di idee di cambiare stili di vita a proposito del consumo di acqua. Così come è scioccante scoprire che un africano della zona subsahariana ha a disposizione non più di 20 litri di acqua al giorno e che 768 milioni di persone nel mondo non dispongono di una fonte d’acqua potabile. Ed è anche per questo motivo che molti emigrano, che scelgono di salire su zattere inaffidabili e che rischiano di essere inghiottiti dalle acque del nostro mare e morire a 100 metri dalla terra promessa. Da una parte una mancanza di acqua che nega la vita e – dall’altra parte – troppa acqua che toglie il respiro e che annega, che fa morire.

Ma è così anche ad altri livelli simbolici: abbiamo scelto di fare pochi figli (al massimo due!) per seguirli meglio, ma ci ritroviamo troppo spesso alle prese con ragazzi che hanno “sete” di adulti credibili, autorevoli e severi (quando serve); ragazzi e giovani che si sentono orfani di riferimenti educativi e che chiedono aiuto usando la violenza sulle piazze oppure

 

correndo come dei pazzi sulle nostre strade di giorno e di notte (con la tragica conseguenza che la prima causa di morte dei nostri giovani è rappresentata dagli incidenti stradali). Abbiamo “sete” di lavoro e di soldi, salvo poi scoprire che bottega e conti correnti non danno la felicità se non sono inseriti in un progetto di senso che sa consegnare il giusto valore ad ogni cosa. Abbiamo “sete” di amore, di carezze, di coccole e di affettività capace di far riposare il nostro cuore, ma troppo spesso ciò che si credeva amore si rivela un inganno che espone al litigio, alla delusione e ci si convince che il solo modo per curare le proprie ferite sia dato dal costruire altre storie e cambiare partner. Abbiamo “sete” di spiritualità adulta, solida e robusta, ma troppe volte ci rivolgiamo a chi vende surrogati o a chi vorrebbe convincerci che il vero problema non è adoperarsi per garantire la Pace nel mondo, ma decidere di “stare in pace” e sonnecchiare nella propria indifferenza.

Ed eccoci alla buona notizia del Vangelo di oggi: Quel Gesù che chiede da bere alla donna al pozzo, è lo stesso Signore che non ha paura di avvicinarci là dove noi siamo: per dare concrete risposte alle nostre fragilità. E l’immagine del pozzo non è casuale: serve a chi scrive per dirci che Gesù non ci cerca per punire, per condannare o per sanzionare, ma solo e sempre per amare (è al pozzo che Isacco e Giacobbe hanno conosciuto le loro mogli!).

La “sete” di Gesù entra nella profondità della nostra storia per dare senso al nostro vivere; per liberarci dalle nostre paure di morire e per educarci ad offrire quel bicchiere d’acqua (Mt. 10,42) che salva la vita di chi è nel deserto, ma non vuole annegare nelle acque salate del nostro mare. La “sete” di Gesù in croce (Gv. 19,28 – “Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete»”) è la “sete” di Dio che desidera donarci la vita affinché questa ci disseti per sempre e ci abiliti ad amare come Lui ha amato noi.

Buon cammino verso Pasqua.

 

 

 

Caro Gesù,

 

Preghiera dei piccoli

 

il mio angolo preferito, nella casa di

 

campagna del nonno, è il pozzo.

È un posto tranquillo. C’è una bella panchina e anche quando fa tanto caldo c’è dell’ombra che fa stare bene.

Oggi ho capito una cosa: al pozzo non posso più sentirmi solo.

Tu sei lì, con me e mi chiedi di darti dell’acqua. Non sono io che Ti domando chissà che cosa.

Sei Tu che non hai nessuna paura di usare il mio piccolo secchio per dissetarti.

Di solito siamo noi che chiediamo cose a Te.

Oggi    sei   Tu    che   ci    avvicini   per   domandarci dell’acqua.

Gesù io ti dò il mio secchio perché Tu possa bere, ma Tu “dammi la Tua acqua”.

E grazie perché sei sempre Tu che prima ci cerchi e poi ci trovi. Sei davvero speciale.

II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A

II DOMENICA DI QUARESIMA  ANNO  A con preghiera dei piccoli

Dal vangelo secondo Matteo 17, 1 – 9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Domenica scorsa è stato il diavolo che “ha portato Gesù sopra un monte altissimo”. In questa seconda domenica di quaresima è Gesù che conduce Pietro, Giacomo e Giovanni in disparte, su un alto monte”. Un doppio rimando all’alto monte voluto e cercato da chi ha curato la scelta dei passi evangelici in quaresima. Per una ragione semplice da presentare: durante le tentazioni di Gesù nel deserto è il diavolo lo conduce sull’“alto monte” per mostragli, prima, tutti i regni del mondo e la loro gloria e poi per donarli a Lui a patto che si renda disponibile ad adorarlo e a gettarsi ai suoi piedi. Gesù rifiuta e respinge quella proposta. Anche perché la Gloria che Lui cerca e che propone a chi lo segue è data dal dono di sé passando per il sacrificio della croce. Pochissimi versetti prima di questo racconto, san Matteo scrive che: “Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.” (Mt. 16,21ss). Pietro inorridisce. E l’evangelista non sfuma il tono con cui Simone corregge e rimprovera Gesù: “Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai»” (Mt. 16, 22). Pensa, ragiona e parla come il diavolo che tenta Gesù sul monte, ci fa capire l’evangelista. Ed è per questo che Gesù prende i suoi tre discepoli “testoni” (uno anche di nome, perché “Pietro” vuole anche dire “testa dura”) e li porta sul monte: per contrastare i pensieri che provengono dal diavolo e per mostrare, s-velare e rivelare loro il senso profondo, bello e umano della vera Gloria. Quel salire sul monte alto da parte di Gesù e quel portare con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, è una “coccola” che il Maestro decide di fare a tutti coloro che lo seguono perché cambino modo di vedere, di pensare e soprattutto di agire. Gesù vuole mostrare ai tre, ma a tutti coloro che si confrontano con questa pagina raccontata dall’evangelista che la gloria presentata e offerta dal diavolo (potere, vittoria, successo ed egoismo) rende la vita triste, scontenta e – di fatto – sbagliata. La vera Gloria (con la G maiuscola) è quella che Gesù sa rendere operante dopo il venerdì santo e con il mattino di Pasqua, ma che passa inevitabilmente per il dono della Sua vita in croce. Gesù – sia chiaro – non ha cercato croce e dolore per il gusto di soffrire. L’esatto contrario: ha fatto di tutto per non essere arrestato prima del tempo, ma intuito e capito che non poteva evitare quel “passaggio”, non è scappato e non si è sottratto al dono di sé fino alla morte in croce. Così facendo ci ha detto che si è liberi quando si vive per Dio e per i fratelli, non quando si insegue il proprio io e si calpestano Dio e i fratelli pur di stare bene da soli.

I tre sono ancor distanti da questa logica. Pietro si sente persino escluso dal dialogo tra Gesù e Mosè ed Elia e per uscire dal suo isolamento propone a Gesù la costruzione di tre tende, tre capanne perché loro restino per sempre su quel monte. È la tentazione di tutti noi quando si ha l’impressione che le cose vadano bene: fermare il tempo, chiudersi nel momento positivo che si sta vivendo e puntare i piedi per non più avanzare. Per certi aspetti è anche la fotografia del nostro occidente: abbiamo raggiunto livelli alti di benessere e non vorremmo disturbi nel nostro vivere ovattati. Guerre e migranti non possono essere ignorati, ma a volte disturbano perché se ci si concentra con la dovuta attenzione, questi temi ci chiedono di cambiare e di vivere in modo diverso. Forse anche per questo il nostro Ministro – nel commentare la tragedia degli immigrati che si è consumata sulle coste della Calabria – ha preferito dare la colpa del naufragio alle vittime, come ha detto l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice: perché assumersi le nostre responsabilità e cambiare modo di vedere, di pensare e di agire costa fatica. È la sola strada, però, che ci porta all’essere liberi e nella verità. Come dice la preghiera che gira in questi giorni in rete: “Se fosse tuo figlio ti getteresti in mare, uccideresti il pescatore che non presta la barca, urleresti per chiedere aiuto, busseresti alle porte dei governi per rivendicare la vita”.

Il segreto della vita e della nostra fede è tutto qui: scendere dal monte perché convinti che solo Gesù ci offre la gloria, la gioia e la libertà che cerchiamo. Scendere dal monte e fissare solo Gesù (nessun altro) che si rende presente in chi sta male, in chi è sulla zattera che cerca speranza e che ci guarda domandandoci: “E se fossi tuo figlio?”.

Solo l’ascolto di questa voce e di questa domanda ci rende veri, umani e liberi. Ed è in quella umanità ferita, debole e perdente che abita Gesù. Fissare e seguire solo questo Gesù è il senso della nostra quaresima. Buon cammino.

 

                                                                      Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                   oggi ho capito perché hai scelto Pietro, Giacomo e Giovanni per portarli con Te “su un alto monte” e per trasfigurarti davanti a loro: perché sono i primi che non accettano i tuoi discorsi.

E un po’ li capisco: sognano da sempre un Messia forte e vittorioso su tutti e Tu continui a parlare loro di arresto, di croce, di sconfitte e di morte.

È normale che si ribellino a queste parole. Ed è anche per questo, secondo me, che “caddero a terra e furono presi da grande timore”.

Ma chi non sarebbe crollato?

Tu li hai portati sull’alto monte, come quello delle beatitudini, e ti sei fatto vedere con il “volto brillante” per spiegare loro che con Te l’amore vince sull’odio e la vita sulla morte.

Gesù porta anche me sul monte. Aiuta anche me a capire che essere buoni, perdonare, imparare a perdere e stare dalla parte di chi è più debole rende bello il volto, la vita e il vivere.

 

                                                       

UNA PREGHIERA DA CITTADINO, DA CRISTIAN, DA UMANO

UNA PREGHIERA DA CITTADINO, DA CRISTIAN, DA UMANO

Gesù di Nazareth,
vero Dio e vero uomo. Lampada al nostro cammino, maestro dei maestri, via maestra.
Tu hai detto: «Io sono la porta». Ricordaci che chi vuole chiudere le porte in nome dell’odio, anche se giura sul tuo Vangelo e stringe un rosario, è un falso profeta e, letteralmente, un anti-Cristo.
Tu hai detto di te stesso: «Ero straniero». E ci hai ricordato che saremo giudicati esattamente su questo: «Mi avete accolto» o «Non mi avete accolto».
Ricordaci che non possiamo dirci cristiani se non accogliamo lo straniero. Perché non c’è una ‘casa loro’ in cui aiutarli e una casa nostra da cui respingerli: c’è una sola famiglia umana.
Hai gridato: «Non abbiate paura» ai tuoi amici che stavano su una barca, su un mare in tempesta. Hai camminato sulle acque, li hai presi per mano.
Dacci la forza di tendere la mano a tutti coloro che, sulle barche del nostro Mediterraneo, fuggono dalle guerre, dalle povertà, dalle ingiustizie che in gran parte noi, ricchi e sicuri, abbiamo provocato, innescato, guidato.
E dai, a noi cristiani, la forza, l’intelligenza, l’amore per capire che non siamo noi ad aiutare loro: ma sono loro l’unica nostra speranza di diventare giusti, nonostante tutte le nostre disoneste ricchezze.
Tu hai detto, hai gridato: «Non abbiate paura!». Aiutaci a non cedere alla paura.
Ricordaci di non cedere a chi governa con la forza oscura della paura.
Ricordaci di essere giusti.
Ricordaci di essere umani. Amen.
                                                                                       Tomaso Montanari

 

I DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A

                      I DOMENICA DI QUARESIMA  ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 4, 1 - 11 

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Come l’ambiente ha bisogno di acqua (sotto forma di pioggia e di neve) così le nostre comunità e le nostre famiglie hanno bisogno di speranza sotto forma di silenzio, di Pace, di fraternità e di gioia generata dal dare e dal servire. Il terremoto in Siria e Turchia, il protrarsi della guerra in Ucraina, le difficoltà economiche e finanziarie dentro le quali moltissime famiglie perdono la serietà, ma anche le tragedie dell’immigrazione e le sofferenze che si consumano in tante nostre case e nei nostri ospedali sono le tristi colonne sonore del nostro procedere e del nostro vivere. Per questo abbiamo bisogno della Quaresima: perché in questo tempo possiamo disintossicarci dalle parole inutili, dall’egoismo, dalle scuse per litigare (o per fare le guerre!) e dal soffrire senza mai trovare un senso alle nostre lacrime.

Le tre tentazioni superate da Gesù nel deserto subito dopo essere stato battezzato, sono la conferma che con Gesù e in Gesù ognuno di noi può superare  le prove che la vita gli sottopone e uscirne migliore. E se il giardino in cui Adamo ed Eva erano inseriti si trasforma in un deserto a causa della loro “disobbedienza”, il deserto in cui Gesù è condotto dallo Spirito diventa – grazie alla sua obbedienza alla Parola di Dio – un giardino. Ecco il senso della Quaresima: prendere coscienza che con Gesù (il Dio-con-noi) le prove che ci è chiesto di attraversare possono essere superate per trasformare una terra arida in un giardino. Ma vediamo quali sono le prove o le tentazioni che Gesù incontrò nel deserto.

La prima. “Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane”. È, forse, la madre di tutte le tentazioni: usa chi sei, il tuo ruolo e la tua postazione per te stesso. Non stare a preoccuparti o a servire gli altri. Pensa prima a te stesso. Sfrutta ciò che è in tuo potere per te, per i tuoi, per la tua famiglia. E non farti scrupoli per gli altri, perché nessuno pensa a te. Quante volte sentiamo questo ritornello. E si noti il particolare: la tentazione non ha quasi mai il tono spudorato della cattiveria senza senso. La prova si manifesta quasi sempre come un pensiero pacato e persino elegante. In realtà in quel falso buon senso si nasconde l’egoismo, la chiusura all’altro e la cattiveria di chi condanna – con la sua indifferenza – il debole. Gesù non ha nessuno difficoltà a sfamare chi ha davvero fame, ma non ha mai usato il suo essere Figlio di Dio per sfamare sé stesso. Per questo è Dio!

La seconda. “Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani …”. Il messaggio è chiarissimo: non ha senso fidarsi di Dio solo dopo che lui ha soddisfatto la “mia” richiesta. L’amore non regge la prova e chi si avventura per questa strada, non incontra l’amore perché resta chiuso nel suo “io”: incapace di aprirsi a chi gli chiede fiducia. Domanda. Ma questo clima di perenne sospetto che tutti abbiamo verso gli altri, non è il segno di una povertà relazionale in cui ci siamo cacciati? Non sappiamo più fidarci del prossimo, di chi ci è accanto, ma così facendo diventiamo sospettosi anche nei confronti di Dio con Dio. Lo cerchiamo solo se abbiamo bisogno di qualcosa; gli sottoponiamo la nostra piccola richiesta e poi gli rimproveriamo di non averci esaudito!

La terza. “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. Siamo nel cuore delle tentazioni. Avere, possedere e dominare. Essere sopra gli altri, farsi servire e vendere l’anima al diavolo pur di avere il potere di comandare. “Che c’è di male?”, dicono in molti, “In fondo non faccio nulla di male. Mi piacerebbe solo essere famoso, ricco ed essere servito e riverito da tutti”. Quanti ragazzi (spinti anche dai genitori) sognano di diventare campioni, famosi e investono tutte le loro risorse ed energie pur di scalare le vette del successo (salvo poi scoprire che quella cima è in un deserto!). È vero: apparentemente non fa nulla di male chi insegue il potere. Crescendo in questo modo, però, non si fa il bene e ci si allontana, giorno dopo giorno, dall’acqua fresca della gioia generata dal dare e dal servire.

            Con la Quaresima il messaggio è forte e positivo: il Signore Risorto ed il Suo Vangelo ci danno la forza di vivere per gli altri; ci rendono capaci di fidarci del prossimo (senza sempre essere diffidenti, carichi di sospetti e logorati dal controllo) e – terzo – rendono possibile, per ognuno di noi, l’amare, il donare e il servire: i verbi che ci rendono liberi e che hanno la forza di spegnere in noi quella spinta a primeggiare e ad inseguire il potere che, se accolta, ci mangia l’anima.

            Buona Quaresima a tutti.

                                                                                   Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,                

              a me la Quaresima piace.

Anche perché ci viene chiesto di non pensare solo a noi stessi, ma anche agli altri. Che sono nostri fratelli.

Ormai l’ho capito: dare tempo, cose e attenzioni a chi ha meno di noi, a volte è scomodo, ma fa stare bene chi è in difficoltà e ci rende più sereni. Meno egoisti.

Anche Tu nel deserto hai fatto così: al diavolo che ti chiede di trasformare – solo per Te – le pietre in pane, hai detto “No”.

Quando però ti sei accorto che quelli che ti seguivano erano stanchi e affamati, prima ti sei commosso e poi hai moltiplicato, per loro, pane e pesci.

Aiutami, Gesù, a capire che solo la Tua Parola ci dà la forza di mettere gli altri davanti all’io.

E grazie per l’esempio: a chi ti tenta Tu rispondi sempre e solo con la Parola di Dio.

 

SE FOSSE TUO FIGLIO

SE FOSSE TUO FIGLIO

Se fosse tuo figlio
riempiresti il mare di navi
di qualsiasi bandiera.

Vorresti che tutte insieme
a milioni
facessero da ponte
per farlo passare.

Premuroso,
non lo lasceresti mai da solo
faresti ombra
per non far bruciare i suoi occhi,
lo copriresti
per non farlo bagnare
dagli schizzi d’acqua salata.

Se fosse tuo figlio ti getteresti in mare,
uccideresti il pescatore che non presta la barca,
urleresti per chiedere aiuto,
busseresti alle porte dei governi
per rivendicare la vita.

Se fosse tuo figlio oggi saresti a lutto,
odieresti il mondo, odieresti i porti
pieni di navi attraccate.
Odieresti chi le tiene ferme e lontane
Da chi, nel frattempo
sostituisce le urla
Con acqua di mare.

Se fosse tuo figlio li chiameresti
vigliacchi disumani, gli sputeresti addosso.
Dovrebbero fermarti, tenerti, bloccarti
vorresti spaccargli la faccia,
annegarli tutti nello stesso mare.

Ma stai tranquillo, nella tua tiepida casa
non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Puoi dormire tranquillo
E sopratutto sicuro.
Non è tuo figlio.

È solo un figlio dell’umanitá perduta,
dell’umanità sporca, che non fa rumore.

Non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Dormi tranquillo, certamente
non è il tuo.
Se fosse tuo figlio
riempiresti il mare di navi
di qualsiasi bandiera.

Vorresti che tutte insieme
a milioni
facessero da ponte
per farlo passare.

Premuroso,
non lo lasceresti mai da solo
faresti ombra
per non far bruciare i suoi occhi,
lo copriresti
per non farlo bagnare
dagli schizzi d’acqua salata.

Se fosse tuo figlio ti getteresti in mare,
uccideresti il pescatore che non presta la barca,
urleresti per chiedere aiuto,
busseresti alle porte dei governi
per rivendicare la vita.

Se fosse tuo figlio oggi saresti a lutto,
odieresti il mondo, odieresti i porti
pieni di navi attraccate.
Odieresti chi le tiene ferme e lontane
Da chi, nel frattempo
sostituisce le urla
Con acqua di mare.

Se fosse tuo figlio li chiameresti
vigliacchi disumani, gli sputeresti addosso.
Dovrebbero fermarti, tenerti, bloccarti
vorresti spaccargli la faccia,
annegarli tutti nello stesso mare.

Ma stai tranquillo, nella tua tiepida casa
non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Puoi dormire tranquillo
E sopratutto sicuro.
Non è tuo figlio.

È solo un figlio dell’umanitá perduta,
dell’umanità sporca, che non fa rumore.

Non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Dormi tranquillo, certamente
non è il tuo.

 

 

Gilberto Squizzato sulla Pace

L’amico Gilberto Squizzato, interpellato per la serata in programma e non potendo essere presente, così ci scrive: La nostra non può essere una preghiera di impetrazione della pace, non solo perché sarebbe crudele e intollerabile un Dio che avesse bisogno delle nostre preghiere per fermare i fiumi di dolore e di morte che insanguinano quelle terre martoriate.
Ma anche perch
é neppure Gesù la ottenne. Forse non era afflitta da guerre in tanti
parti dell'impero anche la breve stagione in cui egli visse ? Forse le sue preghiere
al Padre ottennero il miracolo di fermare stragi, crocifissioni romane di massa, esecuzioni efferate, stupri, torture in corso?
No, Gesù non ottenne di sospendere il dolore del mondo, ma fece quel poco che poteva, nei villaggi che incontrava, per ridurre le sofferenze che gli venivano incontro. Davanti alla tentazione della disperazione o della rassegnazione la nostra preghiera, anche se siamo impotenti a fermare questa guerra funesta, può 
deve tradursi nell'amore per noi concreto e possibile. Non possiamo pretendere di essere da più di Gesù...
Con questo augurio nel cuore ancora ti ringrazio della tua affet
tuosa lettera e
ti prego con altrettanta vicinanza di salutarmi gli amici e fratelli raccolti intorno a te nel nome di Gesù. Un caro e forte abbraccio. Gilberto

Etty Hillesum, Diario 1941-1943

(Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi 1996, pp. 169-170).

  Siamo abituati a chiedere aiuto a Dio, a volte quasi pretendiamo che intervenga nelle nostre vite per cambiare lo stato dei fatti. L’ebrea Etty Hillesum sembra ribaltare questa prospettiva.
Prigioniera nel campo di concentramento di Auschwitz, intuisce che in tempi di grande sofferenza “siamo noi a dover aiutare Dio”, tenendo viva la Sua presenza in noi.

 

“Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso prometterti nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzetto di te in noi stessi, mio Dio.

E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Si, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono oramai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia. Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio.”

(Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi 1996, pp. 169-170).

VII DOMENICA ANNO A

                                   VII DOMENICA  ANNO A  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Matteo 5, 38 – 48 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Lo sappiamo e lo insegniamo anche ai nostri figli: la vendetta non ci rende umani e soprattutto non prepara e non costruisce giustizia. Così come abbiamo capito, e l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin lo dimostra ogni giorno di più, che non sono le armi a preparare la fine di un conflitto. E il fatto che – secondo stime diffuse sui mass media di questi giorni – la Russia abbia visto morire 830 militari al giorno (!) negli ultimi venti giorni, è la dimostrazione che la violenza spesa ed utilizzata nelle guerre non risolve conflitti, ma genera solo morte e distruzione.

Ma era così anche ai tempi di Gesù. La legge del taglione (occhio per occhio e dente per dente) aveva tentato di contenere la vendetta nei confini di una presunta e grossolana giustizia (della serie: non andare mai oltre al torto subito con le tue reazioni vendicative). Ma nonostante questi sforzi le relazioni umane (in tutti i contesti) restavano pesantemente segnate e ferite dal ricorso alla violenza. Ed ecco la tesi di Gesù su questo tema: per estirpare dal cuore umano il seme della vendetta, della violenza e della inimicizia, è necessario andare alla radice del cuore umano. Non solo: vista la difficoltà dell’operazione, Gesù dona anche – a chi lo ascolta e a chi decide di seguirlo – la forza necessaria affinché si possano sradicare dalla propria coscienza quei sentimenti e risentimenti che prima o poi si trasformano in odio che arma i nostri pensieri e le nostre azioni.

Non possiamo negarlo: è nel nostro cuore che ira, odio e offesa convivono dopo aver ricevuto uno sguardo storto, un apprezzamento negativo o una parola, un gesto o una azione che abbiamo ritenuto offensivo. L’iter lo conosciamo. Nella convinzione di aver ricevuto un torto prima si soffre e ci si sente ingiustamente feriti.  Subito dopo si tace e si cova rancore e forse anche vendetta. Si parla all’amico per chiedergli di schierarsi contro l’altro ormai avvertito come “nemico” per arrivare poi allo scontro verbale e al vero e proprio litigio.

L’odio nelle nostre relazioni, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità nasce così. Quante “case” sono rovinate da questi semi di discordia che hanno lacerato legami un tempo sereni e oggi carichi di mutismi e di saluti negati! I nostri nonni non hanno lasciato molti beni o soldi in eredità a figli e nipoti, ma erano determinati nel chiedere soprattutto ai figli di restare fratelli uniti sempre e di superare qualsiasi piccolo o grande attrito. Quando mio papà è mancato aveva cinquecento lire in tasca, ma la sua eredità l’aveva già dettata: vivere e praticare tanto la comunione quanto il perdono tra noi figli. E così è stato. Oggi le cose sono cambiate. Oggi per il conto in banca, per uno o due immobili, per l’azienda o per i risparmi investiti in banca o alla posta, figli e nipoti si dividono e litigano all’infinito. In molti casi (troppi, vorrei dire!) siamo in presenza di fratelli che comunicano tra loro solo con la mediazione dell’avvocato.

Gesù vuole arrivare – con la sua Parola – nella parte più profonda del nostro cuore: là dove si annida il primo sentimento di ostilità verso l’altro per donarci la forza di strapparlo prima che questi cresca e diventi il grande albero dell’odio che prima o poi si serve della violenza per affermare le sue ragioni. E come si fa a strappare da noi la pianticella dell’astio prima che questi diventi odio e violenza? Si lascia che il Signore Gesù si impasti con la nostra vita e ci insegni a vincere il male (ricevuto) con il bene. Non significa porgere materialmente l’altra guancia. Nemmeno Gesù ha reagito così quando la guardia gli ha dato uno schiaffo (Gv. 18,22). “Porgere l’altra guancia” è un linguaggio figurato per aiutarci a capire che il solo modo per disarmare la violenza è dato dal non restituire il male ricevuto. Siamo in presenza di un insegnamento altissimo che Gesù ha messo in pratica (Gesù parla di sé stesso e spiega al lettore del Vangelo – nel suo primo discorso – come si comporterà al momento dell’arresto), ma le parole di Gesù sono anche forza e aiuto interiore perché questa esigente richiesta diventi pratica possibile in ciascuno di noi e sveli tutta la sua capacità di renderci liberi e buoni. Gesù risorto è il Dio-con-noi che ci abilita a fare del “per-dono” al fratello che ci ha offeso un “dono-per” non restare chiusi e soffocati dall’odio e legati per sempre al torto subito.

E se – come molti mi dicono – io non riesco a perdonarlo e non ho nessuno intenzione di tornare a salutarlo? Succede. Si può sempre cominciare a pregare per lui, per quell’altro che mi ha fatto del male. Prima o poi rancore e odio verranno sciolti dallo Spirito Santo e si toccherà con mano, da un lato, che nulla è impossibile a Dio e – dall’altro lato – che vincere il male con il bene rende la vita leggera, bella e serena (o “beata” come direbbe Gesù”).

C’è una saggezza profondamente umana nelle parole di Gesù che dichiarano che Lui non è venuto ad abolire il passato, ma a dargli pieno compimento. Anche perché il passato è il primo grande “nodo” che le nostre vite devono affrontare, se vogliono diventare libere e pienamente umane. Alcuni il passato lo esaltano e lo idealizzano fino a restarne prigionieri e soffocati dalla nostalgia. Altri il passato lo negano e fingono che non ci sia mai stato: così facendo però entrano in quella “finzione” che falsifica il presente e che rende non vera la propria vita. Altri ancora non riescono a perdonare a sé stessi un errore, una fragilità o una vera e propria colpa passata e che ha pesantemente condizionato il presente. Anche in questo caso, però, chi non si riconcilia con il suo passato si ritrova incapace di guardare avanti ed entra nelle sabbie mobili dei sensi di colpa e dei rimorsi eterni.

                                                                                                      Preghiera dei piccoli

Caro Gesù, 

                     per me era normale: ogni volta che ricevevo un pugno, uno schiaffo o un calcio, io restituivo tutto. Maestra e genitori mi dicevano che così facendo passavo dalla parte del torto, ma io non volevo per nessuna ragione sembrare un debole. Poi a catechismo abbiamo lavorato su questo passo del Vangelo. E mi sono accorto che hai ragione Tu: se vuoi sfogarti, devi vendicarti. Ma se vuoi stare bene devi allenarti a perdonare l’altro e non usare la violenza. Le guerre vanno avanti all’infinito proprio per questo: perché nessuno vuole perdonare, tutti vogliono vendicarsi e perché ognuno è convinto di essere dalla parte della ragione.

Grazie Gesù perché quella frase che per anni non ho capito – “Porgere l’altra guancia” – ora mi è chiara. Vuole dire che devo imparare a rispondere con il bene anche a chi mi fa del male. Gesù fai finire le guerre nel mondo.

papa Francesco, Angelus del 12 febbraio 2023

«Il messaggio è chiaro: Dio ci ama per primo, gratis, facendo il primo passo verso di noi senza che lo meritiamo; e allora noi non possiamo celebrare il suo amore senza fare a nostra volta il primo passo per riconciliarci con chi ci ha ferito. Così c’è compimento agli occhi di Dio, altrimenti l’osservanza esterna, puramente rituale, è inutile, diventa una finzione. In altre parole, Gesù ci fa capire che le norme religiose servono, sono buone, ma sono solo l’inizio: per dare loro compimento è necessario andare oltre la lettera e viverne il senso. I comandamenti che Dio ci ha donato non vanno rinchiusi nelle casseforti asfittiche dell’osservanza formale, se no rimaniamo in una religiosità esteriore e distaccata, servi di un “dio padrone” piuttosto che figli di Dio Padre. Gesù vuole questo: non avere l’idea di servire un Dio padrone, ma il Padre; e per questo è necessario andare oltre la lettera».

             papa Francesco, Angelus del 12 febbraio 2023

VI DOMENICA ANNO A

VI DOMENICA  ANNO A con preghiera dei piccoli

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 5, 17-37)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. ..Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna...Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore…. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno».                                                                                   

C’è una saggezza profondamente umana nelle parole di Gesù che dichiarano che Lui non è venuto ad abolire il passato, ma a dargli pieno compimento. Anche perché il passato è il primo grande “nodo” che le nostre vite devono affrontare, se vogliono diventare libere e pienamente umane. Alcuni il passato lo esaltano e lo idealizzano fino a restarne prigionieri e soffocati dalla nostalgia. Altri il passato lo negano e fingono che non ci sia mai stato: così facendo però entrano in quella “finzione” che falsifica il presente e che rende non vera la propria vita. Altri ancora non riescono a perdonare a sé stessi un errore, una fragilità o una vera e propria colpa passata e che ha pesantemente condizionato il presente. Anche in questo caso, però, chi non si riconcilia con il suo passato si ritrova incapace di guardare avanti ed entra nelle sabbie mobili dei sensi di colpa e dei rimorsi eterni.

Gesù, profondo conoscitore del cuore umano, sa molto bene che per diventare libero ognuno di noi deve essere aiutato a riconciliarsi con il suo passato. Il che significa che la Sua Parola ci insegna, giorno dopo giorno, a:

  • esprimere gratitudine per quanto di positivo c’è stato nella nostra biografia senza però illudersi che quel tempo duri per sempre: la vita va avanti;
  • perdonare gli errori, le fragilità e le colpe commesse senza voler annegare nei propri sensi di colpa per espiare per sempre ciò che non si doveva commettere;
  • estrarre da quanto è passato la forza per incontrare quella energia nuova che rende il presente aperto – con coraggio – al nuovo e che ci spinge a guardare avanti con fiducia verso noi stessi, nei confronti dei fratelli e della parte sana del mondo.

È una straordinaria lezione di umanità e di saggezza quella che Gesù ci impartisce con la Sua Parola. Ma perché ci sia autentico cambiamento in noi e nella storia – ci dice l’evangelista – dobbiamo immergere il passato nel filtro della giustizia e del perdono affinché questo si sciolga, venga rielaborato con sapienza e ci consegni quella energia nuova che è in grado di renderci buoni, nuovi e liberi. Ed eccoci alla buona notizia: la Parola di Gesù ci aiuta a “superare” il nostro passato e trasforma il nostro cuore al punto da:

  • renderci capaci di uscire dalle logiche vendicative dell’odio e della violenza;
  • in grado di declinare la fedeltà nell’amore come premessa di libertà;
  • competenti nell’usare la parola per costruire pratiche di verità e di bontà.

Riletta così questa pagina di Vangelo diventa la vera cura per il nostro tempo in cui assistiamo impotenti ad una crescita esponenziale di guerre, di odio, di conflitti, di ingiustizie e di inutili stragi (in Europa e nel mondo) che nessuno è in grado di fermare. Ma il male, ci dice questa pagina di Vangelo, non ha soltanto dimensioni collettive. Anche nel nostro cuore si radica, spesso e volentieri, il seme della bugia, del pettegolezzo, dell’infedeltà, della calunnia o del risentimento che prepara scontri, litigi e violenze di ogni genere. Nascono come piccoli pensieri o come emozioni a cui non si dà molta importanza. Con il passare del tempo, però, crescono e se non si chiede settimanalmente alla Parola di Gesù di sradicare questi granelli di male dalla nostra vita, diventano gesti, scelte e azioni negative che fanno male al soggetto che le ha coltivate in sé e ai fratelli.

Penso al drammatico terremoto che da devastato Turchia e Siria. E provo a impastare questa pagina di Vangelo con quel pezzo di terra martoriata sulla quale anche il cielo meteorologico sembra indifferente (continuando a scaricare pioggia, neve e freddo su quelle comunità già martoriate dal terremoto). So che siamo in un angolo di mondo reso fragile nello sviluppo e nell’economia da guerre continue che producono sfollati, orfani, miseria e povertà di ogni tipo. E mi domando: ma siamo venuti al mondo per farci la guerra, per odiare, per tradire e per mentire oppure – come ci ricorda Gesù – siamo stati creati a Sua immagine e dunque chiamati alla pratica dell’amore, del perdono, del dono e del servizio del forte verso il debole? Sulla risposta non ho dubbi. E mi conforta vedere e sapere non solo che da ogni parte del mondo sono partiti aiuti per le zone colpite dal terremoto, ma che davanti a quelle macerie scavano uniti anche quanti fino a ieri si consideravano nemici. Russi, Ucraini, Israeliani e altri ancora si potranno trovare gomito a gomito per salvare persone ferite dal sisma e per portare vita dove sembrano prevalere morte e disperazione. È questa la giustizia superiore a cui ci chiama Gesù: fare squadra e collaborare insieme per contrastare tanto le tragedie naturali quanto quelle generate dal nostro cuore e che si chiamano odio, violenza, conflitto e menzogna. Chiamati a collaborare per far vincere la vita, la speranza e la giustizia.Buona domenica.

 

Caro Gesù,                     Preghiera dei piccoli          

              è passato un anno da quando la Russia ha aggredito l’Ucraina. Gli uni e gli altri parlano di vittoria, ma io dal telegiornale vedo che questa guerra ha portato solo morti, distruzioni, bombardamenti e, di conseguenza, case, ospedali, biblioteche, strade e giardini ridotti a cumuli di macerie.

La maestra ci ha anche detto che questa non è l’unica guerra che c’è al mondo. Sono 59 oggi le guerre sulla nostra povera Terra.

Hai ragione Tu, Gesù: l’unico modo per tenersi lontani dalla violenza è imparare a chiedere scusa e diventare capaci di perdonare chi ci ha fatto un torto.

Quando perdoni senti che l’altro è “fratello”. Quando invece si è in guerra, l’altro è solo nemico da uccidere, da ferire o da fare prigioniero.

Gesù benedici i popoli colpiti dal terremoto e fa che l’aiuto da dare a questi popoli ci renda sempre più fratelli. 

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO con preghiera dei piccoli

 

Dal Vangelo secondo Matteo 5,13 - 16

 

13Il quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. 14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.

 

 

Caro Gesù,

                   mia nonna mi chiama “salatino” perché dice che preferisco le cose salate a quelle dolci. Anche se poi mi sgrida perché dice che “troppo” sale fa male.

Gesù non voglio esagerare con il sale, però hai ragione Tu: è il sale che tira fuori il sapore del cibo e che lo rende buono.

In pratica Tu ci chiedi di diventare come il sale che entra nel cibo fino a scomparire senza però distruggerlo, ma dandogli sapore.

Oppure ci inviti a diventare come la luce che non consuma le cose, ma le fa vedere.

Tu, però, non ti sei rivolto solo a me. Hai detto “voi” per coinvolgere, con me, tutta la comunità.

Hai ragione Tu, Gesù.

Da soli non riusciamo a fare quello che Tu ci chiedi. Solo all’interno della Tua comunità, è possibile diventare il sale della terra e la luce del mondo.

Grazie Gesù per questi complimenti così intensi e speciali, sei l’unico che usa parole così belle per noi!.