Preghiere poesie

III DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C

III DOMENICA DI QUARESIMA  ANNO C  con preghiera dei piccoli

Lc 13, 1-9

 

«1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». 6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

 

I fatti sono i seguenti: Pilato, impaurito dalla presenza di Galilei in Gerusalemme (conosciuti come rivoltosi e ribelli nei confronti del potere romano), ordina ai suoi soldati di ucciderli anche se questi si trovano nel luogo più santo della città: nel Tempio. Impossibile non parlare di questo evento che sottolinea l’arroganza violenta del potere romano e evidenzia la dura legge dell’occupazione. Ma oggi la situazione non è molto diversa. Impossibile non confrontarsi con la dolorosa e violenta aggressione dell’Ucraina da parte della Russia militare comandata da Putin. E anche oggi sono tanti (a volte si ha l’impressione che siano persino troppi) coloro che spiegano, che interpretano, che discutono, che profetizzano, che giudicano, che condannano o che salvano l’uno o l’altro.

Il dramma della violenza – però – è proprio questo: ampliare, da una parte le parole inutili e, dall’altra parte, disorientare chi si vede costretto a fare lo spettatore della morte inflitta in modo ingiustificato e indifendibile. Non sempre si è in grado di valutare da soli quanto accade. Ed è per questo che “alcuni si presentarono a riferirgli il fatto di quei Galilei il cui sangue Pilato ha fatto scorrere”: per capire di più, meglio e in profondità.

Gesù non si sottrae al confronto. Ascolta la domanda, accoglie la fatica di chi gli pone il quesito, ma prende le distanze tanto da una risposta carica di emotività quanto dalla tentazione della logica vendicativa di chi vorrebbe lavare quel sangue con altro sangue. Una gran bella lezione di metodo. Per non “piegare” mai la cronaca alla propria campagna elettorale, alla ricerca di consenso o – peggio ancora – per non “usare” mai morte, violenze e guerre per imporre le proprie piccole (provinciali e sbagliate) visioni del mondo.

Gesù non cambia il nome alle cose. Il male resta male. Morte e violenza restano realtà inaccettabili e da condannare. Gesù non lancia crociate contro Pilato. Non invita alla vendetta. Entra in profondità e invita chi lo ascolta a “convertirsi” inteso come il difficile ma liberante servizio finalizzato a svuotare il proprio cuore da quelle quote di odio, di astio, di pregiudizi, di voglia di vendetta e di potere che preparano le guerre e che inevitabilmente generano morte. Troppo facile condannare gli errori degli altri (che restano tali e che non possono diventare azioni giuste in virtù dell’autorevolezza del relatore).

Gesù va oltre la facile condanna di chi sbaglia e invita chi lo ascolta a rileggere “i fatti” intrisi di violenza e di morte per prendere “personalmente” le distanze dal male e di decidere di restare fuori dai circuiti della violenza che tentano non solo chi la attua, ma anche chi la subisce. Quel forte “convertitevi” che Gesù consegna per due volte ai suoi interlocutori (e a tutti noi) è la buona notizia di questa domanda: scegliere, nel nostro cuore, di non fare il male, di sgretolare qualsiasi tentazione di vendetta, di vivere per gli altri e di imparare la faticosa bellezza del perdono per sciogliere quelle quote di odio e di astio presenti anche nei nostri cuori, vuole dire vivere e vincere le logiche di morte. Semi di male sono presenti anche in noi, ci ricorda Gesù. La quaresima è il tempo in più che ci viene dato perché ognuno di noi si alleni a pregare di più per allineare il suo cuore alla sola Parola che ci libera, che ci cura e che ci consegna la vera Pace. L’albero di fichi con cui Gesù conclude il suo magistrale insegnamento non è del tutto cattivo, non è “perso” e non è ancora da “tagliare”. È un albero “malato”, ma se viene curato, riprende a fare frutti. Quel tempo in più che il vignaiolo chiede al proprietario del terreno per permettere all’albero di “guarire” è la descrizione perfetta del Gesù che vuole donarci questa quaresima perché ognuno di noi “ritorni” a portare quei frutti di bontà, di perdono, di apertura all’altro e di giustizia che rendono migliore il mondo. Senza mai stancarsi di pregare per la Pace e di domandare – ciascuno al suo cuore – che cosa posso fare io per cambiare questa povera, drammatica, ma affascinante Terra. Ancora auguri a chi si chiama Giuseppe e a tutti i papà.

 

                                                                              Caro Gesù,

                mio nonno non vuole mai che, nell’orto, io usi la scure. “Se vuoi aiutarmi – dice sempre – prendi la zappa e pulisci i sentieri dell’orto. Con questa non puoi farti male”.

Non lo sapevo che anche Tu preferisci la zappa alla scure.

Ma la cosa bella di questo tuo insegnamento è che Tu non parli solo della zappa che aiuta le piante a crescere.

Con l’immagine del vignaiolo che vuole, ad ogni costo, salvare la pianta dall’essere sradicata, Tu parli anche di noi.

Sei Tu, Gesù, il vignaiolo che si prende cura di noi e che, con pazienza, ci liberi dalla nostra pigrizia e dall’egoismo che non ci fa andare verso gli altri.

Grazie Gesù. Non vedo l’ora di tornare nell’orto e di riprendere la zappa in mano.

Sarà un modo per stare con Te.

 

P.S. Gesù, aiuta i grandi a fermare la guerra in Ucraina.

              

II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C

       II DOMENICA DI QUARESIMA  ANNO C  con preghiera dei piccoli

 

Luca 9, 28b-36

 

«28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto».

 

“Za pobedu” che in russo significa “per la vittoria”: questo dovrebbe significare, secondo il ministero della Difesa russo, la Z scritta con vernice bianca sui carrarmati mandati da Putin in Ucraina. Il che significa che per il pensiero semplice di chi ha scatenato questo inferno, la “vittoria” la si ottiene con armi, bombardamenti, aggressioni, distruzioni di città intere (ospedali stracolmi di bambini malati compresi), uccisioni e con i carri armati disposti a “camminare” anche sulle auto abitati da poveri civili.

Per il Vangelo di san Luca la “vittoria” percorre strade diverse. E il volto di Gesù che sul monte cambia di aspetto significa proprio questo: vittoria e gloria non si ottengono con le logiche del potere, della forza, della violenza e della sottomissione di chi rifiuta di riconoscere altre sovranità. Gesù sul monte intuisce definitivamente – dopo intensa preghiera – che la Sua gloria è data solo dal percorrere fino in fondo la “strada” del dono di sé che lo porterà al venerdì santo, dalla rinuncia della violenza e dalla scelta del servizio. La grande domanda che affiora nella testa, ma soprattutto nel cuore dei tre scelti da Gesù per “seguirlo” sul monte – Pietro, Giovanni e Giacomo – esprime molto bene anche le nostre paure, dubbi e insicurezze. Non a caso l’evangelista dice che “erano oppressi dal sonno”. Non si riconoscono nello schema mentale di Gesù. Non sono in grado di accettare questa proposta e non sono disposti a guardare la vita da un altro punto di vista. Sono “depressi”, “bloccati dalla paura, “chiusi” nelle loro piccole convinzioni e prigionieri delle loro certezze. Ma non succede anche a noi di restare– quando siamo spiazzati da eventi che superano la nostra possibilità del tenerli sotto controllo – paralizzati? Quante volte facciamo finta che niente sia successo per restare ancorati alle nostre piccole certezze!

Gesù, però, offre ai suoi timidi, rigidi e impauriti accompagnatori (che per san Luca potremmo essere tutti noi) un aiuto per “uscire” da questo “sonno”. San Luca annota che oltre a cambiare d’aspetto nel volto, Gesù si presenta ricoperto da una veste candida e “sfolgorante”. Quest’ultimo è lo stesso termine che descrive l’abito dei due uomini incaricati di annunciare la resurrezione di Gesù (“ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante” – Lc. 24,4).

Sembra contro natura cercare la vittoria per la strada ripida e scomoda della nonviolenza, del dono di sé, del servizio e del perdono, ma è la sola strada – ci conferma Gesù sul monte – che ci rende il volto luminoso perché carico dell’amore che ci realizza.

La voce che esce dalla nube conferma il fatto che solo Gesù va ascoltato e seguito. Solo Lui. Verranno altri (tanti altri) per convincerci ad inseguire la vittoria per altre strade. Qualcuno si è persino illuso che scrivere il segno della vittoria con la vernice su mezzi pensati solo per uccidere renda veloce il raggiungimento dello scopo prefissato. Ciò a cui stiamo però assistendo è la dimostrazione pratica del fatto che solo Gesù ha Parole di vita che non finisce e che vincono anche la morte. Tutte le altre parole – soprattutto quelle segnate da ambizione, potere e dominio – generato morte. Le mamme russe e le mamme ucraine che piangendo i loro figli uccisi da strategie militari illegali e illogiche sono la conferma che ci è chiesto di cambiare modo di pensare e di vivere. La stragrande maggioranza delle vittime di questa “inutile strage” (i civili morti in Ucraina sono il 90%) sono il segno evidente che con la guerra, la violenza e le armi nessuno vince. Mai.

E perché nessuno perda di vista il volto del Messia che ha cambiato di aspetto, san Luca tra pochi versetti ci presenta Gesù che “indurì il volto” per mettersi in cammino verso Gerusalemme. Per fermare la violenza dentro di noi e qualsiasi guerra, non bastano appelli, proclami o buone intenzioni. Bisogna essere determinati (e radicali) e scegliere la nonviolenza e nel praticare la solidarietà senza troppa emotività. Non ci sono profughi o immigrati di serie A e di serie B. Rimboccare le maniche, asciugare le lacrime, decidere di aiutare chi scappa da qualunque guerra e non idolatrare mai nessun dittatore…, sono alcune premesse perché il nostro volto manifesti – grazie alla Parola di Gesù – tanto la bontà quanto la “fermezza” nel decidere di opporsi a ogni forma di ingiustizia e di violenza. Buon cammino verso la Pasqua.

                                                                       Preghiera dei piccoli                          

Caro Gesù,

                    papà non ci lascia vedere le scene di guerra in Ucraina al televisore. Dice che sullo schermo scorrono immagini troppo violente e che non fa bene vederle.

“Meglio la radio” – ripete ogni giorno – che ci dà le notizie senza farci “vedere” scene strazianti che non fanno bene ai bambini.

Scusa la domanda, Gesù. Pietro, Giovanni e Giacomo: si sono addormentati sul monte perché erano stanchi oppure perché non accettavano i tuoi discorsi?

Quando “sentono” che Tu non vuoi comandare, quando “vedono” che Tu vuoi solo servire e quando capiscono che nel dare la vita Tu fai sul serio, loro “dormono” per non “sentire” quanto insegni e per non cambiare.

Gesù, ha ragione papà: si può anche non “vedere”. Ma non possiamo dormire e voltarci dall’altra parte quando qualcuno sta male e chiede aiuto.

Tieni sveglio il mio cuore, amico scomodo.

I DOMENICA DI QUARESIMA

                          I DOMENICA DI QUARESIMA  con preghiera dei piccoli

Luca 4, 1-13

«1Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, 2per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». 4Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo».
5Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra 6e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio.7Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo».8Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
9Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; 10sta scritto infatti:  Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano;11e anche:Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra».12Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
13Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato»

 

Sembra proprio che lo Spirito Santo che guida le nostre vite voglia associarsi alle nostre preghiere e proteste contro la guerra lanciata da Putin contro l’Ucraina. E lo fa proponendoci, per la nostra preghiera domenicale, la solenne pagina del Vangelo di Luca che ci presenta Gesù che esce vittorioso dalle tentazioni a cui lo sottopone il diavolo.

Non è vita umana – ci dice questo racconto – quella che si affanna per “prendere” e per possedere; quella che insegue potere e gloria o quella che è disposta ad usare anche la violenza per imporre il proprio dominio sugli altri (mai percepiti come fratelli).

Ma non sono queste le premesse di ogni conflitto armato? Siamo attoniti e frastornati da una guerra “in casa” imprevista e imprevedibile (e che tutti gli esperti davano per impossibile a realizzarsi). Ancora una volta – però – ci è chiesto di prendere coscienza che le radici del male e della violenza non sono nella geopolitica, ma nel cuore umano. E che solo Gesù è l’uomo nuovo che supera, che vince e che sconfigge le tentazioni che ci avviano sulla strada della disumanità.

Ma oltre a condannare ogni guerra e qualsiasi ricorso alla violenza, che cosa ci comunica questo passo del Vangelo di Luca? Intanto ci conferma che nel suo assumere la nostra condizione umana Gesù ha fatto sul serio e si è confrontato – come noi e per tutta la vita – con quelle “scorciatoie” che siamo spesso tentati di intraprendere che, senza tanti giri di parole, san Luca ci dice che provengono dal diavolo. Vediamole.

La prima:Di’ a questa pietra che diventi pane”. “Parlare con le pietre e con le cose a rischio di perdere le relazioni umane e se stessi”, è questa la prima tentazione a cui è sottoposto Gesù. Ma vivere per le cose e sacrificare l’intera esistenza per “pietre” che non arricchiscono il cuore (carriera, soldi, ricchezza, beni di lusso, etc.) è follia. Quanti figli protestano perché hanno avuto tanto o tutto in oggetti e benessere ma sono stati privati della relazione, dello stare insieme e delle attenzioni affettive che il crescere necessita! “Non di solo pane vivrà l’uomo”, risponde Gesù. Per indicare che ciò che ci tiene in vita è il sapersi nutrire delle parole di amore rese solide e nutrienti dalla Parola di Dio.

La seconda. “Ti darò questo potere e la loro gloria” dice il diavolo nella seconda tentazione a Gesù. Confermando così che potere e gloria appartengono al diavolo. Ben venga la voglia di migliorarsi, di fare bene, di assumersi scomode e impegnative responsabilità anche in contesto lavorativo o politico. Purché il proprio agire si svolga sempre nella logica del servizio e distante dalle tentazioni del dominare l’altro per arricchire se stessi sfruttando gli altri. Quante volte però il potere, il prestigio, il primo posto e l’apparire calpestiamo il fratello e perdiamo la serenità di un vivere per fare il bene.

La terza tentazione è ambientata a Gerusalemme. Il diavolo prova – per l’ultima volta – a paralizzare Gesù con l’uso della Parola di Dio (per imitare Gesù che disarma il tentatore citando la Scrittura). “Gettati giù di qui. Vediamo se gli angeli del Signore ti porteranno sulle loro mani” dice il diavolo . Il diavolo usa il salmo 91, ma omette le parti in cui chi prega si affida a Dio e riprende solo le promesse del Signore per instillare in Gesù la messa alla prova di Dio. “Vediamo se verrà a salvarmi”. È la madre di tutte le tentazioni nel nostro pregare: mettere alla prova Dio e fidarsi di Lui solo se soddisfa le “mie” richieste. Significa però farsi un “dio” a proprio uso e consumo e pregare un idolo o un superuomo incaricato di debellare malattie o di superare esami al posto mio.

L’esatto opposto del Dio di Gesù che ci salva facendosi pane per noi e lasciando che il male avanzi su di Lui per vincerlo una volta per tutte. Ecco la buona notizia con cui la chiesa ci invita a iniziare la quaresima: fissare Gesù, l’uomo nuovo che – come noi – è stato attraversato dalle tentazioni dell’avere, del prendere, del potere, della gloria e del ridurre “dio” a un idolo, ma che – per noi – le ha vinte perché ognuno di noi possa fare sua l’umanità liberata dalle ferite inferte dall’egoismo, dalle ingiustizie e dalla violenza.

Buona quaresima con l’augurio che i venti di Pace spazzino via le follie della guerra.

 

                                 Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    sei unico: per soddisfare la tua fame non hai accettato di trasformare una pietra in pane. Quando però hai visto che la folla che ti seguiva era stanca e senza cibo ti sei subito adoperato per dare loro pane e pesci.

Per gli altri il miracolo lo hai fatto. Per te, no.

Per questo – secondo me – sei Dio: perché al primo posto non metti mai te stesso, ma sempre gli altri. Noi.

Grazie Gesù perché ti chiami Emanuele che vuole dire “Dio-con-noi”, ma secondo me si può anche dire che il Tuo secondo nome è “Dio-per-noi”.

Avevo bisogno della Quaresima, Gesù. Per ricordarmi che la bellezza del vivere è data dal mettere in pratica questa parolina: “per”.

Aiutami a vivere “per” gli altri e a non pensare solo a me stesso.

Gesù: donaci la Pace e fai finire questa brutta guerra che fa tanto male a tutti.

VIII DOMENICA ANNO C con preghiera dei piccoli

VIII DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

  Luca 6, 39-45

«Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 41Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. 43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d'altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

 

Tra guerra in Ucraina, pandemia che rallenta ma che non scompare, bollette impazzite e aumento a dismisura delle condizioni di povertà (con tutto ciò che ne consegue sul piano relazionale, sociale e politico), siamo tutti letteralmente “frastornati”, confusi e, per usare un’immagine efficace, “come alunni senza maestro”. Abbiamo l’impressione (concreta) di essere senza guide, senza punti di riferimenti validi e alle prese con tanti (troppi) venditori ambulanti che espongono, gridando l’uno sull’altro, la propria merce per ampliare il proprio tornaconto personale (che spesso si riduce al consenso elettorale).

Le parole di Gesù che ci vengono offerte oggi per la nostra preghiera domenicale sembrano adatte al nostro contesto. Ieri come oggi c’era un’abbondanza di “guide” e di “maestri” da creare confusione e disorientamento. Significa che anche ai tempi di Gesù erano tanti coloro che senza titoli per insegnare a scuola si presentavano come “guide”, “maestri” e “docenti” pur di non lavorare. San Luca definisce queste figure con un’immagine molto efficace: “guide cieche” che in nessun modo possono guidare un altro. Ed è un rimprovero che Gesù si può permettere perché Lui è realmente Pastore, Guida e – in una parola – Maestro. Il che vuole dire che la prima buona notizia che ricaviamo da questo Vangelo è che non siamo soli e nessuno di noi è senza Maestro. È vero: abbiamo spesso la tentazione di spegnere il telegiornale perché alle prese con troppe brutte notizie che non riusciamo a comprendere, ma non siamo “soli”: Lui – “lampada per i nostri passi” e porto sicuro in cui approdare – c’è, è presente e non si stanca di offrici la Sua Parola e il Suo insegnamento perché nessuno di noi si smarrisca per le strade di questo mondo. Ed è un Gesù che non vende ricette, che non dice chi ha ragione nei tanti litigi in cui ogni giorno ci scontriamo e che non risolve i nostri problemi con la bacchetta magica, ma resta il nostro unico Maestro che ci dona la forza di essere buoni, di non giudicare, di anteporre l’altro all’io e di entrare – una volta per tutte – nella pratica del servizio, per stare bene.

Ma c’è un ulteriore insegnamento che possiamo trarre da questa inesauribile pagina di vangelo. La famosa immagine della trave nel proprio occhio e della pagliuzza in quella del fratello, ci permette di rivedere radicalmente il nostro modo di “guardare”. Quante volte guardiamo l’altro con l’occhio storto dell’invidia e in lui vediamo solo ombre! Quante persone – al contrario –si rovinano la vita per “copiare” il “fare” di questo o quel cantante, calciatore, attrice o diva! Ed è uno sguardo sull’altro – sembra dirci Gesù – perché abbiamo paura di guardare noi stessi con la bontà con cui Gesù appoggia i suoi occhi su di noi. Quante volte il singolo ha paura di guardarsi dentro perché si “sente” incapace, inadatto, inadeguato, non amato, non bello, etc. etc.

Ecco la seconda buona notizia: lo sguardo e la Parola di Gesù su di noi ci libera dalla trave che avvelena il nostro sguardo di noi e sui fratelli che ci vivono accanto.

Guidati da Gesù scopriamo che ognuno di noi è migliore di quanto lui stesso creda ed è realmente capace di fare il bene, con il Suo aiuto. Guidati da Gesù impariamo anche a vedere la parte sana dell’altro e ad allearci con questa senza inutili e nocivi giudizi.

Si noti la sfumatura: Gesù non parla di “albero cattivo”, ma di “albero malato/guasto”. Il particolare è importante perché ci dice, ci ricorda e ci conferma che se facciamo il male e non facciamo il bene è perché ci siamo “ammalati”, non perché siamo definitivamente cattivi. Gesù è il Maestro che con la sua Parola “cura” l’albero della nostra vita e ci abilita a fare azioni buone, vere, cariche di bontà, di amore e di giustizia. È possibile, ci dice il Vangelo di questa domenica, tirare fuori dal nostro cuore tutto il bene che c’è (e che spesso non vediamo o neghiamo) e guardare in modo diverso, bello e buono noi stessi, gli altri e il mondo intero.

Buona domenica.

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                  da grande voglio fare il maestro.

E mi piacerebbe diventare bravo come Simone: il mio maestro che ci sa tenere, ci fa giocare e che quando spiega restiamo tutti a bocca aperta ad ascoltarlo.

Anche aiutare mia sorella più piccola a fare i compiti mi piace. E soprattutto sento che dedicare del tempo a chi ha bisogno di me mi fa stare bene.

E sai che cosa ho pensato ascoltando questo Vangelo? Che se da grande farò l’insegnante, voglio continuare a restare tuo alunno e sentire che sei Tu il mio unico e solo Maestro.

Mi piace la Tua pazienza con tutti noi. Ed è bello scoprire dal Vangelo che Tu non fai mai sconti a chi ti segue, ma che lo aspetti sempre e che aiuti tutti a rialzarsi.

Che ne dici della mia idea? Fare il “maestro” e – allo stesso tempo – restare “Tuo” alunno.

Grazie Gesù.

VII DOMENICA ANNO C

 

VII DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Luca 6, 27-38

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli]: «Ma a voi che ascoltate, io dico:

amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi

maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla

guancia, offri anche l'altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la

tunica. Da' a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate

quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale

gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi  sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà  misurato a voi in cambio"».

 

Siamo stati, per mesi, con il fiato sospeso per gli arsenali militari “piazzati” sui confini della Crimea, per le navi da guerra nei nostri mari europei, per il continuo invio di truppe e di soldati in Polonia o in Bielorussia pronti a fronteggiare gli attacchi della Russia.

A livello superficiale noi, Europa Occidentale, abbiamo temuto la guerra nell’Est europeo per le conseguenze (disastrose) sul piano economico e per timore di assistere al chiudersi dei rubinetti del gas proveniente dalla Russia. Più in profondità, però, ci siamo anche resi conto che il dramma della guerra non è solo quello economico, ma – come ci ha ricordato molto bene Papa Francesco – soprattutto quello etico e umano. La guerra è un’anti-creazione con l’uso della violenza, ci ha ricordato Papa Bergoglio. Ed è per questo che le attività diplomatiche hanno lavorato senza sosta per impedire il deflagrare di questa inutile e dannosa strage: perché con la guerra attuale, il 90% delle vittime sono civili (che non sanno nemmeno perché gli piovono bombe sulla testa, come diceva Gino Strada) e mentre i mandanti ricchi ampliano le loro ricchezze, i poveri sprofondano sempre più nella miseria.

Alla luce di queste riflessioni diventano sagge, indispensabili e profondamente umane le parole che il Vangelo ci propone in questa domenica di febbraio 2022. Anche perché da sempre il compito fondamentale dell’umanità – per salvare vita e convivenza - è quello del provare, ad ogni costo, ad impedire l’avvio della violenza che, una volta innestata, diventa forza distruttrice e inarrestabile. Si pensi al dramma della vendetta che obbliga chi ha ricevuto un male morale a reagire con lo stesso veleno fino a diventare violento (e illudendosi così di onorare la vittima). In realtà si amplia il male e si permane tragicamente nello spazio della violenza e della morte inaugurato da chi ha commesso il male.

Per porre un argine allo strapotere della vendetta, l’umanità aveva inventato la cosiddetta “legge del taglione”: occhio per occhio e dente per dente.  Come a dire: non andare mai oltre il male ricevuto nell’esercitare la tua vendetta. Ma la violenza una volta innescata – lo sappiamo – non conosce confini e travolge tutti e tutto (al punto che diventa possibile uccidere l’altro per un parcheggio rubato). Faide, stragi, guerre e conflitti in famiglia o internazionali hanno tutte la stessa convinzione: illudersi di ottenere, con la violenza, risultati considerati risolutivi per le proprie presunte ragioni. In realtà la violenza consolida sempre e soltanto logiche di morte. San Luca ci presenta oggi la proposta di Gesù in grado di sradicare – dal nostro cuore – quella quota di male e di violenza che ci rende tutti (nessuno escluso) deboli, fragili, peccatori e capaci di fare il male. Gesù ci chiede – con il Suo aiuto - di vincere il male (ricevuto) con il bene, con l’amore e con il perdono senza lasciare che la disumanità della vendetta ci paralizzi, ci impedisca di fare il bene e ci faccia annegare nelle logiche dell’odio.

La proposta di Gesù diventa così “pane” che nutre il nostro cuore e che lo educa a non giudicare, a non condannare, a perdonare e a dare. Due precise richieste a non fare un qualcosa che ci fa male: non giudicare e non condannare. E solo chi ha provato a mettere in pratica questi scomodi consigli sa quanta libertà generi il sospendere i giudizi, i pettegolezzi, le calunnie contro l’altro. Per scoprire che siamo chiamati a fare il bene e a donare (non siamo nati per tenere memoria del torto ricevuto e per restare imprigionati nelle sabbie mobili dell’odio). Un insegnamento scomodo – quello che Gesù ci consegna dopo le beatitudini – ma che ci permette di godere dell’amore del Padre misericordioso per diventare misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Si tenga presente che Gesù Signore non ci guida solo con il suo esempio (perché ha sempre saldato il suo dire al fare: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”), ma anche con la Sua grazia e la Sua presenza nella nostra vita per renderci capaci di fermare la strisciante violenza che c’è in noi fino a convincerci che perdonare chi ci ha offeso è fonte di libertà. E se non riusciamo subito a perdonare, possiamo sempre pregare per chi ci ha fatto del male. Il solo modo per sciogliere rancori e desideri distruttivi di vendetta che ci legano al male e ci impediscono di fare il bene. Buona domenica.

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    mamma dice che sono permaloso e che non so perdonare. E forse è vero. Quando ricevo un torto faccio il possibile per restituire tutto e forse anche di più.

Però hai ragione Tu: dopo che mi sono vendicato, non mi sento migliore.

La scorsa settimana, però, ho provato a fare come proponi Tu. Fabio mi ha fatto un brutto fallo e io non ho reagito come al solito. Ho compreso il suo sbaglio e gli ho fatto capire che lo perdonavo. Lui prima mi ha chiesto scusa e poi mi ha abbracciato.

Gesù, aiutami a capire la bellezza del perdono. Liberami dalla tentazione della vendetta e convinci il mio cuore che “forte” non è chi ad ogni calcio ricevuto ne restituisce due, ma chi tende la mano, chi accetta le scuse, chi perdona e chi fa del bene anche a chi gli sta antipatico.

Gesù sei unico.

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  C con preghiera dei piccoli

 

Luca  6, 17.20-26

 

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. 

C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone. 

Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:

«Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.

Beati voi che ora piangete, perché riderete. 

Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.  

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.

Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.

Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.

Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.

Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti». 

 

C’è voglia di normalità nell’aria. Per chi sta all’aperto non c’è più l’obbligo della mascherina; i contagi sembrano in netta discesa e gli ospedali – così ci dicono – sono meno intasati. Anche stadi e discoteche stanno riaprendo. Segno che con il ritorno alla “normalità” si fa nuovamente strada la vocazione dell’uomo all’essere “riuscito”, “realizzato”, “felice” o, come propone il Vangelo, “beato”.

Purtroppo, però, tra normalità e felicità non c’è un meccanismo di continuità certa. Lo sappiamo tutti: la ripresa di attività fino a ieri interdette non consegna in modo automatico la serenità, lo star bene o la felicità. Anche perché chi ci ha creati (a Sua immagine e somiglianza), le regole chiamate a condurci alla felicità le ha inscritte nel nostro cuore (e non le ha affidate al semplice sopravvivere tra lavoro e divertimento).

Il passo del Vangelo di san Luca che ci viene proposto oggi descrive esattamente il movimento necessario al raggiungere la felicità. Sono tanti coloro che inseguono Gesù. Provengono da tutta la Giudea, da Gerusalemme e persino dal litorale di Tiro e Sidone (e dunque non appartenenti al popolo di Israele). Gesù non respinge nessuno (è venuto per tutti!), ma per comprendere fino in fondo le sue parole – ecco il forte messaggio dell’evangelista – bisogna diventare “suoi discepoli”. È necessario, cioè, seguire il Maestro, stare con Lui, interiorizzare ciò che fa, ciò che dice e assumere la sua mentalità.

Solo chi diventa “suo discepolo” è in grado di cogliere la forza e la bellezza del Suo insegnamento. Premessa indispensabile per cadere nell’errore del pensare che le parole di Gesù sono rivolte ai poveri per provare a consolarli (e invitarli a non protestare!). Niente di tutto questo. Per Gesù la miseria che nega la dignità umana, non è mai un valore, ma una condizione negativa che denuncia ingiustizie e che deve essere contrastata. Sempre.

Il testo di san Luca dice altro. Gesù rivolge il suo sguardo verso i suoi discepoli (“alzàti gli occhi verso i suoi discepoli”) ed è a loro – ai suoi discepoli! – che dice “Beati voi, poveri”. Il “voi” di Gesù è perciò riferito a quanti lo hanno scelto come Maestro (non ai poveri che vivono nell’indigenza) e conferma il fatto che chi ha lasciato tutto per seguire Gesù, non ha perso nulla, ma ha trovato la pienezza del Regno di Dio che rende possibile una vita nuova, solida e indistruttibile. Nel capitolo precedente a questo discorso di Gesù, san Luca annota che Simone e soci non solo rispondono positivamente alla chiamata di Gesù, ma che “lasciarono tutto e lo seguirono”.

Ed è a loro – a chi ha lasciato tutto per seguirLo – che Gesù dice “beati voi”. 

Molti pensano che la vita cristiana sia solo sofferenza o un continuo rinunciare a quanto genera piacere e positività in nome di una spiritualità tutta sacrifici e mortificazioni. In realtà la proposta di Gesù è molto più ampia. Il “lasciare” che propone Gesù è un forte invito (liberante!) ad uscire dall’egoismo che ci mangia l’anima. Significa prendere le distanze dalla voglia di possedere, di accumulare, di vincere o di apparire che avvelena la vita. Quando “la barca” (il lavoro) diventa un idolo che si mangia la serenità e che obbliga a vivere per fare soldi, Gesù chiede di lasciarlo per seguire il solo Dio che non si fa idolo e che non si fa servire. Quando si vive per contare il denaro accumulato (e non lo si usa per chi ne ha realmente bisogno), si entra nell’avarizia che rende brutti dentro e fuori. Se il divertirsi diventa un assoluto che rovina la salute ed espone la vita a rischi inutili (si pensi alle “stragi del sabato sera”), quello “sballo” va “lasciato” perché non riposa, non diverte e perché nega umanità.

Il mio augurio è che alla voglia di normalità segua anche la doverosa voglia di felicità e non si dimentichi – mai – che il vero essere “beati” è dato dal dare, dal donare e dall’amare che ci propone Gesù. Tutto il resto (prendere, possedere, accumulare, contare, apparire o dominare) ci rovina la sola vita che abbiamo.

Un’ultima annotazione: per una simpatica coincidenza, nel giorno in cui la tradizione popolare ricorda san Valentino e ci immerge nella festa degli innamorati, la chiesa ricorda i santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa. Due santi che hanno speso la loro vita per “difendere” l’Europa dall’egoismo con la forza del Vangelo e non per blindare i nostri confini con la brutalità di muri e filo spinato. Auguri a tutti coloro che nei loro amori si sentono ancora innamorati e a quanti hanno capito che accoglienza e fraternità sono il fondamento dell’Europa e lo spartito della felicità. Buona domenica.     

                                                                                                                                                                                                                      

                                   Preghiera dei piccoli 

Caro Gesù,                                                          

                    dopo la lettura del Vangelo ho pensato al ragazzino che Ti ha dato i suoi cinque pani d’orzo e due pesci per aiutarti a sfamare tutta la folla che ti seguiva.

Era il suo pranzo al sacco. Poteva tenerlo per sé. Poteva nascondere il suo pasto per non doverlo condividere con Te e con gli altri.

Ha fatto il contrario: Ti ha dato quello che aveva e ha condiviso il poco che teneva nel suo zainetto per sfamare gli altri. 

E che cosa è successo? Il ragazzino non è diventato povero; non ha fatto la fame. Si è sfamato come tutti quelli che erano con lui e si è sentito contento, come dici Tu, “beato”.

Grazie Gesù. Oggi l’ho capito: condividere il poco che si ha per aiutare chi non ha niente, non ci porta alla miseria, ma ci regala il sorriso della giustizia e della bontà.

papa Francesco, Angelus del 6.2.2022

«Con Gesù si naviga nel mare della vita senza paura, senza cedere alla delusione quando non si pesca nulla e senza arrendersi al “non c’è più niente da fare”. Sempre, nella vita personale come in quella della Chiesa e della società, c’è qualcosa di bello e di coraggioso che si può fare, sempre. Sempre possiamo ricominciare, sempre il Signore ci invita a rimetterci in gioco perché Lui apre nuove possibilità. E allora accogliamo l’invito: scacciamo il pessimismo e la sfiducia e prendiamo il largo con Gesù! Anche la nostra piccola barca vuota assisterà a una pesca miracolosa».

 

                 papa Francesco, Angelus del 6.2.2022

V DOMENICA ANNO C

V  DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Luca 5, 1-11

 

«1Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono
».

 

 

Si ha quasi l’impressione, leggendo la pagina di Vangelo che la chiesa ci propone in questa prima domenica di febbraio, che lo Spirito Santo abbia intercettato le nostre paure, insicurezze, chiusure e fragilità per curarle con una pagina di Vangelo ariosa, aperta alla speranza e capace di infondere coraggio.

Siamo all’inizio del capitolo quinto del Vangelo di san Luca. Dopo aver insegnato in riva al lago, Gesù dice a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”.

Parole che infondono coraggio (“Prendi il largo”), che spingono ad uscire, ad andare verso mete lontane sicuri del fatto che le aspettative non andranno tradite. Prestiamo però attenzione al fatto che Gesù non invita ad un andare generico e sinonimo di vagabondare a vuoto. Il Maestro chiede a Simone a ai suoi “colleghi” di andare lontano e di “gettare le vostre reti per la pesca”. Propone cioè di fidarsi del loro lavoro e di osare ancora una volta il gesto quotidiano della propria attività anche se le fatiche, fino a quel momento registrare, sembrerebbero dire il contrario (“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”). Ed eccoci alle prese con il nostro tempo.

Non siamo anche noi stanchi (persino sfiniti) a causa di una pandemia che da oltre due anni paralizza il mondo? Quanti lavoratori potrebbero dire, come Simone, “Maestro abbiamo aperto il nostro esercizio commerciale, abbiamo tenuta aperta l’azienda, abbiamo continuato a produrre., “ma non abbiamo preso niente”? E quanti sono coloro che, bloccati dalla paura, non riescono a decidere di ricevere il vaccino e rischiano malattie e gravosi ricoveri ospedalieri? Ma le paure non riguardano solo i contesti sanitari o legati alla pandemia. Si allargano anche alle realtà educative delle nostre famiglie. E così c’è paura a mettere al mondo figli (l’inverno demografico che vive il nostro Paese, così lo ha definito Papa Francesco, è oggettivamente preoccupante); si è impauriti del loro crescere e dei pericoli che possono “abbattersi” su loro futuro; si ha paura di lavorare, ma anche di non riuscire più ad andare in pensione. Paura del presente, paura del futuro, paura per sé e paura per i propri cari… . Paure continue che ci bloccano e che non ci aiutano a “prendere il largo”, ma che ci vedono costantemente alle prese con quel navigare lungo la costa e in quelle acque basse e conosciute che non ci permettono di vivere pienamente.

Profondo conoscitore del cuore umano, san Luca sa che solo Gesù è il Maestro capace di “vincere” le nostre (tante) paure che avvelenano i nostri giorni. Gesù, tra l’altro, sa molto bene che alle prese con le nostre fragilità e debolezze molte volte “non prendiamo nulla”. E proprio per questo cerca in modo speciale chi è finalmente riuscito a prendere coscienza dei suoi limiti e dei suoi fallimenti. Siamo noi che non sappiamo perdere e che consideriamo un fallimento la sconfitta. La logica di san Luca è diversa: solo chi prende coscienza dei suoi limiti, solo chi si riconcilia con la propria fragilità e solo chi accoglie la sua debolezza con libertà e leggerezza è in grado di fidarsi del Signore Gesù e della sua Parola.

Simone ha finalmente capito che il senso della vita non è dato dal contare solo sulle proprie forze, di fidarsi e di abbandonarsi alla Parola di Gesù (“Sulla tua parola getterò le reti”). E con il suo gruppo di colleghi (perché l’invito di Gesù è sempre aperto, arioso e coinvolgente la comunità) fa come gli è stato chiesto dal Maestro. E che cosa scopre? Non solo che le reti “quasi si rompevano”, ma quella Parola ha cambiato – per sempre – il suo modo di vivere e lo “ha aperto” a una nuova esistenza: quella di chi ha capito che vivere significa essere “pescatore di uomini”. Per la mentalità ebraica mare e acque erano il simbolo del “male”. Diventare “pescatore di uomini”, per Gesù, significa portare fuori dal male, dall’egoismo e dall’ingiustizia chi ci vive acanto. Anche perché solo quando la nostra vita si apre agli altri (ed esce dall’acquitrino a cui ci costringe l’egoismo e il pensare solo a se stessi) si intravede l’orizzonte ampio che rende sereni, beati e liberi.

Da non dimenticare: Gesù non chiede a chi segue il suo Vangelo di farsi prete o suora! Ma di prendere il largo e di vivere per gli altri. Premessa e promessa di libertà.

Buona domenica.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    “prendi il largo” è un’espressione che mi piace tanto. Soprattutto oggi che tutti ci dicono di non uscire, di non andare lontano o, come mi dice sempre mia mamma, “resta sotto casa e fatti vedere”.

Prendi il largo” fa venire voglia di crescere, di sognare, di partire e di provare a fare cose grandi.

Io non sono mai andata a pescare (anche perché non mi piace), ma la barca ho tanta voglia di prenderla. Per andare anch’io ad aiutare tutti quei migranti ammassati e disperati su barchette nella speranza di afferrare un salvagente.

Non mi dispiacerebbe – da grande – diventare una che “prende il largo” per aiutare chi scappa dalla disperazione, per portare aiuto dove c’è miseria e per far capire alle persone che solo con l’amore e con la giustizia si esce dalle invidie, delle gelosie e dall’odio che rovinano la vita.  Sei forte, Gesù.

IV DOMENICA ANNO C

IV DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

 Luca 4, 21-30

 «[Gesù in quel tempo cominciò a dire loro] “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. 23Ma egli rispose loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. 24Poi aggiunse: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”.28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino».

 

Arriviamo da una settimana delicatissima per la vita del nostro Paese: l’elezione del Capo dello Stato da parte dei cosiddetti “grandi elettori” riuniti in sessione plenaria alla Camera dei Deputati. Tutti (ma proprio tutti) dichiarano di lavorare per proporre una persona di “altissimo livello”, di fama indiscussa e, ovviamente, “super partes” affinché possa diventare “il candidato condiviso da tutti”. Allo stesso modo, però, tutti si spendono per proporre il “loro” candidato: quello più vicino alle sensibilità del loro partito, quello meno distante dalla propria visione della politica e quello in cui chi lo propone si può riconoscere. Se questo doppio binario (dichiarazioni teoriche altisonanti e operatività spesa per portare l’acqua al proprio mulino) blocca la politica, proviamo ad immaginare quando questo meccanismo entra nel mondo della fede.

A parole (ma anche nei fatti) siamo tutti legati al dato religioso e agganciati al “dio” che puntualmente preghiamo prima di un esame scolastico, quando una malattia entra nella nostra casa, per difficoltà sul lavoro e che alcuni invocano prima di una partita importante e altri persino prima di una puntata nel gioco d’azzardo. Sono forme di religiosità che conosciamo e che impastano i nostri bisogni (più o meno veri o urgenti) con la supplica alla divinità di riferimento a cui si chiede di sciogliere una matassa che sul piano storico sembra troppo ingarbugliata. Quando si entra in questa prospettiva, però, il “dio” che si prega non può ascoltare le nostre richieste per la semplice ragione che non esiste. O meglio: esiste solo nella nostra fantasia che ha generato un “dio-burattinaio” incaricato di risolvere i “miei” nodi e i “miei” problemi. Non c’è mai traccia, in questo invocare il “dio” della fantasia, degli altri e di quanti non appartengono al mio clan.

Quanto accade nella sinagoga di Nazaret tra Gesù e i suoi compaesani è esattamente questo: Gesù si presenta come il vero, il solo e l’unico volto di Dio che porta salvezza a quanti sono al fondo della fila, ai lontani. Loro – quanti lo ascoltano – non sono però assolutamente disponibili a smontare l’immagine di “dio” che si sono costruiti nella loro testa e, proprio per questo, lo respingono.

Gesù legge la Parola di Dio; la attua; la corregge; omette le parti relative alla vendetta di Dio contro i nemici di Israele e la loro riduzione in schiavitù e soprattutto svela – con il Suo dire e con il Suo fare – il vero Dio che si chiama Gesù e nel quale c’è solo amore, perdono, misericordia e presa in carico degli ultimi.

Per chi ascolta il compaesano questo linguaggio è inaccettabile. Perché non sono assolutamente disposti a permettere che Gesù “cambi” la loro idea di “dio”. Ma nel respingere Gesù, quanti sono presenti nella sinagoga lo provocano con la madre di tutte le tentazioni: “Non è il figlio di Giuseppe? Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. Come a dire che un Dio troppo immerso nel quotidiano, capace di costruire prossimità là dove siamo e soprattutto disposto a farsi uno di noi (in fila con noi!), esce dai nostri schemi. Non solo: chi si oppone Gesù gli chiede di salvare prima i suoi (quelli della sua patria) se vuole essere creduto e rendersi credibile. “Salvi se stesso, se è lui il Cristo di DIO, l’eletto” (Lc. 23,35) gli grideranno in croce quanti, per deriderlo, lo sfidano.

In Gesù, però, l’altro ha sempre la precedenza sul “mio” e sui nostri. Per il Dio di Gesù non esiste “prima i nostri”, ma sempre e solo “prima chi ha bisogno”.

Per la nostra spiritualità la provocazione è alta: siamo dalla parte di chi ascolta Gesù e lascia che i suoi schemi innovativi cambino il nostro modo di pensare, di agire, di pregare e di vivere oppure restiamo “fermi” nei nostri schemi religiosi, preghiamo “dio” quando ne abbiamo bisogno e imponiamo le nostre parole, le nostre richieste e i nostri schemi anche a Lui? Bella la conclusione del passo: “Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. Per dirci che Gesù è sempre in mezzo a noi (“Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!»” – Lc. 24,36): per aiutarci a camminare al Suo seguito e per trovare la libertà che si sperimenta quando si scommette la propria vita per metterla al servizio degli altri e in modo particolare dei più deboli.

Buona domenica.

Preghiera dei fanciulli

Caro Gesù,

                   appena ascoltato questo racconto non mi erano chiare le critiche dei tuoi paesani.

Poi ho capito: sono arrabbiati con Te perché non hai fatto il bene nella vostra “patria”. E ti chiedono di fare i miracoli per loro e davanti ai loro occhi, per potersi fidare di Te.

Per questo Ti vogliono prendere, catturare, cacciare e gettare giù dalla rupe: perché hai dato la precedenza a chi, anche se lontano, aveva bisogno del Tuo aiuto.

Per Te, però, non esistono i “vicini” e i “lontani”.

Il Tuo pensiero non è mai “prima i nostri”, ma sempre e solo “prima chi sta male”.

Bello anche il fatto che non riescono a prenderTi.

Tu passi in mezzo a tutti loro, ma nessuno riesce a catturare i tuoi insegnamenti per usarli contro i poveri. Grazie Gesù.

III DOMENICA ANNO C

III DOMENICA ANNO C con preghiera dei piccoli

Luca 1, 1-4; 4, 14-21

 «1Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, 2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, 3così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, 4in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. 14Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. 16Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 18Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19a proclamare l’anno di grazia del Signore. 20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

 

Se san Luca prende la decisione di scrivere “un resoconto ordinato” sulla vicenda Gesù di Nazaret è perché le comunità che incontra sono immerse nella disperazione causata dalla violenza dell’Impero Romano e dalla miseria più estrema. L’evangelista intuisce che il solo modo per riportare luce e speranza a chi è avvolto dalle tenebre è quello di educarlo a stare con un testo scritto incaricato di rendere presente il Signore Gesù in chi lo legge e lo ascolta.

Pochi decenni dopo l’opera di san Luca, il suo scritto (assieme a quelli di Matteo, Marco e Giovanni) verrà chiamato “Vangelo”, termine greco che significa “Buona Notizia” per ricordare che la sola fonte della gioia e della speranza è il Signore Gesù (e non le visite dell’Imperatore Romano”).

Significa, per essere concreti, che quando si è in mezzo alla tempesta, il solo modo per ritrovare serenità e voglia di vivere è quello di lasciarsi trovare dal Signore Gesù presente nella lettura, nella meditazione e nella preghiera del Suo Vangelo.

Nella Domenica della Parola fortemente voluta da Papa Francesco non dovremmo mai dimenticare questa fondamentale intuizione di san Luca. È vero: oggi le ragioni della speranza sono sempre meno. La pandemia non si ferma, l’inflazione sta rialzando la testa, i costi dell’energia sembrano impazziti, la metà delle classi scolastiche sono in didattica a distanza… . Per non parlare del Sud del mondo: non vaccinato e schiacciato tra guerre, cambiamenti climatici che causano siccità e fame bisogno di emigrare.

Che fare? È questa la domanda obbligata che affiora sulle nostre labbra. Per san Luca non ci sono dubbi: stare di più con il Signore Gesù presente nel Vangelo è il solo modo che ci aiuta a ritrovare le ragioni (vere) della speranza. Anche perché è questo il solo sentiero che ci rigenera: fermarsi per imparare ad ascoltare il Signore Gesù presente nel Vangelo con l’aiuto della comunità cristiana e con il supporto di libri, di commenti, di guide e di testi in grado di aiutarci ad entrare nella sola Parola che slava.

Si vedano gli otto versetti del capitolo quarto che la chiesa ci propone oggi. Gesù torna dove era cresciuto. Ormai, diremmo noi, è diventato famoso. Le folle lo cercano e lo inseguono non solo perché insegna e predica bene, ma anche perché si fa carico di chi è stanco, oppresso e senza speranza: sfama gli affamati, guarisce gli ammalati, perdona i peccati, etc. Ma cosa fa Gesù rientrato a Nazaret? Si reca nella sinagoga: dove la gente cerca Dio e parole vere di consolazione. Prima di iniziare a parlare, Gesù si fa dare il rotolo del profeta Isaia, la Parola di Dio. Lo apre (non lo tiene chiuso su un tavolo), legge il passo in cui viene promesso il lieto annuncio ai poveri, la liberazione dei prigionieri, la vista ai ciechi e la libertà per gli oppressi e poi lo richiude. Come a dire: per il pregare adulto, non partire mai da te, ma inizia sempre dall’ascolto della Parola di Dio.

Rientriamo però nel testo. Tutti fissano Gesù. Si aspettano il commento, la “predica” diremmo noi. Che non tarda ad arrivare. Composta però da sole dieci parole: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. La nostra salvezza – scrive san Luca – non proviene dal “passato” (con perenni nostalgie che ci rendono sempre fuori posto) e nemmeno dal “futuro” (lavorare giorno e notte per garantire un domani sereno ai miei figli!). La nostra salvezza si trova nel Vangelo del Signore Gesù accolto, “aperto”, letto, ascoltato e meditato “oggi”.

Oggi è nato per voi un Salvatore” dice l’angelo ai pastori che vegliavano il gregge.

Oggi per questa casa è venuta la salvezza” dice Gesù a Zaccheo che lo cerca e che si lascia trovare dal Signore (Lc. 19, 9). “Oggi sarai con me nel paradiso” assicura Gesù al ladrone che lo prega in croce.

San Luca sa molto bene che ieri e domani sono le trappole del nostro vivere che ci allontanano dalla verità, dalla libertà e dall’essere beati.

Il Vangelo non cancella con un colpo di spugna ciò che ci inquieta. Ma ci assicura che nonostante scenari cupi e pesanti anche nel nostro oggi è possibile ritrovare le ragioni della speranza. Con la forza e la bellezza del Vangelo che permette, anche a noi, di dire: “Oggi abbiamo visto cose prodigiose” (Lc. 5,26)

 Preghiera dei fanciulli

Caro Gesù,

                    mi hai messo in crisi. Io dico sempre “poi”, “dopo” o “domani”. Per spostare a chissà quando quello che dovrei fare adesso.

Tu, invece, dici “oggi”. Ed è una parolina che voglio farmi entrare nel cuore e nella mente.

Tu non hai detto “domani”, “dopodomani” o “tra qualche giorno”. Hai detto “oggi”.

E come dicono i miei genitori, “Oggi” vuole dire “adesso” “subito”, non “mai più”.

Gesù grazie perché Tu sei con noi “Oggi”, non domani.

Grazie Gesù perché ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi e agli oppressi non hai detto “Domani vi aiuterò”, ma hai ribadito con forza che Tu ti prendi cura di loro “oggi”.

Proprio come hai detto a chi moriva in croce con Te: “Oggi sarai con me in paradiso”.

P.S. Gesù, puoi chiedere alla Maestra di spiegarci il Giorno della Memoria senza farci vedere film che non mi fanno dormire?

II DOMENICA TEMPO ORDINARIO C

II DOMENICA TEMPO ORDINARIO C con preghiera dei fanciulli

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-12)

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

 

A Cana di Galilea è la mancanza di vino ciò che sta rovinando la festa nuziale.

In moltissime nostre “case” è la sovrabbondanza di vino e di alcol ciò che avvelena la vita di chi ne abusa e dei congiunti. I dati parlano chiaro: in Italia sono otto milioni e 700mila i consumatori a forte rischio di alcolismo cronico, 65mila le persone alcoldipendenti prese in carico dai servizi alcologici, e sono oltre 5.000 incidenti stradali rilevati soltanto da Polizia e Carabinieri causati dall’abuso di alcol. La fascia di popolazione più a rischio per entrambi i generi è quelle dei 16-17enni. Con circa 800.000 minorenni che abusano di alcol con gravi rischi per la loro salute e per il loro futuro.

Contesti e scenari opposti. Che confermano – però – come non sia il “vino” la sorgente della festa e nemmeno della gioia. Ed è ciò che si rende visibile a occhio nudo: sono tanti gli adulti che invece di acquisire saggezza si illudono di bere l’elisir dell’eterna giovinezza ritrovandosi – però – sempre più soli, delusi e amareggiati del vivere. Così come sono tanti (troppi) i ragazzi e giovani che non sanno più divertirsi e che, proprio per questo, si vedono costretti a stordirsi con un bere disordinato almeno quanto il loro vivere. Ma se nemmeno il “vino” ci immerge nella gioia, quali sono i sentieri che rendono la nostra vita leggera, libera e aperta alla felicità?

Il veloce ma inesauribile racconto di san Giovanni viene in nostro aiuto per fornirci la risposta. E come guida e modello per il nostro essere e fare l’evangelista ci addita Maria, la mamma di Gesù. La quale si accorge di quanto sta accadendo; coglie la privazione che sta rovinando il banchetto e non solo vede ciò che nessuno scorge, ma si adopera per porre rimedio chiedendo aiuto al Figlio suo Gesù.

Chi resta avvolto dalle nebbie dell’individualismo e dell’autoreferenzialità non ha occhi per vedere le privazioni altrui. Così facendo, però, lo sguardo di chi fissa solo e sempre se stesso non si apre alla possibilità di occuparsi di altri: la vera fonte della gioia. Nei pressi delle nostre case camminano persone senza dimora, immigrati disperati, detenuti in permesso premio obbligati a rientrare in carcere dopo pochi giorni di soggiorno in famiglia, persone sole, ammalati, famiglie segnate dalla divisione, giovani disoccupati che si caricano di depressione e di rabbia. Il primo passo per arrivare alla gioia è imparare a vedere queste fatiche che ci passano accanto e desiderare di adoperarsi per rendere meno amare quelle condizioni. Non si possono risolvere tutti i problemi del mondo, ma si può chiedere aiuto al Signore Gesù perché ci renda meno indifferenti, più solidali e più attivi verso i bisognosi.

Si noti il contrasto tra la mamma di Gesù e il direttore del banchetto. Maria è vigile, attenta, si impegna a trovare soluzioni per problemi che non sono i suoi e coinvolge Gesù perché la aiuti. Il direttore del banchetto non si accorge di nulla. È “straniero” sul suo posto di lavoro e diventa il simbolo di chi “si lascia vivere senza vivere”, di chi non si accorge di nulla nemmeno in casa sua. Una perfetta descrizione di chi oggi, nella nostra società, si muove in modo “stanco” e “svogliato” tra casa e lavoro senza accorgersi che nella sua vita e nella sua famiglia manca il vino della gioia. Purtroppo sono tante le coppie che, cessato l’innamoramento, rischiano la solitudine a due; sono tante le case con tante lampade e con vetrinette cariche di vino e di liquori che fanno esperienza di buio, di noia e di tristezza.

Per san Giovanni la buona notizia della gioia “a portata di mano” non è garantita dal vino, ma dalla presenza del Signore Gesù che, con la Sua Parola, ci insegna la Strada della felicità: accorgersi di chi, vicino a noi, è senza sorriso per aiutarlo a ritrovare dignità e libertà. Il senso della vita non è dato dall’organizzare il “mio” banchetto, ci dice san Giovanni, ma dall’adoperarsi perché chi è senza mensa, senza festa e solo si veda aiutato a ritrovare dignità e libertà. Come ha detto David Sassoli nel suo ultimo discorso: “La speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo contro tutte le ingiustizie.”. Al quale va la nostra profonda riconoscenza oltre a un ricordo costante nelle preghiere per lui e per la sua famiglia.

                  

Preghiera dei fanciulli                      

                           Caro Gesù,

                   a casa mia il vino ma manca mai, ma mio papà beve troppo. Si ubriaca e poi urla e tratta male tutti.

Spesso, Gesù, nelle mie preghiere ti chiedo di fare il miracolo al contrario e di trasformare tutto il vino cha papà si compra in acqua.

Poi però mi accorgo che non ha senso.

Anche perché ormai l’ho capito: con o senza vino, se Tu non ci aiuti, le nostre case non conoscono la gioia.

Ho letto sul giornale che in Italia sono circa 40.000 le persone che ogni anno muoiono perché bevono troppo alcol e che, solo nel nostro Paese, più di 8 milioni di persone sono a rischio di alcolismo grave.

Gesù aiutaci a non diventare come chi dirige il banchetto che è in mezzo a tutti, ma non si accorge di nulla.

E grazie, Gesù, anche per mamma Mariae e per la sua delicatezza.

BATTESIMO DEL SIGNORE anno C

BATTESIMO DEL SIGNORE  anno C   con preghiera dei piccoli

 

Vangelo di Luca  3,15-16.21-22
 In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

La voce dal cielo che accompagna lo Spirito Santo che scende su Gesù nel momento del battesimo, non testimonia solo che Lui è il “Figlio amato” da Dio, ma valorizza e conferma anche il processo di riconoscimento prima descritto. Per essere chiari. anche la risposta data da Giovanni Battista al popolo in attesa del Messia deve essere riconosciuta come profezia, come insegnamento prezioso e come stile di vita “pieno della saggezza dello Spirito”. Significa che lo Spirito che accompagna e che sostiene Gesù, illumina e guida anche Giovanni e lo ispira nell’affermare che “viene colui che è più forte di me”.

Con questa forte dichiarazione Giovanni esprime la sua profonda libertà che lo rende autentico, vero e profondamente umano. Anche perché quando il cuore si allontana da invidie, da logiche competitive, da gelosie sterili e dai deliri di onnipotenza che spingono a primeggiare ad ogni costo, si diventa umanamente “belli”.

Ed è proprio questa la “bellezza” di cui sentiamo tutti un gran bisogno. Non solo è sempre più raro trovare chi afferma che l’altro (“che viene dopo di me”) “è più forte di me”, ma in qualsiasi ambiente (sociale, politico, sportivo, culturale e persino ecclesiale) sono tanti coloro che aspirano ad una postazione apicale e sono disposti a tutto per sostenere che solo loro sono in grado di svolgere bene quell’incarico. Fin troppo facile fare un veloce richiamo alla faticosa ricerca del candidato per il seggio del Quirinale. Difficile trovare un aspirante a quella “poltrona” disposto ad affermare che esiste “uno” o “una” più competente, migliore, più giovane o “più forte di me”.

Senza questa saggezza, però, e nel rincorrere solo e sempre la propria bravura – ci dice lo Spirito Santo che ha illuminato Giovanni Battista – si diventa “vecchi” prima del tempo e aridi nel cuore. Non andrebbe mai dimenticato: vanità e ambizione si mangiano la freschezza del cuore (che si genera quando si impara a fare spazio ad altri) e si smarrisce la fiducia senza la quale qualsiasi convivenza è solo “gara” e mai incontro, festa e comunione.

Nel Battesimo di Gesù lo Spirito Santo ci guida perciò anche con la figura del suo battezzatore. E la pagina di Vangelo di Luca ci conferma che portarsi al servizio del Signore Gesù crea le condizioni perché il Suo Spirito inondi anche la nostra vita per trasfigurarla in una pienezza inattesa e carica di libertà.

Ancora un piccolo particolare. Giovanni Battista annuncia che chi viene dopo di lui “vi battezzerà in Spirito santo e fuoco”. Lo stesso evangelista, però, nel descrivere l’incontro tra Gesù risorto e i suoi discepoli a tavola, ci presenta un’affermazione del Signore che corregge la dichiarazione del Battista: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirto Santo.” (Atti 1,5). Non c’è più nessun cenno al “fuoco” – in previsione della Pentecoste – per la semplice ragione che il Dio di Gesù non conosce le logiche del castigo, della punizione eterna e della condanna (era questo il significato simbolo che veniva attribuito al “fuoco” nella letteratura religiosa).

Il messaggio è molto chiaro: la voce dal cielo conferma che Gesù il Messia da seguire. Colui che ci consegna il Suo Spirito e che ci libera dalla voglia di vincere ad ogni costo. Gesù è il Maestro che ci insegna a gioire per le competenze di una altro; che ci abilita a cedere il passo, a fidarsi del prossimo, a lasciare i propri incarichi sicuri che il bene fatto non verrà demolito e a sostenere chi è più forte di me, più bravo di me, più giovane di me e più adatto di me per questa o quella responsabilità.

Ma la voce dal cielo ci dice anche che questo Gesù – l’amato dal Padre – è anche il volto, la presenza e l’umanità di Dio che ci affianca per aiutarci ad uscire dalle nostre povertà, fragilità e schiavitù senza condannarci, senza punirci e senza bruciarci.

Da adesso in avanti il lettore vedrà – nei capitoli successivi del Vangelo di Luca – l’avanzare di Gesù sulle strade del mondo solo per “curare” e per portare misericordia senza limiti (a tutti, oltre qualsiasi confine: geografico, etnico, culturale, ideologico, etc.).

La voce dal cielo ci ricorda, perciò, che anche chi è “immerso” in Cristo e unito a Lui è amato da Dio. E in un momento in cui sembrano vincere confusione e paura (con cifre record di contagi e con numero di morti e rianimazioni quasi al collasso) che non è male lasciare che sul nostro cuore si depositi la buona notizia del Vangelo che ci conferma che siamo amati e liberati dalla tentazione del negare le qualità dell’altro.

Ancora una volta, buon anno.         

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

domani riaprono le scuole dopo le vacanze di Natale. Chissà per quanto tempo saremo “in presenza”. Bastano due contagiati in classe e si torna a fare lezione “a distanza”. E a me non piace proprio fare l’intervallo da solo.

Grazie Gesù per questo Vangelo.

Giovanni ha detto che Tu “sei più forte di lui e che Tu battezzerai in Spirito Santo e fuoco”. Tu però quando sei apparso da risorto ai tuoi discepoli hai detto loro che “tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo” (Atti 1,5).

Ho capito Gesù perché hai tolto la parola “fuoco”: perché Tu non sei venuto per punire, per distruggere o per eliminare i peccatori.

Tu correggi l’errore, ma non “bruci” (mai) chi sbaglia.

Con questi pensieri nel cuore è bello tornare a scuola.

Tra due settimane è l’undicesimo anniversario del mio battesimo.

Grazie Gesù per il dono del Tuo Spirito.