Preghiere poesie

XIV DOMENICA ANNO C

XIV DOMENICA  ANNO C con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Luca 15, 1 - 32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”.

Lo schema mentale degli scribi e dei farisei che mormorano contro Gesù perché permette anche a pubblicani e peccatori di avvicinarlo e di ascoltarlo, è molto semplice. Per loro ci sono da una parte i “buoni” (che loro chiamano i “giusti”) e dall’altra parte i “cattivi” (definiti anche impuri e/o peccatori). Mondi divisi che devono restare separati perché qualsiasi contaminazione con i “peccatori” rende “impuri” anche i giusti. Per questo criticano Gesù: perché con il suo intrattenersi con tutti senza mai badare a colpe o a condizioni sociali e religiose, aggredisce alla radice un baluardo fondamentale del loro pensiero religioso. Gesù – però – non rompe i principi di scribi e farisei per il gusto di opporsi alla loro scuola teologica. Semplicemente ha altri schemi mentali. Per Lui il mondo non si divide in “giusti” e “ingiusti” o tra “buoni” e “cattivi”. Ciò che “vede” Gesù osservando l’umanità che lo segue è la faticosa distinzione tra chi è “solo” e chi – al contrario – è immerso in una comunità che gli permette di stare nella gioia.

La parabola della pecorella smarrita diventa – così intesa – una forte provocazione per presentare al lettore del Vangelo un Gesù Pastore intenzionato a dare la vita perché nessuno si ritrovi così solo da vivere senza una comunità e, dunque, alle prese con lo star male generato dall’isolamento. Per Gesù è certamente “sola” la pecora che si è smarrita e che ha perso il contatto con il “suo” gregge. Ma sono “sole” anche le novantanove pecore che hanno perso una di loro (volutamente?) e che ora si ritrovano nel deserto senza pastore. Sola la pecora smarrita e sole le novantanove pecore lasciate nel deserto. Tutte senza pastore.

Una lucida descrizione della nostra condizione. Nella società liquida in cui viviamo siamo tutti alle prese con quella amara condizione che ci fa sentire soli: senza sostegni e senza vita comunitaria vera. Siamo sempre connessi, è vero. Ma è la conferma del fatto che siamo “soli” e lontani dalla gioia che cerchiamo. Sono soli i nostri ragazzi che si sono sbarazzati delle norme della morale sessuale dei loro nonni, ma che non hanno ancora raggiunta quella libertà affettiva e sessuale che immerge nella comunione (“Abbiamo tanta libertà sessuale noi giovani – dichiara Elisa 23 anni – ma siamo tutti alle prese con ansia, pastiglie, crisi di ogni genere e così soli da cercare aiuto dallo psicologo”). Si sente solo chi guarda al futuro. Si sente solo chi resta convinto che si stava meglio ieri (quando almeno i valori c’erano!). Soli i figli, soli i genitori. Soli gli anziani! Ma sono soli anche gli immigrati, i detenuti (che per rompere l’isolamento a cui sono condannati hanno iniziato lo sciopero della fame), chi è senza lavoro, etc. Solo e spaesato è anche chi, in questa confusa campagna elettorale in cui sembra dominare lo sparlare dell’altro anziché la presentazione dei propri programmi, non sa se votare e per quale forza politica esprimere una preferenza. Ha ragione Gesù. Il mondo non si divide in buoni e cattivi, giusti e ingiusti, puri e impuri. Siamo tutti un po’ l’uno e un po’ l’altro. La vera divisione che ci caratterizza è quella tra chi è solo e chi ha ritrovato il Pastore che rende possibile la comunione e la fraternità. A volte siamo soli e vagabondiamo per sentieri pericolosi; altre volte siamo in gruppo, ma nel “deserto”. Nell’uno e nell’altro caso siamo lontani dal Pastore che ci rende capaci di vivere quella fraternità senza la quale non c’è gioia. Abbiamo tutti bisogno di quel Pastore che si chiama Gesù e che ci consegna quel perdono senza il quale nessuno di noi esce dalle sue rigidità e dalle sue solitudini.

Lo stesso dicasi per i due fratelli della parabola che segue. Solo è chi ha sciupato i suoi averi ed è lontano da casa. Ma solo è anche chi – corroso dall’invidia – resta nei campi e non vuole prendere parte alla festa che è presente nella sua casa!

Due cose ci consegna oggi il nostro Buon Pastore: gioia e fraternità. Le due facce della stessa medaglia. Ma perché la fraternità ci immetta nella gioia vera che cerchiamo, dobbiamo lasciare che Gesù ci renda capaci di dare e di accogliere il perdono. Solo a queste condizioni avanza la Pace che non nasce da scontri armati sempre più sofisticati, ma solo dalla determinata disponibilità ad uscire dalla solitudine per ritrovare la bellezza dell’essere nuovamente insieme.

Buona domenica.

                                                                  Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                     a volte mi sento la pecora perduta che Tu vai a cercare. E mi piace pensare che mi riporti dalle altre.

Altre volte invece so di essere una delle novantanove pecore che sono rimaste nel deserto e che non si accorge di quella scappata.

Una cosa però l’ho capita: siamo tutti senza Te. Tanto chi si perde quanto chi non si accorge di niente e resta nel gruppo a mormorare contro gli altri, sono soli.

Come i due fratelli. È solo chi se ne va e spreca tutto quello che ha ed è solo anche l’altro: quello che non rientra in casa ad abbracciare chi è tornato.

Gesù aiutami a capire che solo se restiamo insieme inizia la festa.

E grazie Gesù perché non giudichi nessuno, aspetti tutti e ogni volta che litighiamo ci vieni a cercare per aiutarci a fare pace.

 

 

 

XXIII DOMENICA ANNO C

XXIII DOMENICA  ANNO C con preghiera dei piccoli

 

Luca  14, 25 – 33  

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

È un tratto distintivo della Sua persona: Gesù non insegue il successo, non accarezza il consenso e non fa sconti alle tante persone che, con eccessivo entusiasmo, lo seguono. Alla “folla numerosa che andava con Lui” Gesù detta alcune richieste che apparentemente suonano come dure e forse come troppo severe. In realtà Gesù sta presentando le condizioni che immettono nella vita beata o – come diremmo noi – che rendono felici.

Vale la pena vederle da vicino. “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, non può essere mio discepolo.”. Messaggio tanto duro quanto saggio che ricorda – a chi lo ascolta e dunque a tutti noi – che quando le relazioni all’interno della famiglia diventano un assoluto, si ammalano e rovinano l’esistenza di tutti. Lo vediamo in questa triste estate segnata anche da troppi femminicidi. Quando l’affetto diventa possessivo e segnato dal desiderio di controllo, l’altro non è mai amato, ma solo e sempre spiato, sorvegliato, inseguito e incatenato per garantire la sopravvivenza di chi dipende da lui. Amare vuole dire lasciare andare e generare libertà. E perché le nostre relazioni affettive escano dalle patologie di vincoli ammalati, Gesù si presenta come la cura che libera le nostre famiglie dal rischio di stare male al proprio interno perché troppo ripiegati su sé stessi. Come a dire: si può essere casa e famiglia senza solo e sempre litigare.

Seconda richiesta di Gesù: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.”. Espressione di non facile comprensione anche perché oggi – per fortuna – al condannato non è più chiesto di portare pubblicamente e sulla strada il legno della croce al quale dovrà essere appeso. Ai tempi di Gesù era però così (nefandezze dell’Impero Romano!). E proprio quel “passare in mezzo alla folla che disapprova il condannato”, è stato preso da Gesù come esempio per invitare chi lo segue a non avere paura di vivere valori che l’opinione pubblica non sempre approva. Lo sappiamo: non inseguire la carriera, il successo o non entrare sui sentieri dell’ambizione e dell’avanzare ad ogni costo (anche al prezzo di calpestare colleghi e fratelli), non è mai stato di moda o per le masse. La Parola di Gesù ci ricorda però che una nuova scala di valori – più umana – è possibile. E che stare dalla parte dell’onestà, del rispetto della legalità, della giustizia e della solidarietà è e resta il solo modo per vivere bene. Così come è possibile – con Lui – pensare alle proprie responsabilità come ad un servizio al prossimo e non come una scalata per conquistare il potere. Si, è possibile, dice Gesù, anche se si contro corrente e se si fa parte dei “pochi”.

Terza richiesta. “Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Anche perché dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore. E se la vita ruota solo attorno ai soldi, ad accumulare ricchezze e a ingrandire il conto in banca, il povero cuore umano non ha grandi basi di appoggio! Il denaro desiderato e accumulato per sé stesso avvelena prima la vita di chi lo insegue e poi rovina le esistenze di chi litiga per accaparrarlo come eredità. E quanti ricchi infelici e schiavi del lavoro e dei soldi conosciamo! La richiesta di Gesù è liberante: usa il denaro, fallo “girare”, non lo sprecare, ma non lo accaparrare per il piacere di contarlo. Investi in bontà, in amore, in servizi ai più deboli, se vuoi essere felice.

“Ma come realizzare tutto questo programma?”, si domanda il lettore del Vangelo. E dentro la domanda c’è la consapevolezza che si sta delineando un cammino difficile. Non solo: con il passare del tempo cresce anche la coscienza che Gesù non è una “buona idea” che fa fine e non impegna; non è una moda passeggera e non può essere ridotto nemmeno ad un po’ di retorica su una solidarietà resa facile dagli slogan. Gesù è il volto di Dio, il nome del Padre e la visibilità dell’amore che ha assunto la forma dell’obbedienza a tutti noi. Il suo parlare “duro” è coerente, ma non vuole dire che la Sua proposta sia impossibile da realizzare. L’evangelista invita chi lo segue a non scoraggiarsi. A fermarsi. E a “sedersi” (proprio come chi calcola come costruire una torre e come fare per attuare una guerra lampo!). Il senso della sosta non è l’ozio, ma il solo modo per fare entrare in noi la Parola di Dio che se viene letta, assimilata, interiorizzata e “ruminata” si fa Parola orante che prega in noi e con noi. Gesù non ha mai proposto scorciatoie. La sua via è stretta e impervia. In comunità e con le giuste pause, però, è la sola strada che ci conduce alla felicità che troppe volte cerchiamo su autostrade a quattro corsie.

Buona domenica.

 

                                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                      oggi mi chiedi tre cose:

la prima, non restare chiuso in famiglia e imparare a voler bene anche agli amici e a chi la vita mi mette vicino. Mi piace. Mi fa sentire grande.

La seconda. Non sognare di diventare famoso, ma spendere le mie energie per diventare buono e per aiutare chi ha bisogno di me. È davvero tanto bello.

La terza. Non impazzire per avere tante cose e non vivere per comprare, ma scoprire che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Su questo punto devo impegnarmi di più.

Grazie Gesù perché prima di riprendere la scuola ho bisogno di queste Tue lezioni!

E grazie anche perché mentre tutti corrono per fare prima e per fare sempre di più, Tu ci chiedi di “stare seduti” per pensare a quello che facciamo (e per scegliere di fare bene il bene!).

 

XXII DOMENICA ANNO C

XXII DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Luca 14, 1.7-14

 «Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: "Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: "Cedigli il posto!". Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: "Amico, vieni più avanti!". Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato". Disse poi a colui che l'aveva invitato: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti«Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola» (Eb 12, 18s.).

 

L’insegnamento di Gesù che san Luca ci propone in questa ultima domenica di agosto si adatta molto bene al clima elettorale che stiamo vivendo. Al punto che possiamo provare ad applicare questa parabola  al nostro contesto di intensa campagna elettorale. “Diceva (Gesù) agli invitati una parabola notando come formulavano i loro discorsi elettorali: «Quando presenti il tuo programma politico, non parlare male degli altri, anche perché non sono nemici, ma semplici concorrenti che provano, come te, ad amministrare il “nostro” Paese. Non seminare odio e parla solo di te e di quello che sei intenzionato a realizzare. Ma non dire di più di quello che potrai fare, perché non succeda che un domani i cittadini ti chiedano di attuare quanto hai promesso e tu  non sei in grado. E non assicurare l’elettore che ti ascolta che sarai tu, domani, a governare  perché se vince un altro, dovrai cedergli il posto e restare fermo – con rabbia –  nel ruolo di chi deve fare opposizione.»”.

Gesù è esperto di umanità. E non sottovaluta (mai) quella che noi chiamiamo “buona educazione”. La quale non è mai solo “forma”, bon ton o formule da galateo. Nella buona educazione c’è anche – soprattutto – la “sostanza” di chi presta attenzione all’altro e di chi pratica delicatezza, umiltà, verità e gentilezza come stile ordinario del vivere e del dire (e così facendo prende le distanze da un modo di parlare gridato, offensivo e volgare).

Ma Gesù si spinge oltre la buona educazione nella sua parabola. La Sua richiesta di invitare al banchetto “poveri, storpi, zoppi e ciechi” (una precisa lista di categorie impure e a cui era impedito l’accesso al Tempio) diventa l’aiuto che lo scomodo Maestro ci consegna per educarci alla bellezza del donare e del servire e per riuscire – una volta per tutte – a tenere a bada la drammatica tentazione che abbiamo tutti di usare gli altri per fare carriera.

Non invitare gli amici ai banchetti che organizziamo ha il forte sapore simbolico dell’impedire che le nostre mani si muovano solo nella direzione del finto dare finalizzato, in realtà, al prendere (nella cena che ti “offro” ti chiedo il voto e questo ti autorizza a chiedermi “favori” che ci allontanano sempre più dallo spazio del dono, del servire e della libertà). Prendiamo l’esempio dei poveri che ci sono accanto. Penso agli immigrati a cui chiediamo di raccogliere pomodori e frutta di ogni specie (e meno male che lo fanno loro questo servizio!), ma guai se si fanno prendere dalla voglia di girare (in bici!) nelle nostre città!  Penso alle tantissime badanti che nel chiuso delle nostre case assistono giorno e notte i nostri cari anziani. Prima o poi vorranno una casa tutta loro e per la loro famiglia e saranno stanche di dormire nella stessa casa dove lavorano. Ma anche questa loro domanda (muta) facciamo finta di non ascoltarla. Penso a chi monta i ponteggi per le ristrutturazioni dei nostri edifici. Non ho mai visto – tra loro – un giovane italiano. Sono ragazzi immigrati dall’est o dall’Africa. Tutti. Sono contenti di lavorare per noi e non si risparmiano. E se le nostre case tornano come nuove (grazie anche ai tanti bonus che tutti conosciamo) è certamente anche merito loro. Ma non dobbiamo dirlo a voce troppo alta perché è una di quelle verità scomode che non piace a tutti.

Immigrati “usati” due volte: la prima per lo svolgimento della nostra vita sociale; la seconda per la nostra campagna elettorale:  per promettere – a chi ne ha bisogno, ma non li vuole vedere – che non saranno più permessi, sulle sponde italiane, arrivi di disperati che scappano da fame, carestie e guerre. Tra i poveri, però, non ci sono solo gli immigrati. Sono tanti anche gli adulti e gli anziani, italiani da generazioni, che si mettono in fila alle nostre Caritas per ricevere un pasto. Sono moltissimi i disabili lasciati soli. E sono tanti (troppi) anche i giovani senza lavoro che stanno male; gli adulti segnati da fallimenti affettivi che non hanno più casa e che non sanno dove o come chiedere aiuto; i detenuti alle prese con la disperazione (in questi primi otto mesi dell’anno 53 si sono suicidati nelle carceri italiane) che preferiscono togliersi la vita piuttosto che essere dimenticati da tutti.

Ma sia chiaro: la richiesta di Gesù è sempre “buona notizia”. Il che significa che chi invita poveri, storpi, zoppi e ciechi  alla sua mensa (un modo figurato per invitare tutti noi e le nostre politiche a non girarsi dall’altra parte in presenza di queste sofferenze) non fa solo del bene (un’opera buona), ma pone anche le premesse per diventare amico di Gesù e ritrovarsi “beato”, contento e – dunque – felice. L’eucaristia domenicale è proprio questo: il banchetto organizzato da Gesù che ci nutre e ci dà la forza di tenere a tavola con noi i “dimenticati” dal nostro egoismo e dalla politica malata: quella che insegue il potere e che dimentica il servizio.

Buona domenica.

 

 Preghiera dei piccoli

                                      Caro Gesù,

                      a casa mia quando c’è un pasto speciale, mamma e papà impiegano quasi più tempo per organizzare come e dove sistemare gli invitati a tavola che non per cucinare.  Sul segnaposto siamo noi bambini che dobbiamo scrivere il nome. Ma i posti li decidono solo loro, i grandi.

Oggi, dopo aver ascoltato questo Vangelo, ho pensato che anche Tu devi aver vissuto, da piccolo, quei pranzi  o cene con parenti e amici che non finiscono mai.

Per questo, da grande, hai cambiato lo stile delle feste. E ci chiedi di non diventare matti per i primi posti; di non litigare per dove stare seduti e imparare – invece – a stare vicino a chi capita.

Grazie Gesù perché ci ricordi che i soli “vicini” che possiamo scegliere sono quelli che stanno male.

E grazie perché ci chiami “Amici”. Voglio essere amico dei poveri e anche Tuo amico, Gesù.

XX DOMENICA ANNO C

XX DOMENICA  ANNO C  con preghiera dei piccoli

Luca 12, 49 - 53

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

 

Dominare il fuoco e impedire che la fiamma diventi un incendio è – da sempre – una delle grandi sfide dell’uomo. In passato era più difficile. Oggi si sono fatti notevoli passi avanti in termini di sicurezza. Ma non ancora sufficienti per evitare le devastazioni generate dai tanti, troppi incendi che continuano a rimpicciolire i nostri boschi e le nostre foreste. Un ricordo particolare vada, in questa eucaristia, a Elena Lo Duca, la donna della Protezione Civile di 56 anni morta il 21 luglio scorso a Prepotto (Udine) mentre tentava di arginare un incendio. E proprio in questa arida, secca e infuocata estate 2022 (che passerà alla storia per il suo triste primato di temperature sopra la media e per l’anomala siccità) la chiesa ci consegna – per la nostra preghiera – il passo del Vangelo di Luca in cui Gesù dichiara che “Sono venuto a gettare i fuoco sulla terra, e quanto vorrei fosse già acceso!”.

Si tratta di un accostamento delicatissimo. Non solo perché se il fuoco scappa di mano diventa rogo che distrugge, ma anche perché da sempre il fuoco è stato associato al castigo ed è stato presentato come il contesto ideale per qualsiasi punizione esemplare.

Gesù usa questo simbolo – il fuoco – ma ne rovescia il significato. E non lo accosta a castighi, punizioni o distruzioni varie, ma lo presenta come il segno e il simbolo per eccellenza del Suo amore capace di “fermare” – per la nostra vita e per l’umanità tutta – tanto l’odio quanto la violenza.

Una vera rivoluzione copernicana, dicono gli esperti. Il “fuoco” di cui parla Gesù è l’immagine forte che descrive il Suo amore per noi. Gesù non “distrugge” e non avvolge nel fuoco eterno chi sbaglia o chi commette peccati (mai!), ma decide di amare ciascuno di noi fino alla fine, al di là di ogni merito e oltre qualsiasi colpa.

Così facendo Gesù rompe l’immagine del “dio” che castiga, che punisce e che premia i buoni e condanna i cattivi alla pena del fuoco eterno per presentarci un Dio Padre che ama e che perdona sempre e che non condanna e non punisce, mai. E a chi resta spiazzato da un Dio che sembra indifferente rispetto ai comportamenti umani, Gesù fa capire che chi si abbandona all’egoismo, alla violenza, all’odio e al rancore incontra da solo la sua punizione! L’inferno, per capirci, non appartiene a Dio e non riguarda l’al di là, ma lo costruiamo noi, su questa terra, ogni qual volta lasciamo vincere le logiche dell’odio, del rancore e della vendetta (e le tante guerre che sporcano di sangue il nostro pianeta, compreso il martirio della popolazione ucraina, confermano che l’inferno non è opera di Dio, ma nostra, dell’uomo).

Il “fuoco” di cui parla Gesù è anche – però – l’immagine e il simbolo del Suo Spirito che si posa su di noi al momento del battesimo per prendersi cura della nostra vita. È vero: non sappiamo più cogliere questa presenza all’interno del nostro cuore. Ma se permettiamo alla Parola di Gesù di illuminare mente e cuore, subito lo Spirito di Gesù ci aiuta a prendere coscienza che siamo, da una parte, amati da Dio con il “fuoco” che cura e che perdona e, dall’altra parte, che siamo anche messi in condizione di amare chi vive con noi senza cedere alla tentazione degli steccati, del rancore e dell’odio permanente. Lo Spirito di Gesù è perciò “fuoco” che brucia in noi i dissapori e i risentimenti per restituirci la possibilità di sempre nuove relazioni. E su questo punto Gesù è chiarissimo: il “fuoco” del Suo Spirito inaugura il nuovo modo di vivere che prende le distanze dalle logiche “vecchie” di chi si fida solo della violenza. Lo Spirito di Gesù ci divide e ci allontana da chi si affida alla guerra, alla violenza, alla punizione esemplare e rifiuta il perdono. Ma si noti la finezza: le divisioni di cui parla Gesù sono tra “vecchio” (padre) e “nuovo” (figlio), tra “passato” (le tradizioni di ieri) e “presente” (la logica del Vangelo). A livello orizzontale e tra “fratelli” non ci sono divisioni. In comunità ci possono essere fatiche, litigi o anche conflitti, ma tutti – grazie al fuoco dello Spirito di Gesù – superabili per riportare le relazioni nel solco della comunione.

Ben venga, nel mese di agosto, il sole che abbronza e che a volte brucia la nostra pelle, non rinunciamo però al “fuoco” dello Spirito Santo che – con l’aiuto del Vangelo – ci entra nel cuore per cambiare il nostro modo di essere, di pensare e di vivere.

Buona Festa dell’Assunzione di Maria in Cielo e buon Ferragosto a tutti.

 

Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

appena ho letto il Tuo van­gelo ho pensato a Martina. I suoi genitori si sono separa­ti. Lei ci sta tanto male e dà la colpa a Te della situazione.

Sono convinto che Tu non fai separare gli sposi.

Anche perché Tu ci doni la Pace e ci inviti a scambiarci segni di pace.

Gesù mi aiuti a capire che cosa vuol dire che Tu sei venuto “a portare la divisione sulla terra”?

Se vuol dire che chi diventa Tuo amico deve essere pronto a stare dalla Tua parte anche quando qualcuno lo invita a pensare solo a se stesso e a non occuparsi delle sofferenze degli altri, allora mi piace.

Gesù non mi piace litigare e non voglio mettermi contro nessuno. Aiutami però a stare con Te, sempre.

Anche quando diventa difficile seguirti. Anche a costo di perdere qualche amico.

Grazie, Gesù.

XIX DOMENICA ANNO C

Vangelo di Luca 12, 32 e seguenti

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.

Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!

Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

 

Siamo entrati, quasi senza accorgercene, in un modo di vivere che certamente non è sano. Per fare qualche esempio: abbiamo venduto la paura di morire con l’illusione della “sicurezza”. Ed è per questo che ci siamo dotati di porte blindate, di sistemi di allarme sempre più sofisticati, di controlli satellitari e di polizze assicurative cariche di clausole e di premi anti-tutto. Risultato? Viviamo barricati nelle nostre case sempre più impermeabili al prossimo; allo stesso tempo – però – siamo impreparati a reggere il confronto con la morte e dunque con la vita vera! Secondo esempio: abbiamo scelto di entrare con mani e piedi in quel consumismo che ha sostituito la verità del vivere con la ricerca del piacere ad ogni costo e delle comodità a qualsiasi prezzo. Anche per questo abbiamo deciso di “sfruttare” l’oggi senza nessuna attenzione al domani che pagherà a caro prezzo le nostre scelte ambientali, demografiche e di abuso dell’unica terra che abbiamo. Risultato? Siamo sommersi da tutti gli agi possibili e immaginabili, ma non siamo più in grado di fare i conti con la verità della vita (anestetizzati come siamo dalla sterile rincorsa del lusso).

Per usare un’immagine: abbiamo deciso di indossare lo stesso abito in casa e “fuori”. Ma se in casa ha un senso, al termine di una giornata di lavoro, indossare abiti larghi e comodi per riposare, il vivere con gli altri e per gli altri ci chiede di indossare la tunica “stretta ai fianchi” per rendere agile e snello il movimento. Non solo: dobbiamo anche tenere con noi la “lampada accesa” per non sbagliare strada e per non cadere nel dirupo.

Perdere di vista la distinzione tra abito del riposo e abito del giorno, ci inganna e ci auto-illude che la vita sia una vacanza senza fine e un villaggio turistico che non chiude mai e che propone in modo ininterrotto le sue attività ludiche.

Per fortuna non è così. Riposo e divertimento sono la “sosta” che danno senso al vivere. Senza mai dimenticare – però – che ciò che non ha fine è la vita spesa per gli altri, non la vacanza pagata dagli altri.

Questo vuole dire “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”. Un forte invito che Gesù ci consegna per “fermare” gli inganni in cui ogni generazione rischia di cadere. Si noti però il particolare interessante. Quando il padrone (in greco kurios, termina che indica il Signore risorto) al suo ritorno trova i suoi servi ancora “svegli” (capaci

 

di amare e di servire), che fa? “Si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. E un’immagine bellissima usata da Gesù per dirci che quando la vita terrena spesa per il prossimo volge al tramonto, non si smette di vivere, ma si entra nella vita che non ha più fine e dove è Lui, il Signore Gesù, che ci fa sedere a tavola e che passa a servirci. Se non ci facciamo aiutare dal Vangelo che è la lampada che deve accompagnare la nostra vita, facciamo l’esatto contrario: passiamo la vita a mangiare (male, di tutto e di più con tutte le patologie sanitarie che ne derivano), per poi cercare i nostri cari defunti al cimitero. In realtà, però, chi vive per gli altri (“Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e con le lampade accese”) scopre giorno dopo giorno che il Signore Gesù non lo abbandona mai e che anche nel momento finale del suo percorso terreno lo accoglie, lo introduce nel Suo Regno dove la vita non ha più fine, lo fa sedere a tavola e passa a servirlo.

Abbiamo anestetizzato la morte e l’abbiamo ridotta a un numero (i morti per covid al giorno, i morti nella drammatica aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, i morti in guerre, sul lavoro, in incidenti stradali…). Quando però chi muore non è un numero, ma un volto, un nome, una storia e una persona cara, siamo spiazzati, arrabbiati e incapaci di continuare il dialogo con chi abbiamo l’impressione che non ci sia più. Molti di noi lo cercano disperatamente tra le lapidi al cimitero, ma solo il Signore Gesù ci insegna a sentire con noi chi ha cambiato modo di vivere. L’eucaristia che Gesù ha istituito dopo essersi cinto i fianchi (Giovanni 13) è esattamente il luogo dove noi incontriamo i nostri fratelli che hanno concluso la corsa terrena e che sono – ora – alla tavola del Signore Gesù.

Nel cuore dell’estate un invito ad indossare vesti strette ai fianchi e a portare con noi la lampada accesa (del Vangelo) è il modo – originale e saggio – con cui san Luca ci augura buone vacanze.

Caro Gesù,

Simone, il fidanzato di mia sorella, non la chiama quasi mai per nome, ma sempre “tesoro”.

Mia nonna, invece, chiama me “tesoro” (ma il nonno lo chiama per nome!).

Ti faccio questa confidenza perché mi ha colpito molto la tua espressione “dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”.

Hai ragione Tu, Gesù: quando il cuore si attacca alle persone che ci vogliono bene o a delle cose che ci piacciono, quello diventa il “tesoro” della vita.

E quando diciamo “tesoro” a qualcuno è perché il cuore ha scelto quella persona da amare.

Gesù, voglio fare diventare Te il mio “tesoro”. E voglio che il Tuo Vangelo mi guidi giorno dopo giorno, per tutta la vita.

Grazie Gesù, perché Tu ci vuoi così bene che ad ognuno di noi dici “Tesoro”. Sei forte, Gesù.

Ci precedi sempre.

La sera delle stelle cadenti esprimo questo desiderio.

XVIII DOMENICA ANNO C

                     XVIII DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Luca 12, 13-21

Gesù disse loro una parabola: "La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: "Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così - disse -:demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!".                                               Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello

che hai preparato, di chi sarà?". Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio"».

 

Il detto popolare considera il parlare da soli una malattia mentale. E l’incontro, spesso occasionale, con persone alle prese con soliloqui più o meno equilibrati, conferma questa diagnosi. Sono soggetti che a volte parlano sottovoce; altre volte urlano, gridano, denunciano soprusi o torti subiti senza, però, lasciarsi incontrare. Anche perché chi parla da solo a causa del disagio psichico è impermeabile a qualsiasi offerta di dialogo. 

San Luca – che san Paolo nella lettera ai Colossesi presenta come il “caro medico” (Col. 4,14) – chissà quante volte ha incontrato, nella sua attività sanitaria, persone alle prese con la malattia psichiatrica. Ed è forse per questo che cura nei particolari la descrizione di questo “uomo ricco a cui la campagna aveva dato un raccolto abbondante” che presenta subito come malato nella testa. Per aiutare il suo lettore a capire che si tratta di una persona alle prese con disagi mentali, san Luca scrive che “ragionava tra sé”. Un uomo descritto e presentato come profondamente solo: senza legami con i familiari, con i figli, con gli amici o con i colleghi.

Il lettore è però aiutato a capire il perché di quella malattia. Quell’uomo ha perso l’uso della ragione perché alle prese con il delirio di arricchirsi, con il sogno di accumulare sempre più ricchezze e tutto preso dal bisogno di difendere e dal nascondere quanto possiede. Ed ecco come san Luca “dipinge” la sua pazzia: “Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti!” – (Lc. 12, 19).

San Luca è medico è sa molto bene che amare, servire e condividere sono le premesse della salute. Il medico evangelista è consapevole che vivere per accumulare (e per nascondere e contare quanto altri ci hanno permesso di ottenere) è avarizia che ammala non solo il cuore, ma anche la testa, il cervello e la ragione!

La forma esterna di questa malattia mentale si chiama individualismo ed è – molte volte – la vera causa di tanta stanchezza mentale, di depressioni, di stress, di ansie e di quello sguardo cupo di chi è abituato a spostare nel  futuro l’illusione dell’essere felice.

È una malattia che non risparmia nessuno. Ne è colpita la chiesa. Ed il fatto che in questi giorni il Papa sia in Canada a chiedere scusa alle popolazioni indigene di quella grande e bella Nazione, è perché ieri nessuno ha sentito il bisogno di uscire dalle proprie certezze e provare a mettere in discussioni le proprie sbagliate convinzioni.

Ma ne è colpita anche la politica. Quando la ricerca del voto, del consenso e del proprio prestigio viene prima degli interessi dei cittadini e prima del bene comune, è segno che si è cominciati a parlare da soli (a darsi ragione da soli!) e ad interessarsi solo del “mio” senza nessuna attenzione al “nostro” e al “loro”!

Domani, primo agosto, per la prima volta da oltre 100 anni dovremo convivere non solo con l’inizio delle vacanze estive, ma anche con l’apertura della campagna elettorale e con il succedersi di tanti e diversi comizi elettorali!

E avremo così l’impressione di “vedere” e di “ascoltare” non pochi politici che parlano “da soli”. Che non presentano soluzioni complesse e concrete a problemi difficili, ma che vendono facili ricette per ottenere il consenso, il voto e per conquistare il potere. Per se stessi. Discorsi – come ha detto in questi giorni il Direttore di Avvenire – scritti, molte volte, sulla sabbia di agosto e, come tali, dalla brevissima durata.

IL Gesù di san Luca è molto chiaro: chi usa pensieri, ragionamenti e parole illuso di sistemare per sempre solo se stesso è “stolto”. 

Ed il vocabolo “stolto” è termine impegnativo perché significa “pazzo”, “malato” ma anche “senza nessun riferimento” a Dio che ci chiede di non girarci dall’altra parte quando si incontra il povero, il malato, il carcerato, l’immigrato e chi ha bisogno di noi (“Lo stolto pensa: "Dio non c’è” – Salmo 14,1).

Il che significa che l’unico modo per diventare “signori” (non ricchi!) è quello di non parlare da soli per godere da soli dei propri beni, di non ragionare tra sé sul come accumulare e nascondere i propri averi, di non investire risorse energie e tempo per la “mia” carriera personale, ma costruire progetti, investimenti, calcoli, gesti e “parole vere” per ridurre le diseguaglianze e le distanze che separano chi ha nulla da chi ha troppo. Senza mai dimenticare che l’opposto di “stolto” è “beato”.

Buon mese di agosto a tutti.

 

                                               Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                      ciò che più mi colpisce dell’uomo ricco della parabola è che non nomina mai la sua famiglia.

La moglie, i figli, i nonni, i fratelli o le sorelle: non ci sono nella sua testa. Parla da solo, ragiona tra sé e ha tempo solo per i “suoi” magazzini.

Chissà se alla mia età giocava con i suoi amici oppure se “contava”, da solo, i “suoi” giocattoli per poi nasconderli in camera “sua”.

Gesù aiutami a non vivere da “pazzo” e a non perdere di vista chi mi vuole bene e chi ha bisogno di me.

Ti prego, Gesù, insegnami a con-dividere quello che ho con chi ha meno di me. E aiutami a capire che vivere “per” gli altri e “con” gli altri rende felici.

 

 Domani partiamo per andare al mare, Gesù. Benedici il nostro viaggio e chi – quest’anno – non può andare in vacanza.

 

XVII DOMENICA ANNO C

                                    XVII DOMENICA ANNO C con preghiera dei piccoli

Luca 11, 1 -13

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:"Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione"».
 
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

La domanda che il discepolo pone a Gesù – “Signore, insegnaci a pregare” – è interrogativo che ci spiazza e che ci disorienta. Per una ragione molto semplice: perché il vivere tecnologico a cui ci siamo abituati (convinti o illusi che tutto si possa fare e realizzare) e la pratica del consumismo che ci ha addestrati nel comperare tutto e subito, ci hanno progressivamente allontanato da quella ricerca del senso che sorregge e alimenta il desiderio di pregare. È vero: in presenza di una malattia del figlio, prima di un esame o – nei casi più patologici – dopo aver tentato la fortuna con lotterie, schedine o gratta e vinci di ogni tipo, sono in molti che ripiegano su un pregare infantile e del tutto estranee al mondo della fede. Al di là però di questo parlare da soli alle prese con un bisogno da soddisfare subito, il nostro orizzonte di fede è abbastanza lontano dal domandare a Gesù: “Signore, insegnaci a pregare”.

Ma restiamo sul testo di san Luca. Perché quel discepolo pone quel preciso interrogativo al Suo Maestro? Quale spinta profonda lo guida in questa puntuale richiesta?

Di sicuro non cerca ricette e non chiede a Gesù un manuale dettagliato sul come, dove e quando pregare. Quasi sicuramente è stupito dall’osservare Gesù nel suo specialissimo rapporto con Dio e viceversa: dal rapporto che Dio ha con Lui, con Gesù.

È visibile ad occhio nudo, per chi vuole vederlo: Gesù si rivolge al Dio conosciuto in Israele come il tre volte santo (e dunque presentato sempre come inavvicinabile) in modo intimo, intenso e soprattutto capace di dare senso ad ogni momento del suo procedere.

Quel discepolo è testimone di un Gesù che non sta mai fermo, ma che sa fermarsi e che è capace di rientrare in se stesso senza mai lasciarsi prendere dall’ansia o dall’affanno; osserva un Gesù forte, esigente e severo, ma anche aperto (sempre) al perdono che solo Dio può concedere. La cosa però che più sconcerta il discepolo che interroga Gesù è la capacità del Suo Maestro di portare vita anche dove c’è sconfitta, fallimento o morte.

Quel discepolo – acuto osservatore – intuisce che la forza di Gesù proviene dal suo legame indissolubile con Dio e dal suo modo di pregare. Non gli chiede però di poter pregare come prega Gesù. Gli è abbastanza chiaro che si tratta di un registro unico e irripetibile. Ciò che il discepolo spera è di essere aiutato da Gesù a cambiare visione di Dio per imparare a guardare in modo nuovo il mondo, il fratello e se stesso.

Gesù raccoglie la provocazione. E conferma l’intuizione del suo discepolo: prima di esercitarsi nel pregare (con riti, formule, gesti e sacrifici vari) Gesù ci invita a cambiare immagine di Dio. Alcuni vedono Dio come un bancomat da usare in occasione di spese straordinarie o esigenze più o meno legittime (vacanze comprese); altri usano la preghiera per riportare a sé amori infranti o per invocare guarigioni da mali oggettivamente pesanti.

Gesù ricorda a chi lo interroga (e dunque a tutti noi) che il solo modo per imparare a pregare è quello di cambiare il nostro legame con Dio. E lasciare che il Suo amore si riversi sul nostro cuore per convincerci che il Dio di Gesù è Padre che ci ama, che ci perdona e che ci libera dall’individualismo. Dicendo “Padre” nel nostro pregare, non cambiamo solo modo di vivere (riconoscendo che siamo immersi in Lui e avvolti dal Suo amore), ma apprendiamo anche che il vero nome di Dio è “Emanuele, Dio-con-noi”.  Il che significa che solo quando si impara a stare “con” il fratello si fa esperienza di libertà, di amore e di perdono. Senza il fratello accanto, ci si illude di stare bene, ma in quella prigione dorata che si chiama individualismo, si smarriscono la libertà e il senso del vivere.

Signore, insegnaci a pregare” è perciò domanda profonda per imparare a vivere e ad amare. Anestetizzare questa domanda, ha voluto dire renderci soli, carichi di stress, ansiosi e stanchi persino in vacanza. Solo chi sintonizza il suo respiro sul soffio dello Spirito di Dio e della Sua Parola impara l’arte del vivere per gli altri e si ritrova immerso nella libertà.

Per finire. Il fatto che la domanda sia nata dopo la parabola del buon samaritano e dopo la vicenda di Marta e Maria, è il segno che il modo migliore per spingere la nostra vita verso l’infinito è questo: seguire il Maestro che ci chiede di farci prossimo di chi – per caso – ci avvicina e imparare a fermarci per restare seduti ad ascoltare, meditare e pregare la Sua Parola.

Stili di vacanza lontani dalle proposte patinate di crociere o di tanti luccicanti villaggi turistici, ma decisamente più rigeneratori di tante escursioni costose e poco riposanti.

Buona domenica a tutti e a ciascuno.

 

  Preghiera dei piccoli

                             Caro Gesù, oggi, dopo aver ascoltato il Tuo Vangelo, mi sono fatto questa domanda: ma la preghiera del Padre Nostro è più bella quando la recito da solo o quando la dico a voce alta e insieme agli altri?

A me piace tanto, quando sono da solo, dire con calma questa preghiera. La recito prima di andare a letto oppure quando decido di stare un po’ con Te. Ma poi trovo molto bello anche quando il don, a messa, ci fa salire attorno all’altare, quando ci fa prendere per mano e quando ci chiede di dire la Tua preghiera tutti insieme. Alla fine ho deciso: sono due bellezze diverse e non c’è un pregare più bello dell’altro.

Grazie Gesù perché con questa preghiera mi ricordi che qualunque persona che incontro è, per me, fratello e sorella. 

È un insegnamento bellissimo. Ancora una preghiera, Gesù.            Fa che tutti, in queste vacanze, possano fermarsi e riposarsi.

XVI DOMENICA ANNO C

            XVI DOMENICA ANNO C con preghiera dei piccoli

Vangelo secondo Luca  10, 38 - 42

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Da generazioni i credenti che pregano questo passo del vangelo di san Luca si sono posti il problema di provare a definire chi, oggi, può essere rappresentato dalle figure di Marta e Maria. Per dare al Vangelo la forza di entrare nelle pieghe della attualità e per impedire che la Parola di Dio esca dalla storia in cui siamo immersi.

Proviamo anche noi a interrogarci su quali aiuti ci consegna l’evangelista con questo racconto. Noi, che siamo alle prese – ogni giorno – con politici che si affannano, che si agitano e che dicono tutto e il contrario di tutto per dimostrare, al termine del loro perenne movimento, l’immobilità assoluta di chi non si sposta di un millimetro dalla sua postazione di potere. Perché il primo effetto (il più superficiale) dell’agitarsi continuo, è dato dal restare sempre allo stesso posto. Nessuno è fermo come chi corre sempre, senza fermarsi mai. Così come nessuno avanza, cresce, si sposta, cambia e “serve” gli altri come chi sa fermarsi, sa sedersi e sa ascoltare. Un secondo effetto visibile in chi si affanna di continuo e in chi si lascia sopraffare dall’ansia e quello di restare avvitato su se stesso.  Come a dire che il politico che non sta mai fermo, che parla sempre, che minaccia, che dice, non dice, nega e poi smentisce tutto e persino se stesso è – di fatto – un soggetto che si muove solo per se stesso e per di fendere la sua postazione. Come Marta, il politico esagitato e sempre alle prese con l’affanno, si illude di governare la casa comune; di fatto – però – è schiavo della sua immagine, dei consensi, dei sondaggi e degli opinionisti che stilano classifiche sulla sabbia delle apparenze. Come Marta, questo politico si vanta di essere schietto e considera un merito “dire ciò che pensa”. Ma non si accorge che non “pensare a ciò che si dice” è un errore, una caduta di stile e una grave mancanza di rispetto verso l’altro. Marta dà ordini al “suo” ospite che vorrebbe ricoprire di attenzioni e non si accorge che dare ordini e comandare sono verbi che non costruiscono affetto e che non curano il bene comune.

Per questo Gesù chiama Marta due volte per nome. Perché la vede fragile e vittima della sua ambizione, della sua invidia, della sua voglia di comandare e così autocentrata su se stessa da nemmeno accorgersi che sua sorella si è resa capace di fermarsi, di sedersi, di ascoltare e di non giudicare.  Gesù chiama due volte per nome Marta perché la vuole aiutare ad uscire dal labirinto che la tiene prigioniera e che le impedisce di cogliere la luce (bella e salutare) del servizio, della libertà e dell’amore.

Si tenga anche conto che Marta, in aramaico, significa “padrona di casa” e la sfumatura non è di poco conto. Rimanda al fatto che chi si interpreta come il “padrone” (di qualsiasi cosa: della casa, delle “cose”, del partito, della politica o delle istituzioni) di fatto è prigioniero del “suo” correre e delle “sue” ambizioni al punto da diventare schiavo del suo ruolo. Solo il servizio rende liberi, ci dice san Luca con questo magistrale insegnamento.

E perché ciascuno di noi interiorizzi questo insegnamento, l’evangelista ci presenta un Gesù che con autorevolezza e affetto prova a riprendere Marta perché da padrona-schiava, torni ad essere donna libera capace di fermarsi e di anteporre le relazioni al desiderio, delirante, di tenere tutto sotto controllo.

Un tempo si usava questo racconto per fondare la superiorità della vita contemplativa (la parte migliore!) sulla vita attiva. In realtà non è così. Molto più saggio rileggere Marta e Maria come le due parti che convivono in noi. Dove, da una parte, ritroviamo la Marta che non si ferma mai, che adora controllare tutto, dominare ogni evento ed essere ascoltata. Dall’altra parte, invece, ritroviamo quote consistenti di Maria: che ci invita a fermarci, a sederci, ad ascoltare e a fare quel sano silenzio che rende libero il cuore dal parlare inutile (contro gli altri). Due spinte diverse che ci attraversano. Quando in noi vince la condotta di Marta, lo Spirito di Gesù ci chiama per nome (due volte) e ci invita ad allontanarci da quel parlare da soli e da quell’affanno che ci avvelena l’esistenza. Ci propone la postura – riposante – dell’ascolto della Parola di Gesù per scoprire che “fermarsi” ad ascoltare l’altro libera il cuore e lo immerge nella logica del dono, del perdono e del servizio. I sentieri della vita libera e liberata dall’egoismo.

La parte migliore scelta da Maria è proprio questa: il coraggio di fermare la tentazione dell’inseguire il potere (e dunque se stessi) per scoprire che ascoltare rende liberi e vivi.

Buon riposo a tutti. Ai piedi del Signore Gesù e nell’ascolto della Sua Parola.

                                                         

                         

                                                                         Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,                        

                     mi chiamo Marta. Ho 10 anni e mio fratello si chiama Pier Giorgio. Oggi Pier (come lo chiamo io) mi ha detto che anche Gesù mi sgrida.

Io, gli ho risposto che però mi chiami due volte per nome.

Poi però ho pensato che a Te non interessa difendere Marta o Maria. Tu vuoi che tutte e due stiano bene e che tutte e due siano felici.

Noi diciamo: chi sceglie Gesù? Marta “o” Maria?

E Tu rispondi Marta “e” Maria.

Noi pensiamo spesso di dover scegliere tra Caino “o” Abele, ma Tu ci fai capire che Caino “e” Abele devono imparare a stare insieme, se non vogliono morire tutti e due. 

Sai questa sera cosa faccio?

Scrivo una grossa “E” su un cartoncino. La riempio di brillantini e poi la regalo a mio fratello.

Sarà il nostro segreto per non separarci mai e per superare ogni litigio.

XV DOMENICA ANNO C

XV DOMENICA ANNO C  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Luca 10, 25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

La grande domanda che si fanno tutti coloro che si confrontano con questo indimenticabile racconto di Gesù, è la seguente: perché sacerdote e levita vedono un uomo mezzo morto sulla strada (aggredito e derubato da briganti) e “passano oltre” senza fermarsi?

Fino a qualche anno fa la risposta al quesito individuava nell’indifferenza la spiegazione al comportamento dei due uomini religiosi. Fretta, egoismo, autoreferenzialità e indisponibilità a farsi carico delle fatiche altrui sono le vere “cause” di quella pesante omissione di soccorso, si diceva (che per il nostro codice stradale è persino reato). E, all’interno di questa lettura, all’indifferenza del sacerdote e del levita si contrapponeva la solidarietà del smaritano (buono) capace di costruire prossimità e di coinvolgersi per è chi bisognoso di aiuto. Una seconda interpretazione del passo faceva emergere come l’atteggiamento del sacerdote e del levita non va definito un atto di pigrizia o di indifferenza, ma come un divieto religioso che proibiva, a uomini alle prese con il culto nel Tempio, di contaminarsi con uno straniero ferito (e dunque doppiamente impuro). Riflessione stimolante e ricca perché ricorda ad ogni credente che nemmeno l’appartenenza religiosa ci immunizza dalla diabolica tentazione del chiudersi ai bisogni del fratello e dalla scelta di “passare oltre” in presenza di persone ferie che dalla “strada” (o dal “mare”!) chiedono aiuto. Bello, in questo contesto, ricordare l’entusiasmo che suscitò il card. Carlo Maria Martini quando, commentando questo passo, spiegò a tutti che alla domanda posta a Gesù dal dottore della Legge su “Chi è il mio prossimo?”, il Maestro di Nazaret ribaltò l’interrogativo e invitò chi lo ascoltava a uscire dalla casistica di quesiti inutili e astratti, ma a camminare nella vita con la disponibilità generosa di chi sa “farsi prossimo” di chi si incontra. Un forte invito, dunque, a non usare mai il nome di Dio per giustificare il proprio egoismo, l’indisponibilità ad aprirsi ai bisogni del fratello. Esattamente come ha fatto il buon samaritano che – fuor di parabola – è la figura di Gesù stesso. Buon samaritano che, “passando” accanto al ferito, non si gira dall’altra parte, ma lo vide, ne ebbe compassione, si fece vicino per curare le sue ferite e, infine, lo portò con sé in un posto sicuro. A noi il particolare sfugge, ma quel richiamo alla “compassione” è un forte rimando alla realtà di Dio Padre. Solo Dio ha compassione. L’uomo può amare e avere misericordia. Ma solo il Dio di Gesù ha la compassione che cura e che rigenera la vita. L’atto del samaritano (buono) è la conferma che nell’occuparsi del prossimo ognuno di noi diventa come il Padre (“che ha compassione”) e dirige i suoi passi alla presenza di Dio.

Per noi oggi è difficile cogliere la novità di un testo letto e ascoltato mille volte. In noi le interpretazioni del passato si mescolano nella nostra mente con il forte rischio che non smuovano più il nostro cuore. In realtà, per quanto il buon samaritano ci risulti simpatico e per quanto ognuno di noi debba identificarsi con lui per stare bene, non possiamo dimenticare che anche noi spesso e volentieri siamo come il sacerdote e il levita che testardamente procedono per la loro strada senza nessuna disponibilità a confrontarsi con quanto – sotto i nostri occhi – sta cambiando. Pandemia, guerra e cambiamenti climatici confermati dalla tragedia della Marmolada, non sono piccoli eventi che possiamo fingere che non ci siano e “passare oltre” come se nulla fosse mai accaduto! Ma lo stesso va detto per le nostre comunità cristiane. Tra le giovani generazioni e il Vangelo si è creato uno steccato che è impossibile non vedere. La tradizionale pastorale che fino a ieri funzionava (sacramenti, catechismo, messa domenicale, oratorio e servizi educative e caritativi), oggi arranca, fa fatica e, in molti casi, è così fortemente segnata da abbandoni a da numeri esigui, da generare sfiducia e sconforto. Molte nostre case sono orfane di gioia, di amore e di quella compassione intesa come la presenza di Dio che cura e che rigenera vita.

Così illuminata la parabola del buon samaritano ci rinnova la vita. Ci sprona a cambiare strada per vivere meglio e a non avere paura dei cambiamenti. Ci invita a lasciarci curare da quel buon samaritano – Gesù – che fascia le nostre ferite fatte di depressione, di solitudini, di chiusure verso il nuovo, di apatia e di stanchezza interiore. E ci spinge verso quel rinnovamento sociale, spirituale ed ecclesiale che dovremmo osare e intraprendere, ma che – per mille ragioni – preferiamo non avviare perché il nuovo ci fa paura ed è faticoso da accogliere (e come il sacerdote e il levita preferiamo irrigidirci a camminare sulla vecchia strada che non conduce più alla mèta dell’essere beati).

Buona domenica e buon mese di luglio.

                                                                                          Preghiera dei piccoli

Caro Gesù, non mi aspettavo di trovare l’espressione “per caso” nel Tuo Vangelo. Mi sono sempre chiesto: “Ma perché sono finito in questa famiglia, in questa parte del mondo, con questi compagni, etc?”. Non ho scelto niente.

Tutto è arrivato “per caso”. Però in “quel caso” ci sei Tu, Gesù, che mi doni la possibilità di fare del bene e di prendermi cura di chi soffre. 

Non ho mai pensato al mio compagno disabile che “per caso” hanno messo nella mia classe come una occasione per imparare ad accogliere tutti.

Oggi mi hai cambiato punto di vista. Decidere di non fermarsi davanti al ferito incontrato “per caso”, rende brutta la vita di tutti. 

Grazie Gesù per questo nuovo insegnamento. Sono venuto a messa “per caso”, ma il Tuo Vangelo mi ha cambiato modo di pensare e di vivere.

P.S. Dona, Gesù, nel giorno di san Benedetto la Tua Pace alla nostra Europa.

XIV domenica Anno C

XIV domenica  Anno C  con preghiera dei piccoli

 

Luca 10, 1-12.17-20

«Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: "Pace a questa casa!". 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: "È vicino a voi il regno di Dio". 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11"Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino". 12Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.17I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". 18Egli disse loro: "Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli"».

La richiesta di Gesù, così come la riporta san Luca, non permette dubbi o ambiguità: Gesù vuole che si “cammini” insieme. Il richiamo al testo della Genesi in cui “il Signore Disse: «Non è bene che l’uomo sia solo»” (Gen. 2, 18) è evidente e immediato. Siamo fatti per vivere insieme, ci dice il Vangelo. E anche chi deve annunciare che il Dio di Gesù è con noi non deve allontanarsi da questo stile di vita che è, allo stesso tempo, “metodo” (andare insieme è il modo con cui ci si rende credibili) e “contenuto” (perché il senso della vita è dato dalla comunità e da quel “noi” che ha il non facile compito del frantumare tanto l’egoismo quanto quel pericoloso individualismo e che tutti conosciamo).

“A due a due” non è, perciò, semplice annotazione di come procedere su strade sconosciute per darsi reciproco aiuto. In quell’indicazione è racchiusa la sapienza della vita che ci ricorda che solo chi sceglie di abitare il “noi” riesce ad andare lontano (“Se vuoi andare veloce corri da solo, se vuoi andare lontano, vai insieme” recita un saggio proverbio africano”). Il che significa che la presenza di Dio in mezzo a noi (ciò che gli evangelisti chiamano il Regno di Dio) è reso visibile dal coraggio di praticare la comunione con gli altri, con l’aiuto anche del perdono reciproco. È vero: non sempre la convivenza è facile; non sempre si riescono ad evitare – all’interno della vita comunitaria – divisioni, invidie, gelosie, maldicenze o fatiche relazionali. Ma isolarsi da tutto e da tutti ed esaltare un individualismo estremo fatto di autoreferenzialità e di fragile narcisismo, è un rimedio peggiore del male. Quanta fatica c’è nel nostro “correre sempre da soli”! Quanta solitudine, quanta emarginazione e quanta depressione nascondono le nostre case quando queste sono sganciate da qualsiasi vita comunitaria.

Un dato concreto. Il 39,5% delle famiglie presenti nella città di Biella è composto da un solo componente. In cifre: su 20.488 famiglie che abitano a Biella, 8.113 sono “famiglie individuali”: formate, cioè, da una sola persona. Quasi quattro famiglie su dieci che, nella nostra città, non fanno esperienza di convivenza nella loro casa. Le cause possiamo immaginarle: lutti, separazioni, progetti di vita di coppia non ancora decollati o vere e proprie scelte. Segno di un occidente che sta invecchiando e di uno stile di vita che per molti aspetti riesce a fare a meno della vita comunitaria. Ieri non era così: la dimensione comunitaria era indispensabile per sopravvivere. Oggi chi può il pasto lo ordina al telefono (e operai poco pagati lo portano in bicicletta) altri, meno abbienti, sono aiutati da catering vari per impedire che la solitudine diventi abbandono. Resta il fatto che il mangiare sempre da soli non è sano. E forse anche per questo Papa Francesco ha scelto la vita comunitaria in Vaticano e ha rifiutato l’isolamento dorato riservato al Pontefice: per essere in grado di andare “lontano” con il cuore e con la mente.

Ultima riflessione. Non appena i settantadue discepoli tornano carichi di entusiasmo, Gesù dice loro: “Non rallegratevi però perché i demoni s sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nel cielo.”. Per dire che chi sceglie di vivere la comunità con lo spirito di servizio verso il fratello più debole (e dunque consegna al potere la forma del servizio che si allontana dal dominare!) fa profonda esperienza di gioia e scopre che il suo nome è scritto nel Cielo, nel cuore di Dio.

Quanti bambini, ragazzi e giovani sognano che il loro nome diventi famoso (nel mondo dello sport, dello spettacolo, degli influencer, etc.)! Sognare di diventare “buoni” per aiutare chi è più bisognoso, non è più di moda. Fama e notorietà, però, non sempre immergono nella gioia vera (quasi mai) e il nome lo scrivono sulla sabbia che sparisce al primo colpo di vento.

Spendere l’esistenza per gli altri – al contrario – “rallegra” il cuore e consegna così tanto senso alla vita da renderla non solo piena, riuscita e realizzata ma con il proprio “nome” scritto nel cuore di Dio. Il solo modo per avere un nome e una esistenza che non ha più fine. Buona domenica e buon mese di luglio.

 

                                           Preghiera dei piccoli

Caro Gesù,

                    a scuola quest’anno abbiamo imparato il proverbio africano che dice: “se vuoi andare veloce corri da solo, se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”.

E io sono così. Non mi piace andare a scuola, a calcio o in oratorio da solo.

Mia mamma mi critica perché non esco mai da solo, ma oggi mi sembra di aver capito che anche Tu ci dai ragione e che uscire “a due a due” non è sbagliato. 

Grazie Gesù anche perché hai scritto “nulla potrà danneggiarvi”.

Gesù aiuta i miei genitori ad avere meno paura. Del futuro, della strada, del lavoro o di non so quali pericoli.

Io so che con Te accanto le difficoltà si superano.

Gesù voglio essere anch’io uno dei 72.

Manda anche me nella tua messe.

E grazie ancora Gesù perché se scrivi il mio nome nel cielo, vuole dire che per Te io sono importante. 

 

XIII DOMENICA ANNO C

XIII DOMENICA  ANNO  C  con preghiera dei piccoli

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,51-62)

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Gesù ha già iniziato la sua missione. Da settimane, forse da mesi è “fuori casa” alle prese con quel “camminare” per le strade della Palestina finalizzato ad annunciare il Regno di Dio. San Luca però ci spiazza e al capitolo nono del suo Vangelo scrive: “Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”. Segno eloquente che la “decisione” che imposta la vita non la si prende una volta per tutte. Ma va continuamente alimentata, difesa e rinnovata per non ritrovarsi “stranieri” nel proprio procedere esistenziale. Gesù però oltre a rinnovare la sua scelta di incamminarsi verso il dono della sua vita che avverrà a Gerusalemme, invita anche i suoi discepoli a fare altrettanto. Gesù li ha già chiamati (mentre lavavano le reti – Lc. 5,1ss); loro hanno già aderito alla proposta di Gesù (“E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc. 5,11). Ma anche loro – come il Maestro – devono nuovamente domandarsi se è loro intenzione affidarsi al  Signore Gesù che non promette loro una crociera senza intoppi e tutta riposo e svago, ma che ricorda a chi lo segue che il cammino non è esente da fatiche e che può anche condurre al sacrificio estremo della propria vita. Detto con parole semplici: Gesù ribadisce ai suoi che non basta l’entusiasmo per “immergersi” nella Sua sequela e che, proprio perché si tratta di un cammino impegnativo, è bene chiarire le condizioni del seguirLo.

A parole e in teoria è tutto chiaro. Non appena però gli abitanti di villaggi samaritani “non vollero ricevere Gesù perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme” i discepoli tirano fuori il meglio delle loro ambizioni: “Signore vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. Gesù non giudica e non condanna chi lo rifiuta e nemmeno chi lo metterà in croce. I suoi discepoli – però – si comportano da “padroni” del Progetto di Gesù e non solo vogliono prendere il posto del Maestro, ma si ritengono anche autorizzati a giudicare e a condannare (“bruciare”!) chi non li riconosce come importanti.

Quante volte succede a anche a noi. Diamo per scontato le scelte fatte ieri. Non le difendiamo. Non le rinnoviamo. Non le aggiorniamo alla luce della Parola di Gesù. E – di conseguenza – non le comprendiamo più. Le difficoltà le intendiamo come congiure contro di noi. Chi non ci capisce e chi non ci asseconda subito, lo vorremmo “bruciare” con il fuoco della nostra rabbia. Ma così facendo ci ritroviamo sempre più soli e depressi. E solo Dio sa quanta solitudine abita nelle nostre città e nelle nostre comunità.

Il Vangelo di san Luca ci invita ad uscire da questa solitudine e a fidarci del camminare al seguito del Maestro scomodo che si chiama Gesù. Non possiamo sentirci sempre “a posto”, “dalla parte della ragione” e profondamente convinti di non dover cambiare nulla della nostra vita. Gesù ci propone di impastare la nostra esistenza con il Suo Vangelo e di renderci disponibili a confrontarci con i grandi ostacoli che ci paralizzano il vivere.

Il primo ostacolo san Luca lo individua nell’abuso del “futuro”, del “dopo”, del “poi” o del “non adesso” (“Ti seguirò ovunque tu vada”). Fare “dopo” o “domani” ciò che ci rende veri e completi, vuole dire non farlo mai. E questo vale tanto per ciò che va tolto dalla nostra vita (come le nocive dipendenze che tutti conosciamo), quanto per quelle azioni che ci rendono più distesi e meno stressati, ma che siamo convinti che non abbiamo tempo di realizzare (penso alla lettura, alla meditazione e al pregare il Vangelo). Il secondo ostacolo è simile al primo, ma è legato al “passato” (“Permettimi di andare prima a seppellire mio padre”). Nulla, da parte di Gesù, contro il dovere dei riti funebri. Ma attenzione, chiede il Maestro, ad usare il passato come alibi per non assumersi le proprie responsabilità nell’oggi o a restare prigionieri della nostalgia (“ai miei tempi si faceva così, …”)  per non accogliere i cambiamenti che inevitabilmente sono presenti nel tempo presente. Terzo ostacolo: affetti disordinati e gestiti con modalità possessive (“Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”). Quando “casa mia” diventa un assoluto che ha la precedenza su tutto e che autorizza a restare indifferenti al soffrire di chi non appartiene al proprio clan, si entra nell’aridità di chi non ha legami oltre l’uscio di casa e, proprio per questo, vive male anche le relazioni domestiche.

Gran bel programma per i mesi di luglio e di agosto che ci attendono per proporci riposo nel corpo e nello spirito. Buona domenica.

 

Preghiera dei piccoli

                  Caro Gesù,                                        

                  io assomiglio un po’ a quel tale che Ti ha detto: “Ti seguirò ovunque tu vada”. Anch’io tanto volte uso il futuro e faccio tutto … “domani”!

 “Poi”, “un altro giorno”, “più avanti”, “dopo”, sono queste le parole che usiamo spesso noi bambini. 

Grazie Gesù perché all’inizio dell’estate mi dai un forte scossone e mi ricordi che seguirTi al futuro non ci fa bene.

Tu mi chiedi di seguirTi “adesso”, “subito”, “oggi” e mi inviti a camminare con Te nel presente, non “domani”.

Gesù, oggi nel Vangelo di Luca, sembri severo e persino troppo esigente. Però hai ragione Tu: nel futuro molte volte si nasconde la pigrizia di chi rinvia a “dopo” ciò che quasi sicuramente non farà mai.

Ti prego Gesù: aiutami a vivere nel presente e a non scappare nel futuro.

P.S. Forse l’anno prossimo anch’io faccio, con i genitori, il viaggio in Terra Santa.

CORPUS DOMINI anno C

CORPUS DOMINI anno C  con preghiera dei piccoli

Dal vangelo secondo Luca (Lc 9,11-17)

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a compare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Guido Tallone:

Nel quarto libro della Bibbia – conosciuto come il Libro dei Numeri – si racconta che il popolo di Israele, stanco e sfinito nella traversata del deserto finalizzata a raggiungere la terra promessa, “cominciò a lamentarsi aspramente agli orecchi del Signore” (Numeri 11, 1). Mosè – la guida del popolo d’Israele – è sfinito. E anche con lui alza verso il Dio di Israele parole di protesta e di rimprovero: “Perché hai fatto del male al tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, al punto di impormi il peso di tutto questo popolo? … Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo? Essi infatti si lamentano dietro a me, dicendo: «Dacci da mangiare carne!»” (Nm. 11, 11s).

San Luca conosce molto bene questo testo ed è su questa base narrativa che costruisce il suo racconto. E come Dio dona a Mosè settanta “anziani” incaricati di non farlo sentire solo nel difficile compito dello sfamare l’intero popolo d’Israele, così Gesù coinvolge i Dodici nel compito di dare da mangiare a tutta quella folla. Il tema è sempre lo stesso: c’è una folla, un popolo, una grande quantità di persone che ha fame e che non riesce a sfamarsi.

E ieri come oggi chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena sta male, protesta, grida, impreca, scappa, emigra e tenta qualsiasi cosa pur di reperire cibo e sicurezza alimentare. Così è stato per il popolo nel deserto che teme di non saziare la fame, ma così è anche per la folla che segue Gesù: senza cibo e, dunque, alle prese, con lo stomaco vuoto. Alla fame fisica segue però, e puntualmente, la paura e, con questa, la logica del “si salvi chi può” e dell’“ognuno pensi a se stesso”.

La soluzione trovata dai Dodici è disumana. E loro non hanno nessun pudore a proporla a Gesù: manda via tutti; si aggiustino; noi non possiamo sfamare tutti. Gesù – ci dice san Luca – ha altre logiche e altri pensieri. Decisamente più umani. E fa capire a quanti sono stati scelti per stare con Lui che quando la gente ha fame anziché farsi dominare dalla paura e dall’egoismo (e dunque considerare la fame degli altri un problema che genera disagio a me|) è sempre bene fronteggiare quella ingiustizia “insieme”, in modo corale e comunitario. Per farsi carico del loro problema e per non doversi difendere dalla fame altrui!

La domanda è sempre la stessa: “Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo?”. Ma la risposta giusta è quella di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare”. Messaggio forte e chiaro. Quando l’altro ha fame e quando l’ingiustizia si manifesta ai tuoi occhi, non volgere lo sguardo dalla parte opposta e non delegare ad altri la soluzione a quel problema. Da solo nessuno può farsi carico della fame del popolo, ma nemmeno “congedando la folla perché si aggiusti” si risolve il loro problema. Semplicemente si decide di non vederlo e ci si illude che, così facendo, sia risolto.

Penso al nostro oggi. Penso al grano bloccato in silos, porti e su navi che non riesce a raggiungere chi ha fame per le oscure ragioni dell’orgoglio, della guerra, della violenza e del ricatto. Penso ai Popoli che sono a rischio di vedere peggiorare la loro miseria e che tra alcuni mesi si troveranno immersi, se le cose non si sbloccano, in quel deserto alimentare di chi non ha cibo per sé e per i suoi figli. Se a causa della logica assurda della guerra accadrà che milioni di persone si troveranno alle prese con la fame da quasi tutte le nostre comunità cristiane saliranno preghiere perché il Signore Gesù doni il cibo a chi soffre la fame. Ed è in quel momento che sarà utile ricorrere al Vangelo di san Luca per ricordare che il Signore Gesù desidera coinvolgerci nel Suo farsi carico dell’umanità ferita. Gesù Maestro chiede a noi di dare da mangiare a chi ha fame. Nessuno si spaventi. Gesù non dilata povertà e miserie. Gesù sa molto bene che quando pane e beni sono condivisi, non solo bastano per tutti, ma “tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.”. Proprio come dice la beatitudine: “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”.

Guerra e ingiustizia sono le due facce della stessa medaglia. Tocca anche a noi adoperarci per dare da mangiare a chi è senza cibo e fare il possibile perché mai il grano entri nelle trattative del potere esercitato da potenti interessati più a dominare che a servire l’umanità. Gesù che si è fatto pane per noi ci liberi dalla tentazione di usare il grano e la fame altrui per dominare e per imporre il nostro io sul fratello.

Buona festa del Corpus Domini a tutti.

                                                                                     Preghiera dei ragazzi

    Caro Gesù,

                      chissà quante volte mamma Maria ti avrà raccontato che quando Tu dovevi nascere tutti vi mandavano via perché per voi non c’era posto.

Per questo non hai accettato la richiesta dei tuoi apostoli di mandare via la folla che ti seguiva perché convinti che non toccasse loro occuparsi di sfamare tutta quella gente.

Gesù sei straordinario.

Tu chiedi a chi Ti segue di non allontanare mai chi sta male e chi non ha nulla per vivere.

Ti prego Gesù, fa in modo che il grano già raccolto e bloccato nei porti dell’Ucraina dall’esercito russo possa arrivare nei Paesi poveri.

Quanto mi piacerebbe andare dai potenti del mondo e dire loro quanto hai detto ai tuoi apostoli: “Voi stessi date loro da mangiare”.

Grazie Gesù perché sei buono come il pane e perché ci chiedi di farci pane per gli altri.

Grazie anche perché sta per iniziare l’estate.