Preghiere poesie

IL DIO CHE CI PORTIAMO DENTRO

IL DIO CHE CI PORTIAMO DENTRO

 

Diceva il mistico Eckhart: “Chiamo Dio ciò
che è nel più profondo di noi stessi e nel
punto più alto delle nostre debolezze e dei
nostri errori”: E la Yourcenar affermava che
solo chi muore “sa dare un nome al Dio che
porta dentro”.

È molto più difficile accettare che ogni uomo
è un embrione di Dio e che la casa di Dio è
solo il cuore dell’uomo, di quanto sia accettare
un Dio onnipotente fuori dalla nostra vita
e dalla nostra storia.

Sentirsi Dio dentro è farsi carico di una responsabilità
che pochi sono disposti ad accettare.
Meglio affidarsi al Dio dei dogmi e
delle chiese.

È ben più difficile essere fedeli alla propria
coscienza che alle leggi esterne, per il semplice
motivo che la coscienza è la più esigente
di tutte le leggi.

Né la si può beffare, come si può fare con le
leggi. Essa è più severa; è la parte più profonda
di te, che ti dice con chiarezza e con
piena autenticità quando sei infedele al meglio
di te.

I cristiani predicano una “stoltezza” alla quale
neppure loro credono del tutto: che Dio “si fece
carne” e pertanto dolore, ma anche gioia, piacere,
amore in tutte le sue espressioni. Altrimenti
si sarebbe fatto angelo, spirito. No. Si
è fatto uomo, con tutte le sue conseguenze,
con tutte le sue miserie e le sue sublimità.
Ma uomo.

Per questo il dato più certo di ogni religione
sarebbe che Dio è soltanto ciò che di divino
l’uomo si porta dentro.

 Juan Arias

CRISTO RE DELL’UNIVERSO ANNO B

CRISTO RE DELL’UNIVERSO ANNO B con preghiera dei piccoli

 

Giovanni 18, 33b - 37

 

«Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: “Sei tu il re dei Giudei?”. 34Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”. 35Pilato disse: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”. 36Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. 37Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.

 

Il processo farsa a cui viene sottoposto Gesù è raccontato (da san Giovanni, al capitolo 18 del suo Vangelo) con notevole carica di ironia. A partire dal fatto che Pilato – la massima autorità politica della Regione e il solo giudice che dovrebbe emettere la sentenza – non riesce a interrogare l’imputato perché è Gesù stesso che lo incalza con domande e quesiti scomodi e persino imbarazzanti per chi è convito di incarnare il potere. Al punto che quel “debole e inconsistente” giudice non ha la forza di realizzare quanto vorrebbe (“Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà” – Gv. 19,12). Tra un imputato prossimo alla condanna (legato!) e Pilato (giudice), il solo soggetto libero, fa capire chi scrive, è Gesù.

Ed eccoci all’insegnamento di Gesù: qualsiasi incarico, ruolo, compito o funzione che contiene “autorità”, deve essere vissuta, gestita e amministrata con spirito di servizio, con abnegazione, disponibilità al sacrificio e nell’interesse del bene altrui. Vale per i genitori, per le relazioni interpersonali, per chi ha responsabilità sul lavoro, ma è la stessa logica che deve “vivere” anche chi ricopre incarichi amministrativi e politici. Quando questa “autorità” non viene esercitata nella logica del servizio, ma si esprime con le categorie del “potere” (al servizio della propria ambizione), per dominare chi è sottomesso e per spadroneggiare su tutti al solo scopo di farsi servire, quella “autorità” diventa una tragedia per chi la incarna in quel modo (e san Giovanni non fa nulla per nascondere la fragilità, la debolezza e l’inconsistenza etica di Pilato) e per quanti sono ad essa collegata.

Domanda per attualizzare queste riflessioni. Non è, la nostra, una vera crisi di “autorità” che sembra allontanarsi sempre più dal “disegno” e dalla proposta di Gesù? Fin troppo facile riconoscere nelle beghe politiche del nostro Paese la distanza misurabile in anni luce dal servizio e dall’attenzione al bene comune. Si cavalca il consenso per arrivare al “potere”, non al servizio. Ed il semestre bianco che si è aperto con l’ultimo periodo di servizio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (il quale ha sempre saldato il suo incarico al servizio alla comunità tutta) si sta rivelando – per molti partiti – una gran bella occasione per raggiungere “potere”, visibilità e consenso (dimenticando che soprattutto quell’incarico è tenuto a saldare l’alta responsabilità di guida al servizio) Ma è così anche in casa (dove in tante famiglie molti adulti stanno rinunciando ad esercitare la propria autorità per non entrare nei sentieri scomodi e faticosi del servizio educativo che è fatto anche di presenza, di “No, di fermezza e di dialogo); sul lavoro (dove spesso e volentieri si rompono legami di amicizia per raggiungere postazioni apicali inseguite e rincorse “ad ogni costo”); nella vita associativa (quante tensioni e litigi per chi ha più ruoli, incarichi e potere!); nelle nostre comunità cristiane, nella chiesa e persino tra diaconi, preti, vescovi e cardinali (dove si spera nell’incarico altisonante per “fare carriera”, per avere prestigio e per essere o sentirsi “sopra gli altri”).

Sono riflessioni che Papà Francesco ricorda spesso a tutti. Ed è anche per questo motivo che la Festa che chiude l’anno liturgico è stata definita – con molta saggezza – “Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo”: perché nessuno di noi è escluso dalla tentazione del potere, dall’ambizione dei primi posti e dal pericolo (per sé e per gli altri) di gestire le proprie responsabilità come illusione di sentirsi sopra gli altri. Quel Gesù “legato” che guida Pilato al fare bene il suo dovere (e dunque a non condannare un innocente) è anche il “nostro” Maestro che ci invita a “fare il bene” all’interno di ogni nostro incarico, compito e ruolo. E così vuole dire “fare il bene?”, si domanda il lettore di san Giovanni? La risposta è scritta nella vita di Gesù: schierarsi dalla parte del debole; difendere chi ha bisogno di cure; “servire” anziché voler dominare, denunciare il male anche se costa fatiche o ha delle conseguenze e rinunciare al potere, alla violenza e a sfruttare l’altro.

E chi vive così – conclude l’evangelista – scopre che è questo il terreno che prepara l’ascolto della Parola di Gesù. “Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” vuole dire proprio questo: fare il bene dell’altro è il solo sentiero che ci immette nell’ascolto della Parola di Gesù (anche se noi spesso pensiamo al contrario). Buona Festa di Cristo Re a tutti.

 

     Caro Gesù,

quando arriva la Festa di Cristo Re io penso sempre a quanto sei diverso Tu, Gesù, dal re cattivo che Robin Hood voleva cacciare perché rovinava la vita dei suoi sudditi.

Tu non hai soldati e nemmeno guardie. Non metti tasse. Non vuoi dominare. Non ti fai servire e servi tutti. Anche me.

Se Pilato non avesse avuto paura di guardarsi dentro, forse avrebbe capito che solo Tu lo potevi guarire dal veleno del potere che lo stava divorando dentro.

Gesù sei davvero un Re speciale.

Aiutami a seguire solo Te; insegnami a guardarmi dentro e rendimi capace di non dire mai bugie a me stesso.

Grazie Gesù.

 

P.S. Gesù aiuta tutti i governanti del mondo a lavorare per difendere il nostro unico Pianeta dall’inquinamento e rendi tutte le nostre Nazioni libere dal filo spinato e dai muri che fanno morire i poveri due volte.                                                                                

PREGARE IL VUOTO

Insegnaci, Signore, a pregare questo vuoto.

Il vuoto portato da una paura che non conoscevamo

 e che sembra adesso un inquilino della nostra anima.

Il vuoto degli spazi in isolamento.

Il vuoto della vita che si fa sentire come sospesa.

Il vuoto delle ore che chi è nella solitudine conta in maniera differente.

Il vuoto delle incertezze che si accumulano

e delle quali non abbiamo ancora parlato.

Il vuoto degli occhi di coloro che vediamo soffrire

e il vuoto dei tanti che soffrono senza che noi li vediamo.

Il vuoto di tutto ciò che, da un attimo all'altro, viene procrastinato.

Il vuoto di quella donna anziana che passa il giorno intero

col viso contro il vetro della finestra.

Il vuoto del rifugiato che vede la sua speranza negata da un timbro.

Il vuoto del giovane davanti a un futuro che sfugge sempre più,

come un pensiero distante.

Il vuoto che ci raggiunge come un avviso di sfratto dalla vita autentica.

Il vuoto degli incontri e delle conversazioni di cui avremmo bisogno ora.

Il vuoto di cui si accorgono gli amici.

Il vuoto delle risate.

Il vuoto di tutti gli abbracci non dati.

Il vuoto della prossimità vietata.

Il vuoto in cui non ti vediamo.

(José Tolentino Mendonça)

XXXIII DOMENICA ANNO B

XXXIII DOMENICA ANNO B  con preghiera dei ragazzi

 

Marco 13, 24 - 32

«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,25le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. 26Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. 28Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. 29Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. 30In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. 32Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

 

Il rischio di considerare le parole di Gesù presentate oggi dal Vangelo di Marco come l’annuncio di una catastrofe imminente e una condanna del mondo, è reale (il sole si oscura, la luna non rischiara più, le stesse cadono, etc.)..

Più in profondità, però, non è così. Primo perché in tutto il Vangelo di Marco non c’è una sola Parola di Gesù di condanna della nostra condizione umana. Secondo perché il testo dice “dopo quella tribolazione” per affermare che le “nostre” fatiche (di ogni tempo) hanno un termine e che “dopo” di queste si potrà “vedere il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”. L’esatto opposto della condanna. Dio non ci “toglie” le tribolazioni del vivere come fosse un burattinaio irrispettoso della nostra libertà. Ma – scrive Marco – dopo quelle tribolazioni si potrà vedere e capire che Gesù è la presenza di Dio (le nubi annunciano sempre l’avanzare di Dio nella storia) che ci viene incontro e che è vicino. Non per giudicare, per condannare o per dominarci. Ma per amarci e servirci. Dio si pone accanto a noi per riportare speranza nella nostra vita, per irrobustire la nostra pazienza e per donarci la forza di perseverare su strade scomode e difficili (camminare dietro a Gesù non è sempre facile), ma che sono il solo sentiero che ci porta alla verità della vita piena e beata.

Anche le immagini degli astri cadenti diventano – se inquadrate nella giusta prospettiva – più chiare. Non annunciano catastrofi ambientali mandate da Dio per punirci. Siamo abbastanza bravi da soli ad alzare la temperatura del pianeta, a riempire il mare di plastica, a far sciogliere i ghiacciai, a fare avanzare il deserto, a decimare le nostre foreste e a inquinare le nostre città. San Marco vuole ricordare a chi impegna tutte e sue risorse per diventare famoso, per accedere al potere (politico, economico o finanziario) o per diventare ricco, che si tratta di inganni. L’evangelista pensa agli Imperatori violenti che si credono un “dio” e che si paragonano al “sole” o ad astri eterni. Ma pensa anche a tutti coloro che stanno abbandonando la strada della libertà generata dal servizio perché falsi maestri li hanno convinti che diventare ricchi, famosi e potenti si presenta come il solo senso della vita. Chi vive così – però – è corroso dall’ambizione e non vede più l’avanzare della tenerezza di Dio verso di lui e presente nei suoi fratelli. Non si accorge – per restare nell’immagine utilizzata dall’evangelista – che il ramo di fico diventa tenero e che si ricopre di foglie che parlano della bellezza della vita e della bontà di Dio.

Ha ragione l’evangelista. Stiamo sbagliando il mondo di vivere. Abbiamo reso “sole, luna e stelle” realtà che non sono capaci di scaldarci e nemmeno di illuminarci. I soldi non ci rendono felici. Il lavoro ci stressa. La famiglia ci sta stretta. La politica ci ha ormai deluso (ed anche per questo molti non votano). La comunità si presta a critiche e a voglie di evasioni. La salute – quando c’è – non si apprezza; quando manca, però, è tardi per rimpiangere tempi felici che non si sapeva di vivere. E prima o poi tutte queste false “stelle” cadono, si frantumano e ci lasciano soli.

Siamo però circondati dalla tenerezza di Dio che ci parla, che si fa vedere e che ci pungola per aiutarci a vivere bene e meglio. Un anziano da visitare, da accarezzare e da ascoltare è il volto di Dio che calma il nostro correre. Il calore della mia famiglia da servire e da rispettare è la palestra con cui Dio ci educa all’amore. I piccoli da educare sono la Parola di Dio che ci ricorda che solo nel prenderci cura dell’altro ognuno di noi ritrova se stesso. Se “tutto ruota attorno a me”, molto presto il sole si oscura, la luna non farà più luce e le stelle cadranno. Solo Gesù è la Parola che ci spiega chi siamo; la Parola che ci tiene compagnia, che vince le nostre paure e che asciuga le nostre lacrime per incamminarci sul sentiero della speranza. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.” Con Gesù avanza verso di noi la tenerezza di Dio. Ma per scorgerla ci è indispensabile l’aiuto del Vangelo: la Parola con cui Gesù Parola cammina verso di noi.

Buona domenica.

          

   Preghiera  dei piccoli                                                                                                                                                                             

Caro Gesù,

       il sole oscurato, la luna che non illumina e le stelle che cadono dal cielo, è un mondo che non riesco proprio a immaginare.

Subito ho pensato alla fine del mondo. A catechismo, però, ci hanno spiegato che l’immagine serve a san Marco per spiegare che chi cerca il potere per dominare gli altri (credendosi una stella che tutti devono servire) cadrà presto in rovina.

E dopo scene che sembrano violente (con cieli sconvolti e stelle che cadono) Tu, Gesù, parli della bellezza di un ramo di fico che con le sue piccole foglie verdi annuncia a tutti che l’estate è ormai vicina.

Sto cercando su internet la foto di un ramo di fico con delle foglie appena spuntate. Da mettermi sulla scrivania. Voglio che questa immagine mi spieghi ogni giorno che Tu mi sei vicino: con tenerezza e pronto ad aiutarmi.

Grazie Gesù.

IL DIO CHE CI PORTIAMO DENTRO

IL DIO CHE CI PORTIAMO DENTRO

 

Diceva il mistico Eckhart: “Chiamo Dio ciò

che è nel più profondo di noi stessi e nel

punto più alto delle nostre debolezze e dei

nostri errori”: E la Yourcenar affermava che

solo chi muore “sa dare un nome al Dio che

porta dentro”.

 

È molto più difficile accettare che ogni uomo

è un embrione di Dio e che la casa di Dio è

solo il cuore dell’uomo, di quanto sia accettare

un Dio onnipotente fuori dalla nostra vita

e dalla nostra storia.

 

Sentirsi Dio dentro è farsi carico di una responsabilità

che pochi sono disposti ad accettare.

Meglio affidarsi al Dio dei dogmi e

delle chiese.

 

È ben più difficile essere fedeli alla propria

coscienza che alle leggi esterne, per il semplice

motivo che la coscienza è la più esigente

di tutte le leggi.

 

Né la si può beffare, come si può fare con le

leggi. Essa è più severa; è la parte più profonda

di te, che ti dice con chiarezza e con

piena autenticità quando sei infedele al meglio

di te.

 

I cristiani predicano una “stoltezza” alla quale

neppure loro credono del tutto: che Dio “si fece

carne” e pertanto dolore, ma anche gioia, piacere,

amore in tutte le sue espressioni. Altrimenti

si sarebbe fatto angelo, spirito. No. Si

è fatto uomo, con tutte le sue conseguenze,

con tutte le sue miserie e le sue sublimità.

Ma uomo.

 

Per questo il dato più certo di ogni religione

sarebbe che Dio è soltanto ciò che di divino

l’uomo si porta dentro.

 

                                                                                     Juan Arias

papa Francesco, Angelus del 7.11

"Guardarsi dagli ipocriti, cioè stare attenti a non basare la vita sul culto dell’apparenza, dell’esteriorità, sulla cura esagerata della propria immagine. E, soprattutto, stare attenti a non piegare la fede ai nostri interessi. Quegli scribi coprivano, con il nome di Dio, la propria vanagloria e, ancora peggio, usavano la religione per curare i loro affari, abusando della loro autorità e sfruttando i poveri. Qui vediamo quell’atteggiamento così brutto che anche oggi vediamo in tanti posti, in tanti luoghi, il clericalismo, questo essere sopra gli umili, sfruttarli, “bastonarli”, sentirsi perfetti. Questo è il male del clericalismo. È un monito per ogni tempo e per tutti, Chiesa e società: mai approfittare del proprio ruolo per schiacciare gli altri, mai guadagnare sulla pelle dei più deboli!".

                     papa Francesco, Angelus del 7.11.2021

XXXII DOMENICA ANNO B

XXXII DOMENICA  ANNO B  con preghiera dei piccoli

 

Marco 12, 38-44

«Diceva loro nel suo insegnamento: “Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa”.

41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: “In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”».

 

La prima domenica di novembre 2021 “cade” tra il G20 che si è tenuto a Roma nello scorso week end e la conferenza Onu sul clima Cop 26 in corso a Glasgow. Due eventi straordinari che sul piano delle dichiarazioni di principio e di alcune scelte importanti si stanno rivelando non solo strategiche e utile, ma anche, vista l’urgenza climatica che stiamo attraversando, quasi un salvacondotto per il prossimo futuro.

Fissando sugli schermi dei nostri televisori questi grandi summit (tanto nei momenti più solenni come in quelli più informali) mi sono più volte domandato: chissà cosa avrebbe notato Gesù con il suo sguardo acuto e capace di oltrepassare la superficie dei fatti.

Perché è questo ciò che ci comunica oggi il Vangelo di Marco: con il Suo sguardo, Gesù non coglie e non fissa chi fa di tutto per essere visto, ammirato e lodato. Gesù prende le distanze dalle fragili ambizioni di chi insegue “i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti”. Lui, Maestro e profondo conoscitore di umanità, scorge – anche tra la folla – una povera vedova che getta nel tesoro del Tempio tutto ciò che aveva per vivere.

Il che significa, seguendo lo stile narrativo di san Marco, che – da una parte – Gesù scruta i cuori e ci “legge” dentro perché è davvero la presenza di Dio in mezzo a noi (solo Dio conosce i nostri cuori e “vede” anche le nostre intenzioni). Dall’altra – però – san Marco ci conferma che per quanto male vada il mondo e per quanto numerosi siano gli ambiziosi che inseguono il potere per fame e sete di prestigio, c’è e ci sarà sempre qualcuno che sa spingere la sua vita sul crinale del dono non solo di tutto ciò che ha, ma anche di se stesso. E sono e saranno sempre questi stili di vita a salvare il mondo.

Forse qualcuno, nella comunità a cui si rivolge san Marco, si lamentava e denunciava l’inutilità di tante riunioni, di tante dichiarazioni di principio, di tante preghiere alzate al cielo e forse intrise di “bla, bla bla” come direbbe Greta Tumberg, la ragazzina svedese che ha dettato l’agenda delle repliche ai leader del mondo. E a chi si ritrova a rischio di pessimismo e di rassegnazione, l’evangelista ricorda che il mondo non verrà mai salvato solo dai potenti, ma – prima di loro e con maggior forza e consistenza – dai tanti “piccoli” che in modo anonimo, costante, quotidiano e senza mai fare rumore danno tutto ciò che hanno e tutto ciò che sono per rendere più bello questo nostro povero ma affascinante mondo (pur sempre abitato anche dalla grazia a dalla bontà di Dio).

Secondo molti studiosi, con questo racconto posto pochi versetti prima della condanna a morte di Gesù, l’evangelista ci vuole presentare il testamento di Gesù. Il quale per parlare di quanto sta per accadergli si identifica con l’agire di una povera vedova (di cui non conosciamo il nome e che certamente non era al seguito del Rabbi di Nazaret) che consegna tutto quello che aveva. Proprio come sta per fare Gesù. Il lettore è avvisato. Gesù non fissa gli eventi della storia con lo sguardo pettegolo di chi vuole giudicare, fare confronti o – peggio ancora – condannare. Gesù guarda il nostro cuore per liberare le nostre intenzioni e per renderci – finalmente – capaci di dare tutto ciò che abbiamo, ma soprattutto tutto ciò che siamo.

Il mondo, la temperatura del pianeta, l’ambiente e le ingiustizie che costringono la maggioranza del globo a stare nella miseria, non verranno spazzate via solo dalle decisioni politiche. Ben vengano incontri e conferenze come quelli in cui siamo immersi. Positivo poi se alle dichiarazioni dei grandi seduti a questi tavoli seguono anche i fatti. Nessuno si illuda, però, che bastino questi “summit” per rendere migliore il “nostro” mondo. Come Gesù e camminando al suo seguito, anche noi dobbiamo capire – una volta per tutte – che “solo” nel coraggio di dare tutto ciò che si ha e tutto ciò che si è si entra nella vita vera che non ha più fine. La vedova lo ha capito: per scrollarsi di dosso l’ombra della morte che la insegue, la sola reazione possibile è data dal donare tutto se stessa ai più poveri. Un gran bel messaggio: positivo e carico di speranza. Buona domenica a tutti e a ciascuno.

  

 

 

                                                                 Preghiera dei piccoli                                          

 

Caro Gesù,

         voglio chiedere a mio papà – che è un ottico – se esistono degli occhiali che aiutano non solo gli occhi, ma anche il cuore a vedere ciò che è invisibile alla vista.

Anche perché le cose che mi piacciono e che voglio comperare o farmi regalare le vedo sempre.

Quando però dovrei vedere chi ha bisogno di me, chi sta male o che cosa posso donare per fare stare bene un altro, in quel caso a volte divento miope, altre volte distratto e alla fine non vedo chi bussa al mio cuore.

Gesù insegnami a guardare con gli occhi del cuore, con o senza occhiali.

Aiutami, Gesù, a diventare “grande” come quella povera vedova che solo Tu hai notato nel Tempio mentre donava tutto quello che aveva.

E grazie Gesù perché domenica dopo domenica cambi il mio modo di vedere e rendi bella la mia vita.

XXVII DOMENICA ANNO B

XXVII DOMENICA  ANNO B   con preghiera dei piccoli    

 Marco 10, 2-16

«Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. 4Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”. 5Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall'inizio della creazione li fece maschio e femmina; 7per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”. 13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso”. 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro».

 

Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie.”. Per gli innamorati alle prese con un progetto di vita si tratta di un insegnamento di Gesù tra i più amati. Quando però la vita a due si incrina, quella stessa espressione viene rimossa e ridimensionata. Ma questa prima riflessione serve per dirci che il Vangelo non è una raccolta di frasi ad effetto da usare per celebrare momenti diversi della propria vita. Il Vangelo di Gesù è Parola che nutre, promessa che salva, Pane che sazia ed è soprattutto la certezza che il Signore Gesù è vivo e presente nella nostra vita. Perché solo “questo” Gesù ci rende capaci di amare come Lui ha amato noi. Il progetto di Dio, ci dice questa pagina di Vangelo, definisce il matrimonio come un Suo dono per aiutare la donna e l’uomo ad uscire dalla solitudine dell’io. Il dramma dell’amore è però questo: se Gesù non ci insegna ad amare (e l’una o l’altro ripiegano sul “prendere” anziché sul “donare”) la coppia entra in quella “solitudine a due” che a volte è persino peggiore dell’essere senza partner.

Conosciamo tutti la fatica che genera una coppia “scoppiata”: distanze, silenzi, musi, omissioni, ripicche, infedeltà…; quanto dolore e quanta sofferenza si deposita su chi, quasi senza accorgersene, si è ritrovato a vivere come estranei nella stessa casa.

Ma è su quel “quasi senza accorgersene” che dobbiamo fermare l’attenzione. La distanza in casa – nella coppia – non nasce all’improvviso. Ci si dà per scontati; si perde la capacità di lodare e di ringraziare Dio per la bellezza della vita insieme; si corre per tutto, ma si perde la capacità di stare con l’altro senza correre (non ci si regale più del tempo libero e vuoto da tanti impegni) e non ci si porta più – insieme – all’ascolta della sola Parola che tiene in piedi.

So che nel tempo della tecnica e dei computer è quasi proibito dirlo, ma se la coppia non prega qualche volta insieme e non mette al “suo” centro quel Signore Gesù che insegna la vera forma di amore, prima o poi al “centro” della coppia ci sarà dell’altro: lavoro, carriere, denaro, mutui, seconda casa, ambizioni per i figli, etc. Nessuna di queste realtà, però, ha la forza di tenere in piedi l’amore di coppia. Imparare a fare qualche preghiera insieme è difficile (ed è per questo che è stata inventata la preghiera comunitaria), ma lontani da questi orizzonti è abbastanza facile perdersi, come coppia.

Lo stesso dicasi per quella necessaria attenzione ai poveri nel segno della giustizia e dell’amore (ben diversa dalla pietosa assistenza). Il Vangelo di Luca lo dice bene: Lazzaro (che vuol dire “Dio aiuta”) è l’“aiuto” che Dio dona a chi è chiuso nel suo egoismo per aprirlo alla grammatica dell’amore. Chi vicino al “noi” della coppia sta male, non è un “inciampo” alla loro intimità, ma l’aiuto che Dio offre loro perché non si allontanino e perché, uscendo da sé stessi, realmente si ritrovino. Forse ha davvero ragione Manzoni quando, nei suoi Promessi Sposi, permette a Renzo e a Lucia di ritrovarsi dopo le infinite peripezie che tutti conosciamo. Il messaggio che Fra Cristoforo consegna ai due innamorati è un vero e proprio progetto di vita a due: “Amatevi come compagni di viaggio, con questo pensiero di dovervi un giorno lasciare, e con la speranza di ritrovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che vi ha condotto al matrimonio non per mezzo di allegrie turbolente e passeggere, ma cò travagli e tra le miserie umane, per disporvi a una gioia raccolta e tranquilla.” (Promessi Sposi cap. 36). Educato dalla Parola di Dio Manzoni sa molto bene che non ci sposa per stare bene “da soli” (con il rischio di entrare in quella brutta “solitudine a due”), ma per imparare ad attraversare insieme (e con il Signore Gesù) il viaggio della vita con tutte le gioie e le fatiche che questo procedere “a due” comporta.

In Principio non era così, si dice tante volte. Ma quel Principio non si riferisce solo alla fase iniziale della vita di coppia (quando, come molti ripetono, “ci siamo messi insieme carichi di entusiasmo”). Il Principio di cui parla Gesù è la Sua Parola e la Sua Presenza (anche nei poveri che ci sono vicini): i due pilastri che sorreggono la coppia e che la fanno funzionare e andare avanti.

Buona domenica.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

               anche domenica scorsa hai detto ai tuoi discepoli “non glielo impedite”.

Oggi lo dici a chi vorrebbe allontanare i bambini da Te.

Ero tentato, appena finita la lettura del Vangelo, di gridare “Bravo Gesù!”. Poi, considerato che ero in chiesa, mi sono frenato.

Non si può passare la vita a proibire.

“Proibito giocare nel cortile del condominio” c’è scritto nel mio palazzo! Anche a scuola: “proibito uscire da soli”. “Proibito correre in corridoio”. Proibito questo, proibito quello. Così facendo, però, nessuno ci insegna che cosa dobbiamo fare per imparare ad amare.

Grazie Gesù perché Ti fidi di me e perché anziché fare il controllore hai scelto di stare “con noi” anche se bambini.

 

P.S. “Proibito abbandonare i migranti sulle barche a rischio di morire in mare”: forse è questo l’unico “proibito” giusto che oggi, 3 ottobre - Giornata nazionale in memoria delle Vittime dell'immigrazione, dobbiamo dire.

XXVI DOMENICA ANNO B

XXVI DOMENICA  ANNO B con preghiera dei piccoli

  Marco 9, 38-48

 

«Giovanni gli disse: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri”. 39Ma Gesù disse: “Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. 40Chi non è contro di noi è per noi. 41Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.

42Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. 43Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. [44]. 45Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. [46]. 47Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, 48dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. 49Perché ciascuno sarà salato con il fuoco. 50Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”».

 

Ciò che Giovanni dice a Gesù è traslucido di invidia e di ambizione. Tradotto nel nostro linguaggio la sua affermazione suona così: «noi discepoli, caro Gesù, siamo i tuoi più stretti collaboratori e dovremmo essere quelli che – dopo di Te – hanno più potere e comandano su tutti. Quel tipo che si è preso la briga di scacciare i demoni (dunque di fare del bene e di farlo nel Tuo nome) senza chiederci nessun permesso, senza nessun gesto di sottomissione a noi (che siamo i suoi capi) e senza seguire noi, va fermato. Ed è per questo che noi gli abbiamo impedito di aiutare chi sta male».

Visualizzato così fa persino impressione. Non importa se quel “tale” fa del bene e se il suo agire toglie malessere e fa stare bene qualcuno. Ciò che conta è “che “non segue noi”; ed è per questo che volevamo impedirgli di fare il bene”.

Il cuore umano è fatto così: si lascia corrodere dall’invidia, dall’ambizione, dallo sguardo storto generato dall’egoismo e da una voglia così forte e intensa di portarsi sopra gli altri da calpestare tutto, tutti e persino se stessi. Per questo Gesù chiede ai suoi discepoli di stare “dietro a Lui”: perché solo nel seguire Lui, Maestro di vita, ognuno di noi tiene a bada le sue spinte egoistiche e resta nel solco dell’amore, del servizio e della libertà. Ma dentro questa gran bella lezione di vita, Gesù ci consegna anche un preciso modo di gerarchizzare i criteri del vivere.

Chi segue l’istinto è portato a diventare buono con se stesso e – allo stesso tempo – molto severo verso tutti gli altri.

Chi segue Gesù impara la difficile arte del diventare severo con se stesso e buono verso gli altri. Ed è esattamente questa la Buona Notizia che oggi ci viene consegnata: il Vangelo del Signore Gesù ha la forza di fermare in noi lo sguardo storto dell’invidia e dell’egoismo. Seguire Gesù è movimento che libera il nostro cuore dalla severità contro gli altri per incamminarci sulla strada della bontà che ci rende non solo buoni, ma anche veri e liberi. E solo Dio sa quanto sia forte il bisogno di costruire bontà e verità nelle nostre case, comunità e famiglie. Tutte le volte che si inverte questo ordine (e si applica la severità sugli altre e non su di sé), si costruiscono quelle dolorose divisioni generate da pettegolezzi, giudizi affrettati, calunnie e maldicenze che tutti conosciamo e che avvelenano la vita di tutti.

La severità su di sé, anche questo va detto, non è mai “contro” se stessi, ma sempre al servizio del proprio stare bene. Su questo punto Gesù è chiarissimo: tanto il tagliare mano o piede quanto il gettare via il proprio occhio se è motivo di scandalo, è discorso figurato per ricordarci che l’essenziale è non fare entrare in noi la decisione di portarsi contro l’altro. Perché queta è l’invidia, come dicono gli specialisti: “un’infelice affermazione di sé” che avvelena il cuore di chi invidia e dell’invidiato. Questo è l’egoismo: una chiusura in se stessi che allontana dalla gioia dell’amare. Gesù chiede, a chi lo segue, di accogliere la forza che Lui dona per cambiare in modo radicale e determinato stile di vita.

Sei depresso? Non usare solo lo shopping per provare a tirarti su; ogni tanto (almeno una volta ogni due) entra in una chiesa; vivi un momento di raccoglimento e prova a “sostare” su una pagina di Vangelo. Vedrai che ti aiuta a guardare la vita in modo meno cupo.

Sei in difficoltà economica? Non ti affidare al gioco d’azzardo o alle slot machine. “Getta il tuo pane sulle acque” dice il libro del Qoelet (11,1), “perché lo ritroverai! Prenditi qualche momento di servizio; prenditi cura di chi sta peggio di te e forse – con lui – ritrovi un po’ di equilibrio in bilanci familiari che non giustificano ansie o disperazioni.

Sei arrabbiato con tutti? Fermati. Lascia che la Parola di Gesù (il Suo Vangelo) ti cambi sguardo. Impara a giustificare l’altro (non sempre te stesso): ti troverai con il desiderio di stare di più con te stesso, con il Signore Gesù e con chi vive accanto a te.

Buona domenica e buona Giornata del Migrante.

 

 

                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                   non so perché, ma appena letto questo Vangelo ho pensato a Te che chiedi ai Tuoi discepoli di “gettare la rete dalla parte destra della barca” (Gv. 21,6). Mi sono sempre chiesto perché hai precisato il lato dal quale calare le reti.

Oggi però mi sono dato la risposta: per insegnarci a non guardare mai le persone dalla parte sbagliata, dalla sola parte dei difetti.

Tu lo sai: siamo tutti molto bravi a vedere negli altri le parti che non vanno, le cose che non funzionano.

Per stare bene, però, dobbiamo imparare a guardare gli amici dalla parte bella e buona. 

Solo così diventiamo buoni anche noi.

Grazie Gesù perché oggi mi cambi lo sguardo e mi dici che anch’io posso sradicare dal mio cuore i semi del male.

E grazie perché Tu mi guardi sempre dalla parte positiva.

Sei forte Gesù.

XXV DOMENICA ANNO B

XXV DOMENICA  ANNO B con preghiera dei piccoli

Marco 9, 30-37

 «Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. 33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?”. 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti”. 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37”Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”».

 

La voglia di vincere, di primeggiare, di “contare” e di essere considerato “il più grande” è così fortemente radicata nel cuore umano, che non basta “ascoltare” qualche pagina di Vangelo per sradicarla dalla propria mente e dal proprio stile di vita.

Per questo Gesù “non voleva che alcuno lo sapesse” (del suo arrivo in Galilea): perché quasi tutti lo cercano per la fama che sta raggiungendo, per vederlo da vicino e perché ognuno spera che la sua autorità gli possa dare un po’ di prestigio e recare qualche vantaggio personale. Anche i “suoi” sono caduti nella trappola del voler sfruttare Gesù per “contare di più”. Lo ascoltano, lo assecondano e lo seguono nel suo spostarsi, ma quando pensano che Lui sia distante o distratto discutono tra loro “su chi è il più grande” e – dunque – su chi avrà, nel nuovo Regno, più prestigio e più potere.

Gesù conosce il loro cuore e non ha bisogno di “sentire” tutti i loro discorsi per prendere coscienza che sono alle prese con le ambizioni che avvelenano la vita. E si noti la finezza: Gesù si siede (come un vero Maestro) e riprende il suo insegnare senza scoraggiarsi. Per spiegare loro che la gioia del vivere non è data dall’avere tante cose o dal guadagnare tanto, ma dal servire chi è al fondo della fila e dall’aprirsi con generosità e coraggio alla solidarietà e alla giustizia che si completa nell’amore.

Ho ancora in mente il colloquio avuto ai primi di luglio con un giovane alle prese con fine della sua scuola superiore. Voleva da me un consiglio circa gli studi universitari. Era lucido su che non voleva “studiare” (materie troppo legate all’area scientifica), ma non sapeva verso quale piano di studi indirizzarsi. “Che cosa ti consigliano i tuoi genitori?”, ho prudenzialmente domandato. E la sua risposta è stata un po’ spenta: “Loro non sono in grado di aiutarmi. Dicono che mi pagano le tasse universitarie, ma per il resto devo decidere io; Ma poi hanno aggiunto: “Cerca però un indirizzo che ti dia subito possibilità di lavorare e di guadagnare tanto”. So molto bene che siamo nel pieno della norma educativa che viene offerta – ai nostri giovani – dalla media delle nostre famiglie. Nonostante lo sappia, però, continuo a restare spiazzato da questi ragionamenti. Anche perché so molto bene che “studiare” solo per cercare lavoro e per guadagnare tanto non “riempie” la vita.

Lo studio serve per allargare cuore e mente e per imparare ad amare di più, meglio e con più competenza. L’Università è scuola che aumenta le “conoscenze” personali, ma per consegnare, a chi studia nelle sue aule, l’identità di un cittadino residente nella “casa comune universale”. Decisamente più ampia del piccolo “io” del singolo studente (proprio come dice la parola: Università è scuola che immette nell’universalità dell’essere umano).

Avrei voluto dire a quel ragazzo che si studia non per guadagnare tanto, ma per fare bene un servizio grande a chi nel bisogno. Medico, ingegnere, economista, docente, architetto o avvocato sono titoli connotati dalla forte dimensione del servizio a chi ha bisogno di cure, di sicurezza abitativa o stradale, di servizi contabili, di docenti competenti e autorevoli, di legalità capace di difendere il debole. E chi svolge bene questi “servizi” entra nella gioia.

Il Vangelo di questa domenica ci restituisce il coraggio di insegnare ai nostri giovani la vera strada della libertà e della felicità. Abbiamo perso la forza di dire queste cose (e forse non le pensiamo più nemmeno noi adulti) e sperimentiamo delle forme di pudore a proporre, a chi cresce, l’attenzione a chi è al fondo della fila. Il “prima i nostri” è entrato anche nelle nostre case e – per i nostri figli – diventa quasi il solo programma che si segue.

Gesù è però chiaro. Portare gli ultimi al centro della vita significa uscire dalla propria autoreferenzialità; capire che la verità dei nostri giorni si trova fissando il più piccolo e non se stessi (e i propri sogni di gloria) e – soprattutto – vuole dire iniziare quel cammino di leggerezza e di libertà interiore che solo i bambini sperimentano. Per questo Gesù ha proposto il “bambino” da accogliere come modello di vita. Perché in quel preciso crocevia si trova la gioia che sempre cerchiamo. Avrei voluto domandare, al mio giovane interlocutore: “C’è qualcuno che ti ricorda la vita (vera) va oltre il denaro, il sesso e la carriera attraversata per se stessi o il sogno di diventare famoso?”.

Forse l’ho anche fatto. Ma sono abbastanza certo che una “voce” non basta a convincere chi cresce a vivere bene questa scadenza. Ci vuole tutto un “villaggio” per convincere un giovane a orientare la vita nella giusta direzione. Buona settimana.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                  è appena iniziata la scuola e in classe abbiamo già litigato. E sai perché? Per i posti che la maestra ci ha dato.

Ognuno di noi voleva il posto vicino alla cattedra. E così lei ha deciso che per adesso quel banco resta vuoto. Lo darà a turno a chi ne ha più bisogno.

A Messa quando ho ascoltato che i tuoi discepoli “discutono in strada su chi è il più grande” ho pensato alla mia classe.

Mi sono detto: sono come noi (oppure noi siamo come loro).

Gesù non so perché vogliamo tutti sempre comandare, essere i primi o i più importanti.

Gesù, aiutami a capire che “Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti”.

Anche Tu sei Maestro, Gesù.

Insegnaci a capire e a vivere come Tu ci hai detto.

E aiuta anche la nostra maestra.

Grazie, Gesù.

 

XXIV DOMENICA ANNO B

 XXIV DOMENICA  ANNO B con preghiera dei  piccoli

Marco 8, 27-35

 «Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» .

 

La differenza tra l’adolescente è l’adulto è tutta qui: per chi esce dall’infanzia la vita si esaurisce nell’io. Tutto ruota attorno al suo prepotente bisogno di capire chi è, dove vuole andare e chi vuole diventare. L’adulto ha definitivamente compreso che l’Io è definito dal Tu, dall’altro con cui ti relazioni, dal quale dipendi e verso il quale devi chinarti per amarlo e per servirlo. L’adolescente dice Io e “grida” i suoi “Si” e i suoi “No” in base ai suoi vissuti individuali e sul fondamento della sua libertà pensata e concepita solo per sé. L’adulto dice “Noi” e “vive” (più che dire!) i suoi “Si” e i suoi “No” in base al bisogno degli altri: per evitare loro sofferenze, fatiche e difficoltà.

Alla luce di questa griglia dobbiamo ammettere che sono ancora tanti, tra gli adulti a livello anagrafico, quelli che sono rimasti adolescenti.

Ma vorrei essere chiaro: lo schema non è mio. È il Signore Gesù che alle prese con la preparazione umana dei discepoli si accorge che deve pungolarli per farli uscire dalla logica dell’Io e dei vissuti adolescenziali per aiutarli ad entrare nella terra della maturità e della vita adulta. E per fare questo li inchioda alla madre di tutte le domande: “Ma voi chi dite che io sia?”. Solo se si risponde a questa domanda e se ci si pone davanti a questo quesito con libertà e schiettezza, si inizia ad uscire da se stessi e si intraprende il cammino della vera libertà. L’adolescente vuole capire (giustamente) chi sono io. L’adulto deve definire chi è l’altro per lui; deve decidere come riconoscerlo, se sfruttarlo o servirlo; se usarlo per sé o se accompagnarlo per aiutarlo a ritrovare frammenti di speranza. Gesù sa molto bene che fuori da questo sentiero nessuno di noi matura e cresce. Ecco perché pone la domanda in modo forte e chiaro: per obbligare chi lo ascolta e chi lo segue a fermarsi e a confrontarsi con la Sua figura che diventa la cifra di ogni altro.

Ma si noti il particolare interessante. I discepoli balbettano risposte poco precise. Non sono ancora riusciti a mettere a fuoco la questione. Si sono ritrovati un compito, delle responsabilità che hanno quasi sicuramente visto e interpretato anche come potere. Essere protagonisti di un nuovo Regno che dovrebbe iniziare tra poco, non è poi così male, avranno pensato. Gesù intercetta i loro tentennamenti. Capisce le loro fragilità. E pone la domanda perché ascoltino la Sua voce, le Sue parole.

Gesù è Parola e sa molto bene che solo chi Lo ascolta è in grado di rispondere in modo giusto ai suoi quesiti. Ed è per questo che Pietro riesce a dire: “Tu sei il Cristo”. Perché la Parola di Gesù lo ha guidato sul sentiero della verità. Lui – Pietro – non ha ancora capito ciò che ha detto. Non è ancora convinto che “quel” Messia (quel Cristo) sarà vittorioso passando per la strada stretta del servizio, del dono di sé, della passione e della morte in croce. Grazie all’ascolto della Parola di Gesù ha proferito la risposta giusta, ma da adesso in poi lo Spirito dovrà portare nel cuore quelle parole per farle diventare vita.

È l’affascinante mistero della preghiera. Nel pregare autentico ognuno di noi è chiamato a confrontarsi con le parole di Gesù e con il suo vangelo. Quella parola ascoltata, letta, meditata e forse anche ripetuta lentamente (si pensi alla recita del rosario che è ripetizione di passi della Parola di Gesù) entra in noi e comincia a vivere dentro di noi. Cresce nel nostro cuore e – anche se non la comprendiamo fino in fondo – si fa strada in noi e cambia il nostro modo di pensare, di parlare, di agire e di fare. Come Pietro diciamo, a volte, formule (belle) che non capiamo fino in fondo, ma che ci guidano e che ci orientano fino a quando le comprendiamo realmente.

Siamo riusciti a liberarci dal precetto domenicale (dalla “messa” vissuta per obbligo) e non è detto che sia un male. Ma attenzione: nutrire corpo e cuore con la parola di Gesù non è un obbligo, ma una necessità per vivere. Senza un po’ di sana, solida e vera preghiera fatta di ascolto e di lettura del Vangelo, nessuno di noi vive bene e diventa adulto.

Sarà un caso, ma si prega sempre meno e l’adolescenza si protrae sempre più avanti.

Buona ripresa delle attività (scolastiche comprese).

                                                                           

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                  non capisco Pietro: risponde sempre per primo e anche bene alle tue domande.

Non appena però Tu spieghi a lui e ai suo i compagni che devi soffrire e che sarai rifiutato, lui si ribella, protesta, Ti porta in disparte e Ti “corregge” (!).

In pratica vuole fare il tuo “maestro”.

Gesù anch’io a volte sono come Pietro. E quando dico le preghiere spesso Ti spiego di che cosa ho bisogno e poi dico a Te che cosa devi fare!

Gesù non permettere che le mie parole coprano le Tue.

E se vedi che sbaglio, alza la voce, sgridami e insegnami a pensare come Te.

Resta però Tu il mio Maestro.

Gesù ti prego infine per i bambini dell’Afghanistan. Non riesco a cancellare dagli occhi le scene che ho visto al telegiornale (mamme che danno i loro bambini ai soldati per salvarli).

Gesù aiutaci ad aiutarli.

Angelus del 5 settembre 2021

 

 

"Sentiamo rivolta a noi oggi, come nel giorno del Battesimo, quella parola di Gesù: “Effatà, apriti”! Apriti le orecchie. Gesù, desidero aprirmi alla tua Parola; Gesù, aprirmi al tuo ascolto; Gesù, guarisci il mio cuore dalla chiusura, guarisci il mio cuore dalla fretta, guarisci il mio cuore dall’impazienza".

 

              papa Francesco, Angelus del 5 settembre 2021